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# Architettura

Atmosfere


Visitare il Messner Mountain Museum, all’ingresso della Val Senales, vuol dire abbandonarsi alle atmosfere che il luogo e le varie “stanze” del castello, restituiscono al visitatore. Stanze tutte arredate con i reperti dei viaggi del grande esploratore, collocati con sapienza e maestria per “comunicare”. Vuol dire fare un’immersione nel paesaggio, nel tempo e nello spazio. Al visitatore meno accorto, che si perde nelle illustrazioni dei singoli oggetti, viene restituito un progetto didattico che istruisce sui paesaggi, reali, fantastici, sognati….Un viaggio fantastico che inizia su un piccolo autobus, che da Naturno, porta in pochi minuti, grazie ad una “mitica” guidatrice scavezzacollo, all’ingresso di Castel Juval.

Un non- museo quindi, ma una bellissima abitazione/teatro/laboratorio in cui rappresentare la vita di un luogo e di un uomo – https://bit.ly/3nXEgtn . Di una famiglia – https://bit.ly/3ZOmPsx . Una grande architettura di paesaggio (fisico e mentale) che suscita empatia. Assolutamente da non perdere – https://bit.ly/3UpVqvY

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LOC 2026


Un progetto, a Milano, di “trasformazione urbana” di uno svincolo, più che una piazza, da sempre. Una spesa complessiva per i lavori prevista tra i 70 ed 80 milioni di euro, salvo aumenti ulteriori. Aumenti quasi sicuri vista la complessità del sito, e di quello che ci sta sotto (due linee di metropolitana e sottoservizi). Solito “delirio di presunto verde” tanto caro alla Giunta Sala. 300 alberi “bonsai” da piantare, più altri 220 alberi previsti nell’ intorno dal “verzuramento milanese” di Forestami (?). Verde dovunque: sopra, sotto, a lato, nell’intorno, collocato ad arte per nascondere e camuffare il cemento, i metri cubi, il tutto per fare quadrare il costo notevole dell’intervento…….La Milano del duo Pierfrancesco Maran/Beppe Sala, e del PD (e soprattutto dell’invotabile Majorino candidato alla Presidenza della Regione Lombardia): una “squadra” che continua a produrre CEMENTO A GO-GO, per il sollazzo degli immobiliaristi. In via Porpora 10 (ingresso libero, 10/20 da martedì a domenica), uno spazio dedicato, per titillare i cittadini e gli avventori. Qui i due inventori del marketing verde (che verde non è), “spacciano” i nuovi spazi, collocati sopra lo svincolo autostradale ed al nodo delle due metropolitane 1 e 2, di Piazzale Loreto. Ovviamente tutto pronto, inderogabilmente, per le Olimpiadi Invernali 2026.

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27 Agosto 1965


“Dobbiamo trovare l’uomo.
Occorre trovare la retta che sposi l’asse delle leggi fondamentali: biologia, natura, cosmo.
Retta inflessibile come l’orizzonte del mare.”

Le Corbusier (LC 1887/1965)

Le Corbusier al “Cabanon” a Cap Martin, Roccabruna, Francia, dove il 27 agosto 1965 troverà la morte nuotando nel Mare Mediterraneo

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PUNI


PUNI produce annualmente circa 176.000 litri di pregiato whisky, ed è la prima e unica distilleria italiana di questo liquore (https://bit.ly/3C9Kds3). La produzione avviene in un edificio, progettato dall’architetto altoatesino Werner Tcholl, immobile che incarna il carattere innovativo, per l’Italia, dell’azienda. La sede si trova nell’area industriale di Glorenza, in Val Venosta (Via Mühlbach, 2). Il progetto si esplicita attraverso un’organizzazione meticolosa della planimetria, ed una facciata che si rifà agli essiccatoi per il fieno, come dichiarato dal progettista. All’interno la doppia altezza della zona di produzione, delle pareti vitree, permettono di vedere le cisterne di affinamento interrate e gli alambicchi, direttamente dal punto di vendita e degustazione, posto al livello dell’ingresso. Tutte le attività dei tre piani dell’edificio sono avvolti da un involucro di metallo e vetro, celato da una seconda pelle, costituita da un reticolo di blocchi di cemento sfalsati, colorati rosso terra, a formare uno schema modulare come quello utilizzato nei fabbricati agricoli della zona. Il complesso all’esterno appare come un semplice ed essenziale cubo, da cui si intravedono le pareti della “pelle” interna.

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Camera con vista


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Scrivo questi versi, seduto all’aperto su una sedia bianca, d’inverno, con la sola giacca addosso, dopo molti bicchieri, allargando gli zigomi con frasi in madrelingua. Nella tazza si raffredda il caffè. Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi la torbida pupilla per l’ansia di fissare nel ricordo questo paesaggio, capace di fare a meno di me.

