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CTONIO


In Corso Venezia 52 a Milano, ha aperto al pubblico il 7 settembre 2022, un nuovo museo etrusco con nuovi spazi espositivi ricavati nella vecchia sede, appositamente restaurata e ampliata, della Fondazione Luigi Rovati. Il progetto, molto complesso per i rigorosi criteri di sostenibilità (ha il suo appeal architettonico massimo, nella parte ipogea, ispirata alle tombe di Cerveteri), è dello studio MCA Mario Cucinella Architects.

La scala che dall’Atrio, conduce agli spazi espositivi sotterranei
I ricorsi in pietra serena che caratterizzano soprattutto i sotterranei

Agli spazi sotterranei si accede direttamente dall’ingresso principale: attraverso una scala rivestita completamente di pietra serena (pietra delle cave tosco-emiliane), si arriva così allo spazio espositivo composto da tre sale circolari e una grande ellittica. In pianta la forma che ne risulta è “organica”, quasi “biologica”. Questo spazio ctonio è modellato da ricorsi di pietra che, generano uno spazio dinamico, mosso. Come puntualizza lo studio Associato di Mario Cucinella (MCA): «La scelta di una unica pietra, quella serena, racconta di una materia estratta da profonde cave di Firenzuola, che dà un senso di uno spazio scavato sottratto proprio come nelle cave; opere di architettura di inconsapevole bellezza. Le rigature orizzontali delle pietre, dovute alla dimensione del concio di cinque centimetri di spessore e un metro di lunghezza e distanziate di cinque millimetri tra loro, creano un effetto di sospensione di questa imponente massa che contrasta con i puntini lucenti dovuti alla presenza di scagliette di Mica nella miscela della pietra».

Per ricavare questi livelli ipogei, l’edificio è stato letteralmente “puntellato e sostenuto”, negli spazi superiori, per poter scavare (demolendo le fondazioni storiche) ed acquisire questi nuovi spazi museali.

Il nuovo museo conta una superficie di 3.500 mq per sette piani, due interrati che ospitano il museo vero e proprio.

Oltre al Bookshop, e ad un giardino nell’interno della corte, è stato dotato anche di un ristorante e di un caffè bistrot affidati allo chef Andrea Aprea, due stelle Michelin.

Il Museo doveva aprire nel 2018, ma le numerose difficoltà tecniche, ne hanno rallentato l’apertura fino ad oggi. I costi dichiarati da Ediltecno, l’impresa costruttrice, sono di circa 21 milioni di euro – https://bit.ly/3RKgBqn

Spazi eleganti, che bene si integrano con la funzione museale, dettagli benfatti, uno dei pochi progetti completamente convincenti di Mario Cucinella. Ottimo l’allestimento museale.

Gratuita la visita del museo, sino alla fine di settembre 2022; dopo 16,00 euro.

Sopra – Immagini dello spazio museale interrato
Gli uffici della Fondazione Luigi Rovani, posti al Piano Primo
Spazi museali posti al Piano Secondo
Spazi museali posti al Piano Secondo
Il meraviglioso giardino nel cortile retrostante
Il meraviglioso giardino nel cortile retrostante
Uno schizzo di Mario Cucinella
Un altro schizzo/sezione di Cucinella

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La casetta vicino alla Fucina.


Le Dolomiti viste da Nova Ponente
Il Fiume Ega

La casetta di Walter Pirchler (al centro) e la Fucina (che si intravvede sulla destra)

La casetta.

1 settembre 2022, Nova Ponente

Intellettuale, scultore, architetto, Walter Pichler nasce nel 1936 a Nova Ponente (Deutschnofen) in Val d’Ega, Alto Adige. La sua famiglia, proprio quell’anno 1936, decide di trasferirsi in Austria a causa della Seconda Guerra Mondiale, della penuria di cibo e delle leggi razziali. Nell’anno 1955, Walter Pichler si diploma alla Hochschule für Angewandte Kunst (Università di arti applicate) di Vienna.

Nel 1963 insieme ad Hans Hollein (1934/2014, importante architetto austriaco. Premio Pritzker nel 1985) realizza la mostra innovativa e rivoluzionaria “Architektur” alla Galerie nächst St. Stefan di Vienna: progetto con cui vogliono liberare l’architettura dalle costrizioni del costruire e la scultura dalle costrizioni di un astrattismo diventato arido. Nel 1967 con “Visionary Architecture” espone al MoMA (Museum of Moder Art) di New York con Hans Hollein e Raimund Abraham. Nel 1968 partecipa a Documenta 4 e 6, di Kassel ( https://bit.ly/3TEmNBH )

Nel 1972 Pichler compra un terreno a Sankt Martin sul Raab (Burgenland meridionale – Austria), che elegge a sua residenza, in cui allestisce le sue sculture all’interno di costruzioni architettoniche realizzate ad hoc ( https://bit.ly/3ekJ5YS ). Pur avendo anche un prestigioso studio a Vienne, trascorre qui la maggior parte della sua vita creativa.

Un’altra peculiarità di questo artista era la progettazione molto lenta, quasi maniacale nella definizione dei dettagli, che a volte ha richiesto decenni per il completamento di una scultura, realizzato molti schizzi, disegni e modelli. Ed anche una passione sfrenata per la tecnologia applicata al costruire tradizionale.

Nel 1975 è nuovamente al MoMA con “Projects” ( https://www.moma.org/artists/4612 ), e nel 1982 partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 1998 espone allo Stedelijk Museum di Amsterdam.

Nel 2002 inizia la realizzazione della Casa accanto alla Fucina in Val d‘Ega, su un terreno del nonno, concessogli dai parenti, a ridosso del Fiume Ega (Kardaunbach). Una casetta di appena 59 metri quadrati, che l’artista utilizza durante l’estate quando viene a trovare i parenti.

Al piano terreno un bagno, una cucina, un piccolo deposito, ed un vasto locale con un divano/letto per dormire ed un tavolo per ricevere le persone.

Immagini del piano terreno

Al piano interrato, a cui si accede attraverso un ingegnoso escamotage (a mo’ di ponte levatoio), un grande locale, con un enorme tavolo per le riunioni con i parenti. Tutti gli impianti in questo locale (compreso il rosso scaldabagno elettrico) sono a vista, mentre al piano superiore, sono tutti incassati e celati, con sportelli di acciaio. Il solaio sembra realizzato con un sistema prefabbricato simile alle predalle.

Una casetta senza finestre, ma con solide pareti in muratura di pietra (quella del Fiume Ega lì vicino) e cemento armato a vista, con un tetto di vetro per osservare il cielo. Tutto, all’interno ed all’esterno nella casetta, viene minuziosamente disegnato da Walter Pirchler, e perfezionato, seguendo di persona gli artigiani locali. Dettagli spesso strepitosi, come il grande forno/caldaia in piastrelle di ceramica, o come i ripiani lapidei della cucina in pietra di Andriano (rosata) levigata, ma anche il tetto, il tavolo, le sedie, ed il sistema a “tenda orizzontale” (a carrucole) di schermatura del tetto vitreo. Strepitose le travi in acciaio di sostegno dei pannelli di vetro del tetto, tagliate e saldate al laser (grazie alla perizia dei cugini che ancora continuano la lavorazione dei metalli a Bolzano).

Un’intercapedine ventilata, in cemento armato, isola la casetta, rendendola salubre dalle possibili infiltrazioni d’acqua.

Alle pareti, del piano terreno, i parenti conservano i numerosi schizzi e disegni, dell’architetto/scultore, che aiutano i visitatori a contestualizzare il processo creativo che ha portato alla realizzazione della casetta.

Walter Pirchler muore nel 2012 a settantacinque anni, a causa di un cancro. Nel 2015 tuttavia viene realizzata, dai parenti, postuma, la Plattform über dem Bach (Piattaforma sopra il Fiume Ega, di colore rosso) che completa, con questo osservatorio paesaggistico, pensato e disegnato da Walter in ogni dettaglio, il progetto della casetta in Val d’Ega.

Un progetto che nelle sue parti reinterpreta tutta la Storia dell’Architettura, con le pareti in sasso, il frontone classicheggiante del tetto (evidenziato in rosso), il rigore planimetrico simile ad un tempio greco, la scelta di materiali naturali, ecc.

Dal 17 giugno al 4 settembre il MUSEION di Bolzano, a cura di Andreas Hapkemeyer (raffinato e colto storico dell’arte che ci ha accompagnati nella visita della casetta a Nova Ponente), ha accolto l’interessante mostra di alcuni disegni di Pichler, con visita guidata della casetta in Val d’Ega, in presenza dei parenti :

Walter Pichler (1936 – 2012), Architettura – Scultura, Haus neben der Schmiede, Val d‘Ega

https://bit.ly/3L2TZ1T

Vista della grande Caldaia/Forno, con gli elementi ceramici disegnati da Pirchler (come ad esempio il modulo d’angolo in pezzo unico)
Sopra – Gli sportelli in acciaio studiati da Pirchler per nascondere gli impianti
Le sedie lignee, in faggio per il piano terreno
L’accesso al piano interrato (solo dall’esterno) condiviso con quello al piano terra
Immagini del piano interrato con il grande tavolo, le panche, ed il lampadario mobile a contrappeso
Le grandi pietre di fiume, che nascondono ed arieggiano l’intercapedine in c.a. (sotto)
E per finire alcune immagini della Fucina, con il tavolo esterno (in pietra rosa di Andriano) su cui era solito sostare in estate Walter Pirchler durante le belle giornate

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Abtei Marienberg


Abtei Marienberg sopra Burgusio in Val Venosta (Alto Adige – Val Venosta)

Nel 1999, i Benedettini che abitavano l’Abbazia, si rivolsero all’architetto altoatesino, più noto in Alto Adige, per sistemare un museo nelle cantine dell’edificio, nessuno allora poteva immaginare quanto lunga e profonda sarebbe stata la loro collaborazione.

Si può tranquillamente affermare che l’intera Abbazia è stata trasformata, nel corso del tempo, grazie all’abilità progettuale di Werner Tscholl e alla lungimiranza dei suoi datori di lavoro, in un grande museo di sé stessa.
Le sistemazioni architettoniche operate da Tscholl sono interventi puntuali, mirati, che, però, seguono tutti una stessa strategia architettonica, un misto tra la sobrietà razionale, richiesta dagli ambienti dell’abbazia, ed il conseguimento di una modernità dedotta dalle forme e dai materiali contemporanei abilmente utilizzati tra loro, quali il calcestruzzo pigmentato, l’acciaio dipinto di nero e trattato a cera, il vetro e il legno.

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27 Agosto 1965


“Dobbiamo trovare l’uomo.
Occorre trovare la retta che sposi l’asse delle leggi fondamentali: biologia, natura, cosmo.
Retta inflessibile come l’orizzonte del mare.”

Le Corbusier (LC 1887/1965)

Le Corbusier al “Cabanon” a Cap Martin, Roccabruna, Francia, dove il 27 agosto 1965 troverà la morte nuotando nel Mare Mediterraneo

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Valle di Ledro


Tramonto in Val dei Mulini (Bezzecca)

Tramonto in Val dei Mulini (Bezzecca)

È una valle delle prealpi di origine glaciale che corre da est a ovest geologicamente interessante per la sua formazione. La Valle prende dai suoi antichi abitanti, Leutrenens per i Romani.

Uno scrigno di biodiversità culturale e naturalistica tra mondo alpino e mediterraneo, la Valle di Ledro vanta ben due riconoscimenti nel mondo Unesco: il sito delle Palafitte di Ledro con il suo Museo (https://www.palafitteledro.it/) e il riconoscimento come Rete di Biosfera Unesco (https://www.unesco.it/it/RiserveBiosfera/Detail/94).

Incastonata tra il Lago di Garda e le Dolomiti di Brenta, la Riserva di Biosfera Alpi Ledrensi e Judicaria ha ottenuto questo prezioso riconoscimento da Unesco non soltanto in virtù della straordinaria biodiversità e dell’incredibile ricchezza storico-culturale che caratterizzano questo territorio, ma anche per l’equilibrio che si è creato tra uomo e natura nel corso dei secoli.

In appena trenta chilometri di lunghezza in linea d’aria, il territorio della Riserva di Biosfera copre un dislivello di oltre 3.000 metri, comprendendo ambienti molto diversificati che vanno dalle vette montane dolomitiche fino agli ambienti fluviali della Sarca e del Chiese, dai terrazzamenti del Tennese alle strette vallate alpine della Val di Ledro, dal rigoglioso anfiteatro naturale delle Giudicarie Esteriori fino ai pascoli d’alta quota di Malga Alpo nella Valle del Chiese.

Bosco di pini Silvestri in Val di Pur (Molina)
Lago di Ledro (Mezzolago)

LA VALLE DEL LAGO DORATO – Trasmissione GEO, Raitre del 22 febbraio 2023

https://fb.watch/iX78YCx3tB/

Val di Concei (verso Rifugio al Faggio)
Bezzecca via Tovi
Tremalzo (1667 mslm)
Lago di Ledro
Lago di Ledro
Architetture rurali ledrensi
Architetture rurali ledrensi (dettaglio)
Biotopo Ampola
Complesso del Monte Cadria (2254 mslm)

Neve a Tremalzo

Cascata del Palvico
Ciclamini
Bezzecca – Bar Posta
Enogastronomia ledrense

La montagna non è solo
nevi e dirupi, creste,
torrenti, laghi, pascoli.
La montagna è un modo
di vivere la vita.
Un passo davanti all’altro,
silenzio, tempo e misura.

Paolo Cognetti

https://bit.ly/3cjsXq5

Arcobaleno in Val di Ledro

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DA OSPITALETTO (USCITA AUTOSTRADA A4) ALLA VAL DI LEDRO

elementi di un paesaggio : Bassa Franciacorta, Valle Sabbia, Lago d’Idro, Valle di Ledro.

UNA MAPPA

UN “CIRCUITO” TRENTINO

Laburnum Anagyroides


Nella Valle d’Intelvi, ad Orimento, c’è un sentiero che conduce verso il Monte Generoso. Basta inoltrarsi per il facile sentiero costeggiato da faggi, che subito, il bosco è arricchito da una quantità sempre più crescente di alberi di maggiociondolo (Laburnum Anagyroides). Sono centinaia, forse migliaia, un vero e proprio bosco, fatto inusuale per un albero prettamente isolato. Vorrei potervi descrivere il profumo mieloso intenso ed inebriante, di questo bosco di alberi “velenosi” (in ogni sua parte e soprattutto nei semi – https://it.wikipedia.org/wiki/Laburnum_anagyroides ).

Nel sottobosco, costituito soprattutto da erbe montane (che proteggono le radici dei maggiociondoli durante i rigidi inverni), ma anche rovi di lamponi, mirtilli, ecc., un ronzio sinfonico di: api, bombi, vespe, ecc.., che si approvvigionano di polline, tra cui lo stesso maggiociondolo. Polline che non rende velenoso il miele prodotto.

Per arrivarci, siamo quasi ai confini con la Svizzera, sul Monte Generoso; da Como si percorre la sponda occidentale del Lario seguendo la Strada Statale SS 340 “Regina” fino ad Argegno. Poco dopo il paese di Argegno si sale a sinistra verso la Valle Intelvi fino al paese di San Fedele (https://www.lavalleintelvi.info/schede/paesi/san-fedele-intelvi/).
Superare la piazza centrale di San Fedele, arrivare fino al deposito bus ASF, quindi seguire a sinistra la via Monte Generoso/per Orimento, una strada piccola, asfaltata ma con molte buche. Dal piazzale di Orimento, un pratone recintato, si segue l’ indicazione sentiero alto del Monte Generoso. Luoghi bellissimi, con viste paesaggistiche meravigliose (https://lagodicomo.com/it/bosco-del-maggiociondolo/).

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Imprinting


SOPRA – Immagini delle Langhe nei dintorni di Dogliani

SOPRA – Città di Castello e dintorni (immagine dal canale Youtube di Città di Castello)

Attraversare le Langhe, durante i mesi invernali, per andare a vedere una mostra su Alberto Burri, alla Fondazione Ferrero ad Alba ( https://bit.ly/3gcKluK ), fa ben capire l’intimo legame che fa sì, che l’esperienza umana sia intimamente legata alle “forme antropizzate” del Pianeta su cui viviamo.

Trasformando la Natura planetaria, a nostro uso e consumo, inoculiamo in noi stessi, nella nostra specie, un senso paesaggistico, che è parte integrante ed indispensabile della nostra caratteristica di uomini in quanto specie.

Il laureato in medicina, Alberto Burri, nato a Città di Castello, divenuto pittore durante la prigionia negli Stati Uniti ( https://bit.ly/35vnLvc ), condivide con le Langhe le forme ed i colori del paesaggio.

Nei suoi quadri i colori e le forme, sono indubitabilmente condizionate, da questo “imprinting” iniziale, che lega l’Umbria al Basso Piemonte.

Nel 1963, su incarico di Giulio Einaudi (https://bit.ly/3KWlae3), lo Studio A/Z Architetti e Ingegneri di Roma progetta, con la consulenza critica di Bruno Zevi, la biblioteca di Dogliani, dedicata alla memoria di Luigi Einaudi (Presidente della Repubblica tra il 1948 ed il 1955 – https://bit.ly/3uaBIsK). Un prototipo, nelle intenzioni, da moltiplicarsi in centinaia di esemplari, per diffondere capillarmente la cultura nei comuni e nei quartieri urbani. Una delle poche architetture organiche co-firmate da Bruno Zevi (https://bit.ly/3ud0EAa).

Anche la piccola biblioteca di Dogliani, sembra rifarsi ad un rigoroso “senso del paesaggio” : nei piani orizzontali certamente mediati da Wright; ma anche nel suo disporsi a sedime lungo l’alzaia del Torrente Rea; al contempo però è anche evocazione dell’opera di Burri, nei colori, e negli accostamenti materici.

La qualità dei paesaggi, forma gli uomini, li condiziona e li caratterizza per tutta la vita: così come la materia e la poesia di cui sono fatti i luoghi.

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DORONA


Altinum (in prossimità dell’attuale Quarto d’Altino), divenne “Municipium” quando raggiunse il suo massimo sviluppo in epoca romana a partire dal II secolo a.C. Il processo di romanizzazione ebbe inizio intorno al 131 a.C., data della costruzione della via Annia. Altinum in epoca romana era una grande e florida città, tra le più importanti dell’impero, con oltre 30.000 abitanti. Si trovava ai margini della laguna veneta, protetta dai fiumi di risorgiva Sile, Zero e Dese, ed era un’importante nodo stradale dell’Impero Romano, poiché costituita sulla Via Annia (131 a.C.), che collegava Adria ad Aquileia passando per Padova, e dalla Via Claudia Augusta (47 d.C.), che arrivava fino al Danubio, passando dall’attuale Augsburg in Germania. Altinum fu anche uno dei più importanti scali dell’Alto Adriatico e la sua fortuna è in gran parte legata alla sua posizione ed alle vie di comunicazione citate, grazie alle quali la città si ingrandì con ville, templi ed edifici pubblici, e divenne “Urbs” già dal I° secolo d.C. Dopo l’editto di Costantino (313 d.C.) che concedeva libertà di culto ai Cristiani, Altino divenne sede vescovile con Eliodoro I, vescovo di Altino fino al 407 d.C. La decadenza della città altinate cominciò con l’invasione barbarica degli Unni di Attila nel 452 d.C., e nel VII secolo i suoi abitanti si trasferirono definitivamente sull’isola di Torcello (anticamente Turricellum, nome dato dagli altinati in ricordo della Turris di Altinum), dove fu trasferita anche la sede vescovile, creando così i presupposti per la nascita di Venezia.

Trasferendosi si portarono dietro anche delle “barbine” di uva ed impiantarono sulle isole alcuni vigneti. Si trattava di vigne di antico Trebbiano e garganega, chiamate “Dorona”. La viticoltura in Laguna esiste dall’alba dei tempi e Piazza San Marco fino al 1100 era un grande giardino con orti, vigneti e frutteti, quello che è noto come brolo. I campi a Venezia si chiamano così perché di fatto erano coltivati, dato che anche le piazze in una città in cui il novanta per cento dello spazio è occupato dall’acqua andavano sfruttate per sfamare il popolo.

L’isola di Mazzorbo, per le sue caratteristiche divenne il luogo ideale per produrre vino bianco fermo. Il vino dei Dogi veneziani, prodotto con un’uva che si era adattata al terreno salino ed al clima insulare della laguna. Il vigneto, da sempre fu gestito in maniera collettiva dalla popolazione.

Un muro ricostruito nel 1727, dai francesi, fu eretto per recingere i “preziosi” 10 mila metri quadrati di terra con 4000 piante d’uva Dorona, una esclusiva ed unica uva autoctona veneziana.

Oggi qui si trova la Tenuta Venissa: una vigna murata aperta al pubblico, dove passeggiare e rilassarsi nella magica atmosfera di questo luogo. La vigna murata del Venissa ospita il vigneto di Dorona di Venezia, un’uva autoctona veneziana, che era quasi scomparsa dopo la grande acqua alta del 1966. Oltre alla vigna si possono visitare gli orti, gestiti da nove pensionati dell’isola, che nei mesi primaverili producono le famose castraure (carciofi) di Mazzorbo. Parte della verdura prodotta negli orti viene utilizzata nel Ristorante Venissa, premiato con la stella Michelin, e nell’Osteria Contemporanea, che propone una cucina più informale. All’Osteria del Venissa è possibile fermarsi anche solo per bere un bicchiere di vino, godendosi la pace di quest’oasi verde nella laguna di Venezia. Sempre all’interno della tenuta, è presente il Venissa Wine Resort, che offre ai propri ospiti cinque eleganti camere, dov’è possibile soggiornare per vivere l’isola nei momenti più tranquilli e romantici: quando i turisti devono ancora arrivare, oppure rientrano in città, nelle isole di Mazzorbo e Burano si vive ancora quell’atmosfera paesana, che contraddistingue la vita dei suoi abitanti.

Al di là del muro, insistono le splendide forme architettoniche, del quartiere di Edilizia Economica Popolare, il cui progetto è degli anni 1980-87, ed è stato elaborato dal gruppo progettazione guidato Giancarlo de Carlo con Alberto Cecchetto, Paolo Marotto, Etra Connie Occhialini, Daniele Pini, Renato Trotta.

De Carlo interviene a Mazzorbo, con un doppio incarico, per il Comune di Venezia, attua la realizzazione del progetto planivolumetrico dell’area, per lo Iacp l’edificazione di 36 alloggi. La particolare delicatezza e singolarità dell’ambiente lagunare richiedono all’architetto specifici studi preliminari sull’inserimento paesistico e sulla cultura dell’abitare tipica degli isolani, che culminano nei due aspetti più rilevanti della progettazione: ricerca dell’integrazione dei percorsi di terra e acqua e sviluppo delle tipologie di alloggi, distinte in nuclei “mazzorbini” e “buranelli” a seconda della provenienza e delle esigenze degli abitanti. Al primo lotto residenziale di 36 alloggi, già costruiti e commissionati dallo Iacp veneziano, avrebbe dovuto seguire un intervento 4 volte più esteso, poi invece molto ridimensionato e ridotto a soli altri 15 alloggi Iacp, con riqualificazione del campo sportivo e una nuova palestra dotata di tribune. La complessa articolazione volumetrica ricercata per ogni unità abitativa, sottolineata da un efficace cromatismo mutuato dall’isola di Burano, rende l’insediamento residenziale nuovo per il linguaggio moderno con cui è realizzato, magnificamente inserito nel delicato equilibrio naturale di terra, acqua e cielo, spazi tradizionali e caratteristici dell’ambiente laguna.

Ai giorni nostri, il lusso esclusivo e perfetto della “Tenuta di Venissa”, che produce un vino da oltre 300 euro al litro, venduto in tutto il mondo nelle bottiglie in foglia d’oro del muranese Giovanni Moretti, e la dotta sapienza architettonica del quartiere popolare di De Carlo, lasciato “deperire” per mancanza di manutenzione, come tutte le “cose” pubbliche in Italia, si confrontano, dal punto di vista paesaggistico, proprio nel Vigneto “murato” (ma aperto al pubblico).

Ci vorrebbe un ennesimo “piccolo miracolo italiano”, facendo in modo che le due realtà collaborassero (cosa che oggi non avviene) in un sostentamento che non è solo economico, ma anche di idee e di cultura, dove architettura, paesaggio, enogastronomia, potrebbero restituire l’idea di una patria, intesa come tutto ciò che costituisce lo spirito, le radici, l’identità di un popolo : l’ Heimat direbbero i popoli germanici.

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Mausplatten


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Münster sorge a 1390 metri s.l.m. nel Vallese superiore, attraversato dalla Furkastrasse (la strada del Passo del Furka) sulla sponda destra del Rodano, che qui viene chiamato Rotten. Il centro di questo villaggio, con la tipica struttura compatta, è caratterizzato dalle tradizionali case in legno a ridosso l’una dell’altra e rivolte verso sud. Le cosiddette «Gommer Häuser» (case del Goms) sono state costruite vari secoli fa come costruzioni omni-comprensive, che riunivano sotto un unico tetto la parte abitativa e la parte destinata alle attività lavorative. Per proteggerle dai roditori, furono costruite su palafitte e protette con grandi lastre di pietra “Mausplatten” (funghi in pietra). Nel corso del tempo, il legno di larice con cui sono state costruite ha assunto una colorazione estremamente scura per effetto dell’irraggiamento solare. Molte datano tra il 1400 ed il 1500.

Si tratta di un’architettura dove la tecnologia del legno, si fonde con un’estetica che valorizza i dettagli tecnici, facendoli diventare elementi decorativi della facciata.

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Nel XVII e XVIII secolo, la regione del Goms (e, con essa, anche Münster) ha registrato un periodo di fioritura economica e culturale. Il transito dei mulattieri e il commercio di bestiame con la Lombardia attraverso il passo Grimselpass, il Passo della Novena o il Griesspass, nonché il mercenariato, portarono ricchezza in questa valle alpina. Testimonianza di questo periodo d’oro sono le settanta chiese e cappelle costruite nel territorio di Goms. Solo nella zona di Münster-Geschinen sono pervenute fino a noi sei costruzioni sacre, fra cui la famosa Marienkirche con il sontuoso e dorato altare maggiore tardo gotico del 1509.

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La messa in funzione delle strade di valico attraverso il Sempione e il Gottardo, come pure la ferrovia del Gottardo nel XIX secolo, hanno posto fine al transito di merci nel Goms. Al contrario, la costruzione dei collegamenti viari (collegamento alla ferrovia del Cervino-Gottardo nel 1914) ha dato impulso al turismo, oggi la fonte principale di reddito dei 400 abitanti della località.

Non lontano da Munster, il “Goms Bridge”, un ponte ciclopedonale strallato, inaugurato nell’estate del 2015, ha una lunghezza di 280 m e una larghezza di 1,40 m. Il ponte sospeso attraversa il fiume Rotten a un’altezza di 92 m. In questo premiato villaggio si possono ammirare nella piazza centrale i più antichi affreschi di Guglielmo Tell, risalenti al 1578.

Il nuovo ponte sospeso che sovrasta il Rotten (Rodano) permette di passare direttamente da Fürgangen al paesino di Mühlebach. A Fürgangen ci sono alcuni posteggi e una fermata della ferrovia della Furka.

Conclusa la visita del nucleo centrale del villaggio, con la chiesa e le case con dipinti che narrano la storia di Guglielmo Tell, il sentiero svolta sulla destra della carreggiata, prosegue lungo il pendio fino al grazioso Mühlebach con il più antico nucleo urbano con costruzioni in legno della Svizzera. Attraversando il ponte sospeso si rientra velocemente a Fürgangen.

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