
La “mission” di questo Ottavo Congresso degli architetti, sembra IMPOSSIBLE, e forse lo è per davvero : “ offrire un significativo contributo al dibattito sul futuro dell’abitare, delle città e dei territori, proponendo un nuovo paradigma della qualità della vita urbana, ripensandone il modello. Una città, quella a cui pensano gli architetti italiani, che diventi sempre più un luogo desiderabile dove vivere, lavorare, incontrarsi, formarsi, conoscere e divertirsi: un luogo attrattivo, dunque, da tutti i punti di vista …..E poi c’è il tema dell’elaborazione di un – Disegno di Legge per la tutela dell’architettura – ”.
Oggi non sembra possibile dare una risposta che abbia un senso, una coerenza, a questo quesito plurimo. Sembra più comodo, come ormai sta succedendo da un pò di anni a questa parte, affidarsi, sia in architettura che nell’urbanistica, alla “verzura” alla “pelle” degli edifici, creando, di fatto, una solitudine architettonica di architetture “isolate” ed autoreferenziali, che costituiscono continue eccezioni, continue “invenzioni” che non costruiscono più le strade, le piazze, che sono l’anima storica stessa della socialità cittadina italiana (come ha detto di recente lo stesso Jacques Herzog in una conferenza alla Feltrinelli per MILANO ARCH-WEEK 2018).
Oggi nei PGT e nei PRG, è il verde, la piantumazione di alberi (Milano nell’aggiornamento del PGT prevede di insediare in città decine di migliaia di nuovi alberi), che va per la maggiore, e non l’architettura (quella “buona” con la “A” maiuscola). Si rifugge dall’architettura piuttosto che creare le condizioni per una dimensione urbana più umanamente sostenibile che suggerisca una nuova maniera di “abitare” le città 2.0.
I temi delle città oggi sono : l’insicurezza (più percepita che effettiva), la crescente diversità sociale (pochi ricchissimi, e tanti quasi alla soglia di povertà) e le questioni di convivenza (giovani/anziani, italiani/immigrati), i diritti delle minoranze, l’accesso ai servizi, l’avanzamento del digitale (e della nascente robotica), l’infrastruttura tecnologica (rete, mobilità, ecc.) e la dimensione immateriale del futuro urbano; le soluzioni sembrano legate esclusivamente all’architettura sostenibile e agli approcci resilienti “a base di verde”, per una progettazione urbana, che viene “spacciata” in alleanza con la natura (ma che così inevitabilmente non è).
Il Verde nei Piani di Governo del Territorio, nei P.R.G., serve come “Cavallo di Troia” per immettere in città sempre più caotiche ed inquinate (come ad esempio Milano, la città dove lavoro), altra superficie lorda di pavimento (SLP) e nuovi residenti, con il loro traffico conseguente (che uccidono con le micropolveri sottili) e la congestione dei servizi. Un esempio emblematico la dismissione gli scali ferroviari milanesi, dove il miraggio di parchi verdi sul modello di “Central Park a New York” è la caramellina per fare “digerire” ai milanesi milioni e milioni di metri cubi. Sempre più spesso chi amministra è “prigioniero senziente” di logiche immobiliari trasnazionali (fondi arabi, ecc., fondi cinesi si stanno comprando le nostre metropoli e gli edifici più significativi). Gli architetti e gli urbanisti sono prigionieri e “complici” anche di logiche mediatiche tese a conseguire attraverso la progettazione “verde”, il consenso dei cittadini, ad un continuo consumo di suolo. C’è chi si oppone a mere logiche di consumo di suolo senza qualità ( https://bit.ly/2ME55uF ), c’è chi invece inneggia ad una continua crescita dell’edilizia fine a se stessa anche quando gli alloggi vuoti raggiungono numeri ragguardevoli ( solo a Milano oltre 70 mila alloggi vuoti – https://bit.ly/2lJOPwJ ).
