Questo articolo, e le relative immagini, sono il frutto del bellissimo sopralluogo notturno dell’edificio per appartamenti Novocomum progettato dall’architetto Giuseppe Terragni a Como, avvenuto il 22 novembre 2025 (nell’ ambito della manifestazione “Slow Lake Como”) tra le ore 18,30 e le 20,00 sotto la colta regia del Presidente dell’Archivio Terragni (Arch. Attilio Terragni).
Ciò ha consentito di poter visionare anche i locali dell’Archivio Terragni e la interessante mostra allestita per l’occasione inerente l’edificio.
Il nome Novocomum della società edificatrice, deriva dall’unione di “Novo” (nuovo) e “comum” (in riferimento a Como); l’edificio è considerato un manifesto del razionalismo architettonico italiano.
Le forme innovative del Novocomum edificato tra il 1927 ed il 1928, e le sue pareti senza decorazioni, scandalizzarono gli ignari discendenti dei comacini, che appellavano la nuova costruzione come un “obbrobrio”.
Anche perché il Novocomum, si andava a collocare (completando un lotto) proprio in adiacenza ad un edificio esistente in stile storicista, ricco di decorazioni.
Il Commissario prefettizio di Como, com’è noto, salutò la prima casa moderna costruita in Italia con un singolare decreto. Vi si leggeva: – In seguito all’avvenuta costruzione in contrasto coi criteri espressi dalla commissione di ornato di un palazzo in stile razionalista….ha nominato una commissione….col compito di stabilire se esso costituisca elemento di deturpazione della zona, ed eventualmente se e di quali modificazioni sia suscettibile – (Stralcio di pagina 13 del bel testo di Mario Labo’ intitolato a Giuseppe Terragni, nella collana edita dalla casa editrice “Il balcone” di Milano, nel 1947).
Rimasta intatta, la casa, anche alle vicissitudini della Seconda Guerra Mondiale fu sarcasticamente battezzata dai comacini “Transatlantico”.
SOPRA – Vista dalla copertura praticabile, a terrazza comune, del Novocomum
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Nell’anno 1956 Carlo Scarpa è insignito del prestigioso premio Olivetti per l’Architettura. In quel periodo l’architetto veneziano era impegnato, oltre agli interventi a Ca’ Foscari, ad alcuni allestimenti espositivi. Carlo Scarpa aveva appena concluso la realizzazione di palazzo Abatellis a Palermo ed il padiglione del Venezuela ai Giardini della Biennale. Soprattutto era impegnato nella conclusione di quel capolavoro di luce che è la Gipsoteca canoviana a Possagno. Nel 1957 Carlo Scarpa viene incaricato, direttamente da Adriano Olivetti, della progettazione del nuovo negozio in piazza San Marco. Olivetti intende realizzare una vetrina per esibire il lavoro della impresa di famiglia in Italia.
Piccolo invaso d’acquacon scultura “Nudo al sole” di Alberto Viani
Lo spazio individuato si trova in un punto privilegiato sotto i portici delle Procuratie Vecchie all’angolo con il sotto-portego e la corte del Cavalletto, in piazza San Marco. Il nuovo ambiente di vendita viene inaugurato il 26 novembre 1958. Il negozio si presenta, come uno spazio museale, esaltato da una scelta sapiente dei materiali, completamente aperto verso l’esterno, con le quattro campate angolari, che si proiettano nella Piazza.
Al piano superiore trovano posto l’esposizione delle macchine da scrivere e di calcolo prodotte dalla Olivetti insieme ad alcuni ambienti d’ufficio, che mostrano la sapiente capacità dell’architetto veneto nell’orchestrare i volumi e gli spazi.
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LUNGO IL CONFINE CON MILANO – il tramonto a Sesto San Giovanni
Un confine osmotico ma unidirezionale. L’area metropolitana (o città metropolitana) di Milano ha circa 3.247.623 abitanti al 1° gennaio 2023.
Se togliamo la popolazione del comune di Milano, che è di circa 1.458.170 abitanti (previsti nel 2025) nello stesso periodo, rimangono circa1.789.453 abitanti nei comuni metropolitani escluso Milano. Eppure gli abitanti dell’ Area Metropolitana che studiano, lavorano, consumano sanità, eventi e soprattutto acquisti, ecc. a Milano, e di fatto passano lì la maggior parte del loro tempo, non è riconosciuto il diritto di decidere dal punto di vista politico chi li deve amministrare.
