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Il senso del tempo


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Il film di Sorrentino “La grande bellezza”, sembra ormai lanciato verso un successo internazionale, inarrestabile e probabilmente meritato. Un film  parla del paesaggio urbano e sociale della città, Roma, che è una specie di “concentrato”, esasperato e probabilmente non veritiero dell’Italia e degli italiani. Una scenografia surreale e falsa, perche più vera del vero.

Una città, un paesaggio romano, in cui i ruderi, la macerie, fanno indissolubilmente parte dello sfondo di ogni fotogramma. Non si tratta solo delle macerie architettoniche ed artistiche, ma anche di quelle sociali. Corruzione, chiacchiericcio (da pollaio), perversione, indifferenza e quant’altro, fanno ormai parte indissolubile e predominante, dell’immagine di una società “accartocciata” su se stessa.

Il paesaggio romano del film di Sorrentino, è intimamente legato alla lettura soggettiva e culturale attuata dal regista, ma di fatto è anche l’ambiente in cui si muovono i personaggi “italianoti” elencati con lucida precisione. Soprattutto, è un meraviglioso giardino urbano, un territorio del sogno, in cui si raccoglie il meglio ed il peggio di un delirante e dissennato progetto politico attuato dalla società italiana.

La vista delle rovine sociali, ma anche delle numerose opere d’arte, attorno a cui agiscono i personaggi “surreali” descritti nel film, ci fa percepire in maniera palpabile l’esistenza del tempo. E’ un tempo non databile, sospeso, in questi continui rimandi tra passato e presente. Certamente non è futuro. In questo mondo di immagini e di simulacri, le rovine e le opere d’arte di cui è pieno il film (e l’Italia), ci fanno percepire la loro vocazione pedagogica, di costituire gli elementi che ancora oggi ci possono aiutare a darci il senso del tempo. Ed a costituire i “punti di appoggio” per una crescita possibile.  Cosa non facile in questi anni “bastardi” e trasgressivi, soprattutto in Italia, dove si è consolidata una mancanza diffusa nella popolazione dell’etica e della morale.

Siamo testimoni del “lento crollo” di un sistema economico e sociale, basato sullo sfruttamento sistematico di risorse inesauribili del passato : paesaggistiche, culturali, artistiche, enogastronomiche, ecc., su cui si sono “arricchite” ed hanno giustificato la loro esistenza numerose generazioni di italiani.

L’Italia è attualmente come il seme delle piante (non mi viene in mente un esempio più valido). Il seme addormentato, che trattiene il tempo, e trattenendolo, di fatto lo cancella. Può non succedere nulla per mesi, anni, talvolta per secoli. Questo niente cancella il tempo, ma conserva le possibilità di vita, rappresentata nel film di Sorrentino dai ruderi, dalle opere d’arte e dal paesaggio. Come un seme in quiescienza, si attendono le condizioni migliori per dare avvio ad una possibile crescita, ma intanto non succede nulla e si continua a vivere alla grande, nella trasgressione, richiusi, blindati nel nostro “sicuro semino”. Mentre le possibilità di vita (e di crescita) si riducono progressivamente e questo “nulla”, potrebbe essere una condizione per sempre.

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Il “Viadukt” della democrazia


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Zurigo, ormai da parecchi anni tra le prime città al mondo per la “vivibilità” (http://www.giornalettismo.com/archives/755693/la-top-10-delle-citta-piu-vivibili-del-mondo/), si è costruita le sua posizione in seguito alle proteste dei cittadini negli anni Ottanta del Novecento.

A partire dagli anni Novanta, la classe politica di Zurigo, politicamente “messa all’angolo” da continue proteste e scontri, anche fisici, con movimenti giovanili e politici avvenuti lungo tutto il corso degli anni Ottanta, si attrezzò  per indire un referendum democratico affinchè i cittadini potessero votare una progettualità futura di loro gradimento, tesa a costruire (e ricostruire), nei decenni successivi, lo spazio urbano e sociale. Si sottoposero alle valutazioni referendarie dei cittadini, diversi scenari, redatti da esperti e consulenti, di diverse discipline (urbanistica, architettura, sociologia, antropologia, mobilità, ecc.), ascoltando gli stessi cittadini.