Il dibattito tra gli architetti in merito si fa acceso, ed anche generazionalmente divisivo, da una parte gli architetti anziani, che cercano una liaison una “connessione” con la storia delle città, per ottenere un governo del territorio più coerente con il passato, magari a piccoli gradi. Dall’altra gli architetti più giovani, dove la storia, la “memoria” è solo un peso a cui soggiacere per giustificare qualunque soluzione possibile per una città a dimensione degli immobiliaristi. L’equazione SLP = LAVORO, in particolare modo a Milano è quanto mai vera, visto che la metropoli lombarda è in un certo senso, considerata dai più lo “Stargate” per l’Europa, degli italiani. Ciò fa si che la popolazione giovanile di Milano, ed anche quella degli architetti (immigrati da ogni parte d’Italia), sia in continuo aumento e che necessita di una risposta abitativa e di servizi sempre più marcata ed impellente ( https://bit.ly/2z5VgUy ).
L’utopia di una città ecologicamente sostenibile fatta di tecnologie (costose) meno impattanti : auto elettriche o ibride, mezzi di trasporto elettrici, impianti di riscaldamento ad emissioni zero (pompe di calore. Impianti fotovoltaici, ecc.) sembra difficile da raggiungere vista la situazione economica italiana ed il continuo aumento della popolazione non in grado di avere un reddito in grado di sostenerla ( https://bit.ly/2MCIkas ).
Bisogna come architetti, reagire alle affermazioni che tendono, con troppa facilità, a rendere come ineluttabile il diffondersi delle nuove tecnologie applicate alla città, rendendo le strutture morfologiche, spaziali e architettoniche sempre vetuste (e sempre più velocemente) perchè “non fluide”, mentre per i progettisti “di qualità” rappresentano un patrimonio e una costante di valore insostituibile. Come architetti e progettisti abbiamo difficoltà a pensare che la città 2.0 (o 4.0), destinata ad azzerare gli storici spazi urbani, possa rappresentare un riferimento valido in senso generale anche se le nuove tecnologie (computer portatili, smartphone, ecc.), possono contribuire, con facilità, a rendere più accessibile, fruibile e godibile la città storica.
La formazione universitaria degli architetti d’altronde, dopo anni di crescita segna il passo, sia al sud che al nord ( https://bit.ly/2NeTe7f – https://bit.ly/2IFL8kQ ), una eccessiva liberalizzazione della professione ha fatto si che i numeri dei professionisti architetti in Italia, siano “ai confini della realtà” ( https://bit.ly/1QEtfSG ).
E’ un pericoloso “mix esplosivo” che accomuna la Scuola di Siracusa ad un trend nazionale ed anche internazionale di gettonate Accademie, in odor di crisi d’iscrizioni. S’impone una importante riflessione che travalichi il contesto locale.
La liberalizzazione delle parcelle aggiunge ulteriore mancanza di qualità all’azione professionale ( https://bit.ly/2tVY2We ).
Mentre gli ordini cosa fanno ? Quando va bene , ce la “cantiamo e ce la suoniamo” tra di noi architetti, oggi più che mai con l’obbligo dei crediti formativi, chiusi nelle aule degli ordini professionali (che così hanno trovato un motivo per continuare ad esistere), ed i webinar on-line. Vi è uno scollamento tra l’idea che hanno gli italiani degli architetti (mangiasoldi ad ufo ed incompetenti) ed una professione che, nel Paese della “Grande Bellezza”, dovrebbe essere al centro di una riflessione sociale complessiva su: paesaggio, architettura, ripristino del territorio dal punto di vista idrogeologico, turismo, mobilità, futuro, ecc.. Bisognerebbe iniziare a diffondere (a tutti e per tutti : nelle scuole d’obbligo, agli anziani, ecc.), un sapere disciplinare che troppo spesso è legato solamente ai nomi di un paio di archistar (Renzo Piano, Massimiliano Fuksas….) o alle storielle mediatiche di Alberto Angela sulle architetture del passato. Bisogna ritornare a raccontare, noi architetti, l’architettura ed il paesaggio italiano alla gente comune, in maniera chiara e comprensibile, spiegando il legame indissolubile con una delle professioni più belle al mondo, quando gli è consentito di “dispiegare le ali”.
Non sarà certo una “Legge di tutela della architettura” (e della professione dell’architetto), l’ennesima legge italiana nel coacervo di eccesso di legislazione attualmente vigente, a fare si, che l’architettura (la buona architettura, i bravi architetti, ed anche il buon paesaggio) torni in Italia ad essere un bene comune dal punto di vista culturale, sociale ed economico. Prima c’è molto da fare proprio da parte nostra (di noi architetti) e soprattutto all’interno della nostra professione !
Sesto San Giovanni, 1 luglio 2018
Dario Sironi
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