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Builders of the future

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Suggestioni di futuro

Giovanni il milanese.


Giovanni Segantini, Naviglio a ponte San Marco, Milano, 1880

Appena sono venuto a conoscenza della ghiotta esposizione che si teneva nel Museo Segantini di St. Moritz, mi sono precipitato in loco (https://segantini-museum.ch/it/homeit/).

Per la prima volta venivano ricongiunti molti suoi importanti lavori del periodo milanese.

Una foto di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini  (Arco, 15 gennaio 1858 – monte Schafberg, 28 settembre 1899) arriva  a Milano, nel 1865, a sette anni e se ne andrà solo nel 1881 per trasferirsi prima in Brianza e poi in Svizzera, a Savognino e poi in Engadina. Resta dunque nel capoluogo lombardo per diciassette anni, fondamentali per lo sviluppo della sua carriera artistica e per la sua “fama” come pittore.

Nel Museo di St. Moritz a lui dedicato, i quadri, realizzati in quegli anni, sono testimonianza della Milano di allora. Gli sfondi, come sempre nelle opere del pittore trentino, raccontano attraverso forme, colori, luce, edifici, persone, ecc., i “paesaggi di un’epoca”.

Giovanni Segantini, Nevicata sul Naviglio, 1881

Segantini a Milano, aveva acquisito uno studio, nel complesso di Case Popolari di via San Fermo, con accesso diretto da via San Marco 26. La quotidiana frequentazione con i luoghi milanesi d’acque (molti di questi oggi interrati), gli consentono di realizzare degli effetti luminosi, che esaltano soprattutto gli elementi architettonici di quegli anni, in affaccio sul sistema idrico dei Navigli.

Non va dimenticato che il pittore trentino, aveva una innata passione per la disciplina dell’architettura.  Ed infatti il suo atelier, al Passo del Maloja, che realizzerà dopo il 1894, a seguito del suo trasferimento in Engadina, e’ opera di una sua progettazione attenta soprattutto per quanto riguarda la luce.

Il pittore usa i lucernari, ed ogni accorgimento, per creare all’ interno, un sistema di illuminazione naturale, sinergico al proprio lavoro.

Atelier Segantini al Passo del Maloja, con la caratteristica “cupola con lucernari”
Giovanni Segantini, ritratto della Signora Torelli, 1880. Sullo sfondo il parapetto ed un ponte del Naviglio Grande a Milano.
Museo Segantini a St. Moritz – Trittico della Vita, 1896/1899.
Giovanni Segantini, ritratto di donna in via San Marco a Milano, 1880

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GHOST DREAMS


Sono stato alla fondazione Beyeler di Riehen (Basilea), decine di volte, ed ogni volta una sorpresa nei criteri di allestimento, nella qualità della proposta museale. Ma questo “fuori/dentro” dal museo al giardino, che ho potuto apprezzare oggi, ha qualcosa di sorprendente, di meraviglioso, che lega l’arte intimamente con le regole della Natura planetaria di questa parte di Universo…..Sogni fantasma – https://www.fondationbeyeler.ch/en/exhibitions/ghost-dreams

Per la prima volta nel quarto di secolo della Fondation Beyeler gli spazi di tutto il museo e del parco vengono ripensati da artisti e curatori ma anche scienziati, filosofi, architetti, musicisti e poeti per un’esperienza espositiva sperimentale stimolante, innovativa e dinamica.

In effetti è difficile immaginare una mostra museale che muta in continuazione, che invita a leggere un libro, mentre le opere d’arte intorno vengono cambiate ogni tanto. Una patata dolce cuoce nel microonde, puoi dormire in un letto che interpreta i tuoi sogni,  e ogni tanto sei avvolto da una fitta nebbia che dà un senso di spaesamento surreale.

Sembra di partecipare ad un esperimento, incluso il titolo della mostra che cambia nelle dodici settimane di esposizione. Invece il tutto è un colto meccanismo per rendere l’arte concettuale accessibile, titillante, meravigliosa, senza ricorrere a un intrattenimento “facile” e banalmente spettacolare, come spesso succede di questi tempi, ad uso dei media. Quì al centro vi è lo spettatore/visitatore/esploratore che deve “conquistarsi” la sua personale interpretazione della mostra.

Il tutto ad iniziare dalla guida criptica della mostra  “All my love spilling over” (Tutto il mio amore si riversa), che costringe il visitatore a fare lavorare il cervello per comprendere il titolo e l’autore dell’opera che ha davanti. Spetta al visitatore creare Liaison tra opere visivamente accostate con sapienza per stimolarlo, per fare lavorare la memoria (visiva e non solo) di ognuno.

Ecco che Koo Jeong A (un giovane artista sudcoreano specializzato in installazioni e tecniche miste), con una scultura nera sospesa (Boolgasaeu Boolgasali del 2024), viene messo in relazione con il famosissimo (ed enorme) quadro ad olio su tela di Claude Monet ‘Lo stagno delle ninfee’ (1917-20); mentre fuori (basta chiedere e si può uscire), nel giardino, vicino ad un laghetto incombe la grande scultura “Hase” un’opera di Thomas Schütte che fa parte della Collezione Beyeler dal 2014. Nel laghetto Fujiko Nakaya fa vibrare con un sistema di onde d’urto, il pelo dell’acqua.

L’architettura di Renzo Piano aiuta con le grandi vetrate, l’illuminazione naturale, ed i setti in porfido, a dare un legame intimo con l’esterno, con il paesaggio circostante arricchito da “presenze” artistiche.

La spettacolare e stimolante mostra collettiva estiva della Fondation Beyeler sta riscuotendo un notevole successo, tanto da essere legittimamente definita “l’argomento principe di conversazione del mondo dell’arte 2024”.