La città di Zurigo di oggi, che fruiamo, è la costruzione concreta dello scenario condiviso e votato democraticamente allora, senza stemmi partitici, senza bandiere di una parte o dell’altra. Il perdurare sapiente di una politica comune (perché condivisa e priva di marchi politici) che si è tramandata di amministrazione in amministrazione, ha fatto si che le parole, i progetti, diventassero realtà. Essenzialmente il progetto urbanistico e sociale che vinse il referendum, verteva nell’esigenza di fare rientrare in città i giovani, le forze creative, i ricercatori, rendendo la città vivibile, istituendo spazi pubblici che potessero offrire svago e divertimento a tutti. Cittadini e politici, tutti assieme, capirono che questa era l’unica possibilità per assicurare prosperità a una economia postindustriale, che vedeva allora Zurigo, con molte aree dismesse e tanti quartieri con servizi pubblici e verde carenti.

La Zurigo di oggi, sta raggiungendo quell’obbiettivo, quell’idea di città che i suoi abitanti hanno votato ormai parecchi decenni fa. Una città che si sta espandendo consumando il minor suolo possibile. Una città con un mercato immobiliare dinamico in cui operatori privati ed amministrazione pubblica collaborano assieme, con un bilancio comunale in attivo e con i mezzi pubblici diffusi e puntuali. Soprattutto con tante aree verdi, musei e spazi sociali.

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La Kunsthalle ( – http://www.kunsthallezurich.ch/ – progetto Studio Gigon & Guyer), che siamo andati a visitare in questi giorni di dicembre, s’inserisce in un programma di rigenerazione e di espansione urbana. Un’ ex area industriale dismessa (un birrificio) che si trova compresa tra la stazione centrale, la stazione della S-Bahn di Hardbrücke e il fiume Limmat. Un paesaggio metropolitano in trasformazione (una volta produttivo), di grande fascino e “bellezza”, caratterizzato da un alto viadotto ferroviario dell’Ottocento in pietra, le cui arcate sono state abitate e rese percorribili, dando vita ad un complesso che prende il nome di Viadukt (- http://www.im-viadukt.ch/content/plan – progetto dello Studio EM2N). Una città Zurigo, ancora in profonda trasformazione, che si ritrova negli edifici industriali, nelle infrastrutture, che fanno parte della sua memoria, l’energia per rinnovarsi. Un’energia “pulita” esente da consumo di suolo, con una grande attenzione per la sostenibilità ambientale e per la mobilità su due ruote.

La “genesi progettuale” della Kunsthalle è una storia che comincia nel lontano 1996: un edificio industriale e dismesso, un birrificio (come già detto), posto a ridosso del centro urbano viene recuperato con l’obiettivo di tenere assieme istituzioni private, pubbliche e gallerie d’arte contemporanea di tipo commerciale all’interno di un unico complesso.

L’operazione è resa possibile grazie al coinvolgimento di Migros, uno dei due colossi della distribuzione alimentare in svizzera che per statuto devolve il 2% del proprio fatturato per lo sviluppo della cultura. Migros acquista direttamente il lotto e costituisce all’interno del complesso il Migros Museum d’arte contemporanea, affittando ad importanti gallerie internazionali i restanti spazi e lasciando uno spazio espositivo alla Kunsthalle, galleria pubblica che da il nome a tutto il complesso. Il valore immobiliare di tutta l’area sale in maniera esponenziale e la Migros decide di vendere, pur continuando la propria attività di museo. Dal 1996 al 2002 si susseguono diversi proprietari. Nel frattempo nel quartiere si trasferiscono diverse importanti gallerie che aprono i propri spazi commerciali ed espositivi in diversi appartamenti nei dintorni. Si costituisce di fatto un distretto dell’arte contemporanea zurighese, che viene ratificato oggi dal progetto unitario degli zurighesi Gigon & Guyer. Un progetto in cui creativi, giovani, spazi raffinati e zone meno eleganti, convivono assieme, una a fianco dell’altra in un meltin-pot, che è sia urbanistico che architettonico, ma soprattutto sociale. Di fatto la creazione di una “piattaforma di attracco” in cui qualunque cittadino del mondo può sentirsi a casa.