Una evidente incongruenza, che si ripeterà l’anno prossimo con le Amministrative milanesi.
Ma la cosa peggiore, sono i residenti entro i confini comunali di Milano. Avendo acquisito la residenza per nascita o per trasferimento, la conservano a caro prezzo. Essi quindi, non “leggono” gli altri 132 comuni, se non per riempirsi la bocca con il termine “metropolitano” solo all’abbisogna.
Questa incongruenza, insiste da decenni ed è di difficile elaborazione, tanto che anche nelle persone più acculturate, permane indefessa.
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Nel 1215, con l’insediamento dei Frati Crociferi e la costruzione della chiesa intestata a San Leonardo, viene istituito il monastero che darà la denominazione alla località, posta nel comune di Avio nel Trentino.
I Frati Crociferi, noti anche come Crocigeri o Cruciferi, erano un antico ordine religioso ospedaliero fondato in Italia nel Medioevo, il cui nome derivava dall’usanza di portare una croce. Approvati da Papa Alessandro III, gestivano ospedali e vennero soppressi nel 1656 da Papa Alessandro VII.
E’ del 1646 il primo documento che attesta la presenza della famiglia Gresta poi De Gresti nella Tenuta.
Per la presenza della famiglia Guerrieri Gonzaga (di origine mantovana) in Trentino si deve attendere il 1894 quando il Marchese Tullo, nonno di Carlo Guerrieri Gonzaga, sposò Gemma de Gresti, alla cui famiglia apparteneva da quasi due secoli la Tenuta San Leonardo.
Fu il figlio di Gemma De Gresti e del Marchese Tullo Guerrieri Gonzaga di Montello, sposatisi nel 1890 : Anselmo, ad utilizzare la proprietà con nuovo spirito imprenditoriale e a introdurre grandi cambiamenti ed innovazioni spinto dalla sua innata passione per l’enologia.
Nel 1724, la tenuta inizia a produrre e commercializzare vino come attività economica. Nel 1770 i De Gresti acquistano tutta la Tenuta dalla Chiesa.
Nel 1874 si ha la costruzione della Villa Gresti, destinata ad accogliere tutta la famiglia. Edificata alla fine dell’Ottocento in un evidente Stile Liberty; durante la Prima Guerra Mondiale è stata sede del Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano che gestì i rapporti con gli invasori austriaci incaricati di discutere l’Armistizio (L’armistizio di Villa Giusti venne firmato il 3 novembre 1918 nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino, a Padova, fra l’Impero austro-ungarico e l’Italia. Entrò in vigore a partire dal giorno dopo, il 4 novembre 1918).
Oggi la Villa è residenza della famiglia Guerrieri Gonzaga.
SOPRA – Screenshot tratto dal sito “sanleonardo.it”
Oggi tutta la Tenuta di San Leonardo ad Avio, è di fatto, oltre che una realtà produttiva eccellente dal punto di vista vitivinicolo, è una vera e propria opera di paesaggio, un magnifico giardino, in cui si fondono necessità di antropizzazione umana ed un sapiente addomesticamento della natura primigenia, di cui la pianta della vite da vino (Vitis vinifera) non è solo una pianta agricola, ma una compagna della Specie Umana, un simbolo che ha accompagnato riti religiosi, scambi commerciali, e identità culturali per millenni.
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Sai, essere libero Costa soltanto Qualche rimpianto Sì, tutto è possibile Perfino credere Che possa esistere Un mondo migliore Un mondo migliore Un mondo migliore Un mondo migliore
(Vasco Rossi, un Mondo migliore, 2016)
Ennesima lettera, e probabilmente ultima, di dimissioni da organi comunali farlocchi, la cui terminologia nasconde in realtà la volontà opposta DISTRUGGERE IL PAESAGGIO.
Una DISTRUZIONE, che cerca la legittimazione legislativa (e politica), attraverso organi costituiti da liberi professionisti, non pagati, selezionati in base alla loro esperienza curriculare,
Quel “paesaggio lombardo” dove ogni giorno, sotto la pressione antropica di quasi undici milioni di residenti, si può assistere ormai da parecchio tempo, ad ogni nefandezza possibile. A scapito dei cittadini, presenti e futuri, puntualmente INGANNATI sulla eventuale salvaguardia paesaggistica.