Fondation Beyeler è uno dei più importanti musei della Svizzera, e stà per diventare uno spazio espositivo vastissimo. Alla sede principale di Piano, si aggiungeranno, tra il 2025 ed il 2026, tre edifici dell’architetto/guru svizzero, Peter Zumthor (una sede espositiva di 1500 metri quadri, un padiglione e un edificio di servizio) che sono in costruzione nel parco paesaggistico di impostazione ottocentesca in stile inglese (acquisito dai confinanti per duplicare l’estensione dei giardini, facendoli diventare una “piccola” riserva naturale).

https://www.fondationbeyeler.ch/en/museum/new-museum-building

SOTTO – Stralci dalla guida della mostra

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GIULIO PIPPI


Giulio Pippi de’ Jannuzzi, o Giannuzzi, detto Giulio Romano (Roma, 1492 o 1499 – Mantova, 1º novembre 1546), è stato un architetto e pittore italiano dell’Alto Rinascimento. Nato nel 1499 a Roma, fu una figura di spicco negli ambienti artistici del suo tempo. Allievo del famoso pittore Raffaello, con il quale lavorò a stretto contatto su diversi progetti, tra cui la decorazione del Palazzo Vaticano.

Come architetto, Giulio Romano è meglio conosciuto per il suo lavoro a Mantova, dove fu capo architetto della famiglia Gonzaga. Una delle sue realizzazioni architettoniche più notevoli è Palazzo Te, un capolavoro dell’architettura rinascimentale rinomato per il suo design innovativo e gli elementi decorativi.

A Mantova ha eseguito numerosi affreschi e dipinti ad olio, spesso mettendo in mostra la sua maestria nella prospettiva, nella composizione e nel colore. Il suo stile combinava elementi del classicismo di Raffaello con un approccio audace e dinamico, guadagnandosi il riconoscimento come uno degli artisti più importanti del suo tempo.

L’eredità di Giulio Romano continua ad essere celebrata oggi attraverso i suoi contributi all’architettura e alla pittura, che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte e dell’architettura in Italia e oltre.

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Il chiosco del fioraio


Sigurd Lewerentz (https://it.wikipedia.org/wiki/Sigurd_Lewerentz), grande architetto svedese, raggiunge l’apice della sua poetica, con il chiosco dei fiori del Cimitero Est di Malmö (Östra kyrkogården, Sallerupsvägen), del 1969.

Nel sublime e minimalista, piccolo edificio, la decorazione non palesa più i contenuti della costruzione, sinergica a testimoniare il “sentire” del suo tempo, come era avvenuto in passato, ma si fa dichiarazione di nuovi valori autonomi, sia formali, che materici, suggerendo un probabile futuro per l’architettura che, di fatto, è diventato il nostro presente. Tanti gli “spunti poetici” legati al mondo lecorbuseriano.

Servirebbero studi ed analisi approfondite, ma appare chiaro, che questo minuto edificio “criptico”, è di fatto un manifesto per una architettura essenziale ed innovativa. Una “pietra” lanciata nel futuro, dal grande architetto svedese, quasi un lustro prima di morire.

Elementi di un manifesto che si possono facilmente ravvisare in molte architetture contemporanee, svizzere ad esempio.

SOPRA – Planimetria del Cimitero Est di Malmö, con evidenziato in rosso il chiosco dei fiori

(tratta da Google Earth)

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I COLORI DEL TRAMONTO


Mentre l’Universo si disfa in un mare di entropia (disordine)………la luce, i colori, la bellezza  di un tramonto, colto da una finestra in riva al mare, sembrano essere l’unica salvezza possibile, l’ultimo disperato tentativo di dare un ordine al caos.

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WOLFGANG LAIB


SOPRA – Vista di Varese dall’alto del giardino di Villa Panza

SOPRA – La corte di Villa Panza che si apre sul giardino, con l’opera Cone of water di Meg Webster, 2016

Partendo dalla visione paesaggistica della città di Varese dall’alto, che bene si può cogliere dal giardino all’italiana, di villa Panza di Biumo, oggi bene FAI (https://fondoambiente.it/luoghi/villa-e-collezione-panza); ed idealmente entrando, all’indietro, nel “contenitore museale”, attraverso la corte, una finestra, per apprezzare le stanze della meravigliosa installazione, decantata nel corso del tempo, dal sofisticato e stimolante progetto espositivo di Giuseppe Panza, si può cogliere, anche in una uggiosa e fredda giornata autunnale, la magnificenza del luogo.

Meglio se si è pure accompagnati da una colta, ed esperta studiosa della collezione, opportunamente agghindata, quasi per essere parte, essa stessa, dell’esposizione d’arte.

L’esposizione delle opere di Wolfgang Laib, che si intitola “Passageway”, bene identifica questi anni sofferti di “passaggio”, che stiamo attraversando. Passaggio da un sistema di vivere, produrre e consumare, che ci sta portando al collasso dell’ecosistema planetario, ad un’altro sistema di vita che ci sarà imposto dalle circostanze climatiche.

Nell’attività dell’artista tedesco, nato a Metzingen il 25 marzo 1950, il passaggio che attua con la sua attività artistica, è quello della materia naturale organica : riso, cera d’api, in artefatti artistici, grazie all’azione operata dalla sua attività.

E’ anche un “passaggio” tra materiale ed immateriale, tra concreto ed astratto.

Ci vogliono cinque mesi perchè dal seme del riso nascano un germoglio, e quindi una piantina. Poi che questa fiorisca, fruttifichi, in un ciclo continuo che si succede incessante da millenni.

