Nel 1215, con l’insediamento dei Frati Crociferi e la costruzione della chiesa intestata a San Leonardo, viene istituito il monastero che darà la denominazione alla località, posta nel comune di Avio nel Trentino.
I Frati Crociferi, noti anche come Crocigeri o Cruciferi, erano un antico ordine religioso ospedaliero fondato in Italia nel Medioevo, il cui nome derivava dall’usanza di portare una croce. Approvati da Papa Alessandro III, gestivano ospedali e vennero soppressi nel 1656 da Papa Alessandro VII.
E’ del 1646 il primo documento che attesta la presenza della famiglia Gresta poi De Gresti nella Tenuta.
Per la presenza della famiglia Guerrieri Gonzaga (di origine mantovana) in Trentino si deve attendere il 1894 quando il Marchese Tullo, nonno di Carlo Guerrieri Gonzaga, sposò Gemma de Gresti, alla cui famiglia apparteneva da quasi due secoli la Tenuta San Leonardo.
Fu il figlio di Gemma De Gresti e del Marchese Tullo Guerrieri Gonzaga di Montello, sposatisi nel 1890 : Anselmo, ad utilizzare la proprietà con nuovo spirito imprenditoriale e a introdurre grandi cambiamenti ed innovazioni spinto dalla sua innata passione per l’enologia.
Nel 1724, la tenuta inizia a produrre e commercializzare vino come attività economica. Nel 1770 i De Gresti acquistano tutta la Tenuta dalla Chiesa.
Nel 1874 si ha la costruzione della Villa Gresti, destinata ad accogliere tutta la famiglia. Edificata alla fine dell’Ottocento in un evidente Stile Liberty; durante la Prima Guerra Mondiale è stata sede del Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano che gestì i rapporti con gli invasori austriaci incaricati di discutere l’Armistizio (L’armistizio di Villa Giusti venne firmato il 3 novembre 1918 nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino, a Padova, fra l’Impero austro-ungarico e l’Italia. Entrò in vigore a partire dal giorno dopo, il 4 novembre 1918).
Oggi la Villa è residenza della famiglia Guerrieri Gonzaga.
SOPRA – Screenshot tratto dal sito “sanleonardo.it”
Oggi tutta la Tenuta di San Leonardo ad Avio, è di fatto, oltre che una realtà produttiva eccellente dal punto di vista vitivinicolo, è una vera e propria opera di paesaggio, un magnifico giardino, in cui si fondono necessità di antropizzazione umana ed un sapiente addomesticamento della natura primigenia, di cui la pianta della vite da vino (Vitis vinifera) non è solo una pianta agricola, ma una compagna della Specie Umana, un simbolo che ha accompagnato riti religiosi, scambi commerciali, e identità culturali per millenni.
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Sai, essere libero Costa soltanto Qualche rimpianto Sì, tutto è possibile Perfino credere Che possa esistere Un mondo migliore Un mondo migliore Un mondo migliore Un mondo migliore
(Vasco Rossi, un Mondo migliore, 2016)
Ennesima lettera, e probabilmente ultima, di dimissioni da organi comunali farlocchi, la cui terminologia nasconde in realtà la volontà opposta DISTRUGGERE IL PAESAGGIO.
Una DISTRUZIONE, che cerca la legittimazione legislativa (e politica), attraverso organi costituiti da liberi professionisti, non pagati, selezionati in base alla loro esperienza curriculare,
Quel “paesaggio lombardo” dove ogni giorno, sotto la pressione antropica di quasi undici milioni di residenti, si può assistere ormai da parecchio tempo, ad ogni nefandezza possibile. A scapito dei cittadini, presenti e futuri, puntualmente INGANNATI sulla eventuale salvaguardia paesaggistica.
Porvi argine sembra una cosa ormai IMPOSSIBILE, come credere che possa esistere UN MONDO MIGLIORE.
