Quando prenotiamo un hotel online, guardiamo una partita di tennis in streaming o inviamo una mail, dei data center nel mondo devono consumare molta energia e acqua, per conservare ed elaborare le nostre richieste. Una certificazione lanciata in Svizzera, nel 2007, la P.U.E. (Power Usage Effectiveness = Efficacia del consumo energetico) intende identificare e ridurre l’impatto su ambiente e clima delle nostre abitudini digitali e fare della Svizzera una location ideale per data center più ecologici (https://www.swissinfo.ch/ita/crisi-climatica/un-label-svizzero-vuole-rendere-i-data-center-pi%C3%B9-verdi/81947167).
L’edificio, realizzato a Zugo, è stato oggetto del concorso di architettura a inviti bandito nel 2016, appartiene alla grande azienda multiutility regionale Wasserwerke Zug. Fuori terra ospita tre piani a uso ufficio e nei piani interrati è installato il data center di una delle più grandi aziende svizzere di comunicazione via cavo.
La localizzazione dei data center nell’Artico, in altitudine, o sott’acqua offre vantaggi significativi per ridurre l’efficienza dell’utilizzo dell’energia. Il clima naturalmente freddo del l’Artico o della montagna alta, offre un vantaggio intrinseco, consentendo un raffreddamento libero, che riduce la dipendenza dai sistemi di raffreddamento ad alta intensità energetica. Seguendo questa stessa dinamica, i data center subacquei sfruttano l’acqua circostante per dissipare il calore in modo efficiente, migliorando l’efficienza energetica e riducendo il PUE. Queste sedi innovative sfruttano il potere della natura, consentendo operazioni di data center più sostenibili ed ecologiche, ma tutto ciò contribuisce al surriscaldamento del clima terrestre.
A Milano, si tenta una strada innovativa, con la prima partnership industriale in Italia per il recupero di calore dai Data Center destinato al teleriscaldamento: grazie ad A2A, in collaborazione con DBA Group e Retelit (https://www.gruppoa2a.it/it/media/comunicati-stampa/milano-primo-progetto-italia-recupero-calore-data-center), l’energia generata da “Avalon 3”, il più recente data center iperconnesso e sostenibile della società di telecomunicazioni leader in Italia nel B2B, alimenterà la rete cittadina nel Municipio 6.
Il progetto permetterà di servire 1.250 famiglie in più all’anno, consentendo un risparmio energetico di 1.300 tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) e di evitare l’emissione di 3.300 tonnellate di CO2 con benefici ambientali pari al contributo di 24.000 alberi.
I Data center, come tutte le infrastrutture impiantistiche, inserite in contesti urbani o paesaggisticamente rilevanti, necessitano di una configurazione architettonica che ne consenta un inserimento, che abbia una elevata attenzione qualitativa per il costruito ed il paesaggio, che sia in grado di dialogare con il contesto. Se ne è accorto perfino l’Ordine degli Architetti di Milano, che in collaborazione Città metropolitana di Milano, e la Fondazione degli Architetti PPC della provincia di Milano aprono giustamente una riflessione con un dibattito sui Data Center, tema di progetto e oggetto architettonico di crescente impatto nel territorio ( https://ordinearchitetti.mi.it/it/formazione/eventi-formativi/L-%28IN%29SOSTENIBILE-LEGGEREZZA-DEL-DATO-70f6e).
Per altro, la necessità di inserire dal punto di vista paesaggistico le infrastrutture tecniche, ha una sua coniugazione storica che ha esempi pregevoli. Come ad esempio la Centrale Elettrica di Riva del Garda progettata negli anni Venti del Novecento dall’ Architetto Giancarlo Maroni , che appare, dal punto di vista architettonico come un frammento urbano in continuità con il centro storico della cittadina gardesana (https://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_idroelettrica_del_Ponale)
SOPRA –Immagine della centrale di Riva tratta da Google Earth
Rinasce quindi, la necessità di ritornare a ragionare dal punto di vista disciplinare, su come coniugare “impianti”, loro architettura, e paesaggio. Ciò riguarda non solo i data center, ma anche i grandi impianti elettrici, i terminal portuali, le centrali di trasformazione, i grandi complessi ferroviari, ecc..
Un esempio interessante è la nuova sottostazione APG di Nauders (Tirolo), collocata ad un’altitudine: 1.400 m s.l.m..
Nauders è la prima località su territorio austriaco dopo aver attraversato Passo Resia. Si trova su un altipiano soleggiato tra il Passo di Finstermünz e Passo Resia, e vanta una storia lunga e movimentata: già all’età del Bronzo, il passo venne attraversato e al seguito eretto l’insediamento di Nauders. La sua posizione stupenda fa pensare inevitabilmente a maestose vette e passi alpini.
E’ per questo che la progettazione di questo impianto, trasnazionale (Austria/Italia), per migliorare la potenza elettrica insediata nord/sud, ha subito una progettazione paesaggistica particolarmente attenta, sia nella dislocazione dei necessari edifici, e degli impianti, che nella scelta dei materiali di finitura.(https://www.apg.at/en/projects/nauders-substation/#c7574).
La stessa scelta di realizzare molti cavidotti completamente interrati, ben testimonia dell’attenzione per i luoghi dimostrata dai gestori energetici (APG e Terna).
Un altro esempio emblematico di inserimento nel paesaggistico per quanto riguarda le infrastrutture tecniche, è il termovalorizzatore “Amager Bakke” di Copenhagen in Danimarca, progettato da B.I.G. (Bjarke Ingels Group – https://big.dk/), e funzionante dal 2017.