SOPRA E SOTTO – Wolfgang Laib, Passageway Inside – Downside, 2011/2012, 52 navi in ottone

SOPRA – Nave di ottone, su letto di chicchi di riso

SOPRA – Wolfgang Laib – Brahmanda, 2016/2022, Granito indiano nero lucidato con olio di girasole

SOPRA – Wolfgang Laib – Untitled, 2023, Scultura in cera d’api e riso

SOPRA – Wolfgang Laib – Crossing the River for Bodidharma 2023, Lavori in colore bianco su sfondo bianco

Dichiara l’artista : “Per me è molto bella la sensazione di poter superare il tempo”, ed ancora : “Credo che l’arte davvero importante sia senza tempo”.

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Paesaggi dello spazio pubblico


Il paesaggio fisico storico esperienziale e rappresentativo, più abituale della vita collettiva nell’Antropocene, è ancora ovviamente lo spazio pubblico, il cui termine, ha contenuti che necessariamente devono essere scomposti, per non ridurlo esclusivamente ad una banale dicotomia storica tra pubblico e privato (piazze, vie, rotonde, parchi, ecc.).

Già Aristotele nel IV secolo a.C. ha affermato la naturale tendenza dell’essere umano alla socialità. Siamo per genia, portati a stare in contatto l’uno con l’altro, questa “contiguità” addirittura è parte essenziale del definirsi della nostra identità.

E’ quindi indubbio, ed acclarato da sempre, il valore sociale dello spazio pubblico, e della sua importanza politica, culturale ed economica.

Lo spazio pubblico è una necessità umana, e la telematica, l’informatica pur insinuandosi in esso, e nella vita contemporanea, non sembrano, per ora, in grado di adattare questo paesaggio, destrutturandolo, a livelli d’informazione e di accessibilità diversi.

Nemmeno “Second Life”, il mondo virtuale (pubblico/privato) elettronico digitale online lanciato nel 2003 dalla società statunitense Linden Lab, è riuscito ad essere un’alternativa allo spazio pubblico reale. Ad un’iniziale successo, la piattaforma dal 2013 ha progressivamente perso utenti (avatar).

I vari social network: Facebook, Twitter, Instagram, nonostante i numeri notevoli degli utenti iscritti, sembrano incapaci di superare il “chiacchiericcio da pollaio”, la “violenza verbale”, la “critica gratuita”, lo sghignazzo”, per diventare degli spazi pubblici di vero dibattito ed incontro sociale. Questi “palcoscenici liquidi” hanno però determinato il collasso definitivo delle sfere sociali classiche: famiglia, colleghi, amici, eccetera. Ciò sta producendo una progressiva ulteriore frammentazione del pubblico e delle sue liaison con il mondo virtuale. L’esempio più concreto è: piazza/mercato = internet/vendite on-line.

La stessa fusione di alcune di queste piattaforme in “Meta”, voluta dal fondatore di Fb Mark Zuckerberg, per superare il calo di iscritti, sembra non in grado di superare questa impasse. Meta non si limiterà a connettere le persone ma punterà al cosiddetto Metaverso, un mondo virtuale nel quale proiettare la nostra identità digitale. La promessa del fondatore della società, è che trasformeremo la nostra “casa” (privata) in un luogo “aumentato” (semi-pubblico) nel quale i nostri amici si materializzeranno davanti ai nostri occhi ovunque essi siano, in cui lavoreremo come fossimo in ufficio, anzi meglio, dove faremo sport o shopping, ed acquisiremo cultura, senza soluzione di continuità.

Oggi possiamo acclarare che nella realtà contemporanea, è in atto una progressiva degenerazione dello spazio pubblico, reale, fisico, di una sua costante perdita di appeal, e contemporaneamente di una sua “ibridazione on-line”, dove la separazione storica, tra spazio pubblico e spazio privato, è ormai ridotta ai minimi termini, o forse già più non esiste.

Storia breve, di una genesi

All’origine “pubblico”, era tutto il Pianeta Terra, in quanto bene comune, a disposizione di tutti gli esseri viventi (animali e vegetali) che qui si sono evoluti, per: abitare, viverci e riprodursi. Poi noi Sapiens, scesi dagli alberi, dopo un lungo periodo di nomadismo, evolvendo, abbiamo incominciato a perimetrare, recintare ed ordinare la superficie terrestre, per coltivare, per produrre alimenti ed energia, per moltiplicarci, rendendo “privati” pezzi sempre più grandi di questo bene comune.

La specie Homo Sapiens, a cui apparteniamo, ha velocemente identificato tutto l’ambiente planetario come, “spazio esclusivamente suo”, eleggendolo ad ambito di azione, a cui appartengono o si riferiscono i diritti o gli interessi di una collettività dominante civilmente ordinata, in continua esponenziale crescita.

L’ambiente naturale, della biosfera planetaria, è stato, nel corso del tempo, modificato, assoggettato all’evoluzione ed alla moltiplicazione selettiva della specie umana (con finalità di puro sfruttamento); la quale specie, ha precise responsabilità, molto evidenti oggi, rispetto all’inquinamento di: aria, acqua, terra: al consumo di suolo (città, agricoltura intensiva, infrastrutture) ed al conseguente cambiamento climatico planetario.

Ancora oggi, il paesaggio fisico storico, esperienziale e rappresentativo, più abituale della vita collettiva nell’Antropocene, è ovviamente questo “bene comune”, il cui termine, ha contenuti che necessariamente devono essere scomposti, per non ridurlo esclusivamente ad una banale dicotomia storica tra pubblico e privato, tra naturale ed artificiale.