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La chiesa venne progettata negli anni Cinquanta del Novecento a completamento del nuovo insediamento di Metanopoli (San Donato Milanese), voluto da Enrico Mattei
( https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Mattei ) per l’Headquarter dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) con annesse le residenze per i dipendenti. La chiesa venne dedicata a Santa Barbara in quanto patrona delle attività minerarie e quindi anche dell’attività di ricerca e produzione idrocarburi svolta dall’ENI. Molte lapidi, nelle cappelle, ricordano i dipendenti ENI caduti sul lavoro.
La chiesa fu collocata al centro dell’insediamento, di fronte a un’ampia piazza, e venne fiancheggiata dalla casa parrocchiale, dal battistero e dal campanile.
Soffitto con pannelli di Andrea Cascella
Il progetto fu redatto, nel 1952, dall’architetto dell’ENI Mario Bacciocchi
( https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Bacciocchi ), e la costruzione fu completata nel 1954. La chiesa fu elevata in parrocchia nel 1963, da Paolo VI, per servire le necessità spirituali di una comunità in crescita demografica costante.
La chiesa, per volontà del Bacciocchi e soprattutto di Mattei, fu arricchita da una serie di opere d’arte, dei migliori artisti degli anni Cinquanta. L’idea era di fare un’opera che rivaleggiasse con le chiese storiche italiane.
Sulla piazza, si apre un portico con dei possenti pilastri a setto, che ripara i tre portali d’ingresso, di cui quello centrale fu disegnato dai fratelli Arnaldo e Giò Pomodoro. L’interno è a navata unica, con un transetto di larghezza limitata, ed è corredato da numerose di opere d’arte, di cui le maggiori sono i pannelli che decorano il soffitto, di Andrea Cascella, la Via Crucis (scultorea a bassorilievo)di Pericle Fazzini, la pale della Madonna della Speranza di Bruno Cassinari, la cappella di Sant’Antonio di Franco Gentilini ed il maestoso mosaico absidale della Crocifissione di Fiorenzo Tomea (Zoppè di Cadore, Belluno, 1910 – Milano, 1960), il terzo per grandezza tra i mosaici a parete europei ed primo in Italia.
Se passate da San Donato Milanese, oltre agli “eleganti deliri” di Thom Mayne (Morphosis Architects) per il costosissimo VI Palazzo Uffici AGIP/SNAM (https://it.wikipedia.org/wiki/Sesto_palazzo_degli_uffici_ENI), certamente non fatevi sfuggire questa “chicca” dei favolosi Anni Cinquanta del Novecento.
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SOPRA – Il porticato del Lungarno degli Archibusieri e l’inizio del Corridoio Vasariano dal primo piano della Galleria degli Uffizi
Il Corridoio Vasariano a Firenze, chiuso nel 2016 per consentire l’adeguamento alle norme di sicurezza, ed ad un consolidamento statico, è stato interamente restaurato (l’ultimo intervento risale agli anni Novanta).
Lungo circa 750 metri, fu progettato dall’architetto Giorgio Vasari nel 1565, e fu realizzato in soli nove mesi per volere dell’allora duca Cosimo I de’ Medici (Duca di Firenze dal 6 gennaio 1537 al 21 agosto 1569; Granduca di Toscana dal 21 agosto 1569 al 21 aprile 1574, anno della sua morte). I regnanti fiorentini, lo usavano per raggiungere Palazzo Vecchio dalla loro reggia di Palazzo Pitti indisturbati e senza correre rischi per la loro incolumità.
Il Corridoio appare oggi completamente spoglio dei circa 2.000 reperti artistici che prima conteneva (soprattutto ritratti e disegni). Questi sono stati distribuiti al primo piano della Galleria degli Uffizi, nella parte di sale che anticipano l’ingresso al Corridoio Vasariano.
