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aLCUNE ARCHITETTURE MILANESI


Alcune architetture milanesi del passato, del presente e del futuro. Una MAPPA. Una selezione assolutamente parziale.

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Villa Margon


A pochi chilometri sopra Trento, immersa nel verde, ed in dominanza del paesaggio, si trova Villa Margon. Essa è una delle più interessanti residenze signorili costruite nel Rinascimento. La villa, edificata tra i boschi in località Margon alle pendici del Monte Bondone (452 m.s.l.m.), venne completata verso il 1540-50 per la delizia estiva della famiglia di origine veneta dei Basso. Estinta la famiglia dei Basso dal 1596, la villa passò di mano in mano alle antiche e nobili famiglie europee, tra le quali i Fugger (Tedeschi di Augusta), i Lodron (Trentini di Storo, valle del Chiese), i Lupis (Italiani di probabili origini franco-germaniche) e i Salvadori (originari di Mori vicino a Rovereto) che la tennero fino al 1970.

Dimora estiva nobiliare e luogo di villeggiatura, la residenza, con i suoi annessi, sorge in un paesaggio di una bellezza unica ed è immersa in un vasto parco di circa 135 ettari. Donata agli inizi degli anni ’90 alla famiglia Lunelli, i detentori del prestigioso marchio vinicolo “Ferrari”, è diventata, dopo una ristrutturazione/restauro che ne ha restituito l’antico splendore originario, sede di rappresentanza e biblioteca “Bruno Brunelli”( https://www.brunolunellilibrary.it/villa-margon/ ).

Villa Margon ha ospitato, negli anni del Concilio di Trento (1545-1563), cardinali e prelati giunti da tutta Europa per la grande assise che diede il via alla Controriforma. Tra gli ospiti la tradizione vuole anche l’imperatore Carlo V, le cui gesta, non a caso, sono raccontate in un ciclo di affreschi che impreziosiscono la villa, e il cui letto è tra gli arredi più significativi. Affrescata anche all’esterno, Villa Margon risalta in un parco che è intatto da secoli e che, per la vegetazione, soltanto in parte autoctona, è considerato un capolavoro della natura.

SOPRA – Immagini tratte da Google Earth

Si tratta di un edificio sostanzialmente residenziale a pianta rettangolare, costruito proprio di fronte ad una fortificazione merlata, si antepone ad essa con un meraviglioso portico, sormontato da eleganti loggiati di chiara ispirazione veronese, caratteristica peculiare di molte ville rinascimentali venete. Le logge sono riccamente affrescate con rappresentazioni di assedi di città.

Il sistema compositivo loggiato della facciata, palesa chiaramente, questa nuova filosofia architettonica di implementare il paesaggio circostante, che non deve più essere solamente osservato dalle minute finestre nelle murature dai residenti, ma goduto con una vera e propria “immersione” in esso.

L’interno, molto semplice nella disposizione planimetrica (sala centrale con quattro sale più piccole laterali, una per ogni lato lungo) si articola in una serie di sale riccamente affrescate da cicli pittorici che rappresentano testimonianze preziose della pittura trentina del Cinquecento. Affreschi che testimoniano della vita dell’imperatore Carlo V, che sembra sia stato ospite della villa. Altri affreschi contengono scene del Vecchio e del Nuovo Testamento ed un ciclo dei Mesi. Le decorazioni sono il frutto dell’opera di artisti attivi in loco tra il 1556 e il 1566. La villa conserva anche importanti arredi coevi al suo completamento.

La villa, ha antistante, una casa merlata con torretta munita di orologio e meridiana, ampliata e modificata nell’Ottocento, la Cappelletta della Natività di Maria Vergine, rifatta in stile neogotico dall’architetto Masera nel 1867 su quella già esistente del Cinquecento, il giardino all’inglese (con un grande parterre) e l’annesso parco, che “sfuma” in maniera sapiente nella natura “antropizzata” circostante.

L’interno si articola in una serie di ampie sale riccamente arredate e decorate: dal salone centrale si accede alle quattro sale laterali, due a sinistra e due a destra. Il salone centrale presenta, in dodici riquadri affrescati, le principali imprese militari dell’imperatore Carlo V tra le quali la battaglia di Pavia con la cattura di Francesco I nel 1515 e la vittoria, seppur parziale, sui Protestanti nel 1547 (battaglia di Mühlberg nel Brandeburgo germanico).

