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Builders of the future

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COPENHAGEN e MALMOE (Una visita)


Tre giorni, una estate (dall’8 al 11 agosto 2019), per assatanati di cultura : architetture, paesaggi, musei………..e cibo. Compresa una breve digressione in treno a Malmoe in Svezia, la città di Greta Thunberg, dove si arriva comodamente attraverso il maestoso ponte di Oresund.

Forse una delle più belle, ed ecologiche città d’Europa; veramente SMART. La bicicletta come stile di vita.

Città che è stata nel 2023 capitale Mondiale dell’Architettura, con il congresso dell’U.I.A. (Unione Internazionale degli Architetti). Una città che è una vera e propria BIBLIOTECA ALL’APERTO dell’Architettura.

Una città che, sembra assurdo, è anche molto, molto “balneare”.

Quì sotto il LINK ad una MAPPA che racconta la visita localizzando i luoghi.

https://rb.gy/jmbzt8

SOPRA – Una immagine aerea, tratta da Google Earth, di Amagen Strandpark, la bella spiaggia di Copenhagen

Con il rispetto del Copyright delle immagini selezionate

Il chiosco del fioraio


Sigurd Lewerentz (https://it.wikipedia.org/wiki/Sigurd_Lewerentz), grande architetto svedese, raggiunge l’apice della sua poetica, con il chiosco dei fiori del Cimitero Est di Malmö (Östra kyrkogården, Sallerupsvägen), del 1969.

Nel sublime e minimalista, piccolo edificio, la decorazione non palesa più i contenuti della costruzione, sinergica a testimoniare il “sentire” del suo tempo, come era avvenuto in passato, ma si fa dichiarazione di nuovi valori autonomi, sia formali, che materici, suggerendo un probabile futuro per l’architettura che, di fatto, è diventato il nostro presente. Tanti gli “spunti poetici” legati al mondo lecorbuseriano.

Servirebbero studi ed analisi approfondite, ma appare chiaro, che questo minuto edificio “criptico”, è di fatto un manifesto per una architettura essenziale ed innovativa. Una “pietra” lanciata nel futuro, dal grande architetto svedese, quasi un lustro prima di morire.

Elementi di un manifesto che si possono facilmente ravvisare in molte architetture contemporanee, svizzere ad esempio.

SOPRA – Planimetria del Cimitero Est di Malmö, con evidenziato in rosso il chiosco dei fiori

(tratta da Google Earth)

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WOLFGANG LAIB


SOPRA – Vista di Varese dall’alto del giardino di Villa Panza

SOPRA – La corte di Villa Panza che si apre sul giardino, con l’opera Cone of water di Meg Webster, 2016

Partendo dalla visione paesaggistica della città di Varese dall’alto, che bene si può cogliere dal giardino all’italiana, di villa Panza di Biumo, oggi bene FAI (https://fondoambiente.it/luoghi/villa-e-collezione-panza); ed idealmente entrando, all’indietro, nel “contenitore museale”, attraverso la corte, una finestra, per apprezzare le stanze della meravigliosa installazione, decantata nel corso del tempo, dal sofisticato e stimolante progetto espositivo di Giuseppe Panza, si può cogliere, anche in una uggiosa e fredda giornata autunnale, la magnificenza del luogo.

Meglio se si è pure accompagnati da una colta, ed esperta studiosa della collezione, opportunamente agghindata, quasi per essere parte, essa stessa, dell’esposizione d’arte.

L’esposizione delle opere di Wolfgang Laib, che si intitola “Passageway”, bene identifica questi anni sofferti di “passaggio”, che stiamo attraversando. Passaggio da un sistema di vivere, produrre e consumare, che ci sta portando al collasso dell’ecosistema planetario, ad un’altro sistema di vita che ci sarà imposto dalle circostanze climatiche.

Nell’attività dell’artista tedesco, nato a Metzingen il 25 marzo 1950, il passaggio che attua con la sua attività artistica, è quello della materia naturale organica : riso, cera d’api, in artefatti artistici, grazie all’azione operata dalla sua attività.

E’ anche un “passaggio” tra materiale ed immateriale, tra concreto ed astratto.

Ci vogliono cinque mesi perchè dal seme del riso nascano un germoglio, e quindi una piantina. Poi che questa fiorisca, fruttifichi, in un ciclo continuo che si succede incessante da millenni.

