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Comunità Resilienti


Il padiglione Italia, alla Biennale Architettura di Venezia 2021, dal titolo quest’anno “Comunità resilienti”, dimostra tutta la pochezza e l’immobilismo in cui versa il settore italiano dell’Architettura, senza minimamente affrontare i veri problemi, o disvelare attività ed idee, in grado di cambiare lo stato delle cose. Si rifugge, trincerandosi nella parola “resilienza”, dal palesare tematiche, senza le quali, hai voglia ad affrontare il tema del cambiamento climatico planetario, o individuare le tematiche progettuali del dopo pandemia.

E’ il “Padiglione Italia” di questa edizione l’ennesima occasione persa.

Perché sembra, dal punto di vista tematico, una replica, una continuità, del Padiglione Italia (Arcipelago Italia), di cui era curatore Mario Cucinella nel 2018. Più che parlare di “resilienza” per contrastare il cambiamento climatico planetario, sarebbe stato giusto parlare della necessità di una RIVOLUZIONE (ora e presto), soprattutto nel settore dell’architettura. Settore che non può attendere una “lenta  resilienza” per evitare di consumate sabbia, acqua, produrre CO2 a go-go, ecc……Ci voleva un curatore in grado di dare una “scossa”, più che offrire la solita camomilla….Ci voleva un VULCANO TONANTE ED ERUTTANTE, che tirasse fuori i veri italici   problemi del settore architettura (Università, clientelarismo, ordini professionali, mafie locali, ecc.), invece viene offerta un “fumarola” che genera una fitta nebbia per nascondere i veri problemi…….. Appunto, “pochezza” e poco coraggio. Ci si è banalmente allineati all’uso della parola più inutile e di moda, nella bocca di molti: RESILIENZA (il cui vero significato ben non si sa), ma che serve solo a RIEMPIRE LA BOCCA ed a “distrarre” dai veri problemi epocali.

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Terreno comune ?


Nell’epoca di internet, della società 2.0, dove anche i comici genovesi diventano delle “star politiche”, forse non ha molto senso andare di persona a visitare una mostra di architettura, come la Biennale di Venezia 2012, numero 13.

http://www.labiennale.org/it/architettura/mostra/mostra.html?back=true

Oggi, smanettando in internet, si possono raccogliere così tante informazioni in merito : link, video, immagini, interviste, che (forse) per chi, come me, conosce bene la bellissima città lagunare, non ha più senso affrontare il “caos” delle chilometriche esibizioni di progetti, la nausea da troppa informazione, e la frenesia di una folla multietnica ed acefala che infesta questi luoghi.

Quindi, una sana “ravanata” in rete, ci consente di avere un quadro ampiamente esaustivo, delle principali “occasioni” dell’evento 2012 in laguna. Il tutto risparmiandoci la fatica di un viaggio costoso ed impegnativo, soprattutto per i nostri piedi. L’asetticità del computer ci consente di  analizzare al meglio, questa tredicesima Biennale Architettura, che ha in David Chipperfield, il suo direttore.

Certo, quello che manca, a starsene a casa davanti al computer, è la bellissima “città morente”, che circonda il tutto, Venezia. Manca il senso che, mentre si progetta e si propone il futuro, ammassato a forza  in quei luoghi magici che sono l’Arsenale ed i Giardini, il passato, fuori, ci ricorda costantemente la morte. Un evento veramente democratico, destinato ad ogni cosa che insiste in questo universo. Un vero “Terreno comune”.

Il titolo dell’evento Biennale 2012 è “Common ground” (terreno comune), l’ennesimo tentativo di trovare un punto di incontro tra cose estremamente diverse, così diverse (anche per approccio progettuale e risultati) che forse non era il caso di accostare. Ecco quello che manca, è l’architettura, quella con la “A” maiuscola (come ormai succede da molti anni), questi tentativi “pietosi” e “pietistici” di trovare, per forza, un “terreno comune” tra arte, design, architettura, istallazioni, urbanistica, performance, video, ecc., mi sembra, qualcosa di forzoso e contemporaneamente di inutile. Inoltre se si considera, che la Biennale, ogni anno cresce sempre di più di dimensione, neanche pernottando a Venezia per mesi, si riuscirebbe a visionare tutto quanto con la dovuta dovizia.

Passerà, anche questa Biennale, passerà ! Per fortuna, fuori, nella città, la grande architettura (tra le tante soprattutto quella di Ignazio Gardella), bella ed ammalata, quasi “crollenta”, ci ricorda che questa disciplina, è soprattutto “costruzione”,  più che progetto. E fintanto che un’architettura, rimane sulla carta (o in rete), questa è come un futuro mancato……….non esiste!

Sotto : David Chipperfield (La mia Biennale)

Sotto : Gigon & Guyer (sul metodo)

Sotto : Cristina Monteiro – David Knight (l’architetto “alchimista” e “trasformista”)

Sotto : Norman Foster (spazio pubblico)

Sotto : Olafur Eliasson (arte, luce, design, “terreno comune”)

Sotto : Toyo Ito (architettura per una catastrofe)

Sotto : Alvaro Siza (La storia di una vita)

Quì sotto alcune immagini delle casa alle “Zattere” di Ignazio Gardella (1953-58)

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

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