A sinistra si entra in una sala quadrata con soffitto a cassettoni che presenta pareti affrescate con dodici scene dell’Antico Testamento. Tra le altre, l’affresco dedicato alla Torre di Babele, quello alla creazione dell’uomo e della donna, l’alluvione con l’Arca di Noè e quello dedicato ad un episodio delle Storie della vita di San Giuseppe. La seconda sala, collegata con la precedente e il salone centrale, propone dodici riquadri affrescati con scene del Nuovo Testamento. Tra gli altri, la Moltiplicazione dei pani e l’incontro di Gesù con la Samaritana. Al centro della sala una raffinata copia marmorea della scultura di Amore e Psiche di Antonio Canova.

Alla destra del salone principale, la sala da pranzo. La sala presenta pareti decorate da un ciclo di affreschi che rappresentano i dodici mesi dell’anno. Protagonista degli affreschi dei mesi è l’ambiente naturale circostante. La seconda sala sulla destra del salone d’ingresso è la sala del biliardo che ospita una raccolta di vedute di Villa Margon, ed alle pareti una raffinata serie di formelle colorate a creare una decorazione che simula una tappezzeria dipinta.

Il primo piano ricalca esattamente lo sviluppo planimetrico sottostante: un grande salone centrale, che si apre sul loggiato, e quattro stanze laterali.

Come già descritto in precedenza, è proprio lo splendido loggiato, proporzionato e geometricamente ineccepibile, che testimonia della rivoluzione architettonica rinascimentale, nella tipologia della Villa, la creazione di una “Sala aperta” sul paesaggio. Un luogo sicuro, non solo di collegamento tra ambienti interni, ma uno spazio privato in cui sostare, e da cui dominare, e contemplare, la natura circostante ed il giardino.

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2023/07/villa-margon-il-gioiello-del-rinascimento-trentino-7f9e27c4-c7d5-4a3d-9d21-429d52e5faf9.html

Come scrive Howard Burns nel libro “La villa italiana del Rinascimento” (Angelo Colla Editore, 2019). “La villa italiana rinascimentale risponde non solo al desiderio da parte dei proprietari e dei loro architetti di ricreare le forme e i piaceri delle ville degli antichi romani, con i loro colonnati e giardini, ma anche alle esigenze della sicurezza e dello sfruttamento economico delle campagne. E ci ricorda come la villa rinascimentale è spesso erede del castello medioevale, cioè luogo forte da cui dominare il territorio circostante.”

Lì vicino, ma più in basso, sulla strada di accesso alla villa da Ravina, immersa nei vigneti, la Locanda Margon, con cucina a cura di Edoardo Fumagalli chiamato a dirigere il progetto eno-gastronomico della famiglia Lunelli ( https://locandamargon.it/ ).

SOPRA – Il bel libro di Michelangelo Lupo e fotografie di Massimo Listri, sulla Villa Margon, edito da Skira

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Alziro Bergonzo


Sede rappresentativa del locale Partito Fascista, come Casa del Fascio fu edificata tra il 1936 ed il 1940. Attualmente dopo una manutenzione delle facciate, quella che è stata denominata ora “Casa della Libertà”, rivestita in marmo bianco-rosato di Zandobbio (https://shorturl.at/tzRTZ), restituisce il meglio di questo prezioso materiale geologico locale.

Il progettista : Alziro Bergonzo (30 dicembre 1906 – 22 maggio 1997) è stato un raffinato architetto e pittore italico, esponente del razionalismo. La sua attività è stata caratterizzata da grande professionalità ed attenzione formale – https://it.wikipedia.org/wiki/Alziro_Bergonzo

Altre opere eccellenti dell’architetto Bergonzo, sono :

Casa dell’Opera nazionale balilla, poi Auditorium Modernissimo, Nembro (1936);

“Casa del Fascio”, Municipio di Nembro, Nembro, 1940;

Villa Trussardi, via Diaz/Cadorna, Bergamo (1945), demolita nel 2012;

Sistemazione del Lido di Venezia, 1946;

Cinema Teatro Manzoni, Milano (1946-50).

