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Builders of the future

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PUNI


PUNI produce annualmente circa 176.000 litri di pregiato whisky, ed è la prima e unica distilleria italiana di questo liquore (https://bit.ly/3C9Kds3). La produzione avviene in un edificio, progettato dall’architetto altoatesino Werner Tcholl, immobile che incarna il carattere innovativo, per l’Italia, dell’azienda. La sede si trova nell’area industriale di Glorenza, in Val Venosta (Via Mühlbach, 2). Il progetto si esplicita attraverso un’organizzazione meticolosa della planimetria, ed una facciata che si rifà agli essiccatoi per il fieno, come dichiarato dal progettista. All’interno la doppia altezza della zona di produzione, delle pareti vitree, permettono di vedere le cisterne di affinamento interrate e gli alambicchi, direttamente dal punto di vendita e degustazione, posto al livello dell’ingresso. Tutte le attività dei tre piani dell’edificio sono avvolti da un involucro di metallo e vetro, celato da una seconda pelle, costituita da un reticolo di blocchi di cemento sfalsati, colorati rosso terra, a formare uno schema modulare come quello utilizzato nei fabbricati agricoli della zona. Il complesso all’esterno appare come un semplice ed essenziale cubo, da cui si intravedono le pareti della “pelle” interna.

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Paesaggio Christologico


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Cinque chilometri di passeggiata di colore giallo dalia (tessuto in nylon poliammidico della ditta Setex di Greven in Germania), di cui due chilometri “flottanti” sull’acqua. Dieci milioni di euro (circa) di costo previsto. Un afflusso previsto tra il 18 giugno 2016 ed il 3 luglio (ma si parla già di una proroga al 10 luglio) di circa 40 mila persone al giorno, mentre il “floating piers” ne può contenere contemporaneamente al massimo 17.500.

Il “floating piers” poggia su 220 mila  cubi a pioli galleggianti in polietilene ad alta densità, riempiti di aria. Per ancorarli sul fondo dei sub francesi hanno posato delle ancore in calcestruzzo (di fabbricazione bulgara ed italiana) e metallo appositamente studiate. Una volta assemblati tra loro i galleggianti nell’apposita area di Moltecolino (300 mila metri quadrati), le parti del “pier” vengono trascinate con imbarcazioni sul luogo dove vengono fissati al fondale mediante appositi cavi ed uniti tra loro.

Il tutto progettato ed intensamente voluto, dall’artista Bulgaro/Americano Christo Vladimirov YavachevL’opera alla fine dei sedici giorni di esposizione, verrà completamente rimossa e sarà industrialmente riciclata. I 10 milioni di euro dei costi, anticipati dall’artista e dagli sponsor, saranno recuperati dalla vendita dei gadgets e delle opere create dall’artista (quadri, serigrafie, ecc.), come già avvenuto per altri suoi lavori..

Christo ha scelto il Lago d’Iseo dopo un lungo sopralluogo sui laghi del nord Italia, insieme a Germano Celant, rimanendo colpito dall’Isola di San Paolo e da quella di Monte Isola, nonchè dal piccolo borgo di Sulzano.

Una operazione artistica, di valenza mondiale, voluta anche dalla comunità locale, per il rilancio internazionale del turismo sul Lago d’Iseo. Costo di tutta l’operazione “pagato” dall’Ente di promozione turistica del Lago d’Iseo e della Regione Lombardia, in collaborazione con sponsor/partner privati (Ubi Banca, Iseo Serrature, Franciacorta Outlet Village).

Per 15 giorni il Lago d’Iseo sarà “l’ombelico del Mondo”, un luogo di confluenza per paesaggio, turismo, arte, che saranno per una volta,  finalizzati ad una grande operazione di “immagine” a livello mondiale.

Percorrere il “Floating Piers” sarà completamente gratuito. Il comune di Sulzano e quello di Monte Isola hanno predisposto piccoli padiglioni per accogliere i turisti e fornire cibo ed accoglienza.

Quello che interessa è il tentativo di sganciarsi dai soliti canoni di marketing turistico, per intraprendere una strada innovativa, probabilmente l’unica in grado di fare diventare il turismo italiano, un vero e proprio “motore economico primario” del Paese.