SOPRA E SOTTO – Wolfgang Laib, Passageway Inside – Downside, 2011/2012, 52 navi in ottone

SOPRA – Nave di ottone, su letto di chicchi di riso

SOPRA – Wolfgang Laib – Brahmanda, 2016/2022, Granito indiano nero lucidato con olio di girasole

SOPRA – Wolfgang Laib – Untitled, 2023, Scultura in cera d’api e riso

SOPRA – Wolfgang Laib – Crossing the River for Bodidharma 2023, Lavori in colore bianco su sfondo bianco

Dichiara l’artista : “Per me è molto bella la sensazione di poter superare il tempo”, ed ancora : “Credo che l’arte davvero importante sia senza tempo”.

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Villa Margon


A pochi chilometri sopra Trento, immersa nel verde, ed in dominanza del paesaggio, si trova Villa Margon. Essa è una delle più interessanti residenze signorili costruite nel Rinascimento. La villa, edificata tra i boschi in località Margon alle pendici del Monte Bondone (452 m.s.l.m.), venne completata verso il 1540-50 per la delizia estiva della famiglia di origine veneta dei Basso. Estinta la famiglia dei Basso dal 1596, la villa passò di mano in mano alle antiche e nobili famiglie europee, tra le quali i Fugger (Tedeschi di Augusta), i Lodron (Trentini di Storo, valle del Chiese), i Lupis (Italiani di probabili origini franco-germaniche) e i Salvadori (originari di Mori vicino a Rovereto) che la tennero fino al 1970.

Dimora estiva nobiliare e luogo di villeggiatura, la residenza, con i suoi annessi, sorge in un paesaggio di una bellezza unica ed è immersa in un vasto parco di circa 135 ettari. Donata agli inizi degli anni ’90 alla famiglia Lunelli, i detentori del prestigioso marchio vinicolo “Ferrari”, è diventata, dopo una ristrutturazione/restauro che ne ha restituito l’antico splendore originario, sede di rappresentanza e biblioteca “Bruno Brunelli”( https://www.brunolunellilibrary.it/villa-margon/ ).

Villa Margon ha ospitato, negli anni del Concilio di Trento (1545-1563), cardinali e prelati giunti da tutta Europa per la grande assise che diede il via alla Controriforma. Tra gli ospiti la tradizione vuole anche l’imperatore Carlo V, le cui gesta, non a caso, sono raccontate in un ciclo di affreschi che impreziosiscono la villa, e il cui letto è tra gli arredi più significativi. Affrescata anche all’esterno, Villa Margon risalta in un parco che è intatto da secoli e che, per la vegetazione, soltanto in parte autoctona, è considerato un capolavoro della natura.

SOPRA – Immagini tratte da Google Earth

Si tratta di un edificio sostanzialmente residenziale a pianta rettangolare, costruito proprio di fronte ad una fortificazione merlata, si antepone ad essa con un meraviglioso portico, sormontato da eleganti loggiati di chiara ispirazione veronese, caratteristica peculiare di molte ville rinascimentali venete. Le logge sono riccamente affrescate con rappresentazioni di assedi di città.

Il sistema compositivo loggiato della facciata, palesa chiaramente, questa nuova filosofia architettonica di implementare il paesaggio circostante, che non deve più essere solamente osservato dalle minute finestre nelle murature dai residenti, ma goduto con una vera e propria “immersione” in esso.

L’interno, molto semplice nella disposizione planimetrica (sala centrale con quattro sale più piccole laterali, una per ogni lato lungo) si articola in una serie di sale riccamente affrescate da cicli pittorici che rappresentano testimonianze preziose della pittura trentina del Cinquecento. Affreschi che testimoniano della vita dell’imperatore Carlo V, che sembra sia stato ospite della villa. Altri affreschi contengono scene del Vecchio e del Nuovo Testamento ed un ciclo dei Mesi. Le decorazioni sono il frutto dell’opera di artisti attivi in loco tra il 1556 e il 1566. La villa conserva anche importanti arredi coevi al suo completamento.

La villa, ha antistante, una casa merlata con torretta munita di orologio e meridiana, ampliata e modificata nell’Ottocento, la Cappelletta della Natività di Maria Vergine, rifatta in stile neogotico dall’architetto Masera nel 1867 su quella già esistente del Cinquecento, il giardino all’inglese (con un grande parterre) e l’annesso parco, che “sfuma” in maniera sapiente nella natura “antropizzata” circostante.

