Era ancora un cantiere, ai primi di aprile 2023, eppure già si notava l’architettura con dei volumi decostruiti con sapienza tipicamente altoatesina. Un edificio pubblico per l’accoglienza dei visitatori del Parco naturale “Gruppo Tessa” – https://bit.ly/3GKqu3O
Un progetto frutto di un percorso per individuare un progetto di qualità e chiaro, acquisito dallo studio Area Architetti Associati (Roberto Pauro e Andrea Fergoni – http://www.areaarchitetti.it/h_index.html).
Il Comune di Naturno ha costruito l’immobile per metterlo a disposizione alla Provincia Autonoma di Bolzano come sede del Parco (https://bit.ly/3MKt79M).
SOPRA –Localizzazione dell’intervento (mappa tratta da Google Earth)
Dall’ acqua e dalla luce, sono i temi del centro visitatori, che sono anche una specie di “filo rosso” di tutto il Parco naturale Gruppo di Tessa, costituito nel 1976. I temi che devono essere implementati nell’edificio del centro visite, e che trovano la loro sublimazione nel radicamento a terra e nella sistemazione naturalistica di un percorso d’acqua, il Rio Farnel, adiacente all’edificio.
L’allestimento interno segue questo “Filo Rosso”, ed è prevista una sezione per un’esposizione permanente, ed un reparto per esposizioni provvisorie.
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Un “circuito” stradale, nel Trentino del sud, fattibile sia in auto che in bicicletta. Un centinaio di chilometri circa, tra le due città trentine, uscendo dalla Brennero A 22 a Rovereto Sud (Lago di Garda Nord) passando per il lago di Toblino (SS 45BIS), e rientrando nella Brennero A 22 a Trento Nord………O VICEVERSA.
Un piccolo viaggio, da “sogno” tra laghi limpidi, falesie immaginifiche, splendide architetture, vigneti e paesaggi meravigliosi. Un viaggio, dove l’azione umana sulla crosta terrestre, sembra ancora avere una dimensione in cui Natura ed Artificio possano coesistere. Ovviamente, un viaggio anche di sapori, di enogastronomia, tra profumi e luci naturali indimenticabili. Una “mappa empatica”.
SOPRA – Sede Mondadori a Tregarezzo di Segrate (Milano) dettaglio
Sexy si riferisce a qualcosa di provocante, di sensuale, di seducente, di erotico, ad un qualcosa che non è necessariamente bello ma che attrae per un determinato aspetto o dettaglio. Spesso per una. concomitanza di fattori difficili da spiegare.
Forme morbide, linee curve e sinuose, rendono sensuale l’architettura. Anche i materiale e l’incidenza luminosa su di essi, contribuisce a titillare l’occhio e la memoria cerebrale. Essi hanno anche una forte valenza tattile, e spesso odorosa, anche se qui a predominare e’ il profumo delicato della Mata Atlantica.
In merito alle curve morbide e libere, ad un’uso “stimolante” dei materiali, viene subito in mente la filosofia progettuale, la poetica, di uno dei più grandi architetti all’avanguardia, il brasiliano oscar Niemeyer.
Oscar Niemeyer, nato a Rio de Janeiro nel 1907 e morto nel 2012 sempre a Rio. E’ vissuto per 105 anni.
“Non è l’angolo retto ciò che mi affascina. Non la linea retta. Dura, inflessibile, creata dall’uomo. Ciò che mi affascina è la curva libera e sensuale. La curva che trovo nelle montagne del mio Paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle nuvole del cielo, nel corpo della donna. Di curva è fatto tutto l’Universo.”
Le curve morbide e libere sono l’essenza stessa dell’universo in cui viviamo, ed esse sanno creare, suscitare emozioni, nela specie umana. Le opere di Oscar Niemeyer sono di una plasticità unica, con forme sinuose e fluide, a volte in perfetta mimesi e sintonia con il contesto circostante, a volte imposte all’ambiente.
Ciò vale per tutti i suoi edifici, ma in particolar modo per la Casa das Canoas a Rio (sua abitazione nella Mata Atlantica).
Vera e propria forma sensuale, di una “eroticità” quasi biologica, che dialoga con la natura circostante: con le pietre, il fiume, le piante, il paesaggio, il cielo.
I materiali sono “poveri”, semplici, nulla è ricercato, se non le forme. Essi hanno anche una forte valenza tattile, e spesso odorosa, anche se qui a predominare e’ esclusivamente il profumo delicato della Mata Atlantica.
La casa, meravigliosa, è uno spazio per gli “umani”, ritagliato nella potenza selvaggia della foresta equatoriale. E’ come una bella donna nuda e sognante, sdraiata nella Natura.
SOTTO – Casa das Canoas a Rio de Janeiro (Brasile), Oscar Niemeyer, 1951 – 1953
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Tutti a parlare dell’arretramento “spettacolare e drammatico” dei ghiacciai delle Alpi (https://www.wwf.ch/it/stories/la-morte-dei-ghiacciai), per l’ormai evidente cambiamento climatico, sancito da questo anomalo luglio 2022; però a passeggiare lungo l’anello ciclo-pedonale che circonda il Lago del Segrino (appena sopra ad Erba), sembra di assistere, per colpa del “climate-change” ad un drammatico “foliage” autunnale anticipato (https://bit.ly/3PYrtzw). Quasi una violenta “bruciatura solare”.