Comunque un’opera “maestosa” che nella sua artificialità voluta e palese, sia nel disegno che nei materiali, ci fa immediatamente capire tutta la violenza (e la bellezza) della specie umana, che da sempre modifica all’abbisogna, il paesaggio di questo magnifico pianeta.

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Riso (amaro) vercellese


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Negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di circa 8 metri quadrati al secondo, ogni ora spariscono 2,8 ettari. Ogni giorno, a mezzanotte, se ne sono andati per sempre quasi 70 ettari. E questo capita per 365 giorni all’anno. La media europea di terreni cementificati è del 2,3% mentre 14 regioni su 20, in Italia, superano abbondantemente la soglia del 5% e alcune quella del 10%. A ciò ha corrisposto un progressivo stato di abbandono dei centri storici, ed una loro sistematica cementificazione a scopi speculativi. Insomma un inno al volume ed al nuovo.

Anche a Vercelli, come in molti centri storici italiani, tutto ciò che riguarda la polis (la città), vale a dire noi e i nostri figli, sia pure nel nostro ambito: riguardano il progressivo annullamento della memoria collettiva, della storia, che sono poi, anche la nostra vita ed ancor più il nostro modo di viverla, ma soprattutto il lascito per le generazioni future.

Infatti, troppo spesso, delle architetture nuove, brutte ed avulse dal contesto, vengono costruite demolendo una parte importante della storia, ed affogando nelle loro fondamenta di cemento i reperti storici della Vercellae Romana.

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Insomma una serie raccapricciante di distruzioni di ogni tipo, si concentrano nel centro storico di Vercelli. Scientemente si è dissipato, una parte considerevole del patrimonio urbano e storico, del Paesaggio italiano, ma soprattutto della memoria di una città. Il tutto additando la necessità di realizzare del nuovo per “incassare” gli oneri di urbanizzazione e di rifiutare il restauro, ed il recupero dell’esistente. Tutto ciò palesa soprattutto delle evidenti incapacità gestionali e di progettazione dell’Amministrazione comunale, ed anche di sviluppare delle politiche culturali adeguate, sia a livello locale, come a livello nazionale.

Per fortuna, che quel poco che rimane, fuori ed entro terra, riesce ancora a raccontare una storia urbanistica, architettonica e sociale, sofisticata, complessa e sofferta, fatta di un paesaggio antropizzato  bellissimo tra acqua e terra. Storia che spesso si confonde con le capacità produttive enogastronomiche di un territorio fertile e generoso, che può trovare nel turismo un nuovo motore per una crescita più sostenibile e coerente.

E’ arrivato il momento di ritornare ad una corretta pianificazione urbana, ritornando anche ad una definizione non speculativa delle trasformazioni degli edifici e dei tessuti urbani esistenti. Avendo come obbiettivo il conseguimento di un nuovo modello di sviluppo per il futuro. I decenni della liberalizzazione edilizia, non solo non ha prodotto i risultati sperati in termini quantitativi, ma in moltissimi casi hanno reso ancora più brutti parecchi centri storici e rese ancor più disordinate le periferie urbane ed i territori agricoli attorno  Vercelli. Occorre dunque rinnovare profondamente le città, ritornare a costruire attraverso regole semplici ma con finalità chiare e precise, leggi e regole condivise ed efficaci che non permettano il perpetuarsi della logica speculativa che ha tristemente caratterizzato questi anni.

Quì una mappa di Vercelli con evidenziate alcune eccellenza architettoniche e paesaggistiche

Ora per consolarci da questa Italia, cementificatrice, intrallazona e “mafiosa” di cui Vercelli è assolutamente rappresentativa, godiamoci una ricetta per consumare un prodotto agricolo vercellese di eccellenza, il riso. Una sintesi perfetta (il riso) tra : paesaggio, architettura ed enogastronomia.

RISOTTO AI PORRI E CAPRINO

Ingredienti per 4 persone

350 gr. di riso carnaroli superfino (utilizzato prodotto della Riseria Asigliano – Vc)

2 porri

parmigiano reggiano grattugiato

1 cipolla

1 carota

1 costa di sedano

olio extravergine d’oliva

burro

sale quanto basta

un bicchiere di vino bianco

PROCEDURA

Preparare un brodo vegetale con la cipolla, la carota ed il sedano e salarlo leggermente. In un tegame alto far rosolare con dell’olio extravergine d’oliva il porro mondato e tagliato a rondelle sottilissime per un minuto, versare il riso e farlo tostare leggermente, poi sfumarlo con un bicchiere di vino bianco. Continuare la cottura del riso versando man mano un mestolo di brodo vegetale.