L’interno si articola in una serie di ampie sale riccamente arredate e decorate: dal salone centrale si accede alle quattro sale laterali, due a sinistra e due a destra. Il salone centrale presenta, in dodici riquadri affrescati, le principali imprese militari dell’imperatore Carlo V tra le quali la battaglia di Pavia con la cattura di Francesco I nel 1515 e la vittoria, seppur parziale, sui Protestanti nel 1547 (battaglia di Mühlberg nel Brandeburgo germanico).

A sinistra si entra in una sala quadrata con soffitto a cassettoni che presenta pareti affrescate con dodici scene dell’Antico Testamento. Tra le altre, l’affresco dedicato alla Torre di Babele, quello alla creazione dell’uomo e della donna, l’alluvione con l’Arca di Noè e quello dedicato ad un episodio delle Storie della vita di San Giuseppe. La seconda sala, collegata con la precedente e il salone centrale, propone dodici riquadri affrescati con scene del Nuovo Testamento. Tra gli altri, la Moltiplicazione dei pani e l’incontro di Gesù con la Samaritana. Al centro della sala una raffinata copia marmorea della scultura di Amore e Psiche di Antonio Canova.

Alla destra del salone principale, la sala da pranzo. La sala presenta pareti decorate da un ciclo di affreschi che rappresentano i dodici mesi dell’anno. Protagonista degli affreschi dei mesi è l’ambiente naturale circostante. La seconda sala sulla destra del salone d’ingresso è la sala del biliardo che ospita una raccolta di vedute di Villa Margon, ed alle pareti una raffinata serie di formelle colorate a creare una decorazione che simula una tappezzeria dipinta.

Il primo piano ricalca esattamente lo sviluppo planimetrico sottostante: un grande salone centrale, che si apre sul loggiato, e quattro stanze laterali.

Come già descritto in precedenza, è proprio lo splendido loggiato, proporzionato e geometricamente ineccepibile, che testimonia della rivoluzione architettonica rinascimentale, nella tipologia della Villa, la creazione di una “Sala aperta” sul paesaggio. Un luogo sicuro, non solo di collegamento tra ambienti interni, ma uno spazio privato in cui sostare, e da cui dominare, e contemplare, la natura circostante ed il giardino.

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2023/07/villa-margon-il-gioiello-del-rinascimento-trentino-7f9e27c4-c7d5-4a3d-9d21-429d52e5faf9.html

Come scrive Howard Burns nel libro “La villa italiana del Rinascimento” (Angelo Colla Editore, 2019). “La villa italiana rinascimentale risponde non solo al desiderio da parte dei proprietari e dei loro architetti di ricreare le forme e i piaceri delle ville degli antichi romani, con i loro colonnati e giardini, ma anche alle esigenze della sicurezza e dello sfruttamento economico delle campagne. E ci ricorda come la villa rinascimentale è spesso erede del castello medioevale, cioè luogo forte da cui dominare il territorio circostante.”

Lì vicino, ma più in basso, sulla strada di accesso alla villa da Ravina, immersa nei vigneti, la Locanda Margon, con cucina a cura di Edoardo Fumagalli chiamato a dirigere il progetto eno-gastronomico della famiglia Lunelli ( https://locandamargon.it/ ).

SOPRA – Il bel libro di Michelangelo Lupo e fotografie di Massimo Listri, sulla Villa Margon, edito da Skira

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Robert Mallet – Stevens (1886/1945)


Nipote acquisito dell’abile finanziere belga Adolphe Stoclet, Robert Mallet-Stevens (1886 – 1945), trascorrerà molti soggiorni a Bruxelles nella casa dello zio, il Palais Stoclet, progettato dall’architetto Josef Hoffman (e decorato da Gustav Klimt), figura di spicco della Secessione viennese (https://bit.ly/3nhYEp3) . Una “opera d’arte totale” che condizionerà la formazione giovane architetto Robert.

Al Salon d’Automne del 1912, dove espose i suoi primi progetti (soprattutto arredamenti), ebbe modo di conoscere P. Chareau e altri artisti, animati dallo stesso intento di rinnovamento che porterà alla costituzione nel 1929 dell’Union des Artistes Modernes.

Dopo essersi arruolato nell’aviazione durante la prima guerra mondiale, Robert Mallet-Stevens ha progettato vetrine e negozi per l’industria e il commercio e ha creato numerosi set cinematografici. Nel 1925 progetta diversi padiglioni e allestimenti per l’Esposizione delle Arti Decorative di Parigi (https://bit.ly/3AFyyiQ), che si distinguono per la loro modernità. Le linee pulite, geometriche, vengono liberate dagli ornamenti, dai decori, la luce viene trattata come materia, allo stesso modo di quelle frutto del progresso tecnologico (ferro, vetro, cemento).

