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“Architettura morta”


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Esiste una relazione tra architettura e musica, tra canzonetta e paesaggio. Anche Claudio Baglioni fa outing durante la trasmissione “Deejay chiama Italia”. Si scopre così che ha studiato architettura a Roma (studente lavoratore dichiara), e una decina di anni fa circa, ha pure conseguito l’abilitazione per esercitare la professione. Quindi oltre ad Edoardo Bennato, che pure professa ormai da anni (http://bit.ly/1eF89mx), anche l’ex “ricciolone belloccio” deroma, discetta amabilmente con i due conduttori, sancendo con autorevolezza che : “In Italia l’architettura è morta!”

http://bit.ly/1j0ac26

Ci voleva Baglioni per ricordarci ciò? Eh si, forse si. Infatti parafrasando probabilmente inconsapevolmente, il titolo di un noto libro di Giorgio Grassi, Baglioni, focalizza di nuovo, dichiarandone la morte, per la gente comune, ma anche per noi architetti, l’attenzione su questa bistrattata (in Italia) disciplina.

Scriveva infatti G.G. nella presentazione di un suo libro di “Scritti Scelti 1965-1999” : “Questo libro è fatto soprattutto per gli studenti di architettura, per i futuri architetti, quelli che secondo Hannes Meyer dovrebbero “consegnare le piramidi alla società del futuro”,con la speranza che sentano di nuovo il forte bisogno di mettere in discussione per prima cosa la ragione di essere del loro lavoro, cioè la ragione di essere (e la responsabilità) di un lavoro tanto antico da includere appunto perfino le piramidi; è però dedicato ai miei vecchi studenti e anche a quelli un po’ meno vecchi, ma che hanno avuto tutto il tempo per imparare, a loro spese, che non è affatto facile mantenersi fedeli alle scelte che si sono fatte a scuola spinti dall’entusiasmo, ma che è ancora più difficile tradirle dopo, sapendo che una volta, anche se per breve tempo, le si è credute decisive e per sempre.” 

Appunto un lavoro così difficile, che oggi non c’è più, essendo quasi completamente scomparso il lavoro, e quindi la ragione stessa di essere architetti. Nessuno lo dice, ma dopo il paesaggio, o meglio contemporaneamente alla sistematica distruzione del paesaggio, in Italia, si è definitivamente uccisa la professione dell’architetto. Oggi chiunque, in Italia, magari lettore spietato di Casamica, si picca di essere architetto ed insegnare a chiunque una disciplina che necessita di anni di studio per essere appieno compresa. Un omicidio-suicidio, infatti anche noi architetti abbiamo contribuito a questa “morte” sancita dal Baglioni, non tutelando il nostro mestiere e consentendo che sia costantemente oggetto di saccheggio e razzia da chicchessia.

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Le immagini soprastanti sono dell’Auditorium di Ravello (Na) – progetto Oscar Niemayer

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Letture


cover Soldati

 

Tra i mille libri di cui mi circondo e tra le centinaia che sono riuscito a leggere – disperazione: non riuscirò mai a leggerli tutti – ne scelgo uno che mi ha segnato.

Regalo della fidanzata dell’epoca: come tutte le donne (e gli uomini) innamorate riusciva a trasformare in legame con l’amato ogni segno del mondo. Dunque, io studiavo architettura e lei mi regalò “L’architetto” di Mario Soldati.

Il libro mi ha lasciato in eredità molte cose, che mi accompagnano ancora.

Una delle piú belle descrizioni del momento creativo di un progetto, quando l’architetto Franzi, il protagonista, vede apparire davanti a sé il complesso della Facoltà Universitaria che è stato chiamato a progettare negli Stati Uniti e ne descrive le analogie con le architetture della sua memoria.

La passione che consuma la notte per disegnare, accompagnato da sigari De Nobili – io mi accontento del Toscano o, se sono fortunato, di un Montecristo regalato da qualcuno. E neppure viene a trovarmi il cameriere italo-americano dell’Hotel Drake di Chicago, che a intervalli regolari mi porta birra e club-shandwich, come accade a Franzi stesso, e mi faccio bastare qualche caffè o il toast del bar sotto lo studio.

Soldati mi ha insegnato che la notte serve per progettare e il mattino presto per licenziare i progetti.

Mi ha impartito lezione impietosa su come vada la vita reale, per me allora ventenne idealista, nel seguire il nostro architetto districarsi tra un’amante misteriosa e i sospetti su una moglie che a sua volta lo tradirà, durante un viaggio in nave. Impietosa, certamente, ma mai amara o melodrammatica. In fondo, ci dice Soldati, “Così va la vita” esattamente come avrebbe commentato un altro scrittore che avrei voluto e potuto citare tra i miei preferiti qui in queste poche righe, Kurt Vonnegut.

Soprattutto mi ha lasciato il piacere di una scrittura felice, scorrevole, di alta qualità senza la pedanteria e il peso di molti scrittori colti: leggera senza banalità.

Sono diventato architetto anche sulla pagine di Soldati, certo più chiare di molta cattiva filosofia che si respirava nelle aule del Politecnico di Milano.