Già Aristotele nel IV secolo a.C. ha affermato la naturale tendenza dell’essere umano alla socialità. Siamo per genia, portati a stare in contatto l’uno con l’altro, questa “contiguità” addirittura è parte essenziale del definirsi della nostra identità. Siamo dal punto di vista fisico, meticci, costruiti, mischiati, con il materiale genetico di altri. Nasciamo alimentandoci del sangue di nostra madre; ci alimentiamo con la “materia” di altri esseri viventi. La stessa vita planetaria è già mescolanza di: “infinite altre specie, che si sono date appuntamento nel nostro corpo”.

E’ indubbio, ed acclarato da sempre, il valore sociale, d’incontro, dello spazio pubblico, e della sua importanza politica, culturale ed economica per l’uomo. Lentamente ci siamo impossessati del “bene comune planetario”, riempiendolo di: contenitori, infrastrutture, impianti, natura antropizzata, ecc.; addirittura rinominandolo per farlo diventare “spazio pubblico”, supporto, “esclusivamente nostro” in cui dipanare la nostra vita di specie dominante.

Eppure, questo “spazio pubblico” in senso universale, che continuamente modifichiamo, mangiamo, distruggiamo, ci condiziona e ci modifica. Nella materia carnale e soprattutto nella testa. Come scrive Emanuele Coccia nel suo libro “Metamorfosi”[6]: “La vita non è che un’unità cosmica che stringe la materia della Terra in un’intimità carnale. Siamo tutti carne della stessa carne, indifferentemente dalla specie cui apparteniamo”.

Spazio pubblico e Natura

La natura (L’ecosistema terrestre, il bene pubblico planetario condiviso) non è un “prodotto” umano; la specie umana può solo tentare di arrivare a capire, e modificare, la natura, attraverso la cultura. In tal senso la banca dati del World Wide Web, ci consente, con l’ausilio dei computer, di comprendere, attraverso una “memoria culturale” la continua metamorfosi dei saperi più diversi: dalla zoologia alla filosofia, dalla biologia alla linguistica, dalla botanica alla letteratura, dall’architettura all’astrofisica, dalla genetica all’arte. Ne risulta una visione in cui l’essere umano stesso, secondo Coccia, è una specie di “zoo ambulante”, un “Arlecchino” frutto ed espressione di una forma di vita più vasta e magistralmente intimamente interconnessa.

Lo spazio pubblico, in cui si muove questo “Arlecchino” è però una necessità tipicamente umana, e la telematica, l’informatica pur insinuandosi in esso, e nella vita contemporanea, non sembrano, per ora, in grado di adattare questo paesaggio, destrutturandolo, a livelli d’informazione e di accessibilità diversi.

Lo abbiamo visto bene tutti durante la “clausura” pandemica, dove l’isolamento, la mancanza di socialità protratta per lungo tempo, ha portato conseguenze psicologiche, su vaste fasce della popolazione, e soprattutto sui giovani. La stessa necessità di applicare in maniera diffusa lo smart-working (in italiano: lavoro agile), ha fatto cambiare completamente gli orari di uso delle città, ed i riti di frequentazione delle persone, costrette a vedersi ed a risolvere i loro necessari incontri, mediante l’utilizzo di piattaforme on-line: Meet, Zoom, Teams, eccetera. Soprattutto l’isolamento pandemico, ci ha indirizzati ad acquistare su piattaforme dedicate, come Amazon, o direttamente on-line dai produttori. Salvando molte attività commerciali, che velocemente hanno implementato o ampliato la loro presenza on-line. Però molti negozi, luoghi di arricchimento e mediazione sociale, proprio dello spazio pubblico, sono stati costretti a chiudere per mancanza di utenti, di fatto modificando il paesaggio pubblico urbano.

Chiusi in casa, abbiamo tutti sperimentato appieno, e modificato, le nostre case (private) per adattarle a queste nuova situazione, per lavorare a casa, per studiare, eccetera. Le nostre abitazioni sono diventate lo sfondo di collegamenti on-line interminabili. Le piazze, le vie, improvvisamente, per imposizione legislativa sanitaria, hanno acquisito una “vuotezza” raramente sperimentata prima. Anche durante gli anniversari istituzionali legati alla memoria di una Nazione.

[fig.1] Piazza del Duomo a Milano il 25 aprile 2020, durante la pandemia (Fonte: Foto dell’autore).

[fig.2] Piazza del Duomo il 25 aprile 2022 (Fonte: Foto dell’autore)

Pandemia: ridefinizione del confine tra pubblico e privato

Gli anni della pandemia hanno determinato una mutazione profonda nelle nostre relazioni, nel modo di lavorare, nella maniera di rapportarci con la realtà “fisica”. E lo spazio pubblico, per “stare insieme” che è la città tutta, o un teatro, o addirittura un parco, hanno subito una forte mutazione. Lo spazio pubblico, è stato per anni gravato da provvedimenti sanitari restrittivi, ma oggi, con un allentamento del controllo sanitario, in atto, conseguente alla riduzione della circolazione virale, gli spazi pubblici (piazze, spiagge, discoteche, teatri, raduni, concerti, ecc.) stanno riacquistando il loro ruolo sociale, ante-pandemia.

Nemmeno “Second Life”, il mondo virtuale (pubblico/privato) elettronico digitale online lanciato nel 2003 dalla società statunitense Linden Lab, è riuscito ad essere un’alternativa allo spazio pubblico reale. Ad un’iniziale successo, la piattaforma dal 2013 ha progressivamente perso utenti (avatar).

I vari social network: Facebook, Twitter, Instagram, nonostante i numeri notevoli degli utenti iscritti, sembrano incapaci di superare il “chiacchiericcio da pollaio”, la “violenza verbale”, la “critica gratuita”, lo sghignazzo”, per diventare degli spazi pubblici di vero dibattito ed incontro sociale. Questi “palcoscenici liquidi” hanno però determinato il collasso definitivo delle sfere sociali classiche: famiglia, colleghi, amici, eccetera. Ciò sta producendo una progressiva ulteriore frammentazione del pubblico e delle sue liaison con il mondo virtuale. L’esempio più concreto è nell’antinomia: piazza/mercato = internet/vendite on-line.