Iosif Brodskij – Strofe veneziane VIII (1982)

Gli edifici, sono quasi sempre considerati degli “oggetti particolari”, frutto della moda e per questo stravaganti; o che comunque devono sempre affermarsi nell’immaginario collettivo per la loro particolarità architettonica. Invece si tratta di elementi ricavati dagli uomini, modificando, per sempre,  la materia estratta dal Pianeta Terra. Sono gli “involucri” indispensabili alla sopravvivenza della specie umana, al cui interno, o nel loro esterno, si realizza quel “microclima”  (fisico, termico e psichico) indispensabile affinchè le funzioni umane biologiche e/o artificiali, possano svolgersi nella miniera migliore possibile. Sono la rappresentazione (e la testimonianza) di come noi, specie umana, adattiamo il “paesaggio naturale” del Pianeta alle nostre esclusive esigenze. Modificandolo per sempre, tanto che dopo il nostro passaggio non si può più parlare di “paesaggio naturale”.

In questo senso, gli edifici, ed il paesaggio che ne conseguono per sommatoria, sono elementi “tangibili” a cui i nostri corpi ed i nostri sistemi neurologici, sono intimamente ed indissolubilmente interconnessi.

Così scrive, in sintesi, Harry Francis Mallgrave nel bellissimo libro “L’empatia degli spazi” (2013) : portando avanti un discorso di interpretazione multidisciplinare della percezione dell’architettura e dello spazio, nato probabilmente con Heinrich Wolfflin (Psicologia dell’architettura, 1898) e continuato con l’antropologo Edward T. Hall (La dimensione nascosta, 1966).

Il nostro corpo, collezionando esperienze “sul campo”, attraverso i sensi, ma non solo, ci insegna a percepire le forme estetiche tridimensionali : una città, un edificio, un interno, un elemento di arredo. La nostra mente, il nostro corpo, l’ambiente che ci circonda e la cultura, durante il percorso continuo di apprendimento (che dura tutta la vita), si interconnettono tra loro a diversi livelli, facendo nascere in noi una capacità multisensoriale e psichica di percepire lo spazio. Oggi le neuroscienze consentono di “leggere” in maniera diversa l’architettura ed anche la sua storia.

Il corpo crea innanzitutto per sè, per soddisfare la propria esigenza di bellezza, ma anche per chi verrà dopo di noi. Sempre con una finalità di procurare piacere e soddisfazione, nonchè testimonianza del transito terrestre. Senza dimenticare gli aspetti emozionali ed affettivi, che inevitabilmente connotano, ogni modalità di relazione sensoriale e motoria con il mondo fisico costruito.

Il corpo, ci evidenzia infine Mallgrave, ritorna ad essere l’epicentro della cultura architettonica; il fondamento stesso dell’esistenza dell’architettura. Il tutto genera ovviamente una nuova attenzione, una “cura”, per coloro che stanno negli intorni (dentro o fuori), degli edifici che progettiamo, che costruiamo.

Ecco quindi, che una “camera con vista”, contenuta  in quello che fu un edificio eccellente di Venezia, diventa un “osservatorio empatico” sulla citta’ lagunare e sulla sua architettura. Il clima invernale umido e freddo che titilla la resistenza dei corpi umani, la bellezza degli affascinanti esterni architettonici della Giudecca, la rumorosità concitata dell’omonimo canale, l’esperienza olfattiva di una realtà culinaria importante, il contrasto con degli interni mediocri figli dell’international style, ecc. : diventano le scenografie di un’empatia architettonica multi sensoriale.

Se esiste una spazialità, figlia delle neuroscienze e percepibile con tutto il corpo (nel suo insieme piu omnicomprensivo), qui a Venezia e soprattutto nei sui dintorni periferici, se ne ha la più alta consapevolezza.

L’isola della Giudecca, quella di San Giorgio, Murano, Torcello, ecc. costituiscono un “panorama” entro cui sperimentare al meglio quanto sostenuto da Harry Francis  Mallgrave. Dato che da questi luoghi, più che dal centro,  nasce da sempre la “potenza” culturale, economica, sociale della citta’ lagunare.  L’apice lo si conquista con l’isola di San Michele, dove natura, morte ed artificio architettonico, convivono splendidamente in una decrepita stratificazione spaziale; i corpi dei vivi vanno all’isola dei morti, quasi esclusivamente per acquisire un’esperienza empatica spaziale (tra passato e futuro), girovagando tra le tombe di Stravinskij, Brodskij, Nono, Vedova, Pound, ecc..

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Semplice ma bello


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Expo 2015, Padiglione del Bahrain

Dopo lunghe, e gratuite, peregrinazione in Expo 2015, se si dovesse scegliere il padiglione “più bello”, certamente bisognerebbe cercare di “surfare” tra una cacofonia di immagini architettoniche ridondanti, per non dire pacchiane, banali e soprattutto già viste.