Il progetto della Kunsthalle e di tutto il quartiere di Zuri-West (http://www.zuerich.com/en/zuerich/sehenswuerdigkeiten/Zuerich-West.html), appare molto interessante, soprattutto se paragonato alla “tristezza infinita” della situazione italiana, dove aree dismesse, quali “Le Albere” a Trento, oppure le “Ex aree Falck” a Sesto San Giovanni, vengono trasformate, di fatto radendole al suolo (senza nessun apporto da parte dei cittadini), da politici ed immobiliaristi disposti a tessere legami tra loro sempre più perversi e non in grado di “costruire il futuro”.

A Zurigo lo strumento referendario è stata l’occasione per fare partecipare i cittadini alle trasformazioni urbane, ma dietro a questo strumento ci stavano dei cittadini, culturalmente attrezzati per essere parte di un processo democratico dove non c’è distinzione tra maggioranza ed opposizione, oppure tra chi partecipa o no, ma tutti si collabora per un unico obbiettivo condiviso.

Manca da noi, come invece è avvenuto a Zurigo, la capacità di esporsi delle persone comuni, di fare rete, senza simboli nè partiti politici (più o meno nascosti) di appassionarsi all’impegno civico, perché si ha insieme, come obbiettivo, un ideale più alto. Manca insomma una vera capacità democratica di individuare cosa è giusto fare e cosa non lo è. Questi anni che stiamo vivendo, sono il frutto di questa assenza collettiva di progettualità.

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Cirillo e la Democrazia


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SCENA INIZIALE

“Si può essere felici senza avere 1000 amici su Facebook! La solitudine è anche una fonte di felicità.”

“Penso che un viaggio offra l’occasione ideale per incontrarsi e riflettere su se stessi.”

“Io sono stato in politica, e se ho capito bene, con il rischio che si prende personalmente a fare tale attività a perderci è sempre la Democrazia.”

Sono alcune celebri frasi di Cyril Aouizerate (http://www.cyrilaouizerate.com/), francese, filosofo barbuto ed urbanista occhialuto, spesso dotato di  bombetta e maglietta. Un uomo che non passa certamente inosservato, sembra un rabbino contemporaneo. E’ invece un astuto investitore, un abile operatore nel campo della ristorazione e degli alberghi (M.O.B., Mama Shelter, ecc.). Dal 2012 è direttore della Città della Moda e Design di Parigi (http://www.citemodedesign.fr/), fondata quattro anni fa sulle rive della Senna al Ponte di  Austerlitz e rimasta per parecchio tempo uno spazio vuoto in cui nessuno ci voleva andare. Con lui è “rifiorita” fino a diventare (in piena crisi economica europea) uno dei nuovi “epicentri” parigini.

CAMBIO DI SCENA

Dipartimento dell’Hérault nella regione della Linguadoca-Rossiglione – Agosto 2013 –  La spiaggia di Sète, si trova, vicinissima all’omonima cittadina francese, su una fascia sabbiosa larga da 500 metri a 1 km e mezzo, che separa il Mare Mediterraneo dal bacino di Thau. Una spiaggia di sabbia di conchiglie che qui si disgregano da milioni di anni. Il mare è sempre limpido e cristallino. La spiaggia è molto lunga, le persone sono rade, anche ad agosto. Alcune donne prendono il sole a seno nudo, altre preferiscono il nudo integrale. Poco più in là, sopraggiunge una famiglia di cinque persone, tre uomini e due donne, tutte di nero vestite. Assemblano una tenda, le donne vi entrano, e successivamente vi fuoriescono con una specie di tuta integrale, rigorosamente nera, che copre anche i capelli. Poco dopo a veloci falcate percorrono la bollente sabbia di conchiglie e raggiungono il mare. Nuoteranno vestite (anche con occhiali da sole) per circa un’ora, raggiunte anche dagli uomini con normali short da bagno. Il tutto avviene nell’indifferenza e nel rispetto reciproco.

