Nell’anno 1956 Carlo Scarpa è insignito del prestigioso premio Olivetti per l’Architettura. In quel periodo l’architetto veneziano era impegnato, oltre agli interventi a Ca’ Foscari, ad alcuni allestimenti espositivi. Carlo Scarpa aveva appena concluso la realizzazione di palazzo Abatellis a Palermo ed il padiglione del Venezuela ai Giardini della Biennale. Soprattutto era impegnato nella conclusione di quel capolavoro di luce che è la Gipsoteca canoviana a Possagno. Nel 1957 Carlo Scarpa viene incaricato, direttamente da Adriano Olivetti, della progettazione del nuovo negozio in piazza San Marco. Olivetti intende realizzare una vetrina per esibire il lavoro della impresa di famiglia in Italia.
Piccolo invaso d’acquacon scultura “Nudo al sole” di Alberto Viani
Lo spazio individuato si trova in un punto privilegiato sotto i portici delle Procuratie Vecchie all’angolo con il sotto-portego e la corte del Cavalletto, in piazza San Marco. Il nuovo ambiente di vendita viene inaugurato il 26 novembre 1958. Il negozio si presenta, come uno spazio museale, esaltato da una scelta sapiente dei materiali, completamente aperto verso l’esterno, con le quattro campate angolari, che si proiettano nella Piazza.
Al piano superiore trovano posto l’esposizione delle macchine da scrivere e di calcolo prodotte dalla Olivetti insieme ad alcuni ambienti d’ufficio, che mostrano la sapiente capacità dell’architetto veneto nell’orchestrare i volumi e gli spazi.
Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate
Sono passati più di trent’anni, da quando Giorgio Grassi, il “Guru” milanese della “costruzione logica dell’architettura” (libretto del 1967, ma diventato nel tempo quasi un manuale) completava in Spagna con Manuel Portaceli la ristrutturazione/ricostruzione/consolidamento del teatro romano della cittadina di Sagunto, operazione destinata a diventare oggetto di infinite querelle e dibattiti tanto ampi da abbracciare anche la stessa definizione di restauro.
Per chi, come lo scrivente, era stato in quegli anni Ottanta del Novecento, studente del Politecnico di Milano, “Giorgino” era una specie di VATE, con un suo seguito di discepoli adoranti e fedelissimi. Una figura autorevole, severa, quanto colta, a cui tutti mendicavano una tesi o un esame di Composizione Architettonica. Con il tempo gli adepti divennero “quasi una setta”.
Tutto ciò ha fatto nascere un dibattito su cosa sia un “restauro”, anche perchè i resti del Teatro erano vincolati. Nel 1985 la rivista “Arquitectura” di Madrid pubblicava il progetto per il teatro di Sagunto, ideato dagli architetti Giorgio Grassi e Manuel Portaceli: animato da una profonda critica ai tradizionali metodi di restauro, tale progetto fu considerato di grande interesse culturale. “Attualmente il teatro di Sagunto si presenta, in larga misura, come una rovina artificiale”: con queste parole Giorgio Grassi e Manuel Portaceli commentavano lo stato in cui giaceva l’antico teatro romano di Sagunto, risalente al I secolo d.C. e avviavano il loro ragionamento sul progetto. La scomparsa quasi totale del muro del post-scaenium rompeva l’unità architettonica tipica della scatola scenica romana e provocava l’impressione di trovarsi di fronte alle rovine di un teatro alla greca, appoggiato sul pendio del monte e rivolto verso il paesaggio circostante. L’intervento di Grassi e Portaceli si poneva l’obiettivo di restituire l’unità architettonica originaria dell’edificio, che il tempo e i restauri precedenti avevano compromesso.
La base antica del Teatro, viene, nel progetto, come scrive lo stesso Giorgio Grassi su Domus n° 756 del gennaio 1994 “contemporaneamente rispettata e violata, rimettendo in servizio il teatro attraverso un suo completamento funzionale e l’assunzione della matrice razionale delle sue strutture originarie”.