Tra questa “folle ridda di architetture” emerge per la sua rigorosa semplicità e per il percorso museale scarno e semplice, il Padiglione del Bahrain.

Il padiglione, progettato dall’architetto olandese Anne Holtrop e dalla paesaggista svizzero/olandese Anouk Vogel, è concepito come un continuum paesaggistico di meravigliosi ed intimi frutteti (10 giardini dell’Eden) che si intersecano in una serie di spazi espositivi chiusi. Il Padiglione è tutto costruito in pannelli prefabbricati in calcestruzzo bianco. Il Padiglione verrà trasferito in Bahrain alla fine di Expo Milano 2015 e sarà ricostruito, trasformandosi in un giardino botanico aperto al pubblico. I componenti prefabbricati, volutamente visibili, sono come attraversati da ancestrali “disegni”, da “cuciture”, da “piccoli canali”, che idealmente li collegano l’uno all’altro.

Il “centro” del Padiglione, rende omaggio ad un ricco patrimonio storico ed archeologico e presenta, pochi ma selezionati manufatti storici, risalenti a migliaia di anni fa, ognuno dei quali legato alle tradizioni agrarie e alle leggende  che circondano il Bahrain, desertico ma ricco d’acque sotterranee, ed in particolare l’antica Cultura di Dilmun.

https://it.wikipedia.org/wiki/Cultura_Dilmun

Qui non troverete grandi folle e lunghe code, ma soltanto la semplicità della “grande architettura”, ed un percorso museale con un racconto chiaro e semplice. La sera, tenui luci aggiungono fascino e mistero alle forme architettoniche che si confrontano con la natura. Niente a che vedere con le “strombazzature luminose” degli altri padiglioni.

http://bahrainpavilion2015.com/it

Tra tante architetture “scrause”, degne di essere cancellate per sempre dopo appena sei mesi (la durata di expo 2015), questo piccolo padiglione (circa 2.000 metri quadrati), si offre come un’isola felice in cui ritrovare il vero senso dell’architettura, in grado di resistere al tempo.

Qui sotto il link ad alcune immagini del Padiglione del Bahrein

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Zuppiere sonore


Clinamen v 2 . è un’installazione collocata nell’atrio del Centre Pompidou a Metz. L’artista che l’ha realizzata è Cèleste Boursier-Mougenot (1961, Nizza).

Si presenta come una piscina azzurra circolare (inscritta su un basamento di forma sempre circolare che funge da perimetro/seduta), piena d’acqua per circa 30 centimetri, sulla cui superficie galleggiano numerose zuppiere bianche di porcellana, che dolcemente cozzano tra loro, emettendo un delizioso tintinnio, grazie al lento movimento del liquido.

Così facendo si ricrea nell’enorme atrio dell’edificio progettato da Shigeru-Bahn (http://www.shigerubanarchitects.com/works.html) un paesaggio visuale e sonoro molto coinvolgente ed accogliente.

http://www.centrepompidou-metz.fr/

La semplicità apparente dell’installazione è inversamente proporzionale al fascino che essa esercita sugli spettatori. In realtà si tratta di una macchina sonora complessa che l’autore può configurare in diverse maniere aumentando o diminuendo le “zuppiere” in movimento, riempiendole più o meno di liquido, o modificando i vortici che agitano l’acqua.

La temperatura dell’acqua, mantenuta attorno ai 30 gradi centigradi, favorisce l’emissione sonora e la risonanza. La persistenza del suono, fa si che gli spettatori si astraggano dal tema dell’installazione, per concentrarsi esclusivamente sull’emissione sonora.

Il tempo sembra come rallentare, per un attimo; per ogni spettatore, perdere un po di tempo a godere del concertino, pare essere una cosa buona e giusta.

Oltre ad essere un compositore, Céleste Boursier-Mougenot è noto soprattutto per le sue opere ambientali, vere e proprie installazioni sonore, come nel caso di Rêvolutions, l’opera con cui, nel 2015, rappresenta la Francia alla cinquantaseiesima esposizione internazionale d’arte contemporanea della Biennale di Venezia.

Quì sotto il link ad alcune immagini dei luoghi

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27 AGOSTO 1965


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Arrivò al Cabanon il suo rifugio sul mare a Cap Martin.

Rebutato lo aspettava in fondo al giardino: cercò subito di metterlo a sua agio (anche se lo vide in condizioni che lo preoccuparono molto : il viso tirato e gli occhi allucinati, l’abito sgualcito e sporco di polvere) non parlando e non chiedendo.