A cottura ultimata, mi raccomando che il riso sia bene al dente, spegnere il fuoco e mantecare bene il risotto con il formaggio caprino, il parmigiano reggiano ed il burro, salare leggermente. Impiattare e versare eventualmente su ogni piatto un cucchiaio di parmigiano grattugiato. Un piatto delicato, soave, leggero.

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IAC


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Nel lontano 2007, veniva assegnato il primo premio del concorso “Progettazione e ristrutturazione del comparto Masseria, Istituto Agrario Cantonale, a Mezzana (IAC)”. Oggi questo edificio è una realtà, infatti si stanno completando i lavori.

Il progetto è degli architetti : Mario Conte, Gionas Pianetti, Michele Zanetta architetti di Lugano Carabbia. Un edificio caratterizzato dai grandi setti in terra, dal cor-ten, da grandi vetrate che si aprono sulla campagna e le viti circostanti.

Quasi non la si nota, questa architettura, dalla strada cantonale Chiasso-Mendrisio, eppure questa “corte non chiusa”, una volta disvelata, rivela tutta la sua forza paesaggistica, la sua “giustezza” con cui si colloca sul suolo inclinato, splendidamente contornata da magnifici vigneti.

il suolo esprime continuamente, nella sua duplice e inscindibile connotazione geografica ed umana, un serie di informazioni, non soltanto geometriche e formali , ma anche storiche e culturali. La lettura di tali informazioni, avviene nel progetto dello IAC in maniera scientifica, elaborando dati di varia natura .

Il progetto è uno strumento di ricognizione e la scoperta del terreno (del suolo, dell’orografia) è il momento decisivo del percorso nel quale intuizione e invenzione possono avere un peso diverso, ma comunque interagiscono. Il risultato architettonico qui a Mezzana è particolarmente riuscito.

http://www.behance.net/gallery/PROG-2007-scuola-agraria-IAC-mezzana/5301685

Anche quest’anno ci sarà, a fine settembre (27 – 28 – 29), la Sagra dell’Uva del Mendrisiotto, con apertura di cantine ed eventi, un’ottima occasione per fare il pieno, non solo di benzina, ma anche degli ottimi prodotti locali, di “ameni paesaggi” e di eccellenti architetture. Il tutto a soli 50 chilometri da Milano.

Quì una mappa che localizza l’edificio

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Milan Design Week (Fuorisalone 2013)


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Ed eccoci di nuovo, come ogni anno, alla settimana del design, dove Milano, improvvisando (ma non troppo), ed in maniera totalmente provvisoria, si trasforma, soprattutto nel Fuorisalone, in quello che non è durante tutto l’anno (se si esclude la esclusiva settimana della moda): essere una delle capitali mondiali di “qualcosa”. Di fatto durante la “Design Week Fuorisalone” Milano diviene, per una settimana, un enorme think tank (letteralmente serbatoio di pensiero), che elabora un workshop tematico, completamente (o quasi) gratuito, aperto a tutti.

Milano durante questi brevissimi giorni, esibisce se stessa (splendori e magagne), con tutte le contraddizioni e le duttilità del caso, elaborando così,  ciò che avviene normalmente molto più spesso, a Berlino, Zurigo o Londra. Aree dismesse, cantieri, spazi di lavoro, officine, strade, piazze, vincoli, ecc. diventano l’occasione per incontrarsi, visionare oggetti, discutere, progettare e fare business.

La “bolgia umana” che pervade il Fuorisalone, diventa di fatto un’antenna sensibile, delle trasformazioni in atto nella società italiana e mondiale. Per questo percorrere le strade del Fuorisalone, è un’occasione imperdibile per l’attento osservatore, che vuole cogliere l’attimo fuggente di uno scenario possibile, che forse sarà.

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Cosa ci dice quest’anno 2013, il Fuorisalone, cosa ci suggerisce, in un’attività multi-disciplinare di analisi comparata, che spazia dal design, all’architettura, alla sociologia, all’economia, al paesaggio?

