SOPRA – Planimetria (tratta da Google Earth) delle relazioni tra Palazzo Citterio ed il complesso di Brera
Nel giardino di Palazzo Citterio (ampliamento della Pinacoteca dell’Accademia di Brera – https://pinacotecabrera.org/grande-brera/), che presto sarà collegato con il meraviglioso Orto Botanico di Brera (https://ortibotanici.unimi.it/orto-botanico-di-brera/), una delle opere presenti nel Giardino del Palazzo, sarà l’arcaico muro, destinato a definirne parte della recinzione, denominato dallo stesso autore Mimmo Paladino: “Dei Longobardi”.
Il muro, realizzato dall’artista originario di Paduli, con gli stessi criteri costruttivi di riuso adottati dai, così detti (erroneamente) “Barbari germanici”, definiti Longobardi. Essi hanno attraversato un po’ tutta la penisola italica, concretizzando il Regno Longobardo, tra il 568-569 d.C. (invasione dell’Italia bizantina) e il 774 d.C. (caduta del Regno a opera dei Franchi di Carlo Magno), per loro era consuetudine riutilizzare i residui delle civiltà precedenti, e nella penisola, trovarono soprattutto, i resti dell’Impero Romano (la cui caduta avvenne nel 476 d.C.), per ricostruire, per ricomporre, per definire i propri edifici, i propri muri, le città. (https://www.exibart.com/speednews/milano-art-week-8-palazzo-citterio-apre-al-contemporaneo-ne-parliamo-con-mimmo-paladino/).
SOPRA – Tre immagini che restituiscono l’attività creativa in merito al “Muro Longobardo” di Mimmo Paladino (immagini fotografate alla mostra di Palazzo Citterio)
Il Muro dei Longobardi costituito da pietre riutilizzate, sovrapposte con sapienza dall’artista, definiscono una serie di nicchie, di aperture, in cui saranno collocati dei “frammenti” di reperti archeologici, opere dello stesso Paladino.
Immagine del “Muro” tratta dal numero di Exibart del 11-04-2018, dall’articolo a firma M. B. Ferri
SOPRA – Planimetria della “Collina di Ermes”, con localizzato il “Muro” di Mimmo Paladino
SOPRA – Il porticato del Lungarno degli Archibusieri e l’inizio del Corridoio Vasariano dal primo piano della Galleria degli Uffizi
Il Corridoio Vasariano a Firenze, chiuso nel 2016 per consentire l’adeguamento alle norme di sicurezza, ed ad un consolidamento statico, è stato interamente restaurato (l’ultimo intervento risale agli anni Novanta).
Lungo circa 750 metri, fu progettato dall’architetto Giorgio Vasari nel 1565, e fu realizzato in soli nove mesi per volere dell’allora duca Cosimo I de’ Medici (Duca di Firenze dal 6 gennaio 1537 al 21 agosto 1569; Granduca di Toscana dal 21 agosto 1569 al 21 aprile 1574, anno della sua morte). I regnanti fiorentini, lo usavano per raggiungere Palazzo Vecchio dalla loro reggia di Palazzo Pitti indisturbati e senza correre rischi per la loro incolumità.
Il Corridoio appare oggi completamente spoglio dei circa 2.000 reperti artistici che prima conteneva (soprattutto ritratti e disegni). Questi sono stati distribuiti al primo piano della Galleria degli Uffizi, nella parte di sale che anticipano l’ingresso al Corridoio Vasariano.
Il Corridoio appare luminoso, minimalista; con i muri bianchi che evidenziano le apertura panoramiche delle finestre e gli “oculi” tondi; ed il pavimento rosso di cotto toscano, non fa che accentuare il ruolo “quasi di quadri” delle aperture. Questo attuale allestimento titilla gli utenti a riflettere sul paesaggio urbano, sulla città, sui rapporti di questa con l’arte.
SOPRA e SOTTO – Immagini del Corridoio Vasariano
Scevro dal coacervo di opere d’arte che c’era prima (soprattutto ritratti), ci si concentra sulle viste panoramiche di Firenze, in quella perfetta ed unica fusione tra ARCHITETTURA/URBANISTICA/PAESAGGIO/ARTE che è l’opera vasariana. Una pausa soprattutto provenendo dal bellissimo, ma stordente, “bombardamento visivo” della Galleria degli Uffizi.