Il Corridoio appare luminoso, minimalista; con i muri bianchi che evidenziano le apertura panoramiche delle finestre e gli “oculi” tondi; ed il pavimento rosso di cotto toscano, non fa che accentuare il ruolo “quasi di quadri” delle aperture. Questo attuale allestimento titilla gli utenti a riflettere sul paesaggio urbano, sulla città, sui rapporti di questa con l’arte.
SOPRA e SOTTO – Immagini del Corridoio Vasariano
Scevro dal coacervo di opere d’arte che c’era prima (soprattutto ritratti), ci si concentra sulle viste panoramiche di Firenze, in quella perfetta ed unica fusione tra ARCHITETTURA/URBANISTICA/PAESAGGIO/ARTE che è l’opera vasariana. Una pausa soprattutto provenendo dal bellissimo, ma stordente, “bombardamento visivo” della Galleria degli Uffizi.
Come scriveva il grande critico e Storico dell’Arte, Philippe Daverio (Mulhouse, 17 ottobre 1949 – Milano, 2 settembre 2020): “La gente di solito va nei musei e guarda quattrocento quadri in un’ora e mezza. Torna con dei piedi gonfi così e va alla ricerca di una Coca-Cola tiepida per dimenticare l’esperimento. I luoghi dove stanno i quadri si chiamano pinacoteche, come esistono i luoghi dove stanno i libri che si chiamano biblioteche. Nessuno va in biblioteca e legge tutti i libri. Uno che va in una pinacoteca, in un museo, dovrebbe andare a vedere due quadri. All’inizio, a mio parere, addirittura uno solo. Quello che l’ha fatto il quadro spesso ci ha messo anni a farlo. O anche due mesi a farlo… Cosa mi dà il diritto a me di guardarlo in venticinque secondi? Quando erano in Chiesa, la gente li vedeva da quando nasceva a quando moriva: tutta la vita. E adesso deve vederlo in un minuto mentre stai correndo al quadro prossimo”.
SOPRA – La Torre dei Mannelli
Il percorso, si dipana, in quota di uno spettacolare porticato, adiacente il Fiume Arno, e dal Lungarno degli Archibusieri; ed attraverso Ponte Vecchio (passando di fatto sopra ai tetti delle botteghe lì insediate), raggiunge la Torre dei Mannelli (Questa torre è l’unica superstite dei quattro “capi di ponte”, cioè le torri che controllavano un ponte ai quattro angoli).
Da quì, sempre in quota alta, il Corridoio Vasariano, si dipana per passare in adiacenza alla facciata della Parrocchia di Santa Felicita al Ponte Vecchio (da dove i regnanti fiorentini potevano, grazie ad ampie finestre assistere alle funzioni).
SOPRA – Le Finestre che consentono di osservare la navata della Chiesa di Santa Felicita
Quì sopra vista dall’interno della Chiesa di Santa Felicita al Ponte Vecchio, dove chiaramente si ravvisano le finestre per osservare il culto, con la relativa balconata.
Vista della facciata della Chiesa di Santa Felicita al Ponte Vecchio, con evidente il Corridoio Vasariano (Immagine tratta da Google Maps)
Attraverso la Sagrestia, della Chiesa di Santa Felicita, il Corridoio, percorribile solo in direzione Uffizi-Giardino di Boboli, attraverso alcuni immobili privati, si prosegue anche con ponti: si uscirà dalla porta di fianco alla Grotta Buontalenti (immagine sottostante realizzata tra il 1583 ed il 1593), progettata da Bernardo Buontalenti (1531-1608) per il Granduca Francesco I de Medici (1541-1587), per raggiungere l’uscita dal cortile di Palazzo Pitti.
SOPRA – La corte di Palazzo Pitti
SOPRA – La Fontana del Buontalenti
Nel 1938 Benito Mussolini fece realizzare delle grandi finestre che consentivano delle viste panoramiche, al centro del ponte in occasione della visita ufficiale di Adolf Hitler (che avvenne a maggio) per stringere, quello che fu definito, l’Asse fra Italia e Germania. Si dice che la vista fu molto gradita al Führer ed ai gerarchi nazisti che poterono goderne.