Porvi argine sembra una cosa ormai IMPOSSIBILE, come credere che possa esistere UN MONDO MIGLIORE.
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Sono passati più di trent’anni, da quando Giorgio Grassi, il “Guru” milanese della “costruzione logica dell’architettura” (libretto del 1967, ma diventato nel tempo quasi un manuale) completava in Spagna con Manuel Portaceli la ristrutturazione/ricostruzione/consolidamento del teatro romano della cittadina di Sagunto, operazione destinata a diventare oggetto di infinite querelle e dibattiti tanto ampi da abbracciare anche la stessa definizione di restauro.
Per chi, come lo scrivente, era stato in quegli anni Ottanta del Novecento, studente del Politecnico di Milano, “Giorgino” era una specie di VATE, con un suo seguito di discepoli adoranti e fedelissimi. Una figura autorevole, severa, quanto colta, a cui tutti mendicavano una tesi o un esame di Composizione Architettonica. Con il tempo gli adepti divennero “quasi una setta”.
Tutto ciò ha fatto nascere un dibattito su cosa sia un “restauro”, anche perchè i resti del Teatro erano vincolati. Nel 1985 la rivista “Arquitectura” di Madrid pubblicava il progetto per il teatro di Sagunto, ideato dagli architetti Giorgio Grassi e Manuel Portaceli: animato da una profonda critica ai tradizionali metodi di restauro, tale progetto fu considerato di grande interesse culturale. “Attualmente il teatro di Sagunto si presenta, in larga misura, come una rovina artificiale”: con queste parole Giorgio Grassi e Manuel Portaceli commentavano lo stato in cui giaceva l’antico teatro romano di Sagunto, risalente al I secolo d.C. e avviavano il loro ragionamento sul progetto. La scomparsa quasi totale del muro del post-scaenium rompeva l’unità architettonica tipica della scatola scenica romana e provocava l’impressione di trovarsi di fronte alle rovine di un teatro alla greca, appoggiato sul pendio del monte e rivolto verso il paesaggio circostante. L’intervento di Grassi e Portaceli si poneva l’obiettivo di restituire l’unità architettonica originaria dell’edificio, che il tempo e i restauri precedenti avevano compromesso.
La base antica del Teatro, viene, nel progetto, come scrive lo stesso Giorgio Grassi su Domus n° 756 del gennaio 1994 “contemporaneamente rispettata e violata, rimettendo in servizio il teatro attraverso un suo completamento funzionale e l’assunzione della matrice razionale delle sue strutture originarie”.
Fino dal giorno in cui il cantiere fu compiuto, l’intervento sul Teatro di Sagunto non ha smesso mai di essere oggetto di polemiche e lo spettro della demolizione fu invocato più volte, benchè l’opera avesse avuto l’approvazione dalle autorità competenti. Venne impugnato ad ostaggio di una vertenza strumentale, tutta legata ad interessi di potere politico. Dopo 17 anni di contesa giudiziaria, viene fatto circolare, nel 2008 un Manifesto contro la demolizione. La Sovraintendenza di competenza fece fare degli studi sulla possibilità di ripristinare la situazione dei reperti ante intervento di Grassi/Portaceli. Studi che giunsero alla conclusione che era ormai impossibile ripristinare i luoghi ed i reperti.
Nel corso del tempo, sono tornato parecchie volte in “pellegrinaggio” al Teatro di Sagunto, quasi per penitenza, o meglio per vaccinarmi; e sempre questo metodo di restauro (se così lo si può chiamare) non mi ha mai convinto. Più che una “violenza” lo trovo un vero e proprio stupro architettonico.
Il “cassone ricostruttivo”che domina la cittadina di Sagunto (1985/1993) – Immagine tratta da Google Earth
I reperti archeologici, della cavea, celati dall’inconsueto intervento ricostruttivo di Giorgio Grassi (1985). Comprese le “oscene” poltroncine in materiale plastico, da stadio.