La parete di fondo del portico ha una fascia basamentale rivestita di pietre con taglio a punta di diamante, coronata da un fregio con otto formelle a bassorilievo dello scultore Leone Lodi con soggetti tra cui “Il lavoro della terra”, “L’unione coniugale”, “I mestieri” e la “Navigazione”. – https://it.wikipedia.org/wiki/Leone_Lodi

Sopra l’ampio ingresso profilato da una cornice con cassettoni circolari – motivo ripreso anche nella copertura del portico -, il prospetto è unito ai quattro pilastri centrali da una scala che collega il primo piano con la balconata per i discorsi pubblici, attrezzata con un podio mobile in rame. Superata la scala di accesso, decorata ai lati da sei bassorilievi di Edoardo Villa raffiguranti protagonisti della storia bergamasca, si entra nell’atrio monumentale, originariamente illuminato da vetrate e lucernario.

In occasione di Bergamo/Brescia capitali italiane della cultura 2023, all’interno della sala per le adunata, è stata allestita una bella mostra a cura dello Studio Luca Molinari, dal titolo: “BERGAMO ’23. VISIONI PER UN FUTURO PRESENTE” – https://shorturl.at/azG14

Un edificio, quello del Bergonzo, che s’inserisce perfettamente, nell’assetto urbanistico della “Città bassa” di Bergamo, con la sua ampia piazza antistante, corredata dall’immancabile fontana. – https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/7q030-00008/

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Naturno – Centro visite del Parco naturale Gruppo Tessa


Era ancora un cantiere, ai primi di aprile 2023, eppure già si notava l’architettura con dei volumi decostruiti con sapienza tipicamente altoatesina. Un edificio pubblico per l’accoglienza dei visitatori del Parco naturale “Gruppo Tessa” – https://bit.ly/3GKqu3O

Un progetto frutto di un percorso per individuare un progetto di qualità e chiaro, acquisito dallo studio Area Architetti Associati (Roberto Pauro e Andrea Fergoni – http://www.areaarchitetti.it/h_index.html).

Il Comune di Naturno ha costruito l’immobile per metterlo a disposizione alla Provincia Autonoma di Bolzano come sede del Parco (https://bit.ly/3MKt79M). 

SOPRA – Localizzazione dell’intervento (mappa tratta da Google Earth)

Dall’ acqua e dalla luce, sono i temi del centro visitatori, che sono anche una specie di “filo rosso” di tutto il Parco naturale Gruppo di Tessa, costituito nel 1976. I temi che devono essere implementati nell’edificio del centro visite, e che trovano la loro sublimazione nel radicamento a terra e nella sistemazione naturalistica di un percorso d’acqua, il Rio Farnel, adiacente all’edificio. 

L’allestimento interno segue questo “Filo Rosso”, ed è prevista una sezione per un’esposizione permanente, ed un reparto per esposizioni provvisorie.

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UN “CIRCUITO” TRENTINO


Un “circuito” stradale, nel Trentino del sud, fattibile sia in auto che in bicicletta. Un centinaio di chilometri circa, tra le due città trentine, uscendo dalla Brennero A 22 a Rovereto Sud (Lago di Garda Nord) passando per il lago di Toblino (SS 45BIS), e rientrando nella Brennero A 22 a Trento Nord………O VICEVERSA.

Un piccolo viaggio, da “sogno” tra laghi limpidi, falesie immaginifiche, splendide architetture, vigneti e paesaggi meravigliosi. Un viaggio, dove l’azione umana sulla crosta terrestre, sembra ancora avere una dimensione in cui Natura ed Artificio possano coesistere. Ovviamente, un viaggio anche di sapori, di enogastronomia, tra profumi e luci naturali indimenticabili. Una “mappa empatica”.

https://www.google.com/maps/d/edit?mid=1tv04fzuhAOpznfDAiZidaRlw8TgWKgc&usp=sharing

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DEL PERIMETRARE


Se vi capita di andare a Verona, non potete mancare una visita alla Casa Museo – Palazzo Maffei (https://bit.ly/3FXSVKg – in affaccio a Piazza delle Erbe).