SOPRA –Finestre realizzate nel 1938, per volere di Mussolini, con finalità panoramiche(Riquadro Rosso)
SOPRA – La facciata Sud/Est di Ponte Vecchio, dove sui identifica chiaramente il soprastante Corridoio Vasariano
SOPRA – Vista del Corridoio Vasariano tra il Lungarno degli Archibusieri e Ponte Vecchio
SOPRA – Vista dalle finestre volute nel 1938 da Mussolini per la visita in città di Hitler
SOPRA – Vista da una delle finestre del Corridoio Vasariano, soprastante il portico del Lungarno degli Archibusieri
SOPRA – Il parapetto vitreo, di un’uscita di sicurezza. Uno dei pochi interventi visibili della ristrutturazione del Corridoio Vasariano.
SOPRA – Via De’ Guicciardini vista dal Corridoio Vasariano
SOPRA – La facciata Nord/Ovest di Ponte Vecchio, dove si identificano chiaramente, sulla destra, le finestre del Corridoio Vasariano volute da Mussolini nel 1938.
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Un giretto di architettura contemporanea (e non solo) nel sud di Milano, tra la circonvallazione ed i Navigli. Tra Romolo e la Darsena. Quella architettura contemporanea, che i media e gli Ordini professionali, non considerano.
Un’occasione per chi è appassionato, per misurare il polso dell’architettura milanese, tra “vaccate” ed edifici pregevoli.
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UNA LIMPIDA SERATA di inizio autunno (27 settembre 2024, ore 19,00). Una collina con sopra un’ architettura epica. Un filosofo in grande forma (che discetta sulla trattatistica rinascimentale, ed il particolare sul De re aedificatoria di Leon Battista Alberti). Un cielo, al tramonto, dove gli astri fanno a gara per farsi notare……UNA FORTE SENSAZIONE, PER TUTTI, DI BELLEZZA ED INFINITO.
Il fine dell’architettura, come è nella villa del Palladio, è edificare, noi mortali, opere immortali. La villa Rotonda è come un tempio immortale, non per gli Dei, ma dove vive un uomo che considera gli Dei. Dietro la collina su cui insiste la villa Capra, c’è l’INFINITO….. è un TEMPIO ABITATO.
COMMODULATIO – L’architettura va concepita e dimensionata con i numeri “essendo scientia”, commodulando parti diverse, e riferita al corpo umano. Il canone (la canna), il “metro” deve essere chiaramente leggibile e trasmissibile. Nessun canone fisso, nulla va ripetuto, MA SUPERATO. L’architettura si dà, si offre, con un’ armonia, come una musica.
“Architecti est scientia”, quindi matematicamente trasmissibile. L’architetto deve essere un filologo, che conosce perfettamente il greco ed il latino, che ha una consuetudine con il passato della storia dell’ architettura. Che la studia quotidianamente.
L’idea matura nel tempo, non bisogna essere impazienti, per realizzare un progetto CI VUOLE TEMPO DI DECANTAZIONE.
ADDENDUM
A posteriori, appare strano che, un filosofo colto e raffinato nel suo pensiero, analizzando la trattatistica legata all’architettura, non si ponga il problema della continuità della”visione classica”, cancerogena ed umano-centrica, di una società, quella occidentale, che si è “mangiata” (codificando e legittimando) l’ecosistema planetario.
Proprio lui, il filosofo, che dovrebbe evidenziare questa contraddizione, attraverso cui rendendo tutto, ad una dimensione “matematicamente e geometricamente” trasmissibile (scientia), invece di proporre ipotesi e soluzioni alternative, in grado di restituire uno spiraglio di luce sul futuro dell’ agire umano, cerca di dare continuità a questa MACELLERIA PLANETARIA.