La stessa fusione di alcune di queste piattaforme in “Meta”, voluta dal fondatore di Fb Mark Zuckerberg, per superare il calo di iscritti, sembra non in grado, per ora, di superare questa impasse. Meta non si limiterà a connettere le persone ma punterà al cosiddetto Metaverso, un mondo virtuale nel quale proiettare la nostra identità digitale. La promessa del fondatore della società, è che trasformeremo la nostra “casa” (privata) in un luogo “aumentato” (semi-pubblico) nel quale i nostri amici si materializzeranno davanti ai nostri occhi ovunque essi siano, in cui lavoreremo come fossimo in ufficio, anzi meglio, dove faremo sport o shopping, ed acquisiremo cultura, senza soluzione di continuità. Nel Metaverso, potremo acquistare o affittare “spazi virtuali privati non tangibili”, da ritagliare nel Metaverso (pubblico?), in cui costruire case, ambienti, gallerie, ecc. con degli “architetti digitali”. Magari acquistare questi “spazi virtuali privati non tangibili”, con criptovalute (tipo BITCOIN), in cui collocare/esporre/commercializzare, degli NFT opere d’arte digitali. NFT che significa non-fungible token (gettone non fungibile o gettone non riproducibile), cioè è un tipo speciale di token, che rappresenta l’atto di proprietà e il certificato di autenticità scritto su catena di blocchi di un bene unico (digitale o fisico).

Si genera così uno spazio parallelo a quello fisico; uno spazio virtuale né pubblico, né privato, Uno spazio n cui ritrovarsi come specie.

Infatti, se di fatto, in diluizioni infinitesimali di miliardesimi di DNA, siamo tutti imparentati “fratelli e sorelle”, costituiti in una rete sociale, che si è ritagliata nell’ecosistema planetario, con famelica bramosia spazi pubblici/privati, ad uso esclusivo, come abbiamo visto in precedenza. Questi spazi fisici, sempre più grandi, sono finalizzati ad “ospitare e sfamare” numeri di individui in continuo esponenziale aumento; ma il virtuale, il Metaverso, non consente di produrre cibo ed energia, per “sfamare” individui atti ad una crescita infinita.

Si crea così, un nuovo confine (memoria del recinto/muro), come “limite” tra reale e virtuale. Dove però i significati di “pubblico” e “privato” tendono ad “ibridarsi”, a confondersi.

In architettura la facciata di un edificio, sia esso pubblico o privato (con i suoi materiali, i suoi colori, la sua composizione, ecc.) stabilisce un limite/comunicazione con lo spazio pubblico, sia esso: piazza, via, parco, o quant’altro, e l’io privato degli utenti. E lo stesso spazio pubblico interagisce con gli utenti, attraverso le caratteristiche di finitura, di segnaletica, di arredo, eccetera, degli stessi.

In questo contesto, lo “spazio pubblico”, tende a diventare (nel convenzionamento tra pubblico e privato), sempre più spesso, uno spazio che totalmente pubblico non è. La cessione di spazi pubblici, nelle grandi trasformazioni urbane (piazze, verde, ecc.), ma non solo, diventa una promessa fatta ai cittadini (nella liaison tra politici/amministratore, ed immobiliaristi sempre più voraci) in cambio di “eccessi volumetrici”, ma che nella realtà si traduce soprattutto in spazi che potremmo definire “di solo uso pubblico”. Questi spazi, non più privati, né completamente pubblici, vengono convenzionati e gestiti per decenni, sia come manutenzione, che per gestione degli spazi (eventi, sicurezza, ecc.), dal privato, che ne gode dal punto di vista immobiliare, facendo affacciare su questi “spazi nobili” i propri volumi, che così aumentano ulteriormente di valore.

Il gestore pubblico, non in grado di assumere un ruolo direttorio, manageriale ed economico di rilievo, nella conservazione di questi spazi, soggiace a questa condizione, che è ormai una consuetudine.

Da spazio pubblico a spazio di uso pubblico

In merito a questa mutazione, un caso emblematico lo si trova a Milano, nella trasformazione urbana Garibaldi/Repubblica/Porta Nuova. Il progetto, approvato nel 2004, dopo un iter urbanistico/immobiliare risalente al 1958, è stato curato dall’imprenditore immobiliare statunitense Hines e dalla sede italiana Hines Italia Sgr. Frutto di un convenzionamento innovativo per l’Italia, tra amministrazione pubblica ed operatore privato proprietario delle aree. In questo masterplan, il parco pubblico, realizzato da Hines Italia a scomputo oneri, detto “Biblioteca degli Alberi – BAM” (progetto: studio olandese Inside Outside di Petra Blaisse) è emblematico di questa assurda condizione dello spazio pubblico. Dal 5 luglio 2019 la Fondazione Riccardo Catella gestisce, dal punto di vista tecnico e culturale, il parco pubblico BAM, Biblioteca degli Alberi Milano. Per gestire al meglio il calendario del Parco mantenendone rigogliose, sicure e pulite le aree verdi, tutte le iniziative sono da allora comunicate e concordate con la Fondazione stessa. Nella BAM, anche la miscela floreale, che caratterizza i parterre di questo parco, viene decisa dal privato, per ottimizzare la manutenzione e la resa scenica.