Innanzitutto ci segnala : 1) Che la crisi ha modificato profondamente lo scenario espositivo, gli stand mirabolanti ed immaginifici, ricchi di gadgets,  di qualche anno fa, sono ormai pochissimi. 2) Che il pubblico è sempre più differenziato ed infarcito di stranieri soprattutto dei paesi emergenti (Cina, Russia, ecc.). 3) Che, nel design dei prodotti,  il tema dei materiali naturali e del riciclo è stato implementato alla grande quasi esclusivamente dai paesi stranieri (emergenti in primis), mentre in Italia stenta ad affermarsi. 4) Che le trasformazioni urbane in atto a Milano, atte ad accogliere meglio il Fuorisalone, sono lentissime e senza progettualità gestionale, basti per tutte il Museo di David Chipperfield nell’area ex Ansaldo (come esempio), quasi terminato ed abbandonato come uno “scatolone vuoto”, mentre  potrebbe diventare un Museo di arte contemporanea e design, sicuramente migliore e meglio allocato di quello esistente attualmente in Triennale. 5) Che nonostante timidi e sicuramente meritevoli tentativi, finalmente presenti, ancora molto si deve fare per legare design/enogastronomia/paesaggio/turismo.

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Infatti nel Fuorisalone 2013 di via Tortona, degli “stand enogastronomici”, per nulla oggetto di uno studio attento di design, quest’anno erano presenti, e forse rappresentavano il primo timido tentativo di legare i prodotti di design con il territorio lombardo. Infatti in questi stand, oltre alla vendita di prodotti agricoli che garantiscono la fornitura di un’assoluta eccellenza a “chilometri zero”, viene anche disvelato, alla moltitudine umana (soprattutto straniera) che in questi giorni frequenterà il Fuorisalone, la presenza di un territorio turistico assolutamente non trascurabile, e degno di essere visitato.

Più avanti, all’incrocio tra via Bergognone e via Tortona, un grande stand, promuove con il motto “Good food, in good design”, il MI-GUSTO, FARMER E GOURMET EXPERIENCE, dove delle vere e proprie star dei fornelli, si esibiscono in leccornie e prelibatezze, tra “sciure” super-eccitate e giovanotti, in giacca e cravatta, che sanno il “Cucchiaio d’argento” a memoria.

Manca ancora la connessione, decisa tra design, paesaggio e turismo, atta a trattenere i visitatori nell’area lombarda, per qualche giorno in più, rispetto alla settimana canonica, però molte delle realtà agricole e produttive, si dilettano (per campare) anche nell’agriturismo, che essendo molto economico, attrae soprattutto chi viene da lontano ed è alla ricerca di qualcosa di nuovo da sperimentare ed a buon prezzo.

OLYMPUS DIGITAL CAMERASe avete qualche disponibilità di tempo, da oggi al 14 aprile 2013,  vale sicuramente la pena fare una visitina, nella bolgia di oggetti e di varia umanità che pervade in questi giorni, alcune zone di Milano. Soprattutto per trarre in merito, le proprie considerazioni. Certamente se farete ciò, vi colpiranno le “installazioni”, realizzate in uno sturbo collettivo di creatività, in prossimità dei cestini di raccolta dei rifiuti, testimonianze, che ad oggi, ancora molto si deve fare per rendere Milano ancora più accogliente e propositiva rispetto a tutta questa energia che si scaturisce annualmente nell’intorno del design.

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Vino novello


11 novembre 2012 – Autunno, foglie gialle in “caduta libera”, tantissima pioggia, vento freddo, cielo plumbeo, voglia di un fuoco caldo, di amicizia, di paesaggio, di profumi, di “mangiarsi il paesaggio”.

Cosa c’è di meglio, in questa “condizione umana”,  di una gita fuori porta, in un luogo vicino, ameno, ricco di storia, come può esserlo solo un pezzo del territorio italiano, raggiungibile da Milano in pochi minuti, nel fine settimana, che da protocollo, consente la commercializzazione del vino novello.

Famelici di paesaggio, come possono esserlo solamente tre amici avvezzi alle “zingarate enogastronomicopaesaggistiche”, anziani ma non troppo, colti ma non troppo, capaci di guardare al futuro ma non troppo, ci siamo orientati con una vecchia Toyota Corolla, gravida di oltre 180.000 chilometri percorsi, verso San Colombano al Lambro.