Su Piazza delle Erbe, una delle piazze più belle del mondo e la più importante di Verona, insiste un palazzo seicentesco che, dopo un lungo lavoro di restauro ed allestimento, concepito dallo studio Baldessari e Baldessari (http://www.baldessariebaldessari.it/) ha aperto le sue porte per ospitare la raccolta d’arte del collezionista veneto Luigi Carlon. La Casa Museo Palazzo Maffei, è stata inaugurata nel febbraio del 2020.

Il Palazzo Maffei, accoglie la collezione d’arte dell’imprenditore veronese Luigi Carlon, e racconta una storia che risale al XV secolo. All’epoca, la famiglia Maffei fece edificare il palazzo su Piazza delle Erbe, laddove sorgeva una loggia a uso pubblico che venne appositamente demolita.

Il palazzo, con una bella facciata principale, di ottima fattura barocca, ovviamente seicentesca, è caratterizzato all’interno, dalla magnifica scala elicoidale, che conduce alla terrazza da cui si ha una spettacolare vista del centro storico veronese.

Il palazzo acquisito da Luigi Carlon (https://www.mattinodiverona.it/2020/02/19/carlon-da-imprenditore-a-mecenate/), che ne fece la sua residenza, quando era proprietario della INDEX impermeabilizzazioni, è stato “aperto” al pubblico; esso contiene 350 opere, che testimoniano, di fatto, tutta la Storia dell’Arte.

Il Carlon iniziò a fare il collezionista più di 50 anni fa, e fin da subito, con lungimiranza, “fiuto innato”, ed attenzione, si caratterizzò, per la particolarità delle sue acquisizioni. Oggi, superati gli ottanta anni, si è riconvertito a mecenate.

L’allestimento, molto intelligente, propone un percorso museale con un “perimetro aperto”. Nelle stanze, si ha sempre la possibilità di confrontare “pezzi d’arte” del passato, con esempi altissimi dell’arte moderna e contemporanea (Picasso, Magritte, Schifano, Burri, ecc.). Il visitatore, di fatto è accompagnato, e mentalmente titillato, a godere di sapienti contrasti, che consentono sempre di avere, con il gesto artistico, un rapporto didattico alla maniera di Aby Warburg (https://www.treccani.it/enciclopedia/aby-warburg) “Atlante Mnemosyne”. Ogni gesto artistico umano, ogni immagine realizzata dalla specie Homo Sapiens, è volenti o nolenti, il frutto del rapporto (palese o meno) con il passato (https://www.artribune.com/arti-visive/2020/11/atlante-mnemosyne-aby-warburg-mostra-online/).

Ecco, quindi, disvelarsi per tutti, quasi magicamente, in questo sapiente “gioco di contrasti”, non solo la bellezza delle opere d’arte, ma la stessa essenza progettuale, del pensiero e dell’immaginazione, che ha portato l’artista a produrre quel tipo di opera d’arte, e non altro.

Non fatevi mancare, se andate a Verona, una simile esperienza, veramente totalizzante.

Uno dei conosciutissimi “tagli” di Fontana (Concetto Spaziale, Attese, 1964-65), messo in relazione con due pitture su tavola per altari da viaggio

Un busto “cromatico” romano, anteposto ad una scultura in pietra di Vicenza di Mimmo Paladino (Testimone, 1991)

Quadri paesaggistici veronesi, accanto ad un quadro dal titolo “Composizione di Paesaggi” realizzato da Mario Sironi nel 1950

Il quadro di Mario Sironi, ed un suo dettaglio

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I paesaggi formano gli uomini


Il nostro  rapporto, il nostro legame,  con  la  realtà  si  fonda  sulle  relazioni  che  si  stabiliscono  fra  due  diversi  ambiti  dell’esperienza:  quello  della coscienza  soggettiva  (emozioni,  ricordi, odori, ecc.)  e  quello  della  conoscenza  oggettiva (reperti, edifici, alberi, pietre, ecc.).  Il  paesaggio  è  il  momento  di  congiunzione, fungendo da fondamentale riferimento del nostro rapporto con il mondo di questo bellissimo Pianeta.