Come scriveva il grande critico e Storico dell’Arte, Philippe Daverio (Mulhouse, 17 ottobre 1949 – Milano, 2 settembre 2020): “La gente di solito va nei musei e guarda quattrocento quadri in un’ora e mezza. Torna con dei piedi gonfi così e va alla ricerca di una Coca-Cola tiepida per dimenticare l’esperimento. I luoghi dove stanno i quadri si chiamano pinacoteche, come esistono i luoghi dove stanno i libri che si chiamano biblioteche. Nessuno va in biblioteca e legge tutti i libri. Uno che va in una pinacoteca, in un museo, dovrebbe andare a vedere due quadri. All’inizio, a mio parere, addirittura uno solo. Quello che l’ha fatto il quadro spesso ci ha messo anni a farlo. O anche due mesi a farlo… Cosa mi dà il diritto a me di guardarlo in venticinque secondi? Quando erano in Chiesa, la gente li vedeva da quando nasceva a quando moriva: tutta la vita. E adesso deve vederlo in un minuto mentre stai correndo al quadro prossimo”.
SOPRA – La Torre dei Mannelli
Il percorso, si dipana, in quota di uno spettacolare porticato, adiacente il Fiume Arno, e dal Lungarno degli Archibusieri; ed attraverso Ponte Vecchio (passando di fatto sopra ai tetti delle botteghe lì insediate), raggiunge la Torre dei Mannelli (Questa torre è l’unica superstite dei quattro “capi di ponte”, cioè le torri che controllavano un ponte ai quattro angoli).
Da quì, sempre in quota alta, il Corridoio Vasariano, si dipana per passare in adiacenza alla facciata della Parrocchia di Santa Felicita al Ponte Vecchio (da dove i regnanti fiorentini potevano, grazie ad ampie finestre assistere alle funzioni).
SOPRA – Le Finestre che consentono di osservare la navata della Chiesa di Santa Felicita
Quì sopra vista dall’interno della Chiesa di Santa Felicita al Ponte Vecchio, dove chiaramente si ravvisano le finestre per osservare il culto, con la relativa balconata.
Vista della facciata della Chiesa di Santa Felicita al Ponte Vecchio, con evidente il Corridoio Vasariano (Immagine tratta da Google Maps)
Attraverso la Sagrestia, della Chiesa di Santa Felicita, il Corridoio, percorribile solo in direzione Uffizi-Giardino di Boboli, attraverso alcuni immobili privati, si prosegue anche con ponti: si uscirà dalla porta di fianco alla Grotta Buontalenti (immagine sottostante realizzata tra il 1583 ed il 1593), progettata da Bernardo Buontalenti (1531-1608) per il Granduca Francesco I de Medici (1541-1587), per raggiungere l’uscita dal cortile di Palazzo Pitti.
SOPRA – La corte di Palazzo Pitti
SOPRA – La Fontana del Buontalenti
Nel 1938 Benito Mussolini fece realizzare delle grandi finestre che consentivano delle viste panoramiche, al centro del ponte in occasione della visita ufficiale di Adolf Hitler (che avvenne a maggio) per stringere, quello che fu definito, l’Asse fra Italia e Germania. Si dice che la vista fu molto gradita al Führer ed ai gerarchi nazisti che poterono goderne.
SOPRA –Finestre realizzate nel 1938, per volere di Mussolini, con finalità panoramiche(Riquadro Rosso)
SOPRA – La facciata Sud/Est di Ponte Vecchio, dove sui identifica chiaramente il soprastante Corridoio Vasariano
SOPRA – Vista del Corridoio Vasariano tra il Lungarno degli Archibusieri e Ponte Vecchio
SOPRA – Vista dalle finestre volute nel 1938 da Mussolini per la visita in città di Hitler
SOPRA – Vista da una delle finestre del Corridoio Vasariano, soprastante il portico del Lungarno degli Archibusieri
SOPRA – Il parapetto vitreo, di un’uscita di sicurezza. Uno dei pochi interventi visibili della ristrutturazione del Corridoio Vasariano.
