Il noto architetto e docente, con un suggerimento culinario colto, in fregio ad un mio post su FB, citando le “Grenouilles alla Lionese”, si riferisce a rane saltate in padella, tipicamente infarinate ad arte e servite con una salsa a base di burro, aglio e prezzemolo, spesso accompagnate da limone. È una preparazione classica della cucina francese, in particolare della regione di Lione.
Ma come abbinare il suggerimento all’architettura?
Proprio sotto il Convent de la Tourette, nel piccolo comune di Éveux situato nella zona di L’Arbresle nei pressi di Lione, insiste una grande cisterna per l’acqua, che nei mesi estivi si riempie di rane. Anzi potremmo tranquillamente affermare, che è “infestata” dalle rane. Rane di cui pare, il Reverendo Padre Marie-Alain Couturier, che commissionò a Le Corbusier la costruzione del nuovo Convento, andasse molto ghiotto.
L’opera, in “beton brut” è coeva alla costruzione del convento lecorbuseriano, edificato per i frati domenicani tra il 1956 ed il 1957.
Un’opera “marginale”, tecnica, da sempre sottovalutata dagli storici, un pò come è successo, per il “Depot des ordures” dell’Unitè d’Habitation di Marsiglia, di cui abbiamo già trattato in un articolo su questo Blog.
Un’opera che ha nella forma planimetrica, a “fontana absidale”, forse la sua caratteristica più interessante.
Sopra planimetria con localizzata la cisterna delle rane, tratta da Google Earth
Giunti nella tarda mattinata al Convento lecorbuseriano, a mezzodì già ci trovavamo, con le gambe sotto ad un tavolo di una Brasserie ad Eveax sur l’Arbresle (suggeritaci dal nostro accompagnatore alla visita dell’opera di LC), a gustare le uno dei piatti più iconici e curiosi della cucina francese che sono senza dubbio le rane.
Le rane, o “cuisses de grenouille” in francese, rappresentano un’autentica delizia per molti e una curiosità culinaria per altri.
Le rane sono state consumate in Francia fin dall’antichità. La loro popolarità crebbe significativamente durante il Medioevo, quando venivano considerate una fonte preziosa di proteine, specialmente durante i periodi di digiuno ecclesiastico, quando la carne era proibita. Con il tempo, le rane divennero una specialità gastronomica apprezzata in diverse regioni della Francia, soprattutto nelle zone umide e paludose dove le rane erano abbondanti.
Inconsueto, ma non del tutto raro, è trovarle qui ad un’altitudine di circa 320 metri sul livello del mare.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate
Sono passati più di trent’anni, da quando Giorgio Grassi, il “Guru” milanese della “costruzione logica dell’architettura” (libretto del 1967, ma diventato nel tempo quasi un manuale) completava in Spagna con Manuel Portaceli la ristrutturazione/ricostruzione/consolidamento del teatro romano della cittadina di Sagunto, operazione destinata a diventare oggetto di infinite querelle e dibattiti tanto ampi da abbracciare anche la stessa definizione di restauro.
Per chi, come lo scrivente, era stato in quegli anni Ottanta del Novecento, studente del Politecnico di Milano, “Giorgino” era una specie di VATE, con un suo seguito di discepoli adoranti e fedelissimi. Una figura autorevole, severa, quanto colta, a cui tutti mendicavano una tesi o un esame di Composizione Architettonica. Con il tempo gli adepti divennero “quasi una setta”.