Nel 1924, Robert incontra a Parigi il banchiere Daniel Dreyfus, che desidera realizzare un’operazione immobiliare per costruire un complesso residenziale su un terreno di 3.827 metri quadrati di sua proprietà nel 16° arrondissement, a pochi metri dalla sua residenza privata, situata in rue de l’Assomption.

SOPRA – Immagine tratta da Google Earth

SOPRA – Disegno a mano libera, del lotto, tratto da una planimetria presente sul posto (Dario Sironi, 2007)

Mallet-Stevens progetta quindi un insieme totalmente omogeneo, senza negozi e lontano dal rumore, interamente dedicato all’abitazione e alla calma. Dove possano insediarsi artisti, ricchi borghesi, intellettuali (https://bit.ly/44fraIB). Tutto è pensato dall’architetto, dall’arredo urbano alla decorazione d’interni, riprendendo il concetto di arte totale del Palais Stoclet.

Un complesso residenziale “lavorato” all’interno di un lotto. Un intervento di micro-urbanistica raffinato e coerente con i dettami del nascente Movimento Moderno. (https://www.villegiardini.it/robert-mallet-stevens/)

Vicino a Rue Mallet-Stevens, le Corbusier realizzò, qualche anno prima, nel 1924, la “doppia” villetta Maison La Roche – Jeanneret (8/10 Piazza du Docteur Blanche 75016 Paris); LC costruirà la “sua macchina da abitare”, in maniera ascetica e pauperistica, infischiandosene d’intrattenere un dialogo con il passato. Diverso è il caso di Mallet – Stevens, che con raffinata pazienza instaura un dialogo sapiente con la storia dell’architettura: fatto di dettagli, materiali e forme.

Purtroppo, negli anni Sessanta del Novecento, il complesso realizzato nel 1927, viene manomesso in molte parti (interni, arredo urbano, ecc.), e sopraelevato di 3 piani. Nonostante ciò il complesso consente ancora oggi di apprezzare la maestria e l’abilità architettonica dell’architetto franco-belga.

Dal 1930 Mallet – Stevens fu nel comitato direttivo de L’architecture d’aujourd’hui, la principale rivista d’architettura pubblicata in Francia.

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Orto Botanico “Isole di Brissago”


Da Locarno, si prende un comodo battello, e circa in mezz’ora, o poco più, si raggiunge il paradisiaco Orto Botanico.

Il giardino, con più di 1700 piante, viene raccontato con un percorso ambizioso teso ad illustrare la vegetazione del Mondo.

In primavera l’Orto Botanico delle Isole di Brissago (https://www.isoledibrissago.ti.ch/it/), dà il meglio di sè, con le cime più alte, verso nord, che circondano il Lago Maggiore, ancora innevate, mentre le fioriture delle Camelie, delle Azalee, dei Rododendri, ecc., e delle perenni primaverili, restituiscono, per contrasto, inquadrature indimenticabili – https://www.ticino.ch/it/commons/details/Isole-di-Brissago-Giardino-Botanico/2636.html

Una gita “di paesaggio”, per chi apprezza i contrasti e la Natura.

https://photos.app.goo.gl/mEN72EVZDaBf43oW8

SOPRA – L’Albergo delle Api

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UN “CIRCUITO” TRENTINO


Un “circuito” stradale, nel Trentino del sud, fattibile sia in auto che in bicicletta. Un centinaio di chilometri circa, tra le due città trentine, uscendo dalla Brennero A 22 a Rovereto Sud (Lago di Garda Nord) passando per il lago di Toblino (SS 45BIS), e rientrando nella Brennero A 22 a Trento Nord………O VICEVERSA.

Un piccolo viaggio, da “sogno” tra laghi limpidi, falesie immaginifiche, splendide architetture, vigneti e paesaggi meravigliosi. Un viaggio, dove l’azione umana sulla crosta terrestre, sembra ancora avere una dimensione in cui Natura ed Artificio possano coesistere. Ovviamente, un viaggio anche di sapori, di enogastronomia, tra profumi e luci naturali indimenticabili. Una “mappa empatica”.

https://www.google.com/maps/d/edit?mid=1tv04fzuhAOpznfDAiZidaRlw8TgWKgc&usp=sharing

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Segnali dal passato


L’abbazia di Mirasole, sita nel Comune di Opera, fu fondata all’inizio del Duecento dall’ordine degli Umiliati fuori Porta Vigentina. Gli Umiliati furono uno dei molti movimenti spirituali sorti nel Medioevo in contrasto ai costumi rilassati e alla ricchezza diffusa spesso ostentata dal clero, propugnando un ritorno verso una vita più austera, frugale. L’abbazia è uno dei rari casi in Lombardia, di edificio religioso parzialmente fortificato ( https://bit.ly/3L22yf4 ).