SOPRA – Via De’ Guicciardini vista dal Corridoio Vasariano
SOPRA – La facciata Nord/Ovest di Ponte Vecchio, dove si identificano chiaramente, sulla destra, le finestre del Corridoio Vasariano volute da Mussolini nel 1938.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate
Quando prenotiamo un hotel online, guardiamo una partita di tennis in streaming o inviamo una mail, dei data center nel mondo devono consumare molta energia e acqua, per conservare ed elaborare le nostre richieste. Una certificazione lanciata in Svizzera, nel 2007, la P.U.E. (Power Usage Effectiveness = Efficacia del consumo energetico) intende identificare e ridurre l’impatto su ambiente e clima delle nostre abitudini digitali e fare della Svizzera una location ideale per data center più ecologici (https://www.swissinfo.ch/ita/crisi-climatica/un-label-svizzero-vuole-rendere-i-data-center-pi%C3%B9-verdi/81947167).
L’edificio, realizzato a Zugo, è stato oggetto del concorso di architettura a inviti bandito nel 2016, appartiene alla grande azienda multiutility regionale Wasserwerke Zug. Fuori terra ospita tre piani a uso ufficio e nei piani interrati è installato il data center di una delle più grandi aziende svizzere di comunicazione via cavo.
La localizzazione dei data center nell’Artico, in altitudine, o sott’acqua offre vantaggi significativi per ridurre l’efficienza dell’utilizzo dell’energia. Il clima naturalmente freddo del l’Artico o della montagna alta, offre un vantaggio intrinseco, consentendo un raffreddamento libero, che riduce la dipendenza dai sistemi di raffreddamento ad alta intensità energetica. Seguendo questa stessa dinamica, i data center subacquei sfruttano l’acqua circostante per dissipare il calore in modo efficiente, migliorando l’efficienza energetica e riducendo il PUE. Queste sedi innovative sfruttano il potere della natura, consentendo operazioni di data center più sostenibili ed ecologiche, ma tutto ciò contribuisce al surriscaldamento del clima terrestre.
A Milano, si tenta una strada innovativa, con la prima partnership industriale in Italia per il recupero di calore dai Data Center destinato al teleriscaldamento: grazie ad A2A, in collaborazione con DBA Group e Retelit (https://www.gruppoa2a.it/it/media/comunicati-stampa/milano-primo-progetto-italia-recupero-calore-data-center), l’energia generata da “Avalon 3”, il più recente data center iperconnesso e sostenibile della società di telecomunicazioni leader in Italia nel B2B, alimenterà la rete cittadina nel Municipio 6.
Il progetto permetterà di servire 1.250 famiglie in più all’anno, consentendo un risparmio energetico di 1.300 tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) e di evitare l’emissione di 3.300 tonnellate di CO2 con benefici ambientali pari al contributo di 24.000 alberi.
I Data center, come tutte le infrastrutture impiantistiche, inserite in contesti urbani o paesaggisticamente rilevanti, necessitano di una configurazione architettonica che ne consenta un inserimento, che abbia una elevata attenzione qualitativa per il costruito ed il paesaggio, che sia in grado di dialogare con il contesto. Se ne è accorto perfino l’Ordine degli Architetti di Milano, che in collaborazione Città metropolitana di Milano, e la Fondazione degli Architetti PPC della provincia di Milano aprono giustamente una riflessione con un dibattito sui Data Center, tema di progetto e oggetto architettonico di crescente impatto nel territorio ( https://ordinearchitetti.mi.it/it/formazione/eventi-formativi/L-%28IN%29SOSTENIBILE-LEGGEREZZA-DEL-DATO-70f6e).
Per altro, la necessità di inserire dal punto di vista paesaggistico le infrastrutture tecniche, ha una sua coniugazione storica che ha esempi pregevoli. Come ad esempio la Centrale Elettrica di Riva del Garda progettata negli anni Venti del Novecento dall’ Architetto Giancarlo Maroni , che appare, dal punto di vista architettonico come un frammento urbano in continuità con il centro storico della cittadina gardesana (https://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_idroelettrica_del_Ponale)
SOPRA –Immagine della centrale di Riva tratta da Google Earth
Rinasce quindi, la necessità di ritornare a ragionare dal punto di vista disciplinare, su come coniugare “impianti”, loro architettura, e paesaggio. Ciò riguarda non solo i data center, ma anche i grandi impianti elettrici, i terminal portuali, le centrali di trasformazione, i grandi complessi ferroviari, ecc..
Un esempio interessante è la nuova sottostazione APG di Nauders (Tirolo), collocata ad un’altitudine: 1.400 m s.l.m..