Fino dal giorno in cui il cantiere fu compiuto, l’intervento sul Teatro di Sagunto non ha smesso mai di essere oggetto di polemiche e lo spettro della demolizione fu invocato più volte, benchè l’opera avesse avuto l’approvazione dalle autorità competenti. Venne impugnato ad ostaggio di una vertenza strumentale, tutta legata ad interessi di potere politico. Dopo 17 anni di contesa giudiziaria, viene fatto circolare, nel 2008 un Manifesto contro la demolizione. La Sovraintendenza di competenza fece fare degli studi sulla possibilità di ripristinare la situazione dei reperti ante intervento di Grassi/Portaceli. Studi che giunsero alla conclusione che era ormai impossibile ripristinare i luoghi ed i reperti.
Nel corso del tempo, sono tornato parecchie volte in “pellegrinaggio” al Teatro di Sagunto, quasi per penitenza, o meglio per vaccinarmi; e sempre questo metodo di restauro (se così lo si può chiamare) non mi ha mai convinto. Più che una “violenza” lo trovo un vero e proprio stupro architettonico.
Il “cassone ricostruttivo”che domina la cittadina di Sagunto (1985/1993) – Immagine tratta da Google Earth
I reperti archeologici, della cavea, celati dall’inconsueto intervento ricostruttivo di Giorgio Grassi (1985). Comprese le “oscene” poltroncine in materiale plastico, da stadio.
SOPRA –Immagine tratta da Google Earth
Il cemento armato, appoggiato sui reperti archeologici del basamento del Teatro romano, banalmente rivestito in mattonidi laterizio. Una operazione banale di nascondimentoscenografico,probabilmente concordata con i detentori del vincolo sui reperti.
La ricostruzione di Grassi/Portaceli è visibile da ogni punto della cittadina di Sagunto (da Google Earth)
La questione del restauro di un Teatro romano, è quanto mai viva oggi, che David Chipperfield si appresta a ricostruire quello di Brescia collocato nell’area archeologica di Brixia. Il progetto mira a restituire al monumento la sua natura di spazio vivo, culturale e urbano, al servizio della città.
Diversi sono i presupposti progettuali, finalizzati ad una progettazione partecipata. Il progetto sarà il frutto di un ampio lavoro preparatorio: rilievi laser scanner, studio storico, e soprattutto dialogo con istituzioni e cittadinanza. La Regione Lombardia ha sostenuto un percorso di sensibilizzazione pubblica, culminato in un ciclo di conferenze sul Teatro Romano. Importante anche la sinergia con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio che, con Fondazione e Comune, garantirà un dialogo ed un controllo costante durante le fasi di scavo e progettazione esecutiva.
I lavori si svolgeranno a cantiere aperto, permettendo al pubblico di assistere alla trasformazione del sito. Diversamente dal Teatro romano di Sagunto, non sarà ricostruita la scena del Teatro, nè si poserranno, delle sedute in materiale plastico nella cavea.
Immagine aerea tratta da Google Earth del Teatro Romano di Brescia
SOPRA – Planimetria (tratta da Google Earth) delle relazioni tra Palazzo Citterio ed il complesso di Brera
Nel giardino di Palazzo Citterio (ampliamento della Pinacoteca dell’Accademia di Brera – https://pinacotecabrera.org/grande-brera/), che presto sarà collegato con il meraviglioso Orto Botanico di Brera (https://ortibotanici.unimi.it/orto-botanico-di-brera/), una delle opere presenti nel Giardino del Palazzo, sarà l’arcaico muro, destinato a definirne parte della recinzione, denominato dallo stesso autore Mimmo Paladino: “Dei Longobardi”.
Il muro, realizzato dall’artista originario di Paduli, con gli stessi criteri costruttivi di riuso adottati dai, così detti (erroneamente) “Barbari germanici”, definiti Longobardi. Essi hanno attraversato un po’ tutta la penisola italica, concretizzando il Regno Longobardo, tra il 568-569 d.C. (invasione dell’Italia bizantina) e il 774 d.C. (caduta del Regno a opera dei Franchi di Carlo Magno), per loro era consuetudine riutilizzare i residui delle civiltà precedenti, e nella penisola, trovarono soprattutto, i resti dell’Impero Romano (la cui caduta avvenne nel 476 d.C.), per ricostruire, per ricomporre, per definire i propri edifici, i propri muri, le città. (https://www.exibart.com/speednews/milano-art-week-8-palazzo-citterio-apre-al-contemporaneo-ne-parliamo-con-mimmo-paladino/).
