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Fino alla fine dell’uomo


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Nel mio ultimo viaggio in Cina ho avuto occasione di esplorare una parte di mondo che attraversa oltre 1,5 milioni di km quadrati, di territorio cinese da est a ovest, da Beijing a Zhangye, passando per il cuore geografico dello stato.

In passato avevo già avuto occasione di visitare alcuni tratti di questo vasto territorio, ma rimanendo sempre in zone circoscritte.

Questa volta, a distanza di anni, ho avuto occasione di avere una visione aggiornata e di insieme di questo enorme fetta di mondo.

Quando fu fondata la Repubblica Popolare Cinese sei decenni or sono, la popolazione era locata per il 90 % nelle campagne e la rimanenza in centri urbani di piccole dimensioni, dove le città più grandi contavano pochi milioni di abitanti. Oggi il rapporto ha superato la soglia del 50% in favore dei centri abitati,  Pechino ha oltre 20 milioni di abitanti, Shanghai quasi 24.

Nel resto del mondo questo tipo di cambiamento ha richiesto secoli, consentendo una più coerente crescita del sistema culturale e sociale, insieme allo sviluppo tecnologico.

La politica di sviluppo della Cina, prevede di spostare nelle città 310 milioni di persone entro il 2030. Da come costruiscono sembra che i programmi mirino a numeri ben più alti. In venti anni prevedono quindi di avere il 70% della popolazione residente nelle città.

Si è innescata quindi una frenetica corsa edificatoria, che genera una situazione già vista (almeno ai nostri occhi, ma credo che il governo Cinese stesse facendo altro in quel periodo) negli Usa nel 2008 e in Spagna, con tutte le conseguenze disastrose a livello globale, che conosciamo.

Nei numerosi centri abitati che ho attraversato, dove la matrice rurale è ancora presente nella struttura urbana, si vedono elevare, quasi a fortificazione del perimetro, una cortina di scheletri di cemento alti oltre 100 metri, a mazzette di dieci, quindici, venti torri affiancate, ripetute in lotti non molto distanti l’uno dall’altro. Torri tutte uguali. Tutte desolatamente vuote, anche quelle finite. Questo scenario si ripete in tutte le aggregazioni urbane da est a ovest, considerate strategiche dal punto di vista geografico. Da lontano l’impressione è questa, ma da vicino è anche peggio.

Le nuove strade urbane si aprono su prospettive inquietanti con enormi viali oggi desolati ma che domani potranno ambire solo ad uno scenario peggiore, immaginandosi lo stato del traffico che oggi degenera nelle grandi metropoli cinesi. Le cortine di edifici si dispongono lungo questi enormi assi infrastrutturali come fantasmi di se stessi, mentre a terra enormi cartelloni pubblicitari, mostrano una futura realtà che nulla ha a che fare con le premesse edificate. La qualità delle opere eseguite risulta essere pessima, rendendo ancora più deprimente lo scenario urbano che si sta delineando nelle, sempre più tutte uguali, nuove città cinesi. La popolazione che viene spostata dalle campagne nelle città viene oggi prevalentemente impiegata nel settore edilizio. La manovalanza impiegata nella costruzione degli edifici risulta essere senza competenze specifiche, pertanto la cura nell’esecuzione delle opere, specialmente in quelle di finitura, è assolutamente assente. Si generano quindi migliaia di edifici di oltre 35 piani, che alla fine della loro costruzione risultano già bisognosi di manutenzione, altro concetto assolutamente assente in questa nuova politica di (in)evoluzione.

Non rimane che chiedersi, verso quale futuro si sta proiettando lo sviluppo cinese. Se la bolla edilizia resisterà, se questa follia urbanistica eluderà lo spettro dell’implosione economico/finanziaria legata al mercato immobiliare, avuta con l’esperienza USA e quella spagnola, allora si dovrà fare i conti con una nuova problematica mai affrontata prima. Lo sviluppo socio culturale di una popolazione di  1 miliardo e 400.000 anime che cresceranno in città che già oggi sembrano paradossalmente essere sopravvissute alla fine improvvisa dell’Uomo.

Marco Splendore

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Creatività


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In questi giorni sto leggendo il  libro di Stefano Boeri dal titolo emblematico “Fare di più con meno” (il Saggiatore, 2013). Costui, architetto ed ex assessore alla Cultura della giunta Pisapia, è iscritto al Partito Democratico, ed è fratello del noto economista Tito. E’ Boeri quanto di più avulso dal PD io conosca, potrebbe benissimo essere iscritto a qualche movimento.

Il libro offre un’interessante approccio all’attuale situazione di crisi, che io condivido appieno. L’assunto iniziale è che quanto stiamo vivendo non è un tunnel nero (ed oscuro) da cui ci si aspetta, prima o poi, di vedere, in fondo la luce, la crisi sarà il nostro presente ed il nostro futuro. Bisogna saper vivere, con intelligenza, cultura e creatività, l’oscurità. Senza aspettarsi una “luce in fondo al tunnel”.

La crisi ci obbliga a confrontarci con un nuovo paesaggio sociale e culturale, nonché economico. Boeri, dichiara che : “L’ingresso in questo nuovo paesaggio ci chiede di cambiare strumenti di misurazione. E ci obbliga a ripensare al rapporto tra risorse, vincoli e opportunità. Senza l’illusione di poter ritornare a una condizione di abbondanza di beni e servizi, ma anche senza nostalgia per un passato che non può più tornare”.

Bisogna fare di più con meno, ed in ciò, può avere molta importanza la “bellezza”, che è un valore aggiunto in cui noi italiani costituiamo un’eccellenza. Si tratta di mettere a sistema tutto ciò, essendo la bellezza un contenuto da applicare alle scarse risorse disponibili, da offrire, che può consentire una “nuova crescita” : sostenibile, concreta e soprattutto durevole, da consegnare alle generazioni future.

In tal senso bisogna essere portatori di una politica che faccia vibrare di passione la propria anima e quelle degli elettori. Una politica, soprattutto, che faccia proposte chiare, e che sia in grado di elaborare idee concrete per riprogettare l’Italia .

L’interpretazione progettuale di questi anni, proposta da Boeri è molto interessante, perché partendo da un opzione economica “la crisi”, propone delle soluzioni culturali (e non economiche), applicando le migliori prassi politiche (credibili), attualmente individuate nel campo della decrescita e della sostenibilità. Il tutto per imparare a convivere con  “creatività” quell’ombra, che deve essere vissuta come un’opportunità e non come un danno irreparabile.

Bisogna adottare un metodo teso a diffondere la creatività diffusa nella società, con un modo di approccio “fluido” che si vada via via definendo (in progress), modificandosi continuamente in funzione degli apporti dei singoli individui, recependo i loro problemi sempre più attuali. Solo alla fine, guardando in dietro, (nell’ombra), si saprà quale forma avrà avuto e come si sarà sviluppato.

Luce ed ombra caratterizzano la nostra esistenza, essendo esse le componenti fondamentali della vita su questo pianeta, l’economia è solamente una sovrastruttura culturale umana, forse la crisi la si supera proprio riducendo ciò che è inutile, in favore di un approccio globale più creativo.

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