Nauders è la prima località su territorio austriaco dopo aver attraversato Passo Resia. Si trova su un altipiano soleggiato tra il Passo di Finstermünz e Passo Resia, e vanta una storia lunga e movimentata: già all’età del Bronzo, il passo venne attraversato e al seguito eretto l’insediamento di Nauders. La sua posizione stupenda fa pensare inevitabilmente a maestose vette e passi alpini.
E’ per questo che la progettazione di questo impianto, trasnazionale (Austria/Italia), per migliorare la potenza elettrica insediata nord/sud, ha subito una progettazione paesaggistica particolarmente attenta, sia nella dislocazione dei necessari edifici, e degli impianti, che nella scelta dei materiali di finitura.(https://www.apg.at/en/projects/nauders-substation/#c7574).
La stessa scelta di realizzare molti cavidotti completamente interrati, ben testimonia dell’attenzione per i luoghi dimostrata dai gestori energetici (APG e Terna).
Un altro esempio emblematico di inserimento nel paesaggistico per quanto riguarda le infrastrutture tecniche, è il termovalorizzatore “Amager Bakke” di Copenhagen in Danimarca, progettato da B.I.G. (Bjarke Ingels Group – https://big.dk/), e funzionante dal 2017.
Il “macchinario”, esistente ed in disuso, è stato riconvertito dallo studio della Archistar danese, ed ha una “pelle” ed una composizione architettonica, finalizzate a renderlo parte integrante del paesaggio urbano della capitale danese. Il tetto: un giardino verde inclinato, in estate ed inverno, diventa pista per lo sci (https://www.pantografomagazine.com/copenhill-inceneritore-green-copenaghen/)
Bisogna che gli enti preposti alla realizzazione di questi “impianti”, soprattutto in Italia, dove non c’è una cultura in tal senso, dimostrino in merito una particolare sensibilità, che non può solamente riguardare gli aspetti economici ed impiantistici, o tecnici, bisogna con urgenza occuparsi soprattutto di paesaggio. Lo stesso devono fare le società d’ingegneria a cui di solito è demandata la progettazione esecutiva, magari sviluppando internamente dipartimenti “di qualità” dedicati alla progettazione paesaggistica di queste infrastrutture da proporre nelle loro offerte tecniche, ai committenti.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate
Il Campus si trova tra la Stazione delle Ferrovie Nord Milano di Bovisa, e quella delle Ferrovie delle Stato di Villapizzone. Una stratificazione di edifici, che si è andata realizzando nel corso del tempo.
Tra gli edifici più interessanti, dal punto di vista architettonico, soprattutto negli interni, proprio quello d’ingresso, il BL 28 in via Labruschini 4, che contiene anche la Biblioteca del Campus (https://sg-gallerylive.it/index.php/cantieri/bl28-politecnico-di-milano/). Edificio riqualificato negli interni, qualche anno fa, dall’Architetto Lola Ottolini.
Un progetto EN LAB sviluppato dal Politecnico di Milano, Area Tecnico Edilizia, sotto la direzione dell’Architetto Daniel Marcaccio, come progettista e direttore dei lavori. Il progetto definitivo è stato sviluppato dalla società di ingegneria Politecnica, come responsabile l’Architetto Gianfranco Tedeschi. Mentre l’Architetto Eleonora Zucchelli(AEGIS Cantarelli + Partners) e l’ing. Donato Romano (ETS spa), è stato incaricato per lo sviluppo del progetto esecutivo.
Si “respira architettura” a guardare l’edificio inaugurato nel 2022, denominato : “Collina degli studenti” realizzato nel campus La Masa/Lambruschini di Bovisa del Politecnico di Milano; si tratta di un edificio (1.900 metri quadrati interni e altri 2.200 esterni) disposti su tre livelli per ospitare studenti, laboratori e spazi per docenti. Un edificio “materico ed interessante” che ha avuto come “registra” il prof. Arch. Emilio Faroldi Prorettore Vicario del Politecnico (https://www.polimi.it/fileadmin/user_upload/comunicati_stampa/1652186319_Comst_Collina_degli_Studenti.pdf)
Qui sotto alcune fotografie degli edifici, e degli spazi esterni, realizzati nel corso del tempo, nel Campus Polimi La Masa/Lambruschini.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate.
Un giretto di architettura contemporanea (e non solo) nel sud di Milano, tra la circonvallazione ed i Navigli. Tra Romolo e la Darsena. Quella architettura contemporanea, che i media e gli Ordini professionali, non considerano.
Un’occasione per chi è appassionato, per misurare il polso dell’architettura milanese, tra “vaccate” ed edifici pregevoli.