Il complesso dell’antica grangia (Comunità agraria fondata su un’organizzazione economica ed amministrativa propria) costituisce uno degli esempi meglio conservati di corte colonica medievale; gli edifici, disposti a quadrilatero difensivo simile ad una cinta murata, erano circondati da un fossato e difesi da una torre munita di ponte levatoio. Due gli ingressi, uno dalla città, l’altro dai campi, immettevano nella corte circondata da abitazioni e laboratori per la lavorazione della lana. Accanto alla corte si trova il chiostro, strutturato su due piani, sul quale si affacciavano altri ambienti di servizio.

Mirasole era anche un luogo di ristoro e meditazione per i pellegrini, provenienti anche da tutta Europa,  collocato come era sui percorsi di devozione afferenti a Roma ed alle aree sacre del sud Italia.

I pellegrini, accolti nella struttura abbaziale, incidevano, nel corso del tempo, le copertine in cotto del chiostro al piano primo, per lasciare tracce del loro passaggio attraverso il Cammino dei Monaci ( https://bit.ly/3JjGjQv ), che è un cammino a tappe di 67 km che va da Milano alla via Francigena passando per il Po.

SITO DELLA IMPRESA SOCIALE MIRASOLE – https://bit.ly/3ygnurc

SOPRA – Immagine tratta da Google Earth

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Da GLORENZA a LAMPEDUSA


“Oggi attribuiamo grande valore alle apparenze, come un tempo si usava l’architettura per dimostrare potere: lo stile fascista, per esempio, che non ho mai amato, rappresentava la potenza di un governo, di una nazione, facendo un uso improprio della bellezza.

Ma le apparenze, in realtà, non significano nulla, i soldi non sono una misura per capire chi abbiamo di fronte.

Dinanzi alla vita, alla morte, al tempo che passa, alla monumentalità della natura siamo tutti uguali, creature fragili, mortali.”

Oscar Niemeyer (1907 / 2012)

GLORENZA

Glorenza è un comune italiano di 913 abitanti della provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige, situato nell’Alta Val Venosta, lungo la strada verso il Passo del Forno. Si trova a 10 chilometri dal confine svizzero. È il più piccolo comune dell’Alto Adige a fregiarsi del titolo di città. Altitudine 907 m.s.l.m.

Il toponimo è attestato come “Glurnis” nel 1163 e “Glurns” nel 1228. Esso deriva da colurnus, variante del latino corylus (che significa «nocciolo». Nel 1309 Glorenza fu elevata a città (risultando la più piccola delle otto presenti nella provincia). Venne completamente rasa al suolo nel 1499, dopo la battaglia della Calva, nel corso della guerra sveva, che opponeva l’imperatore Massimiliano I alla Confederazione dei tredici Cantoni.

Dopo questa distruzione, l’imperatore Massimiliano decise di ricostruirla e di munirla di mura (le quali si sono conservate intatte fino al presente e sono uno dei principali luoghi d’interesse della città), trasformandola in una testa di ponte verso i possedimenti asburgici in Svizzera.

Anche dopo che questi, poco tempo dopo, furono perduti, Glorenza conobbe comunque lunghi secoli di prosperità come città mercantile, grazie soprattutto al commercio del salgemma proveniente da Hall (Tirolo settentrionale) e destinato in Svizzera.

Sono stato a Glorenza per 3 giorni, l’estate scorsa (2022). Tutto sembra perfetto, con una notevole propensione da parte dei cittadini venostani, al rispetto delle leggi e ad una esagerata manutenzione del paesaggio.

L’architettura moderna, che si confronta con il suo importante passato, è particolarmente brillante ed attenta alla sostenibilità. Potendo anche disporre di un’entità economica rilevante.