La collina di San Colombano al Lambro (che è in provincia di Milano), è da sempre, da più di due millenni, una limitata zona vitivinicola che gode di condizioni pedologiche e climatiche particolari. La collina si alza dalla pianura circostante di circa 75 metri, è luogo eccelso di produzione degli unici vini d.o.c. (Denominazione di Origine Controllata), della provincia di Milano. Nelle giornate limpide, dalla collina che sovrasta il delizioso paese di San Colombano, la visuale spazia verso nord ed arriva a tutto l’arco alpino, mentre dalla parte di Miradolo Terme, verso sud, lo sguardo si apre sulla depressione naturale della valle del Po fino agli Appennini. Il paese, piccolo ed elegante, è sotto la collina, dominato dalle antiche mura del Castello dei Belgioioso, a “recinto”, numerose e significative le chiese, che videro il giovane Don Gnocchi che quì nacque, assiduo frequentatore.

Le caratteristiche del terreno, che alterna zone sabbiose a zone calcaree molto permeabili, il sottosuolo ricco di minerali, la costante esposizione (ideale) al sole, fanno della collina un ambiente ideale e naturalmente vocato per la coltivazione della vite. Quì il paesaggio è stato da secoli “addomesticato”, tanto che oggi la coltivazione della vite, rappresenta una “texture paesaggistica” sofisticata e complessa, che testimonia del sapiente connubio tra uomo e natura. Come scrive Gilles Clément nel suo bellissimo libretto “Breve storia del giardino” (Quodlibet, 2012) : ” La storia ci parla di un luogo, ma poco del tempo, del tempo che passa, della durata, del tempo che consente l’impianto al suolo (la vite impiantata nel terreno fertile diventa produttiva dopo 2/3 anni), dell’incontro fra gli esseri viventi, dell’ibridazione e la nascita dell’imprevedibile (produrre vino con costanza è il frutto dei protocolli, e vale un 30%, ma il tempo meteorologico decide il restante 70%). La storia preferisce le forme e i grandi gesti architettonici che hanno lasciato una traccia sorprendente e indiscutibile del genio umano (piuttosto che gli orti, le colture, i giardini, sempre mutevoli). Eppure è quì, nello spazio del tempo, che a mio avviso si delineano le questioni del futuro”. Produrre vino, come avviene in molte cantine di San Colombano, è un’arte, che deve fare i conti con il tempo che passa, con i ritmi della natura, con il movimento degli astri.

Risulta poi evidente annotare che quì, a San Colombano al Lambro, siamo ancora nel territorio di Milano, là dove il consumo di suolo ha raggiunto livelli che definire “folli” è poco, eppure la conquista di un punto di vista “alto”, elevato, consente di superare le regole (ed i punti di vista) della pianura, della vita piana, piatta, della concentrazione “densa” imposta dalle regole esclusivamente economiche.

Elevandoci, possiamo distaccarci, magari solo per alcuni momenti, dal nostro quotidiano, e proiettarci con la mente, ma anche attraverso lo sguardo, nello spazio libero, nel paesaggio. L’estasi della contemplazione, ci rende liberi. Possiamo così constatare che nonostante la moltitudine umana milanese, quì, non molto lontano dal”caos”, possiamo ancora apprezzare la speranza progettuale di un rapporto corretto tra uomo e natura. Ed anche di nuovo acclarare che esiste, probabilmente una possibilità di futuro, di lavoro e di crescita consapevole, per tutti, e per un Paese, l’Italia, che forse, per troppi decenni ha trascurato (e poco progettato) il connubio intimo, tra : paesaggio, cultura, turismo, enogastronomia. Appare quì, su questa collina, chiaramente tangibile la convinzione che, le politiche per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico-agricolo-ambientale e del paesaggio nel suo insieme, e le politiche di promozione delle attività di produzione (di eccellenza) enogastronomica, culturali e di spettacolo, connesse con la promozione di un turismo consapevole, sostenibile, legato alla fruizione della bellezza e della “qualità” nel suo insieme dei nostri territori, debbano essere considerate e trattate a tutti gli effetti come un asse portante per lo sviluppo presente e futuro, del nostro Paese.