SOPRA –Immagine tratta da Google Earth
Il cemento armato, appoggiato sui reperti archeologici del basamento del Teatro romano, banalmente rivestito in mattonidi laterizio. Una operazione banale di nascondimentoscenografico,probabilmente concordata con i detentori del vincolo sui reperti.
La ricostruzione di Grassi/Portaceli è visibile da ogni punto della cittadina di Sagunto (da Google Earth)
La questione del restauro di un Teatro romano, è quanto mai viva oggi, che David Chipperfield si appresta a ricostruire quello di Brescia collocato nell’area archeologica di Brixia. Il progetto mira a restituire al monumento la sua natura di spazio vivo, culturale e urbano, al servizio della città.
Diversi sono i presupposti progettuali, finalizzati ad una progettazione partecipata. Il progetto sarà il frutto di un ampio lavoro preparatorio: rilievi laser scanner, studio storico, e soprattutto dialogo con istituzioni e cittadinanza. La Regione Lombardia ha sostenuto un percorso di sensibilizzazione pubblica, culminato in un ciclo di conferenze sul Teatro Romano. Importante anche la sinergia con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio che, con Fondazione e Comune, garantirà un dialogo ed un controllo costante durante le fasi di scavo e progettazione esecutiva.
I lavori si svolgeranno a cantiere aperto, permettendo al pubblico di assistere alla trasformazione del sito. Diversamente dal Teatro romano di Sagunto, non sarà ricostruita la scena del Teatro, nè si poserranno, delle sedute in materiale plastico nella cavea.
Immagine aerea tratta da Google Earth del Teatro Romano di Brescia
La chiesa venne progettata negli anni Cinquanta del Novecento a completamento del nuovo insediamento di Metanopoli (San Donato Milanese), voluto da Enrico Mattei
( https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Mattei ) per l’Headquarter dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) con annesse le residenze per i dipendenti. La chiesa venne dedicata a Santa Barbara in quanto patrona delle attività minerarie e quindi anche dell’attività di ricerca e produzione idrocarburi svolta dall’ENI. Molte lapidi, nelle cappelle, ricordano i dipendenti ENI caduti sul lavoro.
La chiesa fu collocata al centro dell’insediamento, di fronte a un’ampia piazza, e venne fiancheggiata dalla casa parrocchiale, dal battistero e dal campanile.
Soffitto con pannelli di Andrea Cascella
Il progetto fu redatto, nel 1952, dall’architetto dell’ENI Mario Bacciocchi
( https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Bacciocchi ), e la costruzione fu completata nel 1954. La chiesa fu elevata in parrocchia nel 1963, da Paolo VI, per servire le necessità spirituali di una comunità in crescita demografica costante.
La chiesa, per volontà del Bacciocchi e soprattutto di Mattei, fu arricchita da una serie di opere d’arte, dei migliori artisti degli anni Cinquanta. L’idea era di fare un’opera che rivaleggiasse con le chiese storiche italiane.
Sulla piazza, si apre un portico con dei possenti pilastri a setto, che ripara i tre portali d’ingresso, di cui quello centrale fu disegnato dai fratelli Arnaldo e Giò Pomodoro. L’interno è a navata unica, con un transetto di larghezza limitata, ed è corredato da numerose di opere d’arte, di cui le maggiori sono i pannelli che decorano il soffitto, di Andrea Cascella, la Via Crucis (scultorea a bassorilievo)di Pericle Fazzini, la pale della Madonna della Speranza di Bruno Cassinari, la cappella di Sant’Antonio di Franco Gentilini ed il maestoso mosaico absidale della Crocifissione di Fiorenzo Tomea (Zoppè di Cadore, Belluno, 1910 – Milano, 1960), il terzo per grandezza tra i mosaici a parete europei ed primo in Italia.
Se passate da San Donato Milanese, oltre agli “eleganti deliri” di Thom Mayne (Morphosis Architects) per il costosissimo VI Palazzo Uffici AGIP/SNAM (https://it.wikipedia.org/wiki/Sesto_palazzo_degli_uffici_ENI), certamente non fatevi sfuggire questa “chicca” dei favolosi Anni Cinquanta del Novecento.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate
SOPRA – Planimetria (tratta da Google Earth) delle relazioni tra Palazzo Citterio ed il complesso di Brera
Nel giardino di Palazzo Citterio (ampliamento della Pinacoteca dell’Accademia di Brera – https://pinacotecabrera.org/grande-brera/), che presto sarà collegato con il meraviglioso Orto Botanico di Brera (https://ortibotanici.unimi.it/orto-botanico-di-brera/), una delle opere presenti nel Giardino del Palazzo, sarà l’arcaico muro, destinato a definirne parte della recinzione, denominato dallo stesso autore Mimmo Paladino: “Dei Longobardi”.