Un pianeta che gli esseri umani da sempre trasformano, adattandone la Natura, spesso in maniera violenta, alle proprie esigenze di vita, soprattutto per produrre gli oggetti, i contenitori, il cibo, i macchinari, di cui amiamo circondarci per facilitare la vita, sfruttare le risorse, e creare lo spazio e le condizioni, affinchè la specie umana possa replicarsi in maniera che fino ad oggi sembrava infinita.

Conoscere il paesaggio permette all’uomo di vivere appieno il proprio tempo. Ogni popolo, ogni momento storico ha la sua “mappa” che, in tal  senso,  ha  un  profondo  valore  antropologico.  Infatti non si può parlare  di  geografia,  ma come ho scritto  di  vere e proprie “mappe mnemoniche”,  che  esistono  e  si diversificano in relazione all’ambiente, al cibo, alle tradizioni sociologiche di un popolo.

Aver passato parecchio tempo in questi luoghi, Camogli e dintorni, i miei nonni avevano in questa cittadina un appartamento, ha caratterizzato, ed indirizzato la mia vita.

Ritornare in questi luoghi dopo parecchi anni, mi ha fatto ritrovare : i colori, i suoni, gli odori della mia memoria; soprattutto quello della dispensa di mia nonna, dove custodiva i camogliesi della pasticceria Revello ( https://www.revellocamogli.com/?page_id=46 ).

SOPRA – Camogliesi al Rhum

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RECOVERY PLAN (PIANO DI RECUPERO)


DA AMALFI – a Bolzano, l’Italia, appena piove, si “liquefa”, crolla, si sbriciola (https://bit.ly/3pLmdCO). Oggi è toccato alla costiera amalfitana, si è evitata la tragedia solamente per miracolo. Il 6 gennaio era toccato a Bolzano, una frana aveva distrutto parte dell’Hotel Eberle, anche qui solo un “miracolo”, la chiusura della struttura per pandemia Covid-19, ha evitato una tragedia (https://bit.ly/39Hvlma). Il 10 dicembre 2020, il Panaro, in Emilia aveva esondato, creando devastazione e danni (https://bit.ly/3avMuP7). Pochi giorni prima della Befana, una tempesta aveva “cancellato” la spiaggia di Torvaianica vicino a Roma (https://bit.ly/3oLtsch). Nel Recovery Plan steso dal Governo Conte Bis (piano strategico per “spendere” fondi dell’Europeo “Next Generation EU”), che dovrebbe attuare, attraverso progetti necessari, l’impiego dei 210 miliardi di euro riservati all’Italia (da appaltare entro il 2026), NEMMENO UN EURO è stato individuato per, almeno iniziare, un grande progetto nazionale, teso alla SISTEMAZIONE IDROGEOLOGICA del “supporto territoriale” in cui noi italiani viviamo. Un supporto DEVASTATO da anni di incuria, da abusi edilizi, da pressapochismo amministrativo. Eppure, questo sarebbe un grande progetto collettivo, ormai improcrastinabile, valido da nord a sud, che coinvolgerebbe tantissime professionalità e darebbe lavoro a decine di migliaia di persone per anni (giovani ed anziani). Nessuno ne parla, i media tacciono, i cittadini subiscono silenti…..QUANDO CI DECIDEREMO A CRESCERE !!!

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FUTURMILANO


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Piazza Duomo a Milano, lato “La Rinascente”

Non è un caso che il Futurismo sia nato a Milano. In Corso di Porta Venezia 21A, una targa su una casa d’angolo con Via Senato 2: ricorda che lo scrittore Filippo Tommaso Marinetti, fondò qui la rivista “Poesia” nel 1905, nel suo appartamento posto al primo piano. Qualche anno più tardi, nel 1909,  su diversi giornali italiani viene pubblicato sempre da Marinetti il “Manifesto Futurista” – 1) Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2) Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3) La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4) Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’ automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. 5) Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita………. Il 20 febbraio 1909 lo stesso Marinetti pubblica il “Manifesto Futurista” sul quotidiano francese “Le Figaro”; l’idea è quella di un movimento trasnazionale, che guarda all’Europa.

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Umberto Boccioni “La città che sale”, olio su tela 199,3 x 301 cm. (1910/1911), Museum of Modern Art New York

Nel febbraio 1910 il Manifesto dei pittori futuristi, in cui si legge: «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…». Questo movimento nacque inizialmente in Italia e successivamente si diffuse in tutta Europa.