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UNA LIMPIDA SERATA di inizio autunno (27 settembre 2024, ore 19,00). Una collina con sopra un’ architettura epica. Un filosofo in grande forma (che discetta sulla trattatistica rinascimentale, ed il particolare sul De re aedificatoria di Leon Battista Alberti). Un cielo, al tramonto, dove gli astri fanno a gara per farsi notare……UNA FORTE SENSAZIONE, PER TUTTI, DI BELLEZZA ED INFINITO.
Il fine dell’architettura, come è nella villa del Palladio, è edificare, noi mortali, opere immortali. La villa Rotonda è come un tempio immortale, non per gli Dei, ma dove vive un uomo che considera gli Dei. Dietro la collina su cui insiste la villa Capra, c’è l’INFINITO….. è un TEMPIO ABITATO.
COMMODULATIO – L’architettura va concepita e dimensionata con i numeri “essendo scientia”, commodulando parti diverse, e riferita al corpo umano. Il canone (la canna), il “metro” deve essere chiaramente leggibile e trasmissibile. Nessun canone fisso, nulla va ripetuto, MA SUPERATO. L’architettura si dà, si offre, con un’ armonia, come una musica.
“Architecti est scientia”, quindi matematicamente trasmissibile. L’architetto deve essere un filologo, che conosce perfettamente il greco ed il latino, che ha una consuetudine con il passato della storia dell’ architettura. Che la studia quotidianamente.
L’idea matura nel tempo, non bisogna essere impazienti, per realizzare un progetto CI VUOLE TEMPO DI DECANTAZIONE.
ADDENDUM
A posteriori, appare strano che, un filosofo colto e raffinato nel suo pensiero, analizzando la trattatistica legata all’architettura, non si ponga il problema della continuità della”visione classica”, cancerogena ed umano-centrica, di una società, quella occidentale, che si è “mangiata” (codificando e legittimando) l’ecosistema planetario.
Proprio lui, il filosofo, che dovrebbe evidenziare questa contraddizione, attraverso cui rendendo tutto, ad una dimensione “matematicamente e geometricamente” trasmissibile (scientia), invece di proporre ipotesi e soluzioni alternative, in grado di restituire uno spiraglio di luce sul futuro dell’ agire umano, cerca di dare continuità a questa MACELLERIA PLANETARIA.
In tal senso, ottima la scelta dell’ora del tramonto, in grado di restituire ai convenuti, il senso di un pensiero occidentale morente, lanciato probabilmente in maniera inevitabile, verso la fine.
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Attorno ad una anonima sede di una società d’ingegneria, che si occupa, nella trevigiana, soprattutto di impianti, un florilegio di architetture eccellenti. Un’occasione da cogliere. Una mappa su cui riflettere per il futuro.
Antonio dalle Nogare, con una famiglia di costruttori altoatesini alle spalle, ha con caparbietà voluto, nel corso del tempo, questa Fondazione, per metà casa privata e per metà museo, dove collocare la propria collezione d’arte – https://fondazioneantoniodallenogare.com/ . L’edificio, scavato nella roccia, nel porfido, è stato progettato in modo sostenibile da Walter Angonese ed Andrea Marastoni, e completato nel 2017. È, la Fondazione, nell’ idea di chi l’ha voluta, un luogo d’incontro internazionale, di lavoro e d’ispirazione per l’attività creativa.
Lo scavo nel terreno, ha permesso di reperire parecchia roccia, che, opportunamente lavorata, è stata fatta diventare parte dell’ edificio stesso, soprattutto per i rivestimenti esterni. La struttura si dipana su cinque livelli, con degli interni caldi ed accoglienti, pavimentati in legno lasciato al naturale. Sapienti finestre e lucernari, consentono un’ illuminazione particolarmente adatta all’arte contemporanea, ed implementano la natura ed il paesaggio circostante.
Un luogo d’incontro tra Arte, Architettura e Paesaggio.
Ingresso gratuito, ampio materiale documentale a disposizione, compresa una biblioteca consultabile di oltre 1300 volumi dedicati all’ arte contemporanea. Visite guidate gratuite, il sabato mattina alle ore 11,00.
All’ ingresso esterno, della Fondazione, vi accoglie una pregevole installazione sonora
Modello realizzato dallo Studio Angonese dell’edificio della FondazioneAntonio Dalle Nogare
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