Ho piacere di vedere che da qualche tempo Mario Soldati è tornato ad essere stampato e molti titoli che ho cercato da quel libro in poi sulle amate bancarelle dei reminders a Milano e dintorni sono di nuovo in libreria. Prima o poi succederà anche a “L’architetto”. Anzi, ora che ci pesno, è già successo.

 Il libro è ancora con me, sgualcito dalle riletture. La generosa latrice del dono si è persa migliaia di pagine fa, a testimoniare che tra i libri e le persone non ci sono dubbi su chi vinca in fedeltà. “Così va la vita”.

Luigi Trentin

Soldati

scansione Soldati0119

 

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

 

Lo stato delle cose (La grande adunata)


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OLYMPUS DIGITAL CAMERAIl 29 marzo 2013, abbiamo partecipato al sopralluogo per l’ennesimo concorso “virtuale” di idee (il secondo quest’anno), visto che il lavoro, quello reale, è ormai un’utopia sempre più irrealizzabile. Questa volta il concorso lo gestisce un privato, in accordo con l’Amministrazione comunale. Si tratta di proporre delle idee per il masterplan atto a riqualificare l’area dismessa della Mazzoleni Spa a Seriate (Bergamo) .

 http://riusomazzoleni.wordpress.com/

Il concorso, esente da una costosa iscrizione, ed avendo come elaborato una sola tavola A0, da inviarsi per posta elettronica, è stato ovviamente gettonatissimo. Tantissimi i contatti per scaricare il bando (come dichiarato dagli stessi organizzatori). Centinaia i gruppi iscritti al sopralluogo, che proprio a causa dell’inusitata partecipazione, è stato “spalmato” su due date. Una moltitudine impressionante, gli iscritti, tanto che per alcuni giorni il sito per ottenere l’iscrizione è andato in “tilt”.

Il 29 marzo, quando abbiamo eseguito noi il sopralluogo dell’area, sembrava di trovarsi ad una “grande adunata”, ad un raduno di architetti, provenienti da tutta Italia ed anche da alcuni paesi europei. Per un attimo è come se l’area, ormai in completo abbandono, si fosse animata di nuovo, non più frequentata da lavoratori, ma da creativi, ansiosi di esprimere le loro idee in merito.

In realtà, era la “fame di lavoro” a spingere molti alla “partecipazione creativa”. Una fame che nell’edilizia, ormai in crollo vertiginoso di investimenti,  vede sempre di più, coinvolti soprattutto i creativi : architetti, ingegneri, designer, ecc., i primi a soffrire, mentre si completano gli ultimi lavori di cui si sono ritirati i permessi di costruire.

Tutto ciò era particolarmente evidente nell’intorno dell’area oggetto del concorso, dove recenti interventi  residenziali ultimati da circa un anno, trovavano un’occupazione degli alloggi solamente in piccolissima parte (un 85% risultava invenduto). Nonostante ciò, seppur con lentezza, altri lotti contigui all’area, si apprestavano a partire, per realizzare “scatoloni” destinati a rimanere vuoti, per chissà quanto tempo.

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CRISI

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Oggi il mestiere di progettista, è fortemente inflazionato. Ci sono innumerevoli corsi universitari, da Napoli,  Roma, e Milano, che sfornano centinaia di laureati e diplomati ogni anno, mentre il lavoro è in continua costante riduzione da almeno due anni. D’altro canto le università (veri e propri potentati, governati da una casta di intoccabili, non interessati da rinnovamento che sta colpendo la politica), devono autoalimentarsi di studenti a cui “spennare” le tasse universitarie e mantenere stabile una popolazione universitaria che consente ad un sistema ormai esclusivamente “parentelare/clientelare” di sopravvivere.

Che il “creativo” sia un mestiere per benestanti, se non proprio per ricchi, appare ormai evidente: se si trova il lavoro, ormai rarissimo, si va a bottega da noti professionisti e/o società d’ingegneria, ma difficilmente ci si emancipa da una situazione sottopagata, o addirittura non pagata. Situazione che può durare anni e con la nuova legislazione (per lavorare) impone l’obbligo di partita iva ed iscrizione all’ordine professionale. È considerevolmente cresciuta l’offerta di professionisti, e quindi, per effetto della concorrenza, si sono abbassati i compensi, che ormai hanno raggiunto il limite della mera sussistenza.

Non che per chi è “anziano creativo”, sia meglio, spesso si langue, in una contrazione del reddito, che porta alla realizzazione di veri e propri equilibrismi economici. Nasce quindi, sempre più evidente un nuovo proletariato creativo, abbandonato a se stesso. Non si ha uno stipendio fisso, non si possono inscenare delle rivendicazioni, anche con un solo micragnoso lavoro sottopagato si è sempre occupati.

Probabilmente per tutti i creativi, ormai alla fame, non rimane che esportare la loro creatività all’estero, in quella che negli anni sta diventando ormai una vera e propria diaspora. Oltre all’hardware, rappresentato dalle moltissime fabbriche che con tutti i macchinari (spesso di notte), vengono trasferite in toto in paesi esteri, anche il software, sta subendo lo stesso destino, ormai da anni. Per chi resta non rimane che la desertificazione sistematica della creatività, quella secchezza dell’anima (e delle menti), che solo in terreni sterili ed aridi, come è l’Italia in questi anni, può avvenire.

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