Tutto ciò ha fatto nascere un dibattito su cosa sia un “restauro”, anche perchè i resti del Teatro erano vincolati. Nel 1985 la rivista “Arquitectura” di Madrid pubblicava il progetto per il teatro di Sagunto, ideato dagli architetti Giorgio Grassi e Manuel Portaceli: animato da una profonda critica ai tradizionali metodi di restauro, tale progetto fu considerato di grande interesse culturale. “Attualmente il teatro di Sagunto si presenta, in larga misura, come una rovina artificiale”: con queste parole Giorgio Grassi e Manuel Portaceli commentavano lo stato in cui giaceva l’antico teatro romano di Sagunto, risalente al I secolo d.C. e avviavano il loro ragionamento sul progetto. La scomparsa quasi totale del muro del post-scaenium rompeva l’unità architettonica tipica della scatola scenica romana e provocava l’impressione di trovarsi di fronte alle rovine di un teatro alla greca, appoggiato sul pendio del monte e rivolto verso il paesaggio circostante. L’intervento di Grassi e Portaceli si poneva l’obiettivo di restituire l’unità architettonica originaria dell’edificio, che il tempo e i restauri precedenti avevano compromesso.
La base antica del Teatro, viene, nel progetto, come scrive lo stesso Giorgio Grassi su Domus n° 756 del gennaio 1994 “contemporaneamente rispettata e violata, rimettendo in servizio il teatro attraverso un suo completamento funzionale e l’assunzione della matrice razionale delle sue strutture originarie”.
Fino dal giorno in cui il cantiere fu compiuto, l’intervento sul Teatro di Sagunto non ha smesso mai di essere oggetto di polemiche e lo spettro della demolizione fu invocato più volte, benchè l’opera avesse avuto l’approvazione dalle autorità competenti. Venne impugnato ad ostaggio di una vertenza strumentale, tutta legata ad interessi di potere politico. Dopo 17 anni di contesa giudiziaria, viene fatto circolare, nel 2008 un Manifesto contro la demolizione. La Sovraintendenza di competenza fece fare degli studi sulla possibilità di ripristinare la situazione dei reperti ante intervento di Grassi/Portaceli. Studi che giunsero alla conclusione che era ormai impossibile ripristinare i luoghi ed i reperti.
Nel corso del tempo, sono tornato parecchie volte in “pellegrinaggio” al Teatro di Sagunto, quasi per penitenza, o meglio per vaccinarmi; e sempre questo metodo di restauro (se così lo si può chiamare) non mi ha mai convinto. Più che una “violenza” lo trovo un vero e proprio stupro architettonico.
Il “cassone ricostruttivo”che domina la cittadina di Sagunto (1985/1993) – Immagine tratta da Google Earth
I reperti archeologici, della cavea, celati dall’inconsueto intervento ricostruttivo di Giorgio Grassi (1985). Comprese le “oscene” poltroncine in materiale plastico, da stadio.
SOPRA –Immagine tratta da Google Earth
Il cemento armato, appoggiato sui reperti archeologici del basamento del Teatro romano, banalmente rivestito in mattonidi laterizio. Una operazione banale di nascondimentoscenografico,probabilmente concordata con i detentori del vincolo sui reperti.
La ricostruzione di Grassi/Portaceli è visibile da ogni punto della cittadina di Sagunto (da Google Earth)
La questione del restauro di un Teatro romano, è quanto mai viva oggi, che David Chipperfield si appresta a ricostruire quello di Brescia collocato nell’area archeologica di Brixia. Il progetto mira a restituire al monumento la sua natura di spazio vivo, culturale e urbano, al servizio della città.
Diversi sono i presupposti progettuali, finalizzati ad una progettazione partecipata. Il progetto sarà il frutto di un ampio lavoro preparatorio: rilievi laser scanner, studio storico, e soprattutto dialogo con istituzioni e cittadinanza. La Regione Lombardia ha sostenuto un percorso di sensibilizzazione pubblica, culminato in un ciclo di conferenze sul Teatro Romano. Importante anche la sinergia con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio che, con Fondazione e Comune, garantirà un dialogo ed un controllo costante durante le fasi di scavo e progettazione esecutiva.
I lavori si svolgeranno a cantiere aperto, permettendo al pubblico di assistere alla trasformazione del sito. Diversamente dal Teatro romano di Sagunto, non sarà ricostruita la scena del Teatro, nè si poserranno, delle sedute in materiale plastico nella cavea.