SOPRA – Tre immagini che restituiscono l’attività creativa in merito al “Muro Longobardo” di Mimmo Paladino (immagini fotografate alla mostra di Palazzo Citterio)
Il Muro dei Longobardi costituito da pietre riutilizzate, sovrapposte con sapienza dall’artista, definiscono una serie di nicchie, di aperture, in cui saranno collocati dei “frammenti” di reperti archeologici, opere dello stesso Paladino.
Immagine del “Muro” tratta dal numero di Exibart del 11-04-2018, dall’articolo a firma M. B. Ferri
SOPRA – Planimetria della “Collina di Ermes”, con localizzato il “Muro” di Mimmo Paladino
Quando prenotiamo un hotel online, guardiamo una partita di tennis in streaming o inviamo una mail, dei data center nel mondo devono consumare molta energia e acqua, per conservare ed elaborare le nostre richieste. Una certificazione lanciata in Svizzera, nel 2007, la P.U.E. (Power Usage Effectiveness = Efficacia del consumo energetico) intende identificare e ridurre l’impatto su ambiente e clima delle nostre abitudini digitali e fare della Svizzera una location ideale per data center più ecologici (https://www.swissinfo.ch/ita/crisi-climatica/un-label-svizzero-vuole-rendere-i-data-center-pi%C3%B9-verdi/81947167).
L’edificio, realizzato a Zugo, è stato oggetto del concorso di architettura a inviti bandito nel 2016, appartiene alla grande azienda multiutility regionale Wasserwerke Zug. Fuori terra ospita tre piani a uso ufficio e nei piani interrati è installato il data center di una delle più grandi aziende svizzere di comunicazione via cavo.
La localizzazione dei data center nell’Artico, in altitudine, o sott’acqua offre vantaggi significativi per ridurre l’efficienza dell’utilizzo dell’energia. Il clima naturalmente freddo del l’Artico o della montagna alta, offre un vantaggio intrinseco, consentendo un raffreddamento libero, che riduce la dipendenza dai sistemi di raffreddamento ad alta intensità energetica. Seguendo questa stessa dinamica, i data center subacquei sfruttano l’acqua circostante per dissipare il calore in modo efficiente, migliorando l’efficienza energetica e riducendo il PUE. Queste sedi innovative sfruttano il potere della natura, consentendo operazioni di data center più sostenibili ed ecologiche, ma tutto ciò contribuisce al surriscaldamento del clima terrestre.
A Milano, si tenta una strada innovativa, con la prima partnership industriale in Italia per il recupero di calore dai Data Center destinato al teleriscaldamento: grazie ad A2A, in collaborazione con DBA Group e Retelit (https://www.gruppoa2a.it/it/media/comunicati-stampa/milano-primo-progetto-italia-recupero-calore-data-center), l’energia generata da “Avalon 3”, il più recente data center iperconnesso e sostenibile della società di telecomunicazioni leader in Italia nel B2B, alimenterà la rete cittadina nel Municipio 6.
Il progetto permetterà di servire 1.250 famiglie in più all’anno, consentendo un risparmio energetico di 1.300 tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) e di evitare l’emissione di 3.300 tonnellate di CO2 con benefici ambientali pari al contributo di 24.000 alberi.
I Data center, come tutte le infrastrutture impiantistiche, inserite in contesti urbani o paesaggisticamente rilevanti, necessitano di una configurazione architettonica che ne consenta un inserimento, che abbia una elevata attenzione qualitativa per il costruito ed il paesaggio, che sia in grado di dialogare con il contesto. Se ne è accorto perfino l’Ordine degli Architetti di Milano, che in collaborazione Città metropolitana di Milano, e la Fondazione degli Architetti PPC della provincia di Milano aprono giustamente una riflessione con un dibattito sui Data Center, tema di progetto e oggetto architettonico di crescente impatto nel territorio ( https://ordinearchitetti.mi.it/it/formazione/eventi-formativi/L-%28IN%29SOSTENIBILE-LEGGEREZZA-DEL-DATO-70f6e).