Il muro, realizzato dall’artista originario di Paduli, con gli stessi criteri costruttivi di riuso adottati dai, così detti (erroneamente) “Barbari germanici”, definiti Longobardi. Essi hanno attraversato un po’ tutta la penisola italica, concretizzando il Regno Longobardo, tra il 568-569 d.C. (invasione dell’Italia bizantina) e il 774 d.C. (caduta del Regno a opera dei Franchi di Carlo Magno), per loro era consuetudine riutilizzare i residui delle civiltà precedenti, e nella penisola, trovarono soprattutto, i resti dell’Impero Romano (la cui caduta avvenne nel 476 d.C.), per ricostruire, per ricomporre, per definire i propri edifici, i propri muri, le città. (https://www.exibart.com/speednews/milano-art-week-8-palazzo-citterio-apre-al-contemporaneo-ne-parliamo-con-mimmo-paladino/).
SOPRA – Tre immagini che restituiscono l’attività creativa in merito al “Muro Longobardo” di Mimmo Paladino (immagini fotografate alla mostra di Palazzo Citterio)
Il Muro dei Longobardi costituito da pietre riutilizzate, sovrapposte con sapienza dall’artista, definiscono una serie di nicchie, di aperture, in cui saranno collocati dei “frammenti” di reperti archeologici, opere dello stesso Paladino.
Immagine del “Muro” tratta dal numero di Exibart del 11-04-2018, dall’articolo a firma M. B. Ferri
SOPRA – Planimetria della “Collina di Ermes”, con localizzato il “Muro” di Mimmo Paladino
SOPRA – Il porticato del Lungarno degli Archibusieri e l’inizio del Corridoio Vasariano dal primo piano della Galleria degli Uffizi
Il Corridoio Vasariano a Firenze, chiuso nel 2016 per consentire l’adeguamento alle norme di sicurezza, ed ad un consolidamento statico, è stato interamente restaurato (l’ultimo intervento risale agli anni Novanta).
Lungo circa 750 metri, fu progettato dall’architetto Giorgio Vasari nel 1565, e fu realizzato in soli nove mesi per volere dell’allora duca Cosimo I de’ Medici (Duca di Firenze dal 6 gennaio 1537 al 21 agosto 1569; Granduca di Toscana dal 21 agosto 1569 al 21 aprile 1574, anno della sua morte). I regnanti fiorentini, lo usavano per raggiungere Palazzo Vecchio dalla loro reggia di Palazzo Pitti indisturbati e senza correre rischi per la loro incolumità.
Il Corridoio appare oggi completamente spoglio dei circa 2.000 reperti artistici che prima conteneva (soprattutto ritratti e disegni). Questi sono stati distribuiti al primo piano della Galleria degli Uffizi, nella parte di sale che anticipano l’ingresso al Corridoio Vasariano.
Il Corridoio appare luminoso, minimalista; con i muri bianchi che evidenziano le apertura panoramiche delle finestre e gli “oculi” tondi; ed il pavimento rosso di cotto toscano, non fa che accentuare il ruolo “quasi di quadri” delle aperture. Questo attuale allestimento titilla gli utenti a riflettere sul paesaggio urbano, sulla città, sui rapporti di questa con l’arte.
SOPRA e SOTTO – Immagini del Corridoio Vasariano
Scevro dal coacervo di opere d’arte che c’era prima (soprattutto ritratti), ci si concentra sulle viste panoramiche di Firenze, in quella perfetta ed unica fusione tra ARCHITETTURA/URBANISTICA/PAESAGGIO/ARTE che è l’opera vasariana. Una pausa soprattutto provenendo dal bellissimo, ma stordente, “bombardamento visivo” della Galleria degli Uffizi.
