In queste giornate di gelo, che incombono sul continente europeo, mentre un altro anno giunge al termine, ci sembra doveroso trarre alcune considerazioni, frutto del nostro continuo peregrinare, in quella nazione, la Svizzera, che consideriamo la nostra “Biblioteca in 3D” dell’architettura e del paesaggio .
L’architettura, per sua natura, ha una forte caratterizzazione spaziale “duale”. Essa si palesa sempre con due dimensioni intimamente legate : con uno spazio esterno (pubblico), ed uno spazio interno (privato e luogo dell’accoglienza). Ciò implica necessariamente una sua fruizione dinamica, di successioni spaziali scenografiche. Lo sapeva bene Bruno Zevi, che già trattava di ciò nel bellissimo libro “Saper vedere l’architettura” (Einaudi, 1997).
Questo fatto che mette in relazione l’architettura e l’uomo (il suo costruttore), dà come elemento qualitativo indispensabile (di questo dinamismo), il tempo. Più si ha tempo, meglio si apprezzano queste successioni spaziali.
Le opzioni tettoniche, tecnologiche e statiche dell’architettura, quasi intuitive, impongono prima o poi un rigore costruttivo, che deve necessariamente avvalersi del calcolo numerico, per rendersi trasmissibile a tutti. E ciò vale per l’esterno, ma anche per l’interno.
L’architettura si inserisce nel paesaggio (che ha certamente meno vincoli), essendo il prodotto dell’azione antropica sulla natura, grazie all’individuazione precisa degli infiniti percorsi dinamici e variabili di avvicinamento ad essa.
Possiamo quindi dire che l’architettura, la grande architettura, si offre agli uomini, in quanto sequenza temporale esattamente prefissata, studiata a tavolino con calcolo numerico : in cui paesaggio, esterno, ed interno, collaborano assieme a creare una sequenza di avvicinamento ad essa (ed ovviamente di allontanamento da essa).
In inverno, queste caratteristiche appaiono più evidenti, più palesi, più limpide e facili da leggere.
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