La grande e perdurante calura estiva, con temperature sempre attorno ai 35 gradi, la quasi assente escursione notturna, la carenza d’umidità e di precipitazioni (non piove continuativamente sulla Lombardia dall’autunno 2021), hanno fatto si che le caducifoglie (Carpini, Pseudoacacie, Faggi, Castagni, ecc.), per non disperdere ulteriormente la vitale acqua, abscindono in massa le foglie, per ridurre la fotosintesi clorofilliana e la conseguente evaporazione.
Una soluzione estrema, che le caducifoglie adottano solamente quando la situazione siccitosa è particolarmente grave. Non avere il fogliame, alle piante per l’ultima fase estiva, fa si che esse immaganizzeranno meno zuccheri (energia) per la stagione invernale, e di fatto produrranno meno ossigeno, stoccando nel loro legno anche meno anidride carbonica (CO2).
E’ molto probabile, che nei boschi attorno al Lago del Segrino, ma come un pò sta capitando in tutta la Lombardia, soprattutto nelle Prealpi, vi sarà un’alta moria invernale di piante d’alto fusto (anche se non tutte moriranno), aggravando la situazione geologica dei terreni.
Una magra consolazione: le caducifoglie durante i periodi lungamente siccitosi, di solito tendono a produrre molti più semi, confidando che una volta precipitati nella terra, questi semi, prima o poi (al di là della loro morte) potranno dare luogo, una volta che si realizzeranno le condizioni climatiche ideali, ad una nuova generazione di piante. Una speranza per il futuro.
Il lago del Segrino è pieno d’acqua, come al solito in questa stagione, ma attorno i colori gialli, marroni e rossi (che dovrebbero essere esclusivamente sulla tonalità del verde intenso), evidenziano il grave stato di sofferenza arborea dei declivi che si affacciano sul lago. Soprattutto dei declivi con assenza di acque nel sottosuolo.
I forti temporali di questi giorni, sono troppo brevi per “bagnare il bosco”, servirebbero piogge continuative per più giorni e non violenti acquazzoni.
Senza le piante, non ci sarebbe stata vita su questo bellissimo e meraviglioso Pianeta (il nostro Paradiso); esse hanno creato l’atmosfera che tutti gli esseri viventi respirano. Senza le piante, non ci sarà più vita sulla Terra.
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Altinum (in prossimità dell’attuale Quarto d’Altino), divenne “Municipium” quando raggiunse il suo massimo sviluppo in epoca romana a partire dal II secolo a.C. Il processo di romanizzazione ebbe inizio intorno al 131 a.C., data della costruzione della via Annia. Altinum in epoca romana era una grande e florida città, tra le più importanti dell’impero, con oltre 30.000 abitanti. Si trovava ai margini della laguna veneta, protetta dai fiumi di risorgiva Sile, Zero e Dese, ed era un’importante nodo stradale dell’Impero Romano, poiché costituita sulla Via Annia (131 a.C.), che collegava Adria ad Aquileia passando per Padova, e dalla Via Claudia Augusta (47 d.C.), che arrivava fino al Danubio, passando dall’attuale Augsburg in Germania. Altinum fu anche uno dei più importanti scali dell’Alto Adriatico e la sua fortuna è in gran parte legata alla sua posizione ed alle vie di comunicazione citate, grazie alle quali la città si ingrandì con ville, templi ed edifici pubblici, e divenne “Urbs” già dal I° secolo d.C. Dopo l’editto di Costantino (313 d.C.) che concedeva libertà di culto ai Cristiani, Altino divenne sede vescovile con Eliodoro I, vescovo di Altino fino al 407 d.C. La decadenza della città altinate cominciò con l’invasione barbarica degli Unni di Attila nel 452 d.C., e nel VII secolo i suoi abitanti si trasferirono definitivamente sull’isola di Torcello (anticamente Turricellum, nome dato dagli altinati in ricordo della Turris di Altinum), dove fu trasferita anche la sede vescovile, creando così i presupposti per la nascita di Venezia.
Trasferendosi si portarono dietro anche delle “barbine” di uva ed impiantarono sulle isole alcuni vigneti. Si trattava di vigne di antico Trebbiano e garganega, chiamate “Dorona”. La viticoltura in Laguna esiste dall’alba dei tempi e Piazza San Marco fino al 1100 era un grande giardino con orti, vigneti e frutteti, quello che è noto come brolo. I campi a Venezia si chiamano così perché di fatto erano coltivati, dato che anche le piazze in una città in cui il novanta per cento dello spazio è occupato dall’acqua andavano sfruttate per sfamare il popolo.
L’isola di Mazzorbo, per le sue caratteristiche divenne il luogo ideale per produrre vino bianco fermo. Il vino dei Dogi veneziani, prodotto con un’uva che si era adattata al terreno salino ed al clima insulare della laguna. Il vigneto, da sempre fu gestito in maniera collettiva dalla popolazione.
Un muro ricostruito nel 1727, dai francesi, fu eretto per recingere i “preziosi” 10 mila metri quadrati di terra con 4000 piante d’uva Dorona, una esclusiva ed unica uva autoctona veneziana.
Oggi qui si trova la Tenuta Venissa: una vigna murata aperta al pubblico, dove passeggiare e rilassarsi nella magica atmosfera di questo luogo. La vigna murata del Venissa ospita il vigneto di Dorona di Venezia, un’uva autoctona veneziana, che era quasi scomparsa dopo la grande acqua alta del 1966. Oltre alla vigna si possono visitare gli orti, gestiti da nove pensionati dell’isola, che nei mesi primaverili producono le famose castraure (carciofi) di Mazzorbo. Parte della verdura prodotta negli orti viene utilizzata nel Ristorante Venissa, premiato con la stella Michelin, e nell’Osteria Contemporanea, che propone una cucina più