In tal senso, ottima la scelta dell’ora del tramonto, in grado di restituire ai convenuti, il senso di un pensiero occidentale morente, lanciato probabilmente in maniera inevitabile, verso la fine.
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Raccontare una valle, la Valvestino (Brescia), una realtà montana, difficile, è in fondo risalire agli atti che hanno consentito di costituire qui un nucleo umano ancestrale “resistente”, e di fatto rappresenta il destino primigenio di ogni essere umano su questo Pianeta.
L’atteggiamento deve essere un po quello dell’archeologo, che ricerca nei vari strati della realtà, per individuare anche i segni più nascosti: e qui i Valvestino sono passati i Goti, i Longobardi, i Romani, lasciando evidenti reperti del loro passaggio.
I fienili di Cima Rest, in Valvestino, sono dei fabbricati rurali situati ad una altitudine di 1.257 metri sul livello del mare, in un altopiano verdeggiante del comune di Magasa.
Sono strutturati in planimetria, in modo da contenere in un solo edificio le funzioni fondamentali per la vita tipica delle malghe: al piano inferiore la stalla per il bestiame, l’abitazione per il contadino, a quello superiore (con accesso autonomo dall’esterno) il deposito per il foraggio, e all’esterno la legnaia.
Il fienile a pianta rettangolare, spesso è parzialmente incassato nel pendio della montagna, e si sviluppa su due piani: in quello inferiore, racchiuso tra mura di pietra, c’è la stanza principale con il camino, una seconda stanza collegata alla precedente per l’attività casearia e deposito provvisorio del formaggio e la stalla per il ricovero del bestiame bovino; tutto il pavimento è in selciato.
In seguito a ricerche storiche, iniziate nel secondo dopoguerra, si è riusciti a datare questa tipologia di costruzione al VII secolo, attribuendola alle tradizioni dei Goti (probabilmente di origine svedese) o dei Longobardi (probabilmente di origine germanica).
La base della costruzione è formata da una possente muratura in pietra locale calcarea, sulla quale poggia il tetto dalle due falde fortemente inclinate (55 gradi circa). L’intelaiatura del tetto è costituita da una serie di travi portanti, solitamente di abete, ma anche faggio, sulle quali sono inchiodate delle travi secondarie di minor dimensioni che servono per sostenere il manto di leggero copertura.
La tecnica di copertura si basava sull’allineamento e sovrapposizione di centinaia di fasci sottili di steli mietuti (mannelli di paglia ottenuti da un grano il cui nome scientifico è il Triticum Aestivum, varietà antica di grano, con spiga alta di un colore tendente al rossiccio durante la maturazione), legati con steli di lantana. Il risultato finale era un manto compatto e perfettamente funzionale: difatti la paglia oltre che essere un ottimo idrorepellente è pure un ottimo isolante termico che permette una perfetta conservazione del foraggio.
Oggi per riparare e ricostruire i tetti dei fienili si utilizza un Team Danese, che ha l’abilità tecnica (comune agli edifici storici danesi) per realizzare l’opera con perizia e velocità, mentre la paglia adatta è stata fatta giungere a Magasa dalla Romania. (https://www.gardapost.it/2014/06/26/larte-rifare-i-tetti-in-paglia-dei-fienili-rest/)
E’ interessante notare la permanenza di queste forme essenziali e funzionali, e delle relative tecnologie costruttive; permanenza che ha consentito di fare giungere fino a noi tali opere dell’ingegno umano.
Una architettura, in fondo, è sempre un “ponte di collegamento”, che consente ad un edificio di avere una bellezza formale contemporanea, e di andare oltre rispetto al proprio passato e al proprio futuro.
Questi fienili, con le loro forme e la loro tecnologia “naturale”, ancora oggi ci affascinano, perché conservano la libertà dei movimenti delle persone che la hanno volute ed abitate, facendoci chiaramente percepire l’essenza di cui la vita è fatta. Forme primigenie, ancestrali, in perfetta mimesi con la natura ed paesaggio circostanti, che suscitano bellezza, e forse proprio per questo portate avanti per così tanto tempo.