Immagine aerea tratta da Google Earth del Teatro Romano di Brescia
Il Campus si trova tra la Stazione delle Ferrovie Nord Milano di Bovisa, e quella delle Ferrovie delle Stato di Villapizzone. Una stratificazione di edifici, che si è andata realizzando nel corso del tempo.
Tra gli edifici più interessanti, dal punto di vista architettonico, soprattutto negli interni, proprio quello d’ingresso, il BL 28 in via Labruschini 4, che contiene anche la Biblioteca del Campus (https://sg-gallerylive.it/index.php/cantieri/bl28-politecnico-di-milano/). Edificio riqualificato negli interni, qualche anno fa, dall’Architetto Lola Ottolini.
Un progetto EN LAB sviluppato dal Politecnico di Milano, Area Tecnico Edilizia, sotto la direzione dell’Architetto Daniel Marcaccio, come progettista e direttore dei lavori. Il progetto definitivo è stato sviluppato dalla società di ingegneria Politecnica, come responsabile l’Architetto Gianfranco Tedeschi. Mentre l’Architetto Eleonora Zucchelli(AEGIS Cantarelli + Partners) e l’ing. Donato Romano (ETS spa), è stato incaricato per lo sviluppo del progetto esecutivo.
Si “respira architettura” a guardare l’edificio inaugurato nel 2022, denominato : “Collina degli studenti” realizzato nel campus La Masa/Lambruschini di Bovisa del Politecnico di Milano; si tratta di un edificio (1.900 metri quadrati interni e altri 2.200 esterni) disposti su tre livelli per ospitare studenti, laboratori e spazi per docenti. Un edificio “materico ed interessante” che ha avuto come “registra” il prof. Arch. Emilio Faroldi Prorettore Vicario del Politecnico (https://www.polimi.it/fileadmin/user_upload/comunicati_stampa/1652186319_Comst_Collina_degli_Studenti.pdf)
Qui sotto alcune fotografie degli edifici, e degli spazi esterni, realizzati nel corso del tempo, nel Campus Polimi La Masa/Lambruschini.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate.
Tre giorni, una estate (dall’8 al 11 agosto 2019), per assatanati di cultura : architetture, paesaggi, musei………..e cibo. Compresa una breve digressione in treno a Malmoe in Svezia, la città di Greta Thunberg, dove si arriva comodamente attraverso il maestoso ponte di Oresund.
Forse una delle più belle, ed ecologiche città d’Europa; veramente SMART. La bicicletta come stile di vita.
Città che è stata nel 2023 capitale Mondiale dell’Architettura, con il congresso dell’U.I.A. (Unione Internazionale degli Architetti). Una città che è una vera e propria BIBLIOTECA ALL’APERTO dell’Architettura.
Una città che, sembra assurdo, è anche molto, molto “balneare”.
Quì sotto il LINK ad una MAPPA che racconta la visita localizzando i luoghi.
Mentre l’Universo si disfa in un mare di entropia (disordine)………la luce, i colori, la bellezza di un tramonto, colto da una finestra in riva al mare, sembrano essere l’unica salvezza possibile, l’ultimo disperato tentativo di dare un ordine al caos.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate
Dall’alto domina la piana di Magadino a 230 metri sopra il livello della città. Tipica fortezza sforzesca, le sue masse murarie, per compenetrazione di volumi, sono ridotte all’essenzialità di una figura geometrica. Si deve la sua costruzione per ordine del Duca di Milano nel 1479 in poco più di sei mesi di lavoro dopo la battaglia di Giornico. Dai bellinzonesi è detto anche Castello di Cima. Dal 2000 è inserito insieme a Castelgrande ed al castello di Montebello, come un bene UNESCO.
Questo fortilizio austero e dalla planimetria semplice ed essenziale, fu innalzato per garantire al meglio la chiusura della Valle del Ticino, con lo scopo di arginare le popolazioni provenienti dal Nord delle Alpi, ed istituire dazi al passaggio delle merci. Dopo il 1798, lentamente venne completamente abbandonato.