Il vino, soprattutto quello novello aiuta certamente a questa “elevazione”, a prendere una giusta “distanza dal Mondo”, a conquistare, una prospettiva nuova, uno sguardo inusuale, che quì appare quanto mai tangibile .

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Mangiare il paesaggio


Il paesaggio italiano è un’esperienza enogastronomica perenne, affinata e stratificatasi nel corso del tempo. Come popolo, veniamo allevati, sin da piccoli, con una “cultura quasi genetica” (forse l’unica cosa che ci tiene assieme), per consumare il cibo giusto al momento giusto, ed ogni cibo è espressione di un’identità locale precisa. Spesso siamo circondati dalla bellezza del paesaggio e ad ogni passo una “ruina” o un’opera d’arte ci ricordano chi siamo e da dove veniamo. Poi tutto và in malora, quando cresciamo, spesso dimentichiamo . Siamo proiettati nel futuro, consumista e capitalista. Per decenni, ibridiamo, mescoliamo, “dimentichiamo” questa cultura inoculataci nel genoma.

In età avanzata, però, quando la memoria, giorno dopo giorno, ci fa tornare indietro nella nostra storia, ecco che ci ricordiamo della nostra “genetica enogastronomica”, che è un sapiente impasto di cibo e paesaggio. Spesso cerchiamo di recuperare questa “dimensione nascosta”, che tutti abbiamo.

Il “gioco” della memoria, mi riconduce spesso, in questi anni travagliati, alla mia infanzia, passata a Cusano Milanino, dove, all’innegabile bellezza della prima e unica città giardino italiana su modello inglese, continuamente associavo dei prodotti locali, realizzati o nell’orto di casa o nella Cascina Milanino, che allora era immersa nei campi di grano, granoturco ed ortaggi.

Ecco qualche sera fa, un caro amico, anzi dei cari amici, mi hanno consentito di imbandire una tavola “tavola della memoria” sontuosa e principesca, fatta di prodotti locali a chilometro zero. Quella sera mi sono mangiato con la mia compagna, un pezzo del paesaggio del Nord Milano. Un pezzo della nostra storia territoriale.

Superficie impermeabilizzata in Lombardia – Fonte : Arpa Lombardia

Piano Intercomunale Milanese (PIM).Propensione al consumo di suolo nel Nord Milano al 2008 – Fonte : PIM11_Atlas_Prop consumo suolo copia.jpg

Quello che sembra un territorio perso, cementificato, saturo ed inquinato, il Nord Milano (dove si muore per cause direttamente correlabili all’inquinamento da micropolveri sottili, fino a 3 volte più che a Milano), ha prodotto, nei “ritagli” di terreno non ancora reso impermeabile, grazie alla fatica e l’impegno di amici : 1) Erbette deliziose, prodotte a Bollate vicino alla Rho-Monza, mangiate bollite con erba cipollina (coltivata sul balcone a Sesto San Giovanni), aceto fatto in casa (da me con lo spaghetto, sempre a Sesto) ed olio di Riva del Garda (che vado a prendere direttamente al frantoio una volta l’anno); 2) Pane fragrante di grano duro (bio) del panettiere pugliese che stà sotto casa; 3) Uova, piccole e bianche, ma gustosissime di galline ovaiole ruspanti americane, prodotte ad Ospiate di Bollate; 4) Meravigliosi broccoli prodotti a Bollate a lato della Rho-Monza, bolliti e saltati con aglio peperoncino ed olio; 5) Cornetti bolliti (prezzemolati con un prodotto sempre da balcone e con aglio ed olio) prodotti sempre a latere della Rho-Monza; 6) Acqua gassata e fresca, presa alla fonte comunale di Cusano Milanino (l’acqua migliore del Nord Milano); 7) torta deliziosa di pastafrolla, fatta da me con farina “00” biologica, prodotta nel Parco delle Groane ed impastata con burro prodotto a Brugherio dal Caseificio “La Murgia”, marmellata di prugne di Paderno Dugnano (prodotte negli orti dietro al cimitero) fatta in casa, con zucchero, scorza di limone e cognac, ovviamente acquistati al Centro Sarca che dista 120 metri da casa mia.

Il Nord di Milano visto dalla torre Garibaldi

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