[fig.3 e fig.4] Immagini di alcuni parterre della BAM, durante la fioritura primaverile (Fonte: Foto dell’autore)

Lo stesso vale per piazzetta Liberty (progetto: studio inglese Foster + Partners), sempre a Milano, un altro “spazio in uso pubblico”, dove addirittura il sottosuolo è di proprietà privata (Apple), ed anche qui tutto avviene esclusivamente per convenzionamento, sotto la regia esclusiva del privato. L’accordo di convenzione, prevede che Apple, oltre alla manutenzione ed alla sicurezza della piazza, dovrà organizzare ogni anno almeno otto eventi pubblici gratuiti di alto profilo culturale e sociale, concordati con l’Amministrazione e proporre al Comune almeno quattro ulteriori eventi l’anno.

[fig.5] Piazzetta Liberty a Milano il 15 maggio 2020 (Fonte: Foto dell’autore).

[fig.6] Piazzetta Liberty il 15 maggio 2022 (Fonte: Foto dell’autore)

Eppure, questi “spazi”, vengono percepiti dagli utenti, grazie al marketing “spinto” di eventi prestigiosi in essi realizzati, ai giornali, alla rete ed ai social che ne diffondono le immagini, come se fossero delle entità spaziali esclusivamente pubbliche. Cosa che nella realtà non sono, essendo il frutto di un compromesso, di una convenzione, cui non corrisponde più una chiara definizione terminologica tra ciò che è “pubblico” e ciò che è “privato”.

Sempre nell’Area Metropolitana di Milano, nei comuni di Rho/Pero, è in atto l’operazione immobiliare “Mind”, la riqualificazione dell’ex Area per Expo 2015 (che prima era un terreno agricolo), che è la più grande liaison, tra pubblico e privato, in corso: 510 mila metri quadrati di nuovi edifici, che ospiteranno oltre 40 mila utenti, per un progetto da 2 miliardi di euro. Sarà soprattutto terziario (circa 200 mila mq.), con l’arrivo, presunto, di grandi aziende come Novartis, Bayer, Glaxo, Bosch, Abb, Ibm, eccetera. Poca la residenza (63 mila mq.) di cui 9 mila metri quadrati di residenze di alto livello, e 30 mila mq. di social housing (case a prezzi contenuti). A ciò si aggiungono altri 54 mila mq. di studentati (residenze per studenti). Completano il progetto 16 mila mq. di spazi commerciali, ma senza grande distribuzione, e 7 mila mq. di hotel. Il tutto gestito dai privati di Lend Lease insieme alla società pubblica proprietaria delle aree, Arexpo.

Investimenti previsti: 2 miliardi pubblici e 2 miliardi privati. Per sviluppare il progetto e “valorizzare” almeno 250 mila mq, Lend Lease verserà ad Arexpo 671 milioni di euro, in cambio di una concessione che durerà 99 anni. Altri 230 mila mq saranno “valorizzati” direttamente da Arexpo, che conta di ricavarci 130 milioni, o vendendoli a Lend Lease o direttamente a privati. Oltre a tutto ciò, sull’area è già stato edificato, ed in corso di completamento, anche un ospedale, l’ortopedico Galeazzi, che pagherà ad Arexpo 25 milioni per i 50 mila mq ottenuti.

Ma ciò che renderà credibile e realizzabile l’operazione “Mind”, facendo da attrattore per le aziende hi tech e big pharma, sarà il trasferimento sull’area Expo delle facoltà scientifiche dell’Università Statale (150 mila mq., costo ipotizzato 380 milioni), oltre al più piccolo centro di ricerca Human Technopole su genoma e big data, che ha già occupato Palazzo Italia e si amplierà ad alcuni edifici a ovest dell’Albero della Vita.

Secondo il progetto Lend Lease, 460 mila metri quadrati dell’area saranno occupati da un parco pubblico. Ma per conseguire questa cifra si devono sommare anche i canali, l’anello esterno con i relativi canali, l’arena per grandi eventi, la Cascina Triulza e aree come il “decumano” e il “cardo” di Expo, che saranno in realtà trasformati in viali pedonali alberati, su cui dovranno comunque transitare automezzi per i rifornimenti e che saranno creati sopra la piastra “impiantistica” di cemento che impedisce la piantumazione di alberi ad alto fusto. I cittadini milanesi, nel 2011, hanno votato a favore (con risultato del 95,51%) al quesito di un referendum comunale consultivo, che impegnava a lasciare a parco tutta l’area verde che si sarebbe realizzata nell’area di Expo 2015[1]. Anche qui, il limite, tra cosa è pubblico e cosa è privato, seppur regolato da rigide convenzioni, sembra “labile” e potrebbe erodersi, senza nemmeno rispettare veramente il risultato del referendum pubblico consultivo espletato.

[fig.7] L’Ospedale Ortopedico Galeazzi in completamento nell’Area MIND (Fonte: Foto dell’autore).

[fig.8] L’intorno dell’ex Padiglione Italia oggi sede di Human Technopole (Fonte: Foto dell’autore)

[fig.9] L’area di Expo 2015 a Milano prima dell’intervento (Fonte: immagine del 2001 tratta da Google Earth).

Considerazioni finali

E’ chiaro che, in questa situazione “fluida”, tra una pandemia planetaria, ed una guerra, tra una crisi economica imminente, e la necessità di ristrutturare la maniera di vivere e di produrre, per salvare l’ecosistema planetario, i confini tra pubblico e privato, tenderanno sempre più a soffrire, ad essere labili e “virtuali”. Ci troviamo in una realtà sempre più ingannevole, in cui il Metaverso farà buon gioco a chi realizza spazi fisici, vendibili e praticabili virtualmente, in una loro “costruzione virtuale 3D” ancora prima che si posi a prima pietra. Microsoft ha recentemente annunciato che dal 2022 integrerà il Metaverso nella piattaforma Teams con una funzionalità chiamata Mash: gli utenti potranno creare un avatar con cui partecipare alle riunioni di lavoro

(già lo sfondo lo possiamo alterare per non fare capire dove siamo). Ciò anche per creare un ulteriore spostamento di confine tra reale e virtuale. Ci si prospetta una vera e propria vita senza mai alzarsi dal divano. Spazio “privato” e “spazio pubblico” (la via, la piazza, la città), che stanno lentamente ambedue convergendo, verso quel divano con sopra “noi”, il nostro corpo, la nostra carne, e davanti un terminale video.