RITORNO ALLA SCENA INIZIALE

Aouizerate, si ostina a sostenere, che la società contemporanea, le stesse città, e quindi anche le strutture alberghiere, la ristorazione, ecc.. devono essere progettate per essere, come dei “Kibbutz contemporanei”, dove persone di diversa etnia, religione, cultura, possono incontrarsi, cibarsi, rigenerarsi, fare affari, ecc.., in ambienti che siano in grado di generare quell’accoglienza e quel rispetto per ognuno, che è alla base della democrazia. Un bell’esempio in tal senso è l’Hotel “Mama Shelter” di Marsiglia (http://www.mamashelter.com/marseille/), “business” progettato dallo stesso Cyril Aouizerate, da Phlippe Starck e dalla famiglia Trigano, che così si ripartiscono le quote di azionariato di questa catena francese di alberghi :

Mama Shelter – assetto societario

Famiglia Trigano 54% (gestione hotel)

Michel Reybier 27% (investitore)

Cyril Aouizerate 11% (filosofo ed urbanista)

Philippe Starck 8% (architetto e designer)

Localizzazione della struttura, rigorosamente in un quartiere degradato in un’area semi-centrale, prezzi modici, grande qualità degli spazi comuni, cibi sani e di ottima qualità, wi-fi gratuito, camere semplici spartane con parecchio cemento armato a vista, personale giovane e molto affabile, ecc.. Il tutto confezionato con leggerezza, dai “deliri” e dalle genialate, ben conosciute, di Starck (http://www.starck.com/).

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Creatività


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In questi giorni sto leggendo il  libro di Stefano Boeri dal titolo emblematico “Fare di più con meno” (il Saggiatore, 2013). Costui, architetto ed ex assessore alla Cultura della giunta Pisapia, è iscritto al Partito Democratico, ed è fratello del noto economista Tito. E’ Boeri quanto di più avulso dal PD io conosca, potrebbe benissimo essere iscritto a qualche movimento.

Il libro offre un’interessante approccio all’attuale situazione di crisi, che io condivido appieno. L’assunto iniziale è che quanto stiamo vivendo non è un tunnel nero (ed oscuro) da cui ci si aspetta, prima o poi, di vedere, in fondo la luce, la crisi sarà il nostro presente ed il nostro futuro. Bisogna saper vivere, con intelligenza, cultura e creatività, l’oscurità. Senza aspettarsi una “luce in fondo al tunnel”.

La crisi ci obbliga a confrontarci con un nuovo paesaggio sociale e culturale, nonché economico. Boeri, dichiara che : “L’ingresso in questo nuovo paesaggio ci chiede di cambiare strumenti di misurazione. E ci obbliga a ripensare al rapporto tra risorse, vincoli e opportunità. Senza l’illusione di poter ritornare a una condizione di abbondanza di beni e servizi, ma anche senza nostalgia per un passato che non può più tornare”.

Bisogna fare di più con meno, ed in ciò, può avere molta importanza la “bellezza”, che è un valore aggiunto in cui noi italiani costituiamo un’eccellenza. Si tratta di mettere a sistema tutto ciò, essendo la bellezza un contenuto da applicare alle scarse risorse disponibili, da offrire, che può consentire una “nuova crescita” : sostenibile, concreta e soprattutto durevole, da consegnare alle generazioni future.

In tal senso bisogna essere portatori di una politica che faccia vibrare di passione la propria anima e quelle degli elettori. Una politica, soprattutto, che faccia proposte chiare, e che sia in grado di elaborare idee concrete per riprogettare l’Italia .

L’interpretazione progettuale di questi anni, proposta da Boeri è molto interessante, perché partendo da un opzione economica “la crisi”, propone delle soluzioni culturali (e non economiche), applicando le migliori prassi politiche (credibili), attualmente individuate nel campo della decrescita e della sostenibilità. Il tutto per imparare a convivere con  “creatività” quell’ombra, che deve essere vissuta come un’opportunità e non come un danno irreparabile.

Bisogna adottare un metodo teso a diffondere la creatività diffusa nella società, con un modo di approccio “fluido” che si vada via via definendo (in progress), modificandosi continuamente in funzione degli apporti dei singoli individui, recependo i loro problemi sempre più attuali. Solo alla fine, guardando in dietro, (nell’ombra), si saprà quale forma avrà avuto e come si sarà sviluppato.