Per altro, la necessità di inserire dal punto di vista paesaggistico le infrastrutture tecniche, ha una sua coniugazione storica che ha esempi pregevoli. Come ad esempio la Centrale Elettrica di Riva del Garda progettata negli anni Venti del Novecento dall’ Architetto Giancarlo Maroni , che appare, dal punto di vista architettonico come un frammento urbano in continuità con il centro storico della cittadina gardesana (https://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_idroelettrica_del_Ponale)
SOPRA –Immagine della centrale di Riva tratta da Google Earth
Rinasce quindi, la necessità di ritornare a ragionare dal punto di vista disciplinare, su come coniugare “impianti”, loro architettura, e paesaggio. Ciò riguarda non solo i data center, ma anche i grandi impianti elettrici, i terminal portuali, le centrali di trasformazione, i grandi complessi ferroviari, ecc..
Un esempio interessante è la nuova sottostazione APG di Nauders (Tirolo), collocata ad un’altitudine: 1.400 m s.l.m..
Nauders è la prima località su territorio austriaco dopo aver attraversato Passo Resia. Si trova su un altipiano soleggiato tra il Passo di Finstermünz e Passo Resia, e vanta una storia lunga e movimentata: già all’età del Bronzo, il passo venne attraversato e al seguito eretto l’insediamento di Nauders. La sua posizione stupenda fa pensare inevitabilmente a maestose vette e passi alpini.
E’ per questo che la progettazione di questo impianto, trasnazionale (Austria/Italia), per migliorare la potenza elettrica insediata nord/sud, ha subito una progettazione paesaggistica particolarmente attenta, sia nella dislocazione dei necessari edifici, e degli impianti, che nella scelta dei materiali di finitura.(https://www.apg.at/en/projects/nauders-substation/#c7574).
La stessa scelta di realizzare molti cavidotti completamente interrati, ben testimonia dell’attenzione per i luoghi dimostrata dai gestori energetici (APG e Terna).
Un altro esempio emblematico di inserimento nel paesaggistico per quanto riguarda le infrastrutture tecniche, è il termovalorizzatore “Amager Bakke” di Copenhagen in Danimarca, progettato da B.I.G. (Bjarke Ingels Group – https://big.dk/), e funzionante dal 2017.
Il “macchinario”, esistente ed in disuso, è stato riconvertito dallo studio della Archistar danese, ed ha una “pelle” ed una composizione architettonica, finalizzate a renderlo parte integrante del paesaggio urbano della capitale danese. Il tetto: un giardino verde inclinato, in estate ed inverno, diventa pista per lo sci (https://www.pantografomagazine.com/copenhill-inceneritore-green-copenaghen/)
Bisogna che gli enti preposti alla realizzazione di questi “impianti”, soprattutto in Italia, dove non c’è una cultura in tal senso, dimostrino in merito una particolare sensibilità, che non può solamente riguardare gli aspetti economici ed impiantistici, o tecnici, bisogna con urgenza occuparsi soprattutto di paesaggio. Lo stesso devono fare le società d’ingegneria a cui di solito è demandata la progettazione esecutiva, magari sviluppando internamente dipartimenti “di qualità” dedicati alla progettazione paesaggistica di queste infrastrutture da proporre nelle loro offerte tecniche, ai committenti.
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Villa Reale, in via Palestro a Milano, sede della Galleria di Arte Moderna(immagine tratta da Google Earth)
La Villa Reale di Milano, già Villa Belgioioso o Villa Belgiojoso Bonaparte, è una villa costruita tra il 1790 e il 1796 a Milano dall’architetto Leopoldo Pollack, su commissione del conte Ludovico Barbariano di Belgiojoso.
SOPRA –Dettaglio innesto delle colonne in acciaio, nel pavimento lapideo – La Neue Nationalgalerie (letteralmente: «nuova galleria nazionale», in contrapposizione alla Alte Nationalgalerie – «vecchia galleria nazionale») è un museo di Berlino destinato, dalla sua istituzione, ad occuparsi dell’arte del ventesimo secolo. Il museo si trova nel Kulturforum ed è considerato, insieme alla Gemaldegalerie e al Kunstgewerbemuseum, uno dei più importanti musei siti nell’area. L’edificio è stato progettato da Ludwig Mies van der Rohe, che ricevette l’incarico di progettarlo nel 1962, e fu inaugurato nel 1968.