Il “macchinario”, esistente ed in disuso, è stato riconvertito dallo studio della Archistar danese, ed ha una “pelle” ed una composizione architettonica, finalizzate a renderlo parte integrante del paesaggio urbano della capitale danese. Il tetto: un giardino verde inclinato, in estate ed inverno, diventa pista per lo sci (https://www.pantografomagazine.com/copenhill-inceneritore-green-copenaghen/)
Bisogna che gli enti preposti alla realizzazione di questi “impianti”, soprattutto in Italia, dove non c’è una cultura in tal senso, dimostrino in merito una particolare sensibilità, che non può solamente riguardare gli aspetti economici ed impiantistici, o tecnici, bisogna con urgenza occuparsi soprattutto di paesaggio. Lo stesso devono fare le società d’ingegneria a cui di solito è demandata la progettazione esecutiva, magari sviluppando internamente dipartimenti “di qualità” dedicati alla progettazione paesaggistica di queste infrastrutture da proporre nelle loro offerte tecniche, ai committenti.
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Oggi, avendo poco o nulla da fare, a causa di una crisi del settore edilizio, che sta “mordendo sempre di più” (i pagamenti delle fatture sono passati in tre mesi, da 60 giorni a 180 giorni!) , ci siamo messi, in studio, a valutare alcune offerte “free” in rete, in merito al cloud computing. Dato che sarebbe un bel vantaggio condividere in rete file ed in parte il lavoro di disegno e di controllo. Da alcune settimane Google Chrome, ci stimolava a visionare le App del suo Web Store. E così abbiamo fatto. A parte il fatto che in questo negozio virtuale, a farla da padroni sono i giochi in rete : Angry Birds, Plants Zombies, Cargo Bridge, ecc., però da alcune settimane anche le applicazioni per gestire meglio la posta elettronica ed i social network, nonchè quelle per il lavoro, stanno acquisendo sempre più credibilità. Tra queste, oggi abbiamo provato Autocad WS. Dal Web Store di Chrome, una volta creato un account, ti scarichi gratuitamente (free) la tua App, che poi ti appare, insieme alle altre, nella videata del browser (Chrome), a fianco dei siti più visitati. Quindi puoi aprire il programma, che ovviamente è in remoto, per l’appunto in Cloud Computing (o Nuvola che dir si voglia).
La videata di Autocad WS
E’ un programma strepitoso, Autocad WS, che ti consente di lavorare in rete, in gruppo, condividendo lo stesso disegno, chattando per passarsi informazioni e suggerimenti. Insomma una nuova dimensione del nostro lavoro di architetti. Immaginate, tre persone, che si “incontrano” nella “Nuvola” e lavorano, disegnano e discutono di un progetto di architettura che stanno realizzando assieme; uno di questi “inusuali” progettisti, magari stà in un parco, dove wi-fi accede ad una rete pubblica ADSL, l’altro stà comodamente a casa, un altro ancora (più tradizionale) stà in ufficio. Ovviamente all’inizio bisogna caricare un file, in quanto per ora (il programma è di Autodesk) non è possibile generare direttamente un file nuovo. Poi tutto funziona come in un Autocad normale, tutti i comandi sono semplificati, ed alla fine delle attività progettuali è possibile salvare il file in rete, nella “Nuvola”. E’ possibile anche farne, del file, un PDF, caricare immagini, inserire un CTB di stampa. Per ora tutto solamente in 2D, ma è già tantissimo. Inoltre, sempre nel Web Store di Chrome puoi scaricarti un App gratuita per scrivere relazioni o testi sempre in condivisione e nella “Nuvola”. Il tutto (Autocad WS e Testi) ha anche apposite App per funzionare sia sui tablet che sugli smartphone. Se poi a tali strumenti si aggiunge la possibilità di un dialogo, “vis à vis”, via Skype, anche le riunioni di coordinamento appaiono come una cosa antelucana. Inoltre i file in PDF (di disegno e di scritto) che abbiamo generato, li possiamo inviare a mezzo di posta elettronica ad un service, che li stampa e li recapita dove si vuole. La sensazione è che in un futuro molto prossimo, lo studio tradizionale, l’ufficio, statico e costoso, sia definitivamente “morto”, in favore di un telelavoro, dove ognuno sceglie quando erogare la propria prestazione (magari di notte o a frammenti), condividendo solo riunioni operative in rete, nella “Nuvola”. A predominare è il cronoprogramma, la consegna finale, magari con step intermedi. Meraviglioso e tutto gratuito !!!! ????
Avrò 52 anni, tra pochi mesi, se penso che ho iniziato a lavorare a 19 anni (nel 1979) come disegnatore, sulla carta da lucido, con la china, lasciando su quei fogli sudore, ma anche abilità e tempo, tanto tempo, a tracciare linee coerenti ed esteticamente gradevoli. Se penso che anche solamente scegliere la grammatura della carta da lucido era un’arte sopraffina ed ognuno aveva il proprio “stile” e le proprie “manie”. Se penso che nello studio in cui ho iniziato a lavorare, che era “piccolo”, eravamo in quindici persone (c’era chi iniziava squadrando solamente fogli, chi faceva i sottomano a matita, chi disegnava dettagli, ecc.), oggi nel mio studio siamo in tre e “movimentiamo” gli stessi quantitativi di lavoro d’allora. Posso, quindi, tranquillamente dichiarare che il lavoro del “fare architettura” è profondamente cambiato in questi ultimi 30 anni, in meglio o in peggio, non so, certamente è definitivamente cambiato il modello sociale ed economico legato a questo tipo di lavoro, che da manuale si è definitivamente trasformato in virtuale. Rimpianti, assolutamente nessuno, è semplicemente la logica conseguenza dell’evoluzione sociale e tecnologica; anche se poi gli edifici, ancora oggi, è necessario che qualcuno li costruisca “realmente” in maniera fisica………. come allora.
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