Milano ha implementato nella “genia meticciata”, dalla Storia: Longobarda/Spagnola/Francese/Austriaca dei suoi residenti, le categorie Futuriste : la velocità, il dinamismo, la propensione per il futuro, la ricerca di un continuo rinnovamento, il rigore, ecc.. Esse sono immediatamente attecchite nel fertile Meltin Pot sociale.

Non è quindi un caso che Milano abbia “consumato” da allora, anno dopo anno, la sua fame di modernità e cambiamento, con un occhio sempre “puntato” su Parigi, sull’Europa, divenendo di fatto, il “Ponte”, lo “Stargate”, italiano per l’estero.

Milano ha dato a molti italiani l’unica possibilità di crescere e di sperare in un futuro migliore, in una società – quella italiana ancora feudale, dove uno dei pochi “ascensori sociali” è dato dall’appartenenza clientelare a nuclei familiari o dall’affiliazione settaria a corporazioni: nell’università, nelle professioni, in politica ed in genere in tutti i campi.

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La pandemia, il Coronavirus, è stata per queste categorie, una “Tempesta perfetta”, che dopo oltre 100 anni, ha come “incastrato i meccanismi” della velocità, obbligandoli a rallentare, fin quasi a fermarsi.

La lentezza non è di Milano, né dei milanesi. E’ una città che cresce, e “sale”, con i suoi grattacieli, con la velocità dei mezzi di trasporto. Ecco nascere quindi hastag condiviso #milanononsiferma, un tentativo di strenua e goffa resistenza alle necessità “sanitarie”, alla velocità di propagazione virale, cercando di continuare lo storytelling (il “racconto”) precedente.

Ma se prima, con fatti come: la Guerra Fredda, l’11 settembre, il Terremoto si poteva sempre ricondurre il tutto ad un “racconto” ad uno “storytelling”: del virus ne sappiamo poco o nulla, è una situazione imprevista, globale, senza storytelling, fatta più che altro di comunicati (il numero dei morti o dei contagiati), in cui tutti dobbiamo essere attori partecipi per “contrastarlo” adeguatamente.

Non si riesce a fare in modo che l’imprevisto, la “fermata”, diventi progetto e destino. Attendiamo che “scenda dal cielo” un qualcosa, una norma, una legge comprensibile, che ci consenta di ritornare a quel “racconto” che siamo stati costretti ad abbandonare.

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Via Paolo da Cannobio a Milano

Dovremmo invece capire, che quello che il virus ha spalancato, è un Mondo nuovo, più impegnativo e complesso, in cui servono più doti di adattabilità, di agilità, e soprattutto di impermanenza, la quale ci insegna soprattutto a guardare le cose e le situazioni così come sono, senza sviluppare sentimenti di attaccamento o di avversione. Noi soffriamo non perché l’impermanenza sia di per sé sofferenza, ma perché non riusciamo ad accettare che le cose cambino. Ci vuole in questa situazione pandemica più fantasia ed energia psichica, per scommettere e lavorare sulla novità.

Milano è una città già vocata per questa situazione.; abituata al continuo cambiamento. Milano non dovrà cambiare ed essere lenta, non dovrà chiudersi, non dovrà aspettare “che passi il tempo”.

Dovrà essere veloce, più veloce; ed i milanesi avere più “energia psichica” da investire in flessibilità e fantasia. Anche per un doveroso rispetto delle categorie Marinettiane. Meno numeri, meno economia, e più filosofia.

“Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.” (Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909)

Soprattutto si dovrà anche lavorare, con i media, per “fare dimenticare” l’idea consolidata di Milano capitale della pandemia mondiale del Covid19.

Bisognerà ottimizzare e trasformare ciò che già esiste: non come un ingegnere, ma come un artigiano che fa quel che può con il materiale che ha a disposizione, trasformandolo con fantasia, arrangiandolo e rimaneggiandolo, in una costante “messa a punto”.

Alla fine il risultato sarà “splendidamente imperfetto” come sono le cose belle che ci hanno lasciato le generazioni passate.

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Piazza Duomo a Milano, lato Palazzo Reale

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