Sede rappresentativa del locale Partito Fascista, come Casa del Fascio fu edificata tra il 1936 ed il 1940. Attualmente dopo una manutenzione delle facciate, quella che è stata denominata ora “Casa della Libertà”, rivestita in marmo bianco-rosato di Zandobbio (https://shorturl.at/tzRTZ), restituisce il meglio di questo prezioso materiale geologico locale.
Il progettista : Alziro Bergonzo (30 dicembre 1906 – 22 maggio 1997) è stato un raffinato architetto e pittore italico, esponente del razionalismo. La sua attività è stata caratterizzata da grande professionalità ed attenzione formale – https://it.wikipedia.org/wiki/Alziro_Bergonzo
Altre opere eccellenti dell’architetto Bergonzo, sono :
Casa dell’Opera nazionale balilla, poi Auditorium Modernissimo, Nembro (1936);
“Casa del Fascio”, Municipio di Nembro, Nembro, 1940;
Villa Trussardi, via Diaz/Cadorna, Bergamo (1945), demolita nel 2012;
Sistemazione del Lido di Venezia, 1946;
Cinema Teatro Manzoni, Milano (1946-50).
La parete di fondo del portico ha una fascia basamentale rivestita di pietre con taglio a punta di diamante, coronata da un fregio con otto formelle a bassorilievo dello scultore Leone Lodi con soggetti tra cui “Il lavoro della terra”, “L’unione coniugale”, “I mestieri” e la “Navigazione”. – https://it.wikipedia.org/wiki/Leone_Lodi
Sopra l’ampio ingresso profilato da una cornice con cassettoni circolari – motivo ripreso anche nella copertura del portico -, il prospetto è unito ai quattro pilastri centrali da una scala che collega il primo piano con la balconata per i discorsi pubblici, attrezzata con un podio mobile in rame. Superata la scala di accesso, decorata ai lati da sei bassorilievi di Edoardo Villa raffiguranti protagonisti della storia bergamasca, si entra nell’atrio monumentale, originariamente illuminato da vetrate e lucernario.
In occasione di Bergamo/Brescia capitali italiane della cultura 2023, all’interno della sala per le adunata, è stata allestita una bella mostra a cura dello Studio Luca Molinari, dal titolo: “BERGAMO ’23. VISIONI PER UN FUTURO PRESENTE” – https://shorturl.at/azG14
SOPRA – Edificio Sarca OPEN 336, Park Associati 2023
Una presenza fortemente rappresentativa della “verzura” è ormai un fatto consolidato nell’edificato terziario che si realizza a Milano, e ciò al di là della sostenibilità espressa per regolamenti vigenti e/o certificazioni (Leed, Breeam, Well, ecc.).
Rendere sempre più “appetibili”, dal punto di vista della percezione ambientale, i nuovi interventi è ormai un “must” irrinunciabile, all’epoca del “Disastro Climatico Planetario”.
Rendere percepibile uno sforzo (anche economico) per contrastare il “Climate Change” è un atto dovuto che deve essere trasmesso anche visivamente ai committenti, agli utenti, ma soprattutto alla Pubblica Amministrazione.
Due recenti interventi di terziario all’Ex Area Breda di Viale Sarca a Milano, bene testimoniano di questa tendenza. In ambedue i casi si sono dedicate attenzioni alla localizzazione di aree verdi : sulle facciate, sul tetto, entro gli uffici, ecc.
Completamente diverso l’approccio dell’antistante edificio denominato SUPERLAB, progettato dai piemontesi Balance Architettura (http://www.blaarchitettura.it/).
Infatti, quì trattasi, di un risanamento di un edificio già esistente, sede degli uffici tecnici Breda (http://www.blaarchitettura.it/projects/2019_BLA_BREDA336/index_ita.html). La struttura è stata “scaricata” dalle facciate e dagli impianti, disvelando una struttura in cemento armato ed in ferro (reticolare), che è stata ripristinata, lasciandola a vista, ed adeguandola alle normative odierne (https://archello.com/project/superlab).