Come scrivono Alessandro Michele ed Emanuele Coccia, nel bel libro: “La vita delle forme, filosofia del reincanto” (Harper Collins, 2024) – ….osservare un qualsiasi oggetto equivale a entrare in una biblioteca dove le cose bisbigliano, mormorano, cantano, la loro voce è come il deposito di tutte le vite che hanno attraversato: in esse parlano in ventriloquo chi le ha fabbricate, chi le ha amate, chi le ha curate……E’ la narrazione che si deposita sulle cose….-
La permanenza soprattutto delle forme, quì a Cima Rest, è così forte, che queste sono state portate avanti per secoli, ed ancora oggi, gli edifici di nuova costruzione “imitano” con nuove tecnologie, le forme degli edifici storici esistenti.
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A pochi chilometri sopra Trento, immersa nel verde, ed in dominanza del paesaggio, si trova Villa Margon. Essa è una delle più interessanti residenze signorili costruite nel Rinascimento. La villa, edificata tra i boschi in località Margon alle pendici del Monte Bondone (452 m.s.l.m.), venne completata verso il 1540-50 per la delizia estiva della famiglia di origine veneta dei Basso. Estinta la famiglia dei Basso dal 1596, la villa passò di mano in mano alle antiche e nobili famiglie europee, tra le quali i Fugger (Tedeschi di Augusta), i Lodron (Trentini di Storo, valle del Chiese), i Lupis (Italiani di probabili origini franco-germaniche) e i Salvadori (originari di Mori vicino a Rovereto) che la tennero fino al 1970.
Dimora estiva nobiliare e luogo di villeggiatura, la residenza, con i suoi annessi, sorge in un paesaggio di una bellezza unica ed è immersa in un vasto parco di circa 135 ettari. Donata agli inizi degli anni ’90 alla famiglia Lunelli, i detentori del prestigioso marchio vinicolo “Ferrari”, è diventata, dopo una ristrutturazione/restauro che ne ha restituito l’antico splendore originario, sede di rappresentanza e biblioteca “Bruno Brunelli”( https://www.brunolunellilibrary.it/villa-margon/ ).
Villa Margon ha ospitato, negli anni del Concilio di Trento (1545-1563), cardinali e prelati giunti da tutta Europa per la grande assise che diede il via alla Controriforma. Tra gli ospiti la tradizione vuole anche l’imperatore Carlo V, le cui gesta, non a caso, sono raccontate in un ciclo di affreschi che impreziosiscono la villa, e il cui letto è tra gli arredi più significativi. Affrescata anche all’esterno, Villa Margon risalta in un parco che è intatto da secoli e che, per la vegetazione, soltanto in parte autoctona, è considerato un capolavoro della natura.
SOPRA –Immagini tratte da Google Earth
Si tratta di un edificio sostanzialmente residenziale a pianta rettangolare, costruito proprio di fronte ad una fortificazione merlata, si antepone ad essa con un meraviglioso portico, sormontato da eleganti loggiati di chiara ispirazione veronese, caratteristica peculiare di molte ville rinascimentali venete. Le logge sono riccamente affrescate con rappresentazioni di assedi di città.
Il sistema compositivo loggiato della facciata, palesa chiaramente, questa nuova filosofia architettonica di implementare il paesaggio circostante, che non deve più essere solamente osservato dalle minute finestre nelle murature dai residenti, ma goduto con una vera e propria “immersione” in esso.
L’interno, molto semplice nella disposizione planimetrica (sala centrale con quattro sale più piccole laterali, una per ogni lato lungo) si articola in una serie di sale riccamente affrescate da cicli pittorici che rappresentano testimonianze preziose della pittura trentina del Cinquecento. Affreschi che testimoniano della vita dell’imperatore Carlo V, che sembra sia stato ospite della villa. Altri affreschi contengono scene del Vecchio e del Nuovo Testamento ed un ciclo dei Mesi. Le decorazioni sono il frutto dell’opera di artisti attivi in loco tra il 1556 e il 1566. La villa conserva anche importanti arredi coevi al suo completamento.