Luce ed ombra caratterizzano la nostra esistenza, essendo esse le componenti fondamentali della vita su questo pianeta, l’economia è solamente una sovrastruttura culturale umana, forse la crisi la si supera proprio riducendo ciò che è inutile, in favore di un approccio globale più creativo.

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Un terremoto di libri


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Alcune sere fa, ero comodamente stravaccato sulla poltrona “Ardea” di Carlo Mollino (produzione Zanotta), che con molti sacrifici, io e mia moglie (anch’essa architetto) ci siamo acquistati venti anni fa, quando ci siamo sposati. Il mio soggiorno, come tutta la casa, è caratterizzato da una moltitudine di libri, oltre cinquemila, che nel corso del tempo, hanno costituito una biblioteca, che di fatto circonda le pareti di quasi tutti i locali, coibentandoli. Un vero e proprio ricettacolo di cultura, e di polvere, che solo grazie alla genialità dello “Swiffer Dusters 360°” riesce ad essere precariamente bonificato settimanalmente. Mentre elucubravo, cose folli, tra la veglia ed il dormiveglia, i miei “stanchi” neuroni si sono focalizzati su quella  “massa cartacea”, e fantasticando mi sono posto questo inesistente problema.

Se improvvisamente, dovesse esserci, che so, un terremoto, un incendio, un gigantesco  Tsunami (?), dovendo scegliere alcuni libri, prima di fuggire, tra i volumi di questa biblioteca, a me tutti cari, e che costituiscono “pezzi” della mia memoria e della mia storia personale, quali salverei dal disastro, dalla “ruina”?

Ecco che allora, vi sottopongo, questa mia scelta essenziale, fatta per un architetto, che in preda al terrore, deve scegliere, scappando da un appartamento posto al quinto piano (senza ascensore), alcuni strumenti essenziali (non molto pesanti) per la propria sopravvivenza  “culturale”. Sono dieci volumi, che stanno comodamente in una ventiquattro ore, del peso circa di due chili.

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Un libro, quello di Calvino, che potrebbe essere utilissimo per ricostruire qualunque cosa : un edificio, una città, una società, una vita.

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Un libro per apprezzare le “rovine” ed il senso del tempo ad esse intimamente correlato. E dopo una catastrofe, qualunque essa sia sarà uno strumento indispensabile.

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Una raccolta di scritti del grande pensatore italiano, che spaziano sul significato del progetto, nell’architettura, nell’arte, nell’urbanistica, nella società.

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Dopo una catastrofe, bisognerà, pensare ad un “mondo nuovo”, partire dal libello di Friedman, significherà risparmiare molto tempo per realizzare una maggiore compatibilità tra uomo e natura.

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Una miniera, in cui “scavare” quando si è disperati, per assicurarsi pezzetti di certezza, di cui LC era portatore sano.

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Un libro che è un vero e proprio “elogio della lentezza”, per una progettazione consapevole ed a misura d’uomo.

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E’ esattamente l’opposto del libro di Zumthor, sopra descritto. Giusto, giusto, per ritornare a cullare il sogno di quella modernità che una catastrofe (e la crisi di oggi) sembra negare.

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Un libro di “politica”, su come si deve vivere con gli altri. Una lezione di sopravvivenza, da un uomo centenario, che attendeva con serenità la morte.

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Andare alla velocità del suono, alla velocità della luce, e continuare a progettare, a vivere, con la giusta filosofia.

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Come sarà il nuovo paesaggio dopo la catastrofe ? Quì le istruzioni per farne l’epicentro della società umana.

E’ questa una lista, assolutamente personale, che ho operato in soli 35 secondi (visto che il disastro qualunque esso sia non dà tempo ai ragionamenti), probabilmente non condivisibile da molti. Comunque, l’esperimento, oltre a darmi una “botta di vita”, mi ha consentito di stabilire, che in maniera assolutamente inconscia, già avevo concentrato negli anni, in una zona precisa della biblioteca, i libri a me più cari. Libri che di fatto ad oggi riempiono un solo scaffale, lungo circa 90 centimetri.

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