Eppure, già di fatto, noi stessi, il nostro corpo, sono da sempre “materia pubblica”, essendo la nostra genia il frutto di una selezione (e di un sostegno sociale) in cui sono entrati in campo tutti gli esseri umani che sono stati presenti sul Pianeta Terra, fin dal primo uomo scimmia, e di tutto quello di cui ci siamo alimentati, sia per ricavare energia vitale, idee, progetti.

Oggi possiamo acclarare che nella realtà contemporanea, è già in atto una progressiva degenerazione dello spazio pubblico, reale, fisico, di una sua costante perdita di senso del “bene comune”, a favore di un appeal, sempre più pilotato e controllato (telecamere, ripetitori wi-fi, conta-utenti, ecc.), anche a causa della pandemia. E contemporaneamente ci, troviamo di fronte ad una sua “ibridazione on-line”, dove la separazione modulata e storica, tra spazio pubblico e spazio privato, come avveniva nelle città porticate di una volta, è ormai ridotta ai minimi termini, o forse già più non esiste.

Bibliografia

Veronica Barassi, I figli dell’algoritmo. Sorvegliati, tracciati, profilati dalla nascita. Luiss Press, 2021

Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, 2020

Giancarlo De Carlo, La città e il territorio. Quattro lezioni, Quodlibet Habitat, 2019

Salvatore Settis, Teatro della democrazia. Cattedra Borromini 2014-2015, Mendrisio Academy Press, 2016

Massimo Cacciari, La Città, Pazzini Editore, 2004

Raymond Ledrut, Sociologia urbana, Il Mulino, 1969

LA VITA (e la morte) DELLE PIANTE


SOPRA – filare di Pioppi al Parco nord Milano Foto 2021

Situazione dei pioppi al 25.07.2023 – https://www.ilgazzettinometropolitano.it/2023/07/25/alberi-caduti-e-viali-bloccati-le-raccomandazioni-del-parco-nord-ai-visitatori/

“I vegetali – scrive Charles Bonnet (Recherches sur l’usage……., 1754) – sono piantati nell’aria, più o meno come sono piantati nella terra”: l’atmosfera più che il suolo, è il loro primo ambiente, il loro mondo. La fotosintesi è, dunque, l’espressione più radicale del loro essere nel mondo……noi ci nutriamo quotidianamente dell’escrezione gassosa dei vegetali, non possiamo vivere d’altro che della vita degli altri (esseri viventi, soprattutto vegetali).Tratto da Teoria della foglia. All’aperto: ontologia dell’atmosfera, in La vita delle piante, metafisica della mescolanza, di Emanuele Coccia, Il Mulino, 2018.

Le supercelle, i meso-cicloni, le violente grandinate, ed i colpi di vento, che hanno travolto i territori della Lombardia e di tutto il nord Italia, a fine luglio 2023 (https://www.milanotoday.it/meteo/temporale-nubifragio-stanotte.html), sono stati la materializzazione improvvisa, eclatante e violenta del “cambiamento climatico” in atto. – https://ipccitalia.cmcc.it/climate-change-2023-ar6-rapporto-di-sintesi/

SOPRA – Supercelle nel cielo del Nord Milano, la sera del 24 luglio 2023

A subire i maggiori danni di questi fenomeni atmosferici violenti ed improvvisi, sono state le alberature, le quali hanno subito in un’area vasta danni enormi. Grazie alle piante, c’è vita su questo bellissimo Pianeta Terra (il nostro unico vero “Paradiso”).

Scrive Emanuele Coccia, nel libro che ho già citato in precedenza : “La fotosintesi è il processo cosmico di fluidificazione dell’universo, uno dei movimenti attraverso cui il fluido del mondo si costituisce: ciò che fa respirare il mondo in continuazione e lo mantiene in uno stato di tensione dinamica”.

Le piante, ci avevano inventato, e preparato il nostro futuro, noi non lo abbiamo abbracciato, con umiltà e condivisione, ma ce ne siamo impossessati in maniera predatoria.

Noi umani, abbiamo, nel corso del tempo, consapevolmente o meno, sovvertito con bramosia questo processo: consumando a più non posso l’energia e le materie dell’ecosistema planetario, mangiando e moltiplicando gli esseri viventi senza controllo, riproducendoci in maniera dissennata e quantitativa, inquinando l’aria e l’acqua come se non ci fosse un domani; ed oggi, che il pianeta, incomincia a presentarci un conto insostenibile, incominciamo a renderci conto di quello che abbiamo commesso.

Un conto, quello del cambiamento climatico, che impone di stravolgere velocemente un sistema di consumi e di gestione delle risorse planetarie, oggi quanto mai dissennato e senza futuro.

Vedere oggi, tutti quegli annosi e meravigliosi alberi, irrimediabilmente a terra, dà la restituzione plastica della follia che stiamo perseguendo con ostinazione.