Anche quì, la natura entra dentro all’edificio, sarà posizionata nei prossimi mesi sulla copertura, ed è parte integrante della “sostenibilità” di tutto il complesso.
SOTTO – Edficio Superlab di viale Sarca 336, Balance Architettura, 2023
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Nipote acquisito dell’abile finanziere belga Adolphe Stoclet, Robert Mallet-Stevens (1886 – 1945), trascorrerà molti soggiorni a Bruxelles nella casa dello zio, il Palais Stoclet, progettato dall’architetto Josef Hoffman (e decorato da Gustav Klimt), figura di spicco della Secessione viennese (https://bit.ly/3nhYEp3) . Una “opera d’arte totale” che condizionerà la formazione giovane architetto Robert.
Al Salon d’Automne del 1912, dove espose i suoi primi progetti (soprattutto arredamenti), ebbe modo di conoscere P. Chareau e altri artisti, animati dallo stesso intento di rinnovamento che porterà alla costituzione nel 1929 dell’Union des Artistes Modernes.
Dopo essersi arruolato nell’aviazione durante la prima guerra mondiale, Robert Mallet-Stevens ha progettato vetrine e negozi per l’industria e il commercio e ha creato numerosi set cinematografici. Nel 1925 progetta diversi padiglioni e allestimenti per l’Esposizione delle Arti Decorative di Parigi (https://bit.ly/3AFyyiQ), che si distinguono per la loro modernità. Le linee pulite, geometriche, vengono liberate dagli ornamenti, dai decori, la luce viene trattata come materia, allo stesso modo di quelle frutto del progresso tecnologico (ferro, vetro, cemento).
Nel 1924, Robert incontra a Parigi il banchiere Daniel Dreyfus, che desidera realizzare un’operazione immobiliare per costruire un complesso residenziale su un terreno di 3.827 metri quadrati di sua proprietà nel 16° arrondissement, a pochi metri dalla sua residenza privata, situata in rue de l’Assomption.
SOPRA –Immagine tratta da Google Earth
SOPRA – Disegno a mano libera, del lotto, tratto da una planimetria presente sul posto (Dario Sironi, 2007)
Mallet-Stevens progetta quindi un insieme totalmente omogeneo, senza negozi e lontano dal rumore, interamente dedicato all’abitazione e alla calma. Dove possano insediarsi artisti, ricchi borghesi, intellettuali (https://bit.ly/44fraIB). Tutto è pensato dall’architetto, dall’arredo urbano alla decorazione d’interni, riprendendo il concetto di arte totale del Palais Stoclet.
Un complesso residenziale “lavorato” all’interno di un lotto. Un intervento di micro-urbanistica raffinato e coerente con i dettami del nascente Movimento Moderno. (https://www.villegiardini.it/robert-mallet-stevens/)
Vicino a Rue Mallet-Stevens, le Corbusier realizzò, qualche anno prima, nel 1924, la “doppia” villetta Maison La Roche – Jeanneret (8/10 Piazza du Docteur Blanche 75016 Paris); LC costruirà la “sua macchina da abitare”, in maniera ascetica e pauperistica, infischiandosene d’intrattenere un dialogo con il passato. Diverso è il caso di Mallet – Stevens, che con raffinata pazienza instaura un dialogo sapiente con la storia dell’architettura: fatto di dettagli, materiali e forme.
Purtroppo, negli anni Sessanta del Novecento, il complesso realizzato nel 1927, viene manomesso in molte parti (interni, arredo urbano, ecc.), e sopraelevato di 3 piani. Nonostante ciò il complesso consente ancora oggi di apprezzare la maestria e l’abilità architettonica dell’architetto franco-belga.
Dal 1930 Mallet – Stevens fu nel comitato direttivo de L’architecture d’aujourd’hui, la principale rivista d’architettura pubblicata in Francia.
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