La discrezione con cui questi due contadini di origine italiana, Rebutato e la moglie (che gestivano l’Étoile de Mer, il campeggio vicino al Cabanon), accoglievano e circondavano la sua presenza era da antologia, da racconto edificante.

Appena fu di nuovo a contatto con la realtà della sua vita quotidiana (estiva), il Maestro parve ritrovare tono ed elasticità nei suoi movimenti, insieme alle sue capacità eccezionalmente vivaci di vedere, di seguire, di controllare, di pensare, di immaginare mille cose diverse……………………….

Prima di tuffarsi (come era in uso fare da sempre, ogni giorno), fece un gesto che gli era abituale: raccolse nel palmo delle mani un poco d’acqua e si deterse gli occhi: era un atto quasi sacro che aveva imparato da Pierre (suo cugino Jeanneret) quando, insieme, in estate, fanciulli, andavano al mare.

Si tuffò, quasi con dolcezza. Quasi senza infrangere la superficie delle acque che si richiusero subito sopra di lui. E il Nulla riempì il vuoto e divenne Tutto.

E lo splendore del cristallo si fece universale splendore. Nel cielo, nell’alta ora meridiana, fu silenzio per circa mezz’ora.

(Carlo Bassi “La morte di Le Corbusier” – romanzo non romanzo – Jaca Book, 1992)

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Con i piedi in acqua


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“Resuscitare l’enorme edificio del ricordo”

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto

Ieri 22 luglio 2015, recatomi in studio, dopo una notte passata a cercare di dormire con una temperatura di oltre 33 gradi, ho visto nello sguardo dei miei collaboratori lo stesso tormento notturno.

La temperatura interna dei locali, nonostante fosse mattina, rasentava i 31 gradi. Le previsioni meteorologiche davano per il pomeriggio 39/40 gradi di temperatura esterna. Abbiamo quindi deciso, di comune accordo, di sospendere le “minime” attività lavorative, assolutamente tutte quante rimandabili facilmente ad altra data, e di trasferire tutti in altro luogo.

I “ricordi”, mi hanno condotto a circa 140 chilometri da Milano, dove da bambino mio padre (che lavorava in una ditta svizzera di collanti industriali) conduceva in estate la famiglia per piccole ascensioni giornaliere.

I Laghi Ritom e la Val Piora (di cui abbiamo già trattato in questo blog, in passato), costituiscono forse uno dei più bei luoghi montani delle Api Svizzere versante sud. L’altopiano di Piora, che sovrasta la Valle Leventina, è disseminato di una gran quantità di incantevoli laghi di montagna, resti dell’ultima era glaciale. Ricco di una flora alpina bellissima, l’altopiano situato a una mezz’ora scarsa a piedi dalla stazione a monte della funicolare (che ha la stazione di partenza da Piotta) di una ripidezza incredibile. Una delle funicolari più ripide al mondo (https://www.ritom.ch/funicolare/).

https://it.pinterest.com/dariosironi/ritom/

Dall’Altopiano della Val Piora è inoltre possibile fare delle ascensioni in alta montagna, magari pernottando nei numerosi rifugi ed ostelli presenti in valle.

http://www.ritom.ch/home/

La digressione nell’incantevole paesaggio alpino svizzero, ha consentito al gruppo di passare una giornata al fresco (mai superati i 25 gradi), al sole, e di discettare in merito ai “massimi sistemi dell’architettura”. Disciplina che al di là delle “timide” presunte riprese del mercato immobiliare verserà ancora per molti anni in una condizione di estrema precarietà, sia economica che culturale.

http://www.repubblica.it/economia/2015/04/27/news/produzione_edilizia_confartigianato-112955671/

In tre punti la sintesi dei “discorsi con i piedi in acqua”, elaborati a lato del Lago Tom.

1 –  Spendiamo troppo tempo ad elaborare le giuste domande sull’Architettura che dobbiamo realizzare. A “flagellarci” in merito alla crisi del settore che perdura dal 2009. Bisogna dedicare più tempo alle risposte, che spesso ci vengono dall’osservazione di “cose” esterne all’ambito disciplinare dell’architettura : un quadro, un organismo biologico, una scultura, una bella persona, delle pietre, ecc..

2 – In architettura, sempre entrano in gioco delle “forze primitive”, quali : la gravità, la natura, la luce, il tempo, ecc., bisogna sempre fare implementare queste “forze” in quello che si progetta. Spesso un edificio realizzato esclusivamente di vetro oppure finito con una “pelle indifferente” non aiuta a fare ciò.

3 – Quello che ci affascina di più dell’Architettura è la continua ricerca di purezza, di finezza, di compattezza che si ottiene esclusivamente dall’osservazione del paesaggio mutevole, prodotto dalla modificazione continua introdotta dalla vita quotidiana della specie umana.

https://youtu.be/eQu_XONdMM4

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