Come ad esempio, ha fatto Werner Tscholl, per il nuovo edificio della Distilleria PUNI (l’unica distilleria di whiskey in Italia), Glorenza, Via Mühlbach, 2. Progettata e costruita tra il 2010 ed il 2012. Un edificio cubico, rivestito come i vecchi fienili per l’essicazione del fieno. Dentro un cubo di cristallo, con gli uffici e gli spazi per la vendita. Sotto la parte produttiva e la cantina per l’invecchiamento del whisky. Un piccolo capolavoro, frutto di grande maestria del professionista altoatesino (http://www.werner-tscholl.com/new-constructions/puni-destillerie-glurns-2012/).

1.877 chilometri a sud di Glorenza………..

…….pari a 2,5 ore di aereo o 26 ore in auto, o 297 ore a piedi……..

…….si trova l’isola di Lampedusa («un pezzo d’Africa in Italia»).

Tra le due cittadine, ci sta tutta l’Italia, ci stiamo noi, con le nostre contraddizioni, le nostre idiosincrasie, i nostri contrasti.

Sono stato di recente a Lampedusa per 4 giorni. 5.871 abitanti ed oltre 1.000 unità delle forze dell’ordine (soprattutto Guardia di Finanza), per la problematica dei migranti. In estate gli abitanti aumentano a circa 60.000.

È la più estesa dell’arcipelago delle Pelagie nel Mare Mediterraneo, nonché il territorio italiano più meridionale in assoluto e fa parte del Consorzio di Agrigento. Geograficamente si trova in Africa. Amministrativamente forma, assieme a Linosa, il comune di Lampedusa e Linosa (di cui è la sede municipale, che conta 6 373 abitanti complessivi. Con una superficie di 20,2 km², è la quinta per estensione delle isole siciliane. In greco antico era nota come Λοπαδοῦσσα Lopadoûssa, poi latinizzata in Lopadusa. Appartiene alla placca africana (Fonte : Wikipedia).

Durante questo soggiorno, sono riuscito ad avere lo scontrino solamente una volta in 4 giorni, per una granita da 2 euro ai gelsi di Linosa, TUTTO IL RESTO IN NERO (per Pos non funzionanti, e lo scontrino è un optional)………. siamo così, noi italioti, FATTI MALE !

Meno male, che c’è l’Architettura (quella con la “A” maiuscola”), la quale grazie a professionisti seri e colti, riesce a restituirci, in povertà o in ricchezza, tutta quella “GRANDE BELLEZZA” lasciataci dalle generazioni passate, che continuiamo a portare avanti nonostante la maggior parte dei nostri concittadini sembra indifferente a tutto ciò.

Come ad esempio l’architetto Vincenzo Latina, che a Lampedusa, ad ottobre 2022, ha inaugurato il Memoriale del naufragio di una nave di migranti del 3 ottobre 2013, in cui morirono 368 persone. Una ex cava di pietra, dismessa, trasformata in un luogo per eventi, in un memoriale in ricordo di quei naufraghi, ma anche di tutti i migranti che ambiscono alla “porta d’Europa”. Un piccolo capolavoro realizzato in totale povertà di mezzi e di denaro. (https://www.espazium.ch/it/attualita/dalla-roccia-verso-il-cielo) – (https://www.lacivettapress.it/2022/10/14/nella-cava-di-lampedusa-oasi-di-cultura-e-di-memoria-su-progetto-dellarch-latina-le-note-di-takahiro-yoshikawa/)

All’alba il dolore è stanco.

Poesia per i migranti.

All’alba il dolore è stanco
il corpo si abbandona sulla terra umida.
Lento dalla ferita sorge il sole
mentre la notte ha già preso il largo su una scialuppa
di fortuna.
Forse questa giornata approderà su un colle
e gli uomini si chineranno a raccogliere
frutti di generazioni mandate al sacrificio.
Sono venuto nel tuo paese con il cuore in mano
Espulso dal mio,
Un po’ volontariamente e un po’ per bisogno
Sono venuto,
Siamo venuti per guadagnarci da vivere,
Per salvaguardare la nostra sorte,
Guadagnare il futuro dei nostri figli,
L’avvenire dei nostri anni già stanchi,
Guadagnarci una prosperità
che non ci faccia vergognare,
Il tuo paese non lo conoscevo
E’ un immagine…
Un miraggio, credo, ma senza sole…
Siamo arrivati qui ad informare,
con un canto di follia nella testa…
E già la nostalgia e i frammenti del sogno…
Sopravviviamo tra l’officina
o il cantiere e i pezzi del sogno
Il nostro cibo, la nostra dimora
Dura l’esclusione
Rara la parola rara la mano tesa.

Tahar Ben Jelloun

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