La villa, ha antistante, una casa merlata con torretta munita di orologio e meridiana, ampliata e modificata nell’Ottocento, la Cappelletta della Natività di Maria Vergine, rifatta in stile neogotico dall’architetto Masera nel 1867 su quella già esistente del Cinquecento, il giardino all’inglese (con un grande parterre) e l’annesso parco, che “sfuma” in maniera sapiente nella natura “antropizzata” circostante.
L’interno si articola in una serie di ampie sale riccamente arredate e decorate: dal salone centrale si accede alle quattro sale laterali, due a sinistra e due a destra. Il salone centrale presenta, in dodici riquadri affrescati, le principali imprese militari dell’imperatore Carlo V tra le quali la battaglia di Pavia con la cattura di Francesco I nel 1515 e la vittoria, seppur parziale, sui Protestanti nel 1547 (battaglia di Mühlberg nel Brandeburgo germanico).
A sinistra si entra in una sala quadrata con soffitto a cassettoni che presenta pareti affrescate con dodici scene dell’Antico Testamento. Tra le altre, l’affresco dedicato alla Torre di Babele, quello alla creazione dell’uomo e della donna, l’alluvione con l’Arca di Noè e quello dedicato ad un episodio delle Storie della vita di San Giuseppe. La seconda sala, collegata con la precedente e il salone centrale, propone dodici riquadri affrescati con scene del Nuovo Testamento. Tra gli altri, la Moltiplicazione dei pani e l’incontro di Gesù con la Samaritana. Al centro della sala una raffinata copia marmorea della scultura di Amore e Psiche di Antonio Canova.
Alla destra del salone principale, la sala da pranzo. La sala presenta pareti decorate da un ciclo di affreschi che rappresentano i dodici mesi dell’anno. Protagonista degli affreschi dei mesi è l’ambiente naturale circostante. La seconda sala sulla destra del salone d’ingresso è la sala del biliardo che ospita una raccolta di vedute di Villa Margon, ed alle pareti una raffinata serie di formelle colorate a creare una decorazione che simula una tappezzeria dipinta.
Il primo piano ricalca esattamente lo sviluppo planimetrico sottostante: un grande salone centrale, che si apre sul loggiato, e quattro stanze laterali.
Come già descritto in precedenza, è proprio lo splendido loggiato, proporzionato e geometricamente ineccepibile, che testimonia della rivoluzione architettonica rinascimentale, nella tipologia della Villa, la creazione di una “Sala aperta” sul paesaggio. Un luogo sicuro, non solo di collegamento tra ambienti interni, ma uno spazio privato in cui sostare, e da cui dominare, e contemplare, la natura circostante ed il giardino.
Come scrive Howard Burns nel libro “La villa italiana del Rinascimento” (Angelo Colla Editore, 2019). “La villa italiana rinascimentale risponde non solo al desiderio da parte dei proprietari e dei loro architetti di ricreare le forme e i piaceri delle ville degli antichi romani, con i loro colonnati e giardini, ma anche alle esigenze della sicurezza e dello sfruttamento economico delle campagne. E ci ricorda come la villa rinascimentale è spesso erede del castello medioevale, cioè luogo forte da cui dominare il territorio circostante.”
Lì vicino, ma più in basso, sulla strada di accesso alla villa da Ravina, immersa nei vigneti, la Locanda Margon, con cucina a cura di Edoardo Fumagalli chiamato a dirigere il progetto eno-gastronomico della famiglia Lunelli ( https://locandamargon.it/ ).
SOPRA – Il bel libro di Michelangelo Lupo e fotografie di Massimo Listri, sulla Villa Margon, edito da Skira
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