SOPRA – Giardini pubblici di P.ta Venezia, Museo di Scienze Naturali, situazione antecedente all’ondata ciclonica – Immagine tratta da Google Earth

SOPRA – Immagini della devastazione arborea nella zona del Museo di Scienze Naturali – 26.07.2023

Probabilmente piantare alberi, non serve più a molto, soprattutto nelle aree metropolitane. Certo male non fa, per migliorare il microclima locale e probabilmente, tra parecchi decenni, eventi meteorologici estremi permettendo, darà anche dei frutti, contrastando la radicalizzazione dell’atmosfera terrestre.

Però, la strada da intraprendere immediatamente, deve necessariamente essere più radicale, e richiede il sacrificio di ognuno di noi, probabilmente per alcune generazioni; se si vorrà cercare di salvare l’ecosistema in cui viviamo.

SOPRA – Alberi caduti in prossimità dell’Aeroporto di Linate (SP 15b)

SOPRA – Danni arborei al Parco Nord Milano

Il cambiamento climatico, comunque, ha un impatto significativo sugli alberi e sugli ecosistemi forestali in tutto il mondo. Alcuni degli effetti più evidenti del cambiamento climatico sugli alberi includono:

  1. Aumento delle temperature: L’aumento delle temperature medie globali può influenzare negativamente la salute degli alberi. Alcune specie potrebbero non essere in grado di sopportare condizioni più calde e potrebbero essere spinte a migrare verso aree più fresche. Allo stesso tempo, l’aumento delle temperature può favorire l’espansione di insetti nocivi e malattie che colpiscono gli alberi.
  2. Variabilità delle precipitazioni: Il cambiamento climatico porta a una maggiore variabilità delle precipitazioni in diverse regioni. Le piogge estreme o le siccità prolungate possono causare stress idrico per gli alberi, indebolendo il loro sistema immunitario e rendendoli più suscettibili a malattie e infestazioni.
  3. Disseccamento del suolo: L’innalzamento delle temperature ei cambiamenti nei modelli di precipitazione possono portare a un aumento dell’evaporazione del suolo, causando disseccamento delle radici degli alberi e riducendo la disponibilità di acqua per la vegetazione.
  4. Incremento degli incendi boschivi: Il cambiamento climatico contribuisce a creare condizioni favorevoli per gli incendi boschivi. Temperature più elevate, condizioni di siccità e venti più forti possono aumentare la frequenza e l’intensità degli incendi, danneggiando o distruggendo intere aree forestali.
  5. Migrazione delle specie: Alcune specie di alberi potrebbero essere costrette a migrare verso altitudini più elevate o latitudini diverse per cercare condizioni climatiche più adatte. Questo potrebbe causare cambiamenti nei tipi di foreste e negli ecosistemi locali.
  6. Impatto sugli ecosistemi: Gli alberi sono fondamentali per gli ecosistemi forestali, offrendo habitat per molte specie di piante e animali. Il cambiamento climatico può alterare gli equilibri ecologici, mettendo a rischio la biodiversità e la sopravvivenza di diverse specie.

Per affrontare gli effetti del cambiamento climatico sugli alberi, sono necessari sforzi per ridurre le emissioni di gas serra e adottare pratiche di gestione forestale sostenibili. La riforestazione e la conservazione delle foreste esistenti giocano un ruolo cruciale nel catturare il carbonio atmosferico e mantenere la biodiversità. Inoltre, sono fondamentali nelle strategie di adattamento per preservare gli alberi e gli ecosistemi forestali già esistenti, proteggendoli dalle minacce correlate al cambiamento climatico prima elencate.

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

La presenza del verde


SOPRA – Edificio Sarca OPEN 336, Park Associati 2023

Una presenza fortemente rappresentativa della “verzura” è ormai un fatto consolidato nell’edificato terziario che si realizza a Milano, e ciò al di là della sostenibilità espressa per regolamenti vigenti e/o certificazioni (Leed, Breeam, Well, ecc.).

Rendere sempre più “appetibili”, dal punto di vista della percezione ambientale, i nuovi interventi è ormai un “must” irrinunciabile, all’epoca del “Disastro Climatico Planetario”.

Rendere percepibile uno sforzo (anche economico) per contrastare il “Climate Change” è un atto dovuto che deve essere trasmesso anche visivamente ai committenti, agli utenti, ma soprattutto alla Pubblica Amministrazione.

Due recenti interventi di terziario all’Ex Area Breda di Viale Sarca a Milano, bene testimoniano di questa tendenza. In ambedue i casi si sono dedicate attenzioni alla localizzazione di aree verdi : sulle facciate, sul tetto, entro gli uffici, ecc.

Anche con citazioni di tecnologie ampiamente consolidate, come il Mur Vegetal di Patrick Blanc (https://www.murvegetalpatrickblanc.com/) nel caso di OPEN 336 dei milanesi Park (https://parkassociati.com/progetti/sarca-336), edificio di nuova costruzione, che adotta anche tecnologie innovative nel campo del filtraggio dell’aria immessa nell’edificio (https://www.fervogroup.eu/case-studies/open-336-il-palazzo-che-respira).

Completamente diverso l’approccio dell’antistante edificio denominato SUPERLAB, progettato dai piemontesi Balance Architettura (http://www.blaarchitettura.it/).

Infatti, quì trattasi, di un risanamento di un edificio già esistente, sede degli uffici tecnici Breda (http://www.blaarchitettura.it/projects/2019_BLA_BREDA336/index_ita.html). La struttura è stata “scaricata” dalle facciate e dagli impianti, disvelando una struttura in cemento armato ed in ferro (reticolare), che è stata ripristinata, lasciandola a vista, ed adeguandola alle normative odierne (https://archello.com/project/superlab).

Anche quì, la natura entra dentro all’edificio, sarà posizionata nei prossimi mesi sulla copertura, ed è parte integrante della “sostenibilità” di tutto il complesso.

SOTTO – Edficio Superlab di viale Sarca 336, Balance Architettura, 2023

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