11 novembre 2012 – Autunno, foglie gialle in “caduta libera”, tantissima pioggia, vento freddo, cielo plumbeo, voglia di un fuoco caldo, di amicizia, di paesaggio, di profumi, di “mangiarsi il paesaggio”.

Cosa c’è di meglio, in questa “condizione umana”,  di una gita fuori porta, in un luogo vicino, ameno, ricco di storia, come può esserlo solo un pezzo del territorio italiano, raggiungibile da Milano in pochi minuti, nel fine settimana, che da protocollo, consente la commercializzazione del vino novello.

Famelici di paesaggio, come possono esserlo solamente tre amici avvezzi alle “zingarate enogastronomicopaesaggistiche”, anziani ma non troppo, colti ma non troppo, capaci di guardare al futuro ma non troppo, ci siamo orientati con una vecchia Toyota Corolla, gravida di oltre 180.000 chilometri percorsi, verso San Colombano al Lambro.

La collina di San Colombano al Lambro (che è in provincia di Milano), è da sempre, da più di due millenni, una limitata zona vitivinicola che gode di condizioni pedologiche e climatiche particolari. La collina si alza dalla pianura circostante di circa 75 metri, è luogo eccelso di produzione degli unici vini d.o.c. (Denominazione di Origine Controllata), della provincia di Milano. Nelle giornate limpide, dalla collina che sovrasta il delizioso paese di San Colombano, la visuale spazia verso nord ed arriva a tutto l’arco alpino, mentre dalla parte di Miradolo Terme, verso sud, lo sguardo si apre sulla depressione naturale della valle del Po fino agli Appennini. Il paese, piccolo ed elegante, è sotto la collina, dominato dalle antiche mura del Castello dei Belgioioso, a “recinto”, numerose e significative le chiese, che videro il giovane Don Gnocchi che quì nacque, assiduo frequentatore.

Le caratteristiche del terreno, che alterna zone sabbiose a zone calcaree molto permeabili, il sottosuolo ricco di minerali, la costante esposizione (ideale) al sole, fanno della collina un ambiente ideale e naturalmente vocato per la coltivazione della vite. Quì il paesaggio è stato da secoli “addomesticato”, tanto che oggi la coltivazione della vite, rappresenta una “texture paesaggistica” sofisticata e complessa, che testimonia del sapiente connubio tra uomo e natura. Come scrive Gilles Clément nel suo bellissimo libretto “Breve storia del giardino” (Quodlibet, 2012) : ” La storia ci parla di un luogo, ma poco del tempo, del tempo che passa, della durata, del tempo che consente l’impianto al suolo (la vite impiantata nel terreno fertile diventa produttiva dopo 2/3 anni), dell’incontro fra gli esseri viventi, dell’ibridazione e la nascita dell’imprevedibile (produrre vino con costanza è il frutto dei protocolli, e vale un 30%, ma il tempo meteorologico decide il restante 70%). La storia preferisce le forme e i grandi gesti architettonici che hanno lasciato una traccia sorprendente e indiscutibile del genio umano (piuttosto che gli orti, le colture, i giardini, sempre mutevoli). Eppure è quì, nello spazio del tempo, che a mio avviso si delineano le questioni del futuro”. Produrre vino, come avviene in molte cantine di San Colombano, è un’arte, che deve fare i conti con il tempo che passa, con i ritmi della natura, con il movimento degli astri.

Risulta poi evidente annotare che quì, a San Colombano al Lambro, siamo ancora nel territorio di Milano, là dove il consumo di suolo ha raggiunto livelli che definire “folli” è poco, eppure la conquista di un punto di vista “alto”, elevato, consente di superare le regole (ed i punti di vista) della pianura, della vita piana, piatta, della concentrazione “densa” imposta dalle regole esclusivamente economiche.

Elevandoci, possiamo distaccarci, magari solo per alcuni momenti, dal nostro quotidiano, e proiettarci con la mente, ma anche attraverso lo sguardo, nello spazio libero, nel paesaggio. L’estasi della contemplazione, ci rende liberi. Possiamo così constatare che nonostante la moltitudine umana milanese, quì, non molto lontano dal”caos”, possiamo ancora apprezzare la speranza progettuale di un rapporto corretto tra uomo e natura. Ed anche di nuovo acclarare che esiste, probabilmente una possibilità di futuro, di lavoro e di crescita consapevole, per tutti, e per un Paese, l’Italia, che forse, per troppi decenni ha trascurato (e poco progettato) il connubio intimo, tra : paesaggio, cultura, turismo, enogastronomia. Appare quì, su questa collina, chiaramente tangibile la convinzione che, le politiche per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico-agricolo-ambientale e del paesaggio nel suo insieme, e le politiche di promozione delle attività di produzione (di eccellenza) enogastronomica, culturali e di spettacolo, connesse con la promozione di un turismo consapevole, sostenibile, legato alla fruizione della bellezza e della “qualità” nel suo insieme dei nostri territori, debbano essere considerate e trattate a tutti gli effetti come un asse portante per lo sviluppo presente e futuro, del nostro Paese.

Il vino, soprattutto quello novello aiuta certamente a questa “elevazione”, a prendere una giusta “distanza dal Mondo”, a conquistare, una prospettiva nuova, uno sguardo inusuale, che quì appare quanto mai tangibile .

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