Come scriveva il grande critico e Storico dell’Arte, Philippe Daverio (Mulhouse, 17 ottobre 1949 – Milano, 2 settembre 2020): “La gente di solito va nei musei e guarda quattrocento quadri in un’ora e mezza. Torna con dei piedi gonfi così e va alla ricerca di una Coca-Cola tiepida per dimenticare l’esperimento. I luoghi dove stanno i quadri si chiamano pinacoteche, come esistono i luoghi dove stanno i libri che si chiamano biblioteche. Nessuno va in biblioteca e legge tutti i libri. Uno che va in una pinacoteca, in un museo, dovrebbe andare a vedere due quadri. All’inizio, a mio parere, addirittura uno solo. Quello che l’ha fatto il quadro spesso ci ha messo anni a farlo. O anche due mesi a farlo… Cosa mi dà il diritto a me di guardarlo in venticinque secondi? Quando erano in Chiesa, la gente li vedeva da quando nasceva a quando moriva: tutta la vita. E adesso deve vederlo in un minuto mentre stai correndo al quadro prossimo”.
SOPRA – La Torre dei Mannelli
Il percorso, si dipana, in quota di uno spettacolare porticato, adiacente il Fiume Arno, e dal Lungarno degli Archibusieri; ed attraverso Ponte Vecchio (passando di fatto sopra ai tetti delle botteghe lì insediate), raggiunge la Torre dei Mannelli (Questa torre è l’unica superstite dei quattro “capi di ponte”, cioè le torri che controllavano un ponte ai quattro angoli).
Da quì, sempre in quota alta, il Corridoio Vasariano, si dipana per passare in adiacenza alla facciata della Parrocchia di Santa Felicita al Ponte Vecchio (da dove i regnanti fiorentini potevano, grazie ad ampie finestre assistere alle funzioni).
SOPRA – Le Finestre che consentono di osservare la navata della Chiesa di Santa Felicita
Quì sopra vista dall’interno della Chiesa di Santa Felicita al Ponte Vecchio, dove chiaramente si ravvisano le finestre per osservare il culto, con la relativa balconata.
Vista della facciata della Chiesa di Santa Felicita al Ponte Vecchio, con evidente il Corridoio Vasariano (Immagine tratta da Google Maps)
Attraverso la Sagrestia, della Chiesa di Santa Felicita, il Corridoio, percorribile solo in direzione Uffizi-Giardino di Boboli, attraverso alcuni immobili privati, si prosegue anche con ponti: si uscirà dalla porta di fianco alla Grotta Buontalenti (immagine sottostante realizzata tra il 1583 ed il 1593), progettata da Bernardo Buontalenti (1531-1608) per il Granduca Francesco I de Medici (1541-1587), per raggiungere l’uscita dal cortile di Palazzo Pitti.
SOPRA – La corte di Palazzo Pitti
SOPRA – La Fontana del Buontalenti
Nel 1938 Benito Mussolini fece realizzare delle grandi finestre che consentivano delle viste panoramiche, al centro del ponte in occasione della visita ufficiale di Adolf Hitler (che avvenne a maggio) per stringere, quello che fu definito, l’Asse fra Italia e Germania. Si dice che la vista fu molto gradita al Führer ed ai gerarchi nazisti che poterono goderne.
SOPRA –Finestre realizzate nel 1938, per volere di Mussolini, con finalità panoramiche(Riquadro Rosso)
SOPRA – La facciata Sud/Est di Ponte Vecchio, dove sui identifica chiaramente il soprastante Corridoio Vasariano
SOPRA – Vista del Corridoio Vasariano tra il Lungarno degli Archibusieri e Ponte Vecchio
SOPRA – Vista dalle finestre volute nel 1938 da Mussolini per la visita in città di Hitler
SOPRA – Vista da una delle finestre del Corridoio Vasariano, soprastante il portico del Lungarno degli Archibusieri
SOPRA – Il parapetto vitreo, di un’uscita di sicurezza. Uno dei pochi interventi visibili della ristrutturazione del Corridoio Vasariano.
SOPRA – Via De’ Guicciardini vista dal Corridoio Vasariano
SOPRA – La facciata Nord/Ovest di Ponte Vecchio, dove si identificano chiaramente, sulla destra, le finestre del Corridoio Vasariano volute da Mussolini nel 1938.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate