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Un terremoto di libri


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Alcune sere fa, ero comodamente stravaccato sulla poltrona “Ardea” di Carlo Mollino (produzione Zanotta), che con molti sacrifici, io e mia moglie (anch’essa architetto) ci siamo acquistati venti anni fa, quando ci siamo sposati. Il mio soggiorno, come tutta la casa, è caratterizzato da una moltitudine di libri, oltre cinquemila, che nel corso del tempo, hanno costituito una biblioteca, che di fatto circonda le pareti di quasi tutti i locali, coibentandoli. Un vero e proprio ricettacolo di cultura, e di polvere, che solo grazie alla genialità dello “Swiffer Dusters 360°” riesce ad essere precariamente bonificato settimanalmente. Mentre elucubravo, cose folli, tra la veglia ed il dormiveglia, i miei “stanchi” neuroni si sono focalizzati su quella  “massa cartacea”, e fantasticando mi sono posto questo inesistente problema.

Se improvvisamente, dovesse esserci, che so, un terremoto, un incendio, un gigantesco  Tsunami (?), dovendo scegliere alcuni libri, prima di fuggire, tra i volumi di questa biblioteca, a me tutti cari, e che costituiscono “pezzi” della mia memoria e della mia storia personale, quali salverei dal disastro, dalla “ruina”?

Ecco che allora, vi sottopongo, questa mia scelta essenziale, fatta per un architetto, che in preda al terrore, deve scegliere, scappando da un appartamento posto al quinto piano (senza ascensore), alcuni strumenti essenziali (non molto pesanti) per la propria sopravvivenza  “culturale”. Sono dieci volumi, che stanno comodamente in una ventiquattro ore, del peso circa di due chili.

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Un libro, quello di Calvino, che potrebbe essere utilissimo per ricostruire qualunque cosa : un edificio, una città, una società, una vita.

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Un libro per apprezzare le “rovine” ed il senso del tempo ad esse intimamente correlato. E dopo una catastrofe, qualunque essa sia sarà uno strumento indispensabile.

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Una raccolta di scritti del grande pensatore italiano, che spaziano sul significato del progetto, nell’architettura, nell’arte, nell’urbanistica, nella società.

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Dopo una catastrofe, bisognerà, pensare ad un “mondo nuovo”, partire dal libello di Friedman, significherà risparmiare molto tempo per realizzare una maggiore compatibilità tra uomo e natura.

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Una miniera, in cui “scavare” quando si è disperati, per assicurarsi pezzetti di certezza, di cui LC era portatore sano.

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Un libro che è un vero e proprio “elogio della lentezza”, per una progettazione consapevole ed a misura d’uomo.

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E’ esattamente l’opposto del libro di Zumthor, sopra descritto. Giusto, giusto, per ritornare a cullare il sogno di quella modernità che una catastrofe (e la crisi di oggi) sembra negare.

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Un libro di “politica”, su come si deve vivere con gli altri. Una lezione di sopravvivenza, da un uomo centenario, che attendeva con serenità la morte.

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Andare alla velocità del suono, alla velocità della luce, e continuare a progettare, a vivere, con la giusta filosofia.

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Come sarà il nuovo paesaggio dopo la catastrofe ? Quì le istruzioni per farne l’epicentro della società umana.

E’ questa una lista, assolutamente personale, che ho operato in soli 35 secondi (visto che il disastro qualunque esso sia non dà tempo ai ragionamenti), probabilmente non condivisibile da molti. Comunque, l’esperimento, oltre a darmi una “botta di vita”, mi ha consentito di stabilire, che in maniera assolutamente inconscia, già avevo concentrato negli anni, in una zona precisa della biblioteca, i libri a me più cari. Libri che di fatto ad oggi riempiono un solo scaffale, lungo circa 90 centimetri.

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Beton e Legno a Davos


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Kirchner Museum Davos 1992

Le prese per la corrente degli svizzeri, sono completamente diverse da quelli di ogni altra parte del mondo, e utilizzare un adattatore normale europeo, spingendo e trafficando, spesso non serve a niente, non funziona. Ci vuole l’adattatore svizzero, che è un oggetto assolutamente unico, una particolarità, che, se ce ne fosse bisogno, caratterizza ulteriormente questa esemplare Nazione.

ARRREEEEEa


La prima volta che sono stato a Davos era estate, una di quelle estati calde, che solamente l’alta montagna svizzera riesce a mitigare. Il mio obbiettivo era preciso, visionare lo Sport Zentrum Davos, che gli architetti Gigon & Guyer, avevano appena finito di completare. Quì ho anche potuto anche visitare il Museo Kirchner, sempre realizzato dai due zurighesi, non molto distante dal primo. Vi riporto, quì di seguito, alcune considerazioni, che abbiamo fatto allora con le persone che mi accompagnavano, un ingegnere e tre architetti.

Questi due edifici, costruiti nello stesso decennio, gli anni Novanta del Novecento, di fatto sono la dimostrazione della particolarità svizzera. L’utilizzo del legno e del beton, che caratterizzano la materia con cui sono finiti i due edifici, rappresentano, anche un “marcatore” necessario per caratterizzare la funzione a cui sono destinati . Ma soprattutto, servono, per inserirli al meglio nel paesaggio, a farli implementare nel corpo urbano e nella natura circostante.

Nel caso dello Sport Zentrum, il legno è asservito ad eseguire una “mitigazione”, di un impianto tecnico importante e quindi invasivo, rifacendosi alla grande architettura tradizionale del Canton Grigioni, costruita essenzialmente in legno, in moltissime sue componenti. Nel secondo caso, il Museo Kirchner, invece, la pietra “cotta e liquefatta”, il beton, riprende chiaramente la solidità monumentale delle montagne, che circondano la località sciistica. Quì il Beton  a vista, restituisce anche la necessità di essere, l’edificio, “contenitore sicuro”, “teca preziosa”, per le opere di Ernst Ludwig Kirchner (Aschaffenburg, 6 maggio 1880 – Davos, 15 giugno 1938) che è stato un grande e famoso pittore, scultore, nonchè incisore tedesco.

Ecco che, allora, i due materiali, scelti dai saggi architetti svizzeri Gigon & Guyer, diventano portatori dell’essenza stessa del paesaggio di Davos, facendo diventare i due edifici dei veri e propri Landmark, insostituibili, come lo è il paesaggio che li circonda. Ed il paesaggio svizzero, proprio perchè parte indispensabile della “diversità” di questa nazione, è oggetto di una specifica “concezione e strutturazione”, a cui si dedica un’ente apposito L’UFAM (Ufficio Federale dell’Ambiente).

Si legge nel documento CPS (Concezione Paesaggio Svizzero) : “Il paesaggio svizzero è il risultato dell’azione concomitante di processi naturali, fattori culturali ed economici e della percezione. L’influenza dell’uomo sul paesaggio è quindi duplice: da un lato è il prodotto dei nostri interventi sul territorio e dall’altro è la raffigurazione mentale di come noi lo percepiamo”. Il nostro modo di vivere, intendere e ricordare i paesaggi è strettamente influenzato non solo dai nostri stati d’animo, ma anche dai giudizi di merito dettati dalla nostra cultura. La stretta interazione che esiste tra uomo e natura, quì a Colmar appare quanto mai mediata dall’architettura e dalla materia, anche culturale (ma non solo), di cui l’architettura stessa è fatta.

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Sport Zentrum Davos 1997

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Exporre


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OLYMPUS DIGITAL CAMERA               Quì sopra, immagini dei lavori nel sito Expo 2015 a Milano (29/01/2012)

822 giorni all’alba (o forse, meglio, al tramonto) – Oggi 29 gennaio 2013, abbiamo eseguito l’ennesimo sopralluogo sul sito dove si stanno realizzando i “lentissimi” lavori per la realizzazione di Expo 2015. Il cantiere appare molto indietro, i lavori procedono come al rallentatore, mediante l’impiego di sparute maestranze, ed anche i mezzi meccanici utilizzati sembrano pochi. Le reti aeree sono ancora tutte da rimuovere, ed anche la viabilità interna all’area è ancora operativa, come lo sono le intense attività di prostituzione femminile, da sempre cifra stilistica dell’area.

Il 31 gennaio 2013, scaduti i termini per l’iscrizione al concorso internazionale di progettazione per il “Padiglione Italia di Expo 2015” (consegna 20 febbraio 2013). Nei “deliri” del bando si legge :

Il Padiglione Italia dovrà quindi esprimere a tutti i livelli questa relazione concettuale fra cultura e coltura, divenendo un laboratorio d’idee e creatività, proposte e soluzioni, uno spazio protetto e che, allo stesso tempo, offre visibilità per le energie fresche e giovani che operano nel nostro Paese. 
Un’architettura che offra un’immagine creativa e allo stesso tempo riconoscibile dell’italianità, né rappresenti l’identità oltre gli stereotipi e gli schemi consolidati, un’immagine inedita per un Paese in continua evoluzione“. 

t4_prpi__pad_regionaliUn’immagine recente di come sarà Expo 2015

Può l’architettura : “esprimere a tutti i livelli ….. una relazione concettuale tra coltura e cultura”? Può l’architettura di un singolo edificio essere: “l’immagine inedita di un Paese”? Può il testo di un bando, per un concorso di idee internazionale, essere così “farlocco”? Forse da architetti, ma soprattutto da Cittadini, dovremmo porci il perchè di un testo siffatto, per la realizzazione di un edificio così importante dell’importo presunto di circa 40 milioni di euro, collocato in un’operazione “usa e getta” di oltre 2 miliardi e mezzo di euro (viabilità e trasporti pubblici compresi). Edificio che è poi “imbrigliato”, sempre nel bando di concorso, da esigenze di rapidità realizzativa e di distribuzione funzionale.

Insomma dallo “splendido orto planetario”, poco costruito e con tanto verde, per favorire un’Expo diffusa nella città di Milano, pensato da Stefano Boeri e soci; si è passati al grande supermercato “stile outlet”, denso e molto costruito, con poco verde (soprattutto alberi), e con tutte le attività concentrate nel sito Expo, che è poi l’attuale masterplan in costruzione.

Ecco allora, nascere la necessità impellente di concentrare in un’unico edificio (il Padiglione Italia), le relazioni tra “cultura” e “coltura”, visto che tutto il resto è la solita banale rassegna “fieristica” di edifici frutto di una “folle ridda” di architetture strane, fatte per vendere i “prodotti” di ogni Nazione partecipante, e soprattutto degli sponsor.

Del tema originario “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” e del suo progetto che ci ha fatto vincere la manifestazione, rimane poco (molto poco). Rimane solamente il classico modello di Expo, quello che abbiamo sempre visto, certamente meno splendido e dai numeri di visitatori, che saranno certamente più contenuti (di quello cinese), vista la crisi economica che attraversa tutto il mondo occidentale.

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Ossigeno


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OLYMPUS DIGITAL CAMERASopra immagini della Biblioteca di Adriano ad Atene

Giovedì 17 gennaio 2013, verso le 20,40, mi ero ormai rassegnato a guardare la televisione, flagellata come e’ dalla continua esibizione dei politici nostrani, lanciati verso la maggiore visibilita’ possibile, in vista delle Elezioni politiche di fine febbraio. Svogliatamente twittavo, in rete sul mio i-Pad, quando improvvisamente mi soffermai su un twitt, che rimandava al link di un evento che si teneva in quel momento a Roma. Giorni fa avevo letto su un giornale, che Alessandro Baricco, teneva nella capitale, quattro “letture”, ed essendo un suo estimatore, avevo fantasticato sulla possibilita’ di partecipare a qualcuna di queste serate, dai titoli ghiottissimi. Ecco improvvisamente quel link, da me prontamente visitato, mi consentiva, nella societa’ fluida 2.0 di godere in streaming della prima conferenza romana del  colto scrittore e saggista, nonché regista e musicista.
Sedata con il telecomando la sequela di immagini e voci televisive, vestite due comode cuffie, ho potuto seguire, sulla “tavoletta magica” un’ora e mezza di  una conferenza sapiente e raffinata. Il tema di fondo era il concetto di bellezza, di cultura, di sapere. Le sere successive, ho praticato come un’abitudine, questa attività dello “spettatore remoto”. Mi sembra interessante ora, trarre da ciò, alcune considerazioni.

Palladium, Roma 17 gennaio 2013 – Il Sapere

Palladium, Roma 18 gennaio 2013 – La Giustizia

Palladium, Roma 19 gennaio 2013 – Il Tempo

Palladium, Roma 20 gennaio 2013 – La Scrittura

Baricco, ha di fatto orchestrato, un ciclo di “letture/lezioni” che ci parlano, con degli esempi tratti dal sapere umano (libri, video, dischi, quadri, ecc.), della contemporaneità. Quasi un messaggio politico. Mentre, quotidianamente, una “folle ridda di voci”, dai media, calpesta e violenta i Cittadini/Elettori, lui, come i grandi letterati di un volta, da Hermann Hesse a Italo Calvino, ci fa un regalo (da consumato frequentatore delle scene), evidenziandoci i probabili punti di appoggio di un futuro possibile. Soprattutto, ci gratifica, oggi che siamo tutti un pò tristi  pensierosi, “schiacciati” da questo “progresso scorsoio”, e ci lascia un’immagine “bella ed affascinante” della nostra cultura umana. Ci lascia un’idea di sapere, di giustizia, di tempo e dello stesso scrivere, partendo dalle domande che tutti ci facciamo.

Ecco, Baricco, ci fa un regalo (da consumato frequentatore delle scene), ci lascia un’immagine sublime, che parte da Dick Fosbury, e passa da Kate Moss, Luigi XVI e Marcel Proust. Ci lascia un’idea di sapere, che trova nel termine “paesaggio”, la giustificazione della sua esistenza. Un sapere accogliente, sensuale ed al contempo bello come puo’ esserlo un paesaggio italiano dell’Appennino toscano, una montagna incantata ed innevata delle Alpi, oppure una spiaggia bianca con un mare cristallino come la costa della Sardegna. Perche’ il paesaggio e’ cultura, sapere, accoglienza, permanenza, ma e’ soprattutto estetica pura, in lenta, lentissima, costante modificazione. Lo stesso Baricco, con la sua presenza fisica, attoriale, la sua verve, il suo carisma sensuale (che e’ soprattutto vocale), domina lo spazio teatrale (il Palladium) in cui ha tenuto queste “letture romane”, e cosi’ ci dimostra egli stesso con le sue performance, che : “il sapere e’ permanenza all’interno delle domande”. Potremmo dire noi che questo “permanere”, questo “abitare”, presuppone la definizione di uno spazio, di un’ architettura del paesaggio in cui risiedere.

Nella povertà di idee e di trattazione dei veri problemi dei Cittadini, che il Paese Italia offre in queste “inquietanti” settimane pre-elettorali, il progetto di Baricco, oltre ad essere di un valore politico e culturale “alto”, ha una sua accattivante bellezza, perché democratico, ricco di contenuti, e  “costruttore di futuro”.

Niente a che vedere, per fortuna, con la “banale piattezza” dei comici, dei nani, delle ballerine, dei cittadini acefali, degli chansonnier di plastica e degli economisti sadici, che improvvisamente si inventano di essere degli autorevoli politici. Baricco riesce a farci comprendere che forse una speranza progettuale, anche politica, ancora oggi, forse c’è, pescando nella memoria culturale della specie umana, e creando connessioni sapienti, innovative, rivoluzionarie.

Ossigeno puro, da respirare a pieni polmoni.

Quì sotto immagini del museo Hermann Hesse e della casa dove visse a Montagnola (Svizzera)

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Prima e dopo (on typology)


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Quì sopra alcune immagini della Casa dei Sindacati Fascisti e dell’Industria, ora Camera del Lavoro di Milano – architetti : Angelo Bordoni, Luigi Maria Caneva, Antonio Carminati (1930-32) – Corso di Porta Vittoria 43

“La tipologia di un edificio è un’insieme di dati geometrici, tecnici e storici che stanno alla base di ogni progetto. Molte volte ho verificato questo; nel mio ultimo viaggio in Giappone mi era difficile distinguere la differenza tra alcuni edifici civili, religiosi, comunitari del passato. egualmente per alcune elaborate soluzioni contemporanee. La prima acquisizione della loro realtà è stata quella tipologica e cioè proprio il principio che univa tra loro architetture spesso molto diverse. Da questo ho potuto risalire a tradizioni, usi, ecc. che mi erano assolutamente estranei. Tutto quì, ma è molto. Nella pratica professionale, e tanto più quando i calcolatori e nuove tecniche diventeranno sempre più importanti (anche se già sono un realtà), la tipologia è un riferimento preciso. Lo sviluppo tecnico ha bisogno di chiarezza e sarebbe grave confondere la complessità e la sofisticazione degli strumenti  che possiamo o potremo usare, come una vacanza dalla ragione”.

Così dichiara Aldo Rossi in “Dieci opinioni sul tipo”, articolo di Casabella n° 509/510 del 1985, pagina 100 (numero monografico dal titolo : “I terreni della tipologia”). Un numero assolutamente da praticare per chi si occupa di progettazione. Volutamente, quindi, proprio per approfondire, con degli edifici reali, eccoci a “pescare” nell’infinita offerta architettonica, che una città come Milano, mette a disposizione. Un’offerta che è forse, troppo spesso, un pò vecchiotta e datata (come d’altronde ormai anche tutta la Casabella diretta da Vittorio Gregotti), ma offre sempre spunti interessanti e ghiotti per chi si occupa di progettazione, e si pone delle domande.

Ed in effetti, per poter approfondire la domanda, su cosa sia la tipologia, eccoci a “dimorare” presso due edifici milanesi, molto diversi, come la Camera del Lavoro (di Bordoni e soci) e la Casa Albergo (di Moretti) per caratteristiche costruttive, epoca di costruzione, materiali di finitura, destinazione funzionale, ecc., eppure contigui. Questi due edifici consentono una riflessione sulla tipologia, che non è semplicemente dare una risposta ad un quesito.

Infatti l’edificio di Bordoni, propone una tipologia ad “U” (o a “C” che dir si voglia),  aperta sulla pubblica via (a creare una piazzetta sopraelevata), abbastanza insolita per l’epoca, dove l’edificio istituzionale ad uffici, di solito si presentava con una tipologia compatta, chiusa a blocco. Lo stesso vale per l’edificio di Moretti, dove la tipologia ad “H”, si articola, a partire dagli spazi comuni del basamento (bar, soggiorno, reception, ecc.) su due edifici in linea di diverse altezze, con all’interno le camere ed i servizi,  insoliti per la modernità e la pulizia compositiva. Molto più avvicinabili all’architettura nordica per questo tipo di funzione (casa – albergo) che a quella italiana. Moretti, con questa tipologia si avvicinava così a Bottoni, Figini e Pollini, Marescotti, ecc., lasciandosi dietro quelli che poi diventeranno i “Brutalisti” : BBPR, Viganò, De Carlo, ecc..

I due edifici “dialogano con l’intorno”, ed emergono perentori, nello skyline di questa parte di città. La loro particolarità stà proprio nella diversa declinazione “anomala” di due tipologie. Ecco quindi, emergere che la tipologia è un’anomalia e non un vincolo. Ecco perchè la tipologia deve essere un riferimento preciso, come sosteneva l’Aldo Rossi, soprattutto all’inizio della progettazione, ma anche, poi, “praticarne” la trasgressione, è la norma della grande architettura.

Quì sotto alcune immagini della Casa Albergo di Luigi Moretti (1947-1950), in via Corridoni 22

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La Storia breve


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Se la storia di questo pianeta meraviglioso è breve, rispetto ai tempi dell’Universo, la storia dell’uomo, sulla Terra, è una frazione di alcuni secondi. Un lasso di tempo quasi insignificante. A questi pochissimi secondi che riguardano la storia di tutti noi, il costruire, l’architettura, e la trasformazione del paesaggio, sono ad essi intimamente legati. E’ come se la specie umana stesse attuando un “disegno”, forse per lasciare una traccia “geografica” della propria presenza, fatto di contrasti, tra natura ed artificio. Eppure dall’alto, il disegno, fin quì attuato dall’uomo (in questa “frazione di secondi”), sembra coerente, appare ben inserito, per nulla artificiale. E’ avvicinandosi, nei dettagli, che si disvela caotico ed infelice, anche se quà e là, nella storia umana, non mancano rapporti, tra natura ed artificio, che ancora oggi ci sorprendono.

Quì sotto alcune immagini della reggia Reale di Caserta (Napoli)

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La morte


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Quì sopra ed anche sotto, immagini della Biblioteca Joaquin Leguina a Madrid e dell’Archivio Regionale, opera di Mansilla & Tunon (1999-2002)

Giusto un anno fa, o giù di lì, il 22 febbraio 2012, moriva a Barcellona, Luis Moreno Mansilla (1959-2012), grande e noto architetto spagnolo. Lo hanno trovato morto la mattina, nel letto dove dormiva. Nella città catalana, Mansilla residente a Madrid, il giorno prima, aveva presentato un libro sull’architetto catalano Enric Miralles. La sua morte, curiosamente, già si trovava descritta, e quasi evocata, nella dedica della sua tesi di dottorato, «Apuntes de viaje al interior del tiempo», dove si legge : “A mio nonno Luis, oculista, tra i cui apparati ottici sono cresciuto. Morì come vorremmo morire tutti, improvvisamente, nel sonno, la mattina in cui dovevo partire per Roma e cominciare questa tesi, che ora gli dedico”. La sua breve, ma intensa carriera, è iniziata vent’anni prima,  insieme ad Emilio Tuñon, nello studio del loro maestro Rafael Moneo, con il quale entrambi collaborarono fino al 1992, prendendo parte alla realizzazione, tra gli altri, del Museo d’arte romana di Merida, della stazione madrilena di Atocha e della Fondazione Joan Mirò di Maiorca.

http://www.mansilla-tunon.com/

Ma la morte degli architetti, spesso non è così lieve, come lo è stata con Luis Moreno Mansilla, nonostante l’ancor giovane età. Chiudendo in maniera improvvisa una vita fatta di successi  e di notorietà. Recentemente un nostro caro amico, si è spento tra tormenti inenarrabili, dopo una lunga malattia. Lui, a differenza dell’architetto madrileno, aveva lavorato per decenni nell’oscurità, assolutamente lontano dai riflettori e dalla notorietà. Come tantissimi bravi e colti architetti anonimi (e a molti altri umani), ma partecipi a questa basilare attività umana sul pianeta Terra, che è il progettare, il costruire. Nonostante ciò è stato il progettista, ed il costruttore “occulto” di moltissimi edifici, in Italia ed all’estero. Presto le esili tracce del legame tra le sue architetture e la sua figura, saranno scomparse per sempre, presto di lui non rimarrà nulla, se non il ricordo, proprio come accade ai più.

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Planimetria tratta dal sito : Archivo y Biblioteca Regional – coam.org

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La Passeggiata


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“Un mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio o stanza degli spiriti, e discesi in fretta le scale, diretto in strada. Sulle scale mi venne incontro una donna dall’aspetto di spagnola, di peruviana o di creola, che ostentava non so quale pallida o appassita maestà. Per quanto mi riesce di ricordare, appena fui sulla strada soleggiata mi sentii in un disposizione d’animo avventurosa e romantica, che mi rese felice. Il mondo mattutino che mi si stendeva innanzi così bello come se lo vedessi per la prima volta.” Robert Walser – La passeggiata – Adelphi 1976

Se vi capita di andare a Merano, non potete mancare l’occasione di fare un piccola passeggiata. L’ideale è di pranzare alla Birreria Forst, in via Venosta 8 a Lagundo/Foresta.

http://www.forst.it/it

Quì dopo aver assaporato la deliziosa birra prodotta in loco (Premium, Kronen, Sixtus, ecc.), magari accompagnata dal piatto del Mastro Birraio (mezzo stinco di maiale, salsicce, canederli, crauti e rafano), vi troverete nelle condizioni ideali per fare una “digressione paesaggistica”. Dal retro della Birreria, presa la Untergandlweg, sarete accompagnati tra i campi di mele, al primo incrocio prendete a destra la Pendlerweg, dove, sempre tra i meleti, potrete godere di un paesaggio maestoso, con sapienza, nel corso del tempo, antropizzato a scopi alimentari. Dopo circa 200 metri affronterete un ameno ponticello in legno (esclusivamente pedonale), che attraversa il fiume Adige. Da quì muovendo, prima per via Mercato, poi per la strada Provinciale n° 52, ed infine per via Peter Thalguter, arriverete, dopo circa un chilometro, nel centro di Lagundo, precisamente in località Riomolino, in prossimità della Chiesa Parrocchiale di Lagundo (intestata a San Giuseppe). Architettura mirabile, il cui riferimento paesaggistico è dato dall’altissimo campanile (oltre 70 metri), che si rifà alla tradizione altoatesina dei landmark di carattere religioso.

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La Chiesa Parrocchiale di Lagundo, è stata realizzata su progetto dell’architetto Willy Gutweniger e di sua moglie Lilly, negli anni tra il 1966-1971, i quali hanno proceduto, in base all’attento controllo di un’apposita commissione parrocchiale. La Chiesa che ammicca all’architettura storica delle chiese altoatesine (soprattutto negli esterni), costituisce anche uno di quei rari esempi, in cui la metafora dell’architettura organica e quella dell’architettura razionale, si fondono, in una infinità di schemi compositivi e di dettagli. Si consiglia vivamente, quindi, di prendersi tempo a sufficienza per visitare la Chiesa (soprattutto negli interni), per apprezzarne la complessità, e riuscire a carpire i segreti del linguaggio simbolico di questa costruzione religiosa, che anche si rifà alla tradizione architettonica altoatesina. Il cemento armato a vista, il metallo, si alternano, alla pietra ed all’intonaco grezzo: spesso le citazioni evidenti di Le Corbusier e Frank Lloyd Wright, sembrano fondersi in dettagli che richiamano decisamente al migliore Carlo Scarpa. L’impianto planimetrico è dichiaratamente impostato sul richiamo di forme esagonali, a navata unica, con un’acustica perfetta. Magnifico l’altissimo campanile, che indica con uno slancio moderno il cielo. Maestose le vetrate, realizzate da artisti che in molti punti hanno costruito dei veri e propri “racconti” di trasparenze colorate.

Una piccola passeggiata “enogastronomopaesaggistica”, che risulta deliziosa in qualunque stagione, ma che dà il meglio di sé durante la fioritura dei meli.

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Statica !


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“Tanto la via intuitiva che quella matematica sono necessarie per inventare ed esattamente proporzionare una struttura resistente. L’efficienza e potenza realizzatrice della intuizione e’ largamente dimostrata e testimoniata dalle grandiose opere tramandateci dal piu’ lontano passato, quando le moderne teorie scientifiche erano totalmente ignorate. L’acutezza dei moderni metodi di calcolo in continuo e progressivo sviluppo e’ illustrata dai risultati raggiunti nella realizzazione di sempre piu’ grandiose ed audaci opere. Ma la invenzione strutturale, quella che permette di risolvere nel modo piu’ efficiente i nuovi problemi, che ogni giorno vengono proposti dall’inarrestabile sviluppo di ogni aspetto dell’attivita costruttiva, non puo’ essere che il frutto di una armoniosa fusione di personale intuizione inventiva, e di impersonale obiettiva, realistica, ed inviolabile scienza statica. In altre parole gli sviluppi teorici debbono trovare una rispondenza intuitiva che li verifichi, che ne diminuisca la impersonale durezza tecnica, e che li renda piu’ umani e comprensivi, mentre d’altra parte le teorie formalistiche debbono offrire i modi di esatte valutazioni alle quali resta pur sempre affidato il raggiungimento di quel – massimo risultato con i minimi mezzi – che e’ l’obbiettivo ultimo e l’indirizzo fondamentale di tutte le attivita’ umane” .

Questo brano, tratto dalla presentazione a firma di Pier Luigi Nervi, al bellissimo libro di Mario Salvadori e Roberto Heller, dal titolo ” Le strutture in architettura” (Etas libri, 1964), bene rappresenta, il concetto, che ad ogni intuizione complessa, definita da formule e regole, deve corrispondere un approccio intuitivo, naturale, ed ovviamente viceversa. infatti nel libro citato, la statica, e la scienza delle costruzioni in architettura, vengono spiegate, senza l’utilizzo di nessuna formula matematica.

Siamo partiti da questo brano, del grande ingegnere Nervi, per arrivare alla App degli “Angry birds”, un gioco della societa’ finlandese di informatica Rovio, in cui si “gioca” proprio con le strutture e la loro resistenza.
Il gioco, uno di quelli per tablet, smartphone e computer, e’ forse uno dei piu’ diffusi al mondo, ed e’ molto semplice. Si tratta di lanciare con una fionda, degli uccellini, contro a delle strutture precarie, per fare in modo che le componenti, crollando, facciano esplodere dei maialini “ridacchianti” di colore verde.
L’utente del gioco, deve, intuitivamente, studiare e trovare, nella struttura, il punto debole, per abbatterla utilizzando il minor numero di uccellini possibile.

Giocando, si danno cosi’ delle informazioni elementari di statica delle strutture edilizie e di scienza delle costruzioni.
Insomma le varie App degli “Angry birds” (season, rio, star wars, ecc.) sono anche degli strumenti didattici, che, soprattutto nei piu’ piccoli, sviluppano una passione primigenia per l’arte e la scienza del dimensionamento delle strutture, che e’ poi alla base di ogni buona architettura.

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