4 settembre 2012, Milano, Viale Alemagna 6, Triennale, ore 17,00

Andare in Triennale a sentire la Lectio Magistralis (Architecture in a recycle way) del più recente Pritzker Prize (2012), a metà pomeriggio, può essere un’esperienza mistica e sensuale. Soprattutto se, ad introdurre il giovane (49 anni) maestro cinese (Professore e Direttore della Scuola di Architettura Accademia Cinese dell’Arte, Hangzhou), e un magnifico ed illustrissimo, nonchè anzianotto, docente del Politecnico di Milano (61 anni).

Quest’ultimo, dal cognome di una nota casa automobilistica francese dei primi del Novecento, preso il microfono, ammonisce i moltissimi presenti, tra cui tanti studenti di architettura, in merito alla necessità di conoscere bene l’idioma anglosassone, visto che lo stesso Politecnico, da quest’anno accademico (2012-2013) introdurrà dei corsi nella sola lingua inglese.

Poi in un inglese, che dire stentoreo è dire poco, si mette a leggere il testo scritto di una introduzione bi-lingue (inglese – italiano) che lascia sgomenti gli spettatori, per incapacità di lettura, pronuncia, spelling. Insomma, tutti a guardarsi basiti, mentre il relatore indefesso prosegue per circa 30 minuti la sua imbarazzante performance. Quando tocca all’architetto cinese, che invece dimostra una capacità di possesso dell’idioma inglese, assoluta, sui volti dei più appaiono sorrisetti compiaciuti.

E’ la dimostrazione, della superiorità cinese (con tutti i suoi limiti) rispetto all’architettura italiana. Il giovane cinese, in pochi anni ha elaborato un linguaggio innovativo e di ricerca, ed ha costruito una quantità impressionante di edifici, tanto che oggi, avendo vinto il prestigioso “oscar dell’architettura mondiale” (Premio Pritzker) può rifiutare importanti incarichi in giro per il mondo, per dedicarsi al suo paese. Diverso è il caso dell’anzianotto docente del Politecnico a cui si devono pochi ed “insipidi” edifici di tristissima ed ormai vetusta (se non lingua morta?) “scuola italiana”.

Ma ritorniamo alla Lectio Magistralis, e ad alcuni aforismi che hanno contraddistinto la performance del maestro cinese, dove per avere un posto in piedi bisognava sgomitare (ennesima dimostrazione della mancanza endemica di spazi adeguati, per una Milano che è sempre meno da bere e sempre più da digerire) :

 Architecture in a recycle way

Poetic of construction with reciped things

 Teaching inside ruins

 Go back to see an refind what we have lost

 De reyiling in not only material but also kraftmen and many other things

 Architecture starts from hand drawings

Wang Shu e sua moglie, Lu Wenyu (anch’essa presente in sala), sono i membri dello Amateur Architecture Studio, fondato nel 1997 a Hangzhou in Cina. Il nome fa esplicito riferimento alla metodologia di approccio amatoriale alla disciplina architettonica e all’edificazione, basato sulla spontaneità, l’artigianalità e le tradizioni culturali di cui è ricca la Cina. Wang Shu trascorso un certo numero di anni di lavoro nei cantieri per imparare le abilità della tradizione costruttiva, è entrato in sinergia con le aziende costruttrici che utilizzano la sua conoscenza delle tecniche tradizionali e di tutti i giorni, per studiare le caratteristiche e le procedure di adattamento e trasformazione dei materiali per i progetti contemporanei. Questa combinazione unica, ed eccezionale, di conoscenza, tradizione, tattiche di costruzione sperimentali e intensa ricerca, definisce la base per progetti di architettura dello studio Amateur. Lo studio Amateur, ha una visione critica, di una parte della professione dell’architettura, soprattutto di quella che si identifica nella demolizione e nella distruzione di grandi aree urbane storiche.

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