Ricerca

costruttoridifuturo

Builders of the future

Categoria

Viaggi

Dalle Nogare


Antonio dalle Nogare, con una famiglia di costruttori altoatesini alle spalle, ha con caparbietà voluto, nel corso del tempo, questa Fondazione, per metà casa privata  e per metà museo, dove collocare la propria collezione d’arte – https://fondazioneantoniodallenogare.com/ . L’edificio, scavato nella roccia, nel porfido, è stato progettato in modo sostenibile da Walter Angonese ed Andrea Marastoni, e completato nel 2017. È, la Fondazione, nell’ idea di chi l’ha voluta, un luogo d’incontro internazionale, di lavoro e d’ispirazione per l’attività creativa.

Lo scavo nel terreno, ha permesso di reperire parecchia roccia, che, opportunamente lavorata, è stata fatta diventare parte dell’ edificio stesso, soprattutto per i rivestimenti esterni. La struttura si dipana su cinque livelli, con degli interni caldi ed accoglienti, pavimentati in legno lasciato al naturale. Sapienti finestre e lucernari, consentono un’ illuminazione particolarmente adatta all’arte contemporanea, ed implementano la natura ed il paesaggio circostante.

Un luogo d’incontro tra Arte, Architettura e Paesaggio.

Ingresso gratuito, ampio materiale documentale a disposizione, compresa una biblioteca consultabile di oltre 1300 volumi dedicati all’ arte contemporanea. Visite guidate gratuite, il sabato mattina alle ore 11,00.

All’ ingresso esterno, della Fondazione, vi accoglie una pregevole installazione sonora

Modello realizzato dallo Studio Angonese dell’edificio della Fondazione Antonio Dalle Nogare

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Giovanni il milanese.


Giovanni Segantini, Naviglio a ponte San Marco, Milano, 1880

Appena sono venuto a conoscenza della ghiotta esposizione che si teneva nel Museo Segantini di St. Moritz, mi sono precipitato in loco (https://segantini-museum.ch/it/homeit/).

Per la prima volta venivano ricongiunti molti suoi importanti lavori del periodo milanese.

Una foto di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini  (Arco, 15 gennaio 1858 – monte Schafberg, 28 settembre 1899) arriva  a Milano, nel 1865, a sette anni e se ne andrà solo nel 1881 per trasferirsi prima in Brianza e poi in Svizzera, a Savognino e poi in Engadina. Resta dunque nel capoluogo lombardo per diciassette anni, fondamentali per lo sviluppo della sua carriera artistica e per la sua “fama” come pittore.

Nel Museo di St. Moritz a lui dedicato, i quadri, realizzati in quegli anni, sono testimonianza della Milano di allora. Gli sfondi, come sempre nelle opere del pittore trentino, raccontano attraverso forme, colori, luce, edifici, persone, ecc., i “paesaggi di un’epoca”.

Giovanni Segantini, Nevicata sul Naviglio, 1881

Segantini a Milano, aveva acquisito uno studio, nel complesso di Case Popolari di via San Fermo, con accesso diretto da via San Marco 26. La quotidiana frequentazione con i luoghi milanesi d’acque (molti di questi oggi interrati), gli consentono di realizzare degli effetti luminosi, che esaltano soprattutto gli elementi architettonici di quegli anni, in affaccio sul sistema idrico dei Navigli.

Non va dimenticato che il pittore trentino, aveva una innata passione per la disciplina dell’architettura.  Ed infatti il suo atelier, al Passo del Maloja, che realizzerà dopo il 1894, a seguito del suo trasferimento in Engadina, e’ opera di una sua progettazione attenta soprattutto per quanto riguarda la luce.

Il pittore usa i lucernari, ed ogni accorgimento, per creare all’ interno, un sistema di illuminazione naturale, sinergico al proprio lavoro.

Atelier Segantini al Passo del Maloja, con la caratteristica “cupola con lucernari”
Giovanni Segantini, ritratto della Signora Torelli, 1880. Sullo sfondo il parapetto ed un ponte del Naviglio Grande a Milano.
Museo Segantini a St. Moritz – Trittico della Vita, 1896/1899.
Giovanni Segantini, ritratto di donna in via San Marco a Milano, 1880

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

GHOST DREAMS


Sono stato alla fondazione Beyeler di Riehen (Basilea), decine di volte, ed ogni volta una sorpresa nei criteri di allestimento, nella qualità della proposta museale. Ma questo “fuori/dentro” dal museo al giardino, che ho potuto apprezzare oggi, ha qualcosa di sorprendente, di meraviglioso, che lega l’arte intimamente con le regole della Natura planetaria di questa parte di Universo…..Sogni fantasma – https://www.fondationbeyeler.ch/en/exhibitions/ghost-dreams

Per la prima volta nel quarto di secolo della Fondation Beyeler gli spazi di tutto il museo e del parco vengono ripensati da artisti e curatori ma anche scienziati, filosofi, architetti, musicisti e poeti per un’esperienza espositiva sperimentale stimolante, innovativa e dinamica.

In effetti è difficile immaginare una mostra museale che muta in continuazione, che invita a leggere un libro, mentre le opere d’arte intorno vengono cambiate ogni tanto. Una patata dolce cuoce nel microonde, puoi dormire in un letto che interpreta i tuoi sogni,  e ogni tanto sei avvolto da una fitta nebbia che dà un senso di spaesamento surreale.

Sembra di partecipare ad un esperimento, incluso il titolo della mostra che cambia nelle dodici settimane di esposizione. Invece il tutto è un colto meccanismo per rendere l’arte concettuale accessibile, titillante, meravigliosa, senza ricorrere a un intrattenimento “facile” e banalmente spettacolare, come spesso succede di questi tempi, ad uso dei media. Quì al centro vi è lo spettatore/visitatore/esploratore che deve “conquistarsi” la sua personale interpretazione della mostra.

Il tutto ad iniziare dalla guida criptica della mostra  “All my love spilling over” (Tutto il mio amore si riversa), che costringe il visitatore a fare lavorare il cervello per comprendere il titolo e l’autore dell’opera che ha davanti. Spetta al visitatore creare Liaison tra opere visivamente accostate con sapienza per stimolarlo, per fare lavorare la memoria (visiva e non solo) di ognuno.

Ecco che Koo Jeong A (un giovane artista sudcoreano specializzato in installazioni e tecniche miste), con una scultura nera sospesa (Boolgasaeu Boolgasali del 2024), viene messo in relazione con il famosissimo (ed enorme) quadro ad olio su tela di Claude Monet ‘Lo stagno delle ninfee’ (1917-20); mentre fuori (basta chiedere e si può uscire), nel giardino, vicino ad un laghetto incombe la grande scultura “Hase” un’opera di Thomas Schütte che fa parte della Collezione Beyeler dal 2014. Nel laghetto Fujiko Nakaya fa vibrare con un sistema di onde d’urto, il pelo dell’acqua.

L’architettura di Renzo Piano aiuta con le grandi vetrate, l’illuminazione naturale, ed i setti in porfido, a dare un legame intimo con l’esterno, con il paesaggio circostante arricchito da “presenze” artistiche.

La spettacolare e stimolante mostra collettiva estiva della Fondation Beyeler sta riscuotendo un notevole successo, tanto da essere legittimamente definita “l’argomento principe di conversazione del mondo dell’arte 2024”.

Fondation Beyeler è uno dei più importanti musei della Svizzera, e stà per diventare uno spazio espositivo vastissimo. Alla sede principale di Piano, si aggiungeranno, tra il 2025 ed il 2026, tre edifici dell’architetto/guru svizzero, Peter Zumthor (una sede espositiva di 1500 metri quadri, un padiglione e un edificio di servizio) che sono in costruzione nel parco paesaggistico di impostazione ottocentesca in stile inglese (acquisito dai confinanti per duplicare l’estensione dei giardini, facendoli diventare una “piccola” riserva naturale).

https://www.fondationbeyeler.ch/en/museum/new-museum-building

SOTTO – Stralci dalla guida della mostra

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

GIULIO PIPPI


Giulio Pippi de’ Jannuzzi, o Giannuzzi, detto Giulio Romano (Roma, 1492 o 1499 – Mantova, 1º novembre 1546), è stato un architetto e pittore italiano dell’Alto Rinascimento. Nato nel 1499 a Roma, fu una figura di spicco negli ambienti artistici del suo tempo. Allievo del famoso pittore Raffaello, con il quale lavorò a stretto contatto su diversi progetti, tra cui la decorazione del Palazzo Vaticano.

Come architetto, Giulio Romano è meglio conosciuto per il suo lavoro a Mantova, dove fu capo architetto della famiglia Gonzaga. Una delle sue realizzazioni architettoniche più notevoli è Palazzo Te, un capolavoro dell’architettura rinascimentale rinomato per il suo design innovativo e gli elementi decorativi.

A Mantova ha eseguito numerosi affreschi e dipinti ad olio, spesso mettendo in mostra la sua maestria nella prospettiva, nella composizione e nel colore. Il suo stile combinava elementi del classicismo di Raffaello con un approccio audace e dinamico, guadagnandosi il riconoscimento come uno degli artisti più importanti del suo tempo.

L’eredità di Giulio Romano continua ad essere celebrata oggi attraverso i suoi contributi all’architettura e alla pittura, che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte e dell’architettura in Italia e oltre.

Con i rispetto del copyright delle immagini selezionate

Il chiosco del fioraio


Sigurd Lewerentz (https://it.wikipedia.org/wiki/Sigurd_Lewerentz), grande architetto svedese, raggiunge l’apice della sua poetica, con il chiosco dei fiori del Cimitero Est di Malmö (Östra kyrkogården, Sallerupsvägen), del 1969.

Nel sublime e minimalista, piccolo edificio, la decorazione non palesa più i contenuti della costruzione, sinergica a testimoniare il “sentire” del suo tempo, come era avvenuto in passato, ma si fa dichiarazione di nuovi valori autonomi, sia formali, che materici, suggerendo un probabile futuro per l’architettura che, di fatto, è diventato il nostro presente. Tanti gli “spunti poetici” legati al mondo lecorbuseriano.

Servirebbero studi ed analisi approfondite, ma appare chiaro, che questo minuto edificio “criptico”, è di fatto un manifesto per una architettura essenziale ed innovativa. Una “pietra” lanciata nel futuro, dal grande architetto svedese, quasi un lustro prima di morire.

Elementi di un manifesto che si possono facilmente ravvisare in molte architetture contemporanee, svizzere ad esempio.

SOPRA – Planimetria del Cimitero Est di Malmö, con evidenziato in rosso il chiosco dei fiori

(tratta da Google Earth)

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Sasso Corbaro


Dall’alto domina la piana di Magadino a 230 metri sopra il livello della città. Tipica fortezza sforzesca, le sue masse murarie, per compenetrazione di volumi, sono ridotte all’essenzialità di una figura geometrica.
Si deve la sua costruzione per ordine del Duca di Milano nel 1479 in poco più di sei mesi di lavoro dopo la battaglia di Giornico. Dai bellinzonesi è detto anche Castello di Cima. Dal 2000 è inserito insieme a Castelgrande ed al castello di Montebello, come un bene UNESCO.

Questo fortilizio austero e dalla planimetria semplice ed essenziale, fu innalzato per garantire al meglio la chiusura della Valle del Ticino, con lo scopo di arginare le popolazioni provenienti dal Nord delle Alpi, ed istituire dazi al passaggio delle merci. Dopo il 1798, lentamente venne completamente abbandonato.

https://www.myswitzerland.com/it-it/scoprire-la-svizzera/castello-di-sasso-corbaro/

Ciò che si vede dal Castello del Sasso Corbaro verso Nord: “Da qui Messere si domina la Valle”

Ciò che si vede dal Castello del Sasso Corbaro verso Sud: “Da qui Messere si domina la Valle”

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

WOLFGANG LAIB


SOPRA – Vista di Varese dall’alto del giardino di Villa Panza

SOPRA – La corte di Villa Panza che si apre sul giardino, con l’opera Cone of water di Meg Webster, 2016

Partendo dalla visione paesaggistica della città di Varese dall’alto, che bene si può cogliere dal giardino all’italiana, di villa Panza di Biumo, oggi bene FAI (https://fondoambiente.it/luoghi/villa-e-collezione-panza); ed idealmente entrando, all’indietro, nel “contenitore museale”, attraverso la corte, una finestra, per apprezzare le stanze della meravigliosa installazione, decantata nel corso del tempo, dal sofisticato e stimolante progetto espositivo di Giuseppe Panza, si può cogliere, anche in una uggiosa e fredda giornata autunnale, la magnificenza del luogo.

Meglio se si è pure accompagnati da una colta, ed esperta studiosa della collezione, opportunamente agghindata, quasi per essere parte, essa stessa, dell’esposizione d’arte.

L’esposizione delle opere di Wolfgang Laib, che si intitola “Passageway”, bene identifica questi anni sofferti di “passaggio”, che stiamo attraversando. Passaggio da un sistema di vivere, produrre e consumare, che ci sta portando al collasso dell’ecosistema planetario, ad un’altro sistema di vita che ci sarà imposto dalle circostanze climatiche.

Nell’attività dell’artista tedesco, nato a Metzingen il 25 marzo 1950, il passaggio che attua con la sua attività artistica, è quello della materia naturale organica : riso, cera d’api, in artefatti artistici, grazie all’azione operata dalla sua attività.

E’ anche un “passaggio” tra materiale ed immateriale, tra concreto ed astratto.

Ci vogliono cinque mesi perchè dal seme del riso nascano un germoglio, e quindi una piantina. Poi che questa fiorisca, fruttifichi, in un ciclo continuo che si succede incessante da millenni.

SOPRA E SOTTO – Wolfgang Laib, Passageway Inside – Downside, 2011/2012, 52 navi in ottone

SOPRA – Nave di ottone, su letto di chicchi di riso

SOPRA – Wolfgang Laib – Brahmanda, 2016/2022, Granito indiano nero lucidato con olio di girasole

SOPRA – Wolfgang Laib – Untitled, 2023, Scultura in cera d’api e riso

SOPRA – Wolfgang Laib – Crossing the River for Bodidharma 2023, Lavori in colore bianco su sfondo bianco

Dichiara l’artista : “Per me è molto bella la sensazione di poter superare il tempo”, ed ancora : “Credo che l’arte davvero importante sia senza tempo”.

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Villa Margon


A pochi chilometri sopra Trento, immersa nel verde, ed in dominanza del paesaggio, si trova Villa Margon. Essa è una delle più interessanti residenze signorili costruite nel Rinascimento. La villa, edificata tra i boschi in località Margon alle pendici del Monte Bondone (452 m.s.l.m.), venne completata verso il 1540-50 per la delizia estiva della famiglia di origine veneta dei Basso. Estinta la famiglia dei Basso dal 1596, la villa passò di mano in mano alle antiche e nobili famiglie europee, tra le quali i Fugger (Tedeschi di Augusta), i Lodron (Trentini di Storo, valle del Chiese), i Lupis (Italiani di probabili origini franco-germaniche) e i Salvadori (originari di Mori vicino a Rovereto) che la tennero fino al 1970.

Dimora estiva nobiliare e luogo di villeggiatura, la residenza, con i suoi annessi, sorge in un paesaggio di una bellezza unica ed è immersa in un vasto parco di circa 135 ettari. Donata agli inizi degli anni ’90 alla famiglia Lunelli, i detentori del prestigioso marchio vinicolo “Ferrari”, è diventata, dopo una ristrutturazione/restauro che ne ha restituito l’antico splendore originario, sede di rappresentanza e biblioteca “Bruno Brunelli”( https://www.brunolunellilibrary.it/villa-margon/ ).

Villa Margon ha ospitato, negli anni del Concilio di Trento (1545-1563), cardinali e prelati giunti da tutta Europa per la grande assise che diede il via alla Controriforma. Tra gli ospiti la tradizione vuole anche l’imperatore Carlo V, le cui gesta, non a caso, sono raccontate in un ciclo di affreschi che impreziosiscono la villa, e il cui letto è tra gli arredi più significativi. Affrescata anche all’esterno, Villa Margon risalta in un parco che è intatto da secoli e che, per la vegetazione, soltanto in parte autoctona, è considerato un capolavoro della natura.

SOPRA – Immagini tratte da Google Earth

Si tratta di un edificio sostanzialmente residenziale a pianta rettangolare, costruito proprio di fronte ad una fortificazione merlata, si antepone ad essa con un meraviglioso portico, sormontato da eleganti loggiati di chiara ispirazione veronese, caratteristica peculiare di molte ville rinascimentali venete. Le logge sono riccamente affrescate con rappresentazioni di assedi di città.

Il sistema compositivo loggiato della facciata, palesa chiaramente, questa nuova filosofia architettonica di implementare il paesaggio circostante, che non deve più essere solamente osservato dalle minute finestre nelle murature dai residenti, ma goduto con una vera e propria “immersione” in esso.

L’interno, molto semplice nella disposizione planimetrica (sala centrale con quattro sale più piccole laterali, una per ogni lato lungo) si articola in una serie di sale riccamente affrescate da cicli pittorici che rappresentano testimonianze preziose della pittura trentina del Cinquecento. Affreschi che testimoniano della vita dell’imperatore Carlo V, che sembra sia stato ospite della villa. Altri affreschi contengono scene del Vecchio e del Nuovo Testamento ed un ciclo dei Mesi. Le decorazioni sono il frutto dell’opera di artisti attivi in loco tra il 1556 e il 1566. La villa conserva anche importanti arredi coevi al suo completamento.

La villa, ha antistante, una casa merlata con torretta munita di orologio e meridiana, ampliata e modificata nell’Ottocento, la Cappelletta della Natività di Maria Vergine, rifatta in stile neogotico dall’architetto Masera nel 1867 su quella già esistente del Cinquecento, il giardino all’inglese (con un grande parterre) e l’annesso parco, che “sfuma” in maniera sapiente nella natura “antropizzata” circostante.

L’interno si articola in una serie di ampie sale riccamente arredate e decorate: dal salone centrale si accede alle quattro sale laterali, due a sinistra e due a destra. Il salone centrale presenta, in dodici riquadri affrescati, le principali imprese militari dell’imperatore Carlo V tra le quali la battaglia di Pavia con la cattura di Francesco I nel 1515 e la vittoria, seppur parziale, sui Protestanti nel 1547 (battaglia di Mühlberg nel Brandeburgo germanico).

A sinistra si entra in una sala quadrata con soffitto a cassettoni che presenta pareti affrescate con dodici scene dell’Antico Testamento. Tra le altre, l’affresco dedicato alla Torre di Babele, quello alla creazione dell’uomo e della donna, l’alluvione con l’Arca di Noè e quello dedicato ad un episodio delle Storie della vita di San Giuseppe. La seconda sala, collegata con la precedente e il salone centrale, propone dodici riquadri affrescati con scene del Nuovo Testamento. Tra gli altri, la Moltiplicazione dei pani e l’incontro di Gesù con la Samaritana. Al centro della sala una raffinata copia marmorea della scultura di Amore e Psiche di Antonio Canova.

Alla destra del salone principale, la sala da pranzo. La sala presenta pareti decorate da un ciclo di affreschi che rappresentano i dodici mesi dell’anno. Protagonista degli affreschi dei mesi è l’ambiente naturale circostante. La seconda sala sulla destra del salone d’ingresso è la sala del biliardo che ospita una raccolta di vedute di Villa Margon, ed alle pareti una raffinata serie di formelle colorate a creare una decorazione che simula una tappezzeria dipinta.

Il primo piano ricalca esattamente lo sviluppo planimetrico sottostante: un grande salone centrale, che si apre sul loggiato, e quattro stanze laterali.

Come già descritto in precedenza, è proprio lo splendido loggiato, proporzionato e geometricamente ineccepibile, che testimonia della rivoluzione architettonica rinascimentale, nella tipologia della Villa, la creazione di una “Sala aperta” sul paesaggio. Un luogo sicuro, non solo di collegamento tra ambienti interni, ma uno spazio privato in cui sostare, e da cui dominare, e contemplare, la natura circostante ed il giardino.

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2023/07/villa-margon-il-gioiello-del-rinascimento-trentino-7f9e27c4-c7d5-4a3d-9d21-429d52e5faf9.html

Come scrive Howard Burns nel libro “La villa italiana del Rinascimento” (Angelo Colla Editore, 2019). “La villa italiana rinascimentale risponde non solo al desiderio da parte dei proprietari e dei loro architetti di ricreare le forme e i piaceri delle ville degli antichi romani, con i loro colonnati e giardini, ma anche alle esigenze della sicurezza e dello sfruttamento economico delle campagne. E ci ricorda come la villa rinascimentale è spesso erede del castello medioevale, cioè luogo forte da cui dominare il territorio circostante.”

Lì vicino, ma più in basso, sulla strada di accesso alla villa da Ravina, immersa nei vigneti, la Locanda Margon, con cucina a cura di Edoardo Fumagalli chiamato a dirigere il progetto eno-gastronomico della famiglia Lunelli ( https://locandamargon.it/ ).

SOPRA – Il bel libro di Michelangelo Lupo e fotografie di Massimo Listri, sulla Villa Margon, edito da Skira

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

JUAN


Juan Martin Piaggio, Labirinto, 2012

Juan Martin Piaggio era un persona deliziosa, oltre che un architetto colto e docente valente. Era anche un eccelso chef che ho potuto apprezzare tanto tempo fa, a casa sua sui Navigli milanesi.

Era un architetto itinerante, infaticabile, mai fermo, alla ricerca di sé stesso e di quel lavoro, che spesso gli è stato negato, come racconta lui stesso in questa intervista –

https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/30/architetto-in-colombia-emigro-56-anni-causa-crisi-nostalgia-dellitalia/1178295/

L’ultima volta che l’ho incontrato è stato, qualche anno fa, alla libreria Hoepli a Milano; ambedue alla ricerca di libri. Mi ha descritto la difficoltà di trovare testi validi di architettura in Colombia. Era a Milano a cercare contatti tra il Politecnico e l’Universidad de Boyaca dove lavorava.

Qualche settimana fa, in Colombia (laddove insegnava – https://www.linkedin.com/in/juan-mart%C3%ADn-piaggio-866627a/) mentre caricava sull’auto alcuni cartoni, per l’ennesimo trasloco, questa volta verso la Toscana, è stato colto da un infarto che lo ha ucciso all’istante.

CON IL RISPETTO DEL COPYRIGHT DELLE IMMAGINI SELEZIONATE

Blog su WordPress.com.

Su ↑