SOPRA – Dettaglio della gronda/cornice – La Frederick C. Robie House è una costruzione progettata dall’architetto Frank Lloyd Wright, completata tra il 1908 ed il 1910. Si trova a Chicago Illinois, negli USA. Oggi è una dei National Hystoric Landmark degli Stati Uniti d’America, in virtù della sua importanza artistica e storica; è conosciuta infatti come la migliore rappresentazione della Prairie House School, Stile architettonico statunitense degli inizi del Novecento.
SOPRA – Dettagli Patio coperto del British Museum a Londra. Dal 2000 la luce inonda totalmente il nuovo spazio grazie all’immensa copertura di cristallo e acciaio (6000 metri quadrati di superficie e quasi 800 tonnellate). Il progetto di Norman Foster e Associati permette ai circa 5,5 milioni di visitatori annuali di muoversi più facilmente tra le gallerie del museo. Foster vinse il concorso, nel 1995, tra 132 professionisti. Liberando il patio e lasciando solo la sala lettura, il progetto crea grazie ad una copertura trasparente al di sopra dell’ambiente, una nuova “piazza” coperta. Senza lasciarsi intimidire dall’incarico Foster e gli ingegneri Buro Happold hanno dotato il museo di una volta di cristallo disposta come un rompicapo gigante. Per costruirlo sono stati necessari 3312 cristalli da 315 tonnellate e 478 tonnellate di acciaio.
SOPRA – Dettagli caminetto/mensola/serramento, piano primo, Villa Savoye a Poissy, Francia. Architetti : Le Corbusier, Pierre Jeanneret, 1928/1931
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Al numero 82 di Avenue Blanche de Castille, a Poissy, non molto lontano da Parigi, tra il 1928 ed il 1931, gli architetti Le Corbusier e Pierre Jeanneret, hanno edificato per i signori Eugénie e Pierre Savoye, una ricca coppia parigina, una prestigiosa villa.
L’antefatto della Villa, proprio accanto all’ingresso carraio e pedonale, è l’abitazione del custode/autista/giardiniere. Un piccolo edificio, che già esprime però, con austere dimensioni e materiali, i “cinque punti dell’Architettura Moderna (https://bit.ly/41JFC9H).
Un piccolo “gioiellino” poco trattato dagli studiosi. Solo sulla “palette” dei colori scelti dal “duo” ci si potrebbe fare un trattato.
Ma lasciamo parlare solamente le immagini………
SOPRA – Immagine aerea tratta da Google Earth
In cima alla scala esterna, al piano primo (ed unico), si trova l’ingresso della casa “Existenzminimum”, che ha una porticina d’ingresso lignea, verniciata di grigio, con maniglia di ottone, e soprastante piccola pensilina in beton. Una stanza centrale, caratterizza il piano, e da essa si ha accesso, tramite una porta scorrevole, alla cucina ed alla zona letto matrimoniale. Una piccola cameretta per bambini e un bagno “lecorbuseriano”, completano il piano, di soli 30 mq. Al piano terra è collocata una lavanderia ed un piccolo box doccia.
Proseguendo per la strada carraia in ghiaietto, superato un piccolo bosco, appoggiata su un grande prato verde, bianca appare la Villa dei Savoye.
Quasi fosse, ancora oggi, una magnifica “astronave architettonica” (Aliena ???), precipitata sul Pianeta Terra.
Rilievo sommario a vista sul posto, durante visita del 28 settembre 2017(Sironi Dario)
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SOPRA – Sede Mondadori a Tregarezzo di Segrate (Milano) dettaglio
Sexy si riferisce a qualcosa di provocante, di sensuale, di seducente, di erotico, ad un qualcosa che non è necessariamente bello ma che attrae per un determinato aspetto o dettaglio. Spesso per una. concomitanza di fattori difficili da spiegare.
Forme morbide, linee curve e sinuose, rendono sensuale l’architettura. Anche i materiale e l’incidenza luminosa su di essi, contribuisce a titillare l’occhio e la memoria cerebrale. Essi hanno anche una forte valenza tattile, e spesso odorosa, anche se qui a predominare e’ il profumo delicato della Mata Atlantica.
In merito alle curve morbide e libere, ad un’uso “stimolante” dei materiali, viene subito in mente la filosofia progettuale, la poetica, di uno dei più grandi architetti all’avanguardia, il brasiliano oscar Niemeyer.
Oscar Niemeyer, nato a Rio de Janeiro nel 1907 e morto nel 2012 sempre a Rio. E’ vissuto per 105 anni.
“Non è l’angolo retto ciò che mi affascina. Non la linea retta. Dura, inflessibile, creata dall’uomo. Ciò che mi affascina è la curva libera e sensuale. La curva che trovo nelle montagne del mio Paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle nuvole del cielo, nel corpo della donna. Di curva è fatto tutto l’Universo.”
Le curve morbide e libere sono l’essenza stessa dell’universo in cui viviamo, ed esse sanno creare, suscitare emozioni, nela specie umana. Le opere di Oscar Niemeyer sono di una plasticità unica, con forme sinuose e fluide, a volte in perfetta mimesi e sintonia con il contesto circostante, a volte imposte all’ambiente.
Ciò vale per tutti i suoi edifici, ma in particolar modo per la Casa das Canoas a Rio (sua abitazione nella Mata Atlantica).
Vera e propria forma sensuale, di una “eroticità” quasi biologica, che dialoga con la natura circostante: con le pietre, il fiume, le piante, il paesaggio, il cielo.
I materiali sono “poveri”, semplici, nulla è ricercato, se non le forme. Essi hanno anche una forte valenza tattile, e spesso odorosa, anche se qui a predominare e’ esclusivamente il profumo delicato della Mata Atlantica.
La casa, meravigliosa, è uno spazio per gli “umani”, ritagliato nella potenza selvaggia della foresta equatoriale. E’ come una bella donna nuda e sognante, sdraiata nella Natura.
SOTTO – Casa das Canoas a Rio de Janeiro (Brasile), Oscar Niemeyer, 1951 – 1953
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“Oggi attribuiamo grande valore alle apparenze, come un tempo si usava l’architettura per dimostrare potere: lo stile fascista, per esempio, che non ho mai amato, rappresentava la potenza di un governo, di una nazione, facendo un uso improprio della bellezza.
Ma le apparenze, in realtà, non significano nulla, i soldi non sono una misura per capire chi abbiamo di fronte.
Dinanzi alla vita, alla morte, al tempo che passa, alla monumentalità della natura siamo tutti uguali, creature fragili, mortali.”
Oscar Niemeyer (1907 / 2012)
GLORENZA
Glorenza è un comune italiano di 913 abitanti della provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige, situato nell’Alta Val Venosta, lungo la strada verso il Passo del Forno. Si trova a 10 chilometri dal confine svizzero. È il più piccolo comune dell’Alto Adige a fregiarsi del titolo di città. Altitudine 907 m.s.l.m.
Il toponimo è attestato come “Glurnis” nel 1163 e “Glurns” nel 1228. Esso deriva da colurnus, variante del latino corylus (che significa «nocciolo». Nel 1309 Glorenza fu elevata a città (risultando la più piccola delle otto presenti nella provincia). Venne completamente rasa al suolo nel 1499, dopo la battaglia della Calva, nel corso della guerra sveva, che opponeva l’imperatore Massimiliano I alla Confederazione dei tredici Cantoni.
Dopo questa distruzione, l’imperatore Massimiliano decise di ricostruirla e di munirla di mura (le quali si sono conservate intatte fino al presente e sono uno dei principali luoghi d’interesse della città), trasformandola in una testa di ponte verso i possedimenti asburgici in Svizzera.
Anche dopo che questi, poco tempo dopo, furono perduti, Glorenza conobbe comunque lunghi secoli di prosperità come città mercantile, grazie soprattutto al commercio del salgemma proveniente da Hall (Tirolo settentrionale) e destinato in Svizzera.
Sono stato a Glorenza per 3 giorni, l’estate scorsa (2022). Tutto sembra perfetto, con una notevole propensione da parte dei cittadini venostani, al rispetto delle leggi e ad una esagerata manutenzione del paesaggio.
L’architettura moderna, che si confronta con il suo importante passato, è particolarmente brillante ed attenta alla sostenibilità. Potendo anche disporre di un’entità economica rilevante.
Come ad esempio, ha fatto Werner Tscholl, per il nuovo edificio della Distilleria PUNI (l’unica distilleria di whiskey in Italia), Glorenza, Via Mühlbach, 2. Progettata e costruita tra il 2010 ed il 2012. Un edificio cubico, rivestito come i vecchi fienili per l’essicazione del fieno. Dentro un cubo di cristallo, con gli uffici e gli spazi per la vendita. Sotto la parte produttiva e la cantina per l’invecchiamento del whisky. Un piccolo capolavoro, frutto di grande maestria del professionista altoatesino (http://www.werner-tscholl.com/new-constructions/puni-destillerie-glurns-2012/).
1.877 chilometri a sud di Glorenza………..
…….pari a 2,5 ore di aereo o 26 ore in auto, o 297 ore a piedi……..
…….si trova l’isola di Lampedusa («un pezzo d’Africa in Italia»).
Tra le due cittadine, ci sta tutta l’Italia, ci stiamo noi, con le nostre contraddizioni, le nostre idiosincrasie, i nostri contrasti.
Sono stato di recente a Lampedusa per 4 giorni. 5.871 abitanti ed oltre 1.000 unità delle forze dell’ordine (soprattutto Guardia di Finanza), per la problematica dei migranti. In estate gli abitanti aumentano a circa 60.000.
È la più estesa dell’arcipelago delle Pelagie nel Mare Mediterraneo, nonché il territorio italiano più meridionale in assoluto e fa parte del Consorzio di Agrigento. Geograficamente si trova in Africa. Amministrativamente forma, assieme a Linosa, il comune di Lampedusa e Linosa (di cui è la sede municipale, che conta 6 373 abitanti complessivi. Con una superficie di 20,2 km², è la quinta per estensione delle isole siciliane. In greco antico era nota come Λοπαδοῦσσα Lopadoûssa, poi latinizzata in Lopadusa. Appartiene alla placca africana (Fonte : Wikipedia).
Durante questo soggiorno, sono riuscito ad avere lo scontrino solamente una volta in 4 giorni, per una granita da 2 euro ai gelsi di Linosa, TUTTO IL RESTO IN NERO (per Pos non funzionanti, e lo scontrino è un optional)………. siamo così, noi italioti, FATTI MALE !
Meno male, che c’è l’Architettura (quella con la “A” maiuscola”), la quale grazie a professionisti seri e colti, riesce a restituirci, in povertà o in ricchezza, tutta quella “GRANDE BELLEZZA” lasciataci dalle generazioni passate, che continuiamo a portare avanti nonostante la maggior parte dei nostri concittadini sembra indifferente a tutto ciò.
All’alba il dolore è stanco il corpo si abbandona sulla terra umida. Lento dalla ferita sorge il sole mentre la notte ha già preso il largo su una scialuppa di fortuna. Forse questa giornata approderà su un colle e gli uomini si chineranno a raccogliere frutti di generazioni mandate al sacrificio. Sono venuto nel tuo paese con il cuore in mano Espulso dal mio, Un po’ volontariamente e un po’ per bisogno Sono venuto, Siamo venuti per guadagnarci da vivere, Per salvaguardare la nostra sorte, Guadagnare il futuro dei nostri figli, L’avvenire dei nostri anni già stanchi, Guadagnarci una prosperità che non ci faccia vergognare, Il tuo paese non lo conoscevo E’ un immagine… Un miraggio, credo, ma senza sole… Siamo arrivati qui ad informare, con un canto di follia nella testa… E già la nostalgia e i frammenti del sogno… Sopravviviamo tra l’officina o il cantiere e i pezzi del sogno Il nostro cibo, la nostra dimora Dura l’esclusione Rara la parola rara la mano tesa.
Tahar Ben Jelloun
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