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Il vertiginoso sviluppo della Cina, contamina inevitabilmente i più deboli tra i Paesi limitrofi che offrono un terreno fertile ad eventuali accordi per uno sviluppo congiunto. Per esempio il Nepal si infrappone tra due nuove superpotenze economiche, la Cina e l’India, orientandosi su una lingua di terra che segue da est a ovest, la catena dell’Himalaya.

E’ da anni che la Cina, facendo campo base sull’altopiano tibetano, preme sul confine nepalese per cercare un varco attraverso il tetto del mondo, per aprirsi sulla nuova potenza economica indiana.

All’atto pratico ciò che occorre è un sistema infrastrutturale che si dirami dalla Cina verso i territori del sud, scavalcando l’impossibile barriera “degli 8.000” Himalayani. Negli ultimi anni del 900, sono stati trovati dei valichi che potenzialmente offrivano la possibilità fisica di realizzare una strada carrabile, approdando sul confine Indiano, attraverso lo stretto stato del Nepal. Storicamente la strada è il primo segno di una volontà chiara di sviluppo e nel passato anche sinonimo di progresso.  La realtà oggi presenta un rovescio della medaglia.

Tra i pochi punti individuati per creare la nuova strada, fu scelto il piu praticabile. L’orografia del terreno poteva essere modificata, gli accordi tra i Paesi interessati, sanciti.

Rimaneva solo un problema da risolvere.

Il Regno di Lo. La potenziale via di comunicazione, entrando in territorio nepalese, penetrerebbe come un cuneo in uno dei patrimoni più preziosi dell’umanità.

Esiste un luogo incastonato tra uno dei territori più impervi del mondo, posto a oltre 4000 mt di altitudine chiamato oggi Mustang. Questa piccola parte di mondo trovò la sua identità oltre un millennio fa, quando alcune etnie tibetane si spostarono nel cuore dell’Himalaya provenendo dall’attuale Tibet e sconfinando nell’attuale Nepal. Si trattava di poche persone forse un migliaio, comandate da un re e da una regina che decisero di fermarsi e creare il loro luogo di permanenza lungo il fiume Kali Gandaki, in un fazzoletto di terra di circa 3.500 kmq, distribuendosi in piccoli villaggi fatti di poche anime e altrettante poche case realizzate con fango e paglia. Era il luogo ideale dove fermarsi, un piccolo altopiano tra alcune delle montagne più alte del mondo, dal Dhalaugiri 8167 mt. all’l’Annapurna 8091 mt., che offriva la giusta protezione e il minimo di terra fertile, nutrita dal fiume eterno.

In poco tempo il Regno di Lo venne istituzionalizzato e la popolazione si isolò nei secoli dal resto del mondo. Poiché l’accesso al regno è stato sempre di difficile percorrenza (unicamente a cavallo o a piedi) e trattandosi di poche persone pacifiche, anche nel 1951 quando divenne ufficialmente territorio nepalese e denominato Mustang, mantenne la sua identità istituzionale e lo stato di clausura antropologica. Questo isolamento volontario dalla civilizzazione ha concesso che si generasse un incubatore spontaneo, dimenticato dal mondo, nel quale si è preservata la cultura di quel popolo, congelandola al momento in cui formarono il loro regno e le montagne fecero da recinto, fermandola nel tempo in una sospensione mistica fino al 1992.

In quell’anno venne data dal Nepal la possibilità al turismo di nicchia di accedere al Regno, seppur in modo limitato (solo un centinaio di presenze all’anno e attraverso permessi speciali) dando avvio ad un inevitabile (programmato?) lento declino del Regno di Lo.

Fino a quel momento nel Regno, tutto ciò a cui si poteva ambire o era necessario non poteva che ricavarsi dalla terra, dagli animali e dallo spirito, dove i sudditi possedevano tutti una casa e un pezzo di terra. Dove il ritmo della vita era scandito dal sole e della luna, dall’inverno e dalla primavera e soprattutto della preghiera. L’idea del luogo segreto, di pace e felicità, così come rappresentato da Frank Capra nel film Orizzonte perduto, trova senso in quello che doveva essere il Regno di Lo fino a qualche decennio fa.

Un paradiso segnato però da quella che un tempo si chiamava “semplicità” e che oggi alcuni confondono con la povertà, e dalla durezza delle condizioni di vita in alta quota per tutti i suoi abitanti (oggi circa 15.000 incluse le etnie nepalesi).

Questo lento processo di apertura al mondo, vede negli ultimi anni una rapida evoluzione, oggi l’accesso al Mustang è ancora limitato al turismo di massa, ma i permessi d’ingresso sono aumentati fino ad oltre un migliaio all’anno.

Come risultato, l’identità culturale e l’antico retaggio della popolazione si sono notevolmente disgregati.

Nel 2009 quando ebbi occasione di accedere al Regno di Lo, camminai due settimane per oltre 250 km e dovetti scavalcare valichi in alta quota per arrivare a Lo Manthang, ultimo villaggio fortificato tibetano di cui si ha conoscenza, con alcuni dei più importanti templi del buddhismo himalayano, dove ancora oggi risiede il Re. Già allora trovare un caterpillar a oltre 5.000mt di quota fu uno shock. Oggi sapere che quello stesso tragitto si può percorrere in jeep in poche ore di viaggio mi lascia uno strano sentimento addosso.

Jigme Parbal Bista l’anziano re dell’antico Regno di Lo, che per quanto oggi rappresenti solo una figura simbolica, alla mia domanda su cosa ne pensasse della nuova strada, ha alzato le spalle e fatto un sorriso, non una parola, solo due occhi lucidi.

Il problema del regno di Lo era quindi stato risolto.

Non voglio pensare che sia stata una subdola manovra studiata a tavolino, ma sta di fatto che oggi è in corso di costruzione la parte finale di una pista che attraverserà il Mustang dal confine cinese fino a Jomson, aprendo l’importantissimo passaggio nell’Himalaya, tra l’India e la Cina. Tutto come se fosse la naturale evoluzione delle cose, con una stridente rassegnazione da parte di un popolo che fino al 1992 viveva isolato dal mondo e che oggi già ambisce ad avere un cellulare ed una televisione.

La nuova via di comunicazione voluta dal governo cinese, nepalese e indiano da una parte contribuirà al progresso economico dei Paesi, dall’altra esporrà le comunità locali a quella forma di globalizzazione che a mio avviso non potrà essere sostenuta in un processo di evoluzione così rapido. La velocità con cui questa popolazione si vedrà proiettata nella “civiltà” alla quale si era negata per secoli non potrà che avere un solo effetto che disgregherà, dissolvendola, una delle ultime culture del nostro passato che ancora vale la pena preservare e che rappresenta una tra le più preziose ricchezze dell’Umanità a cui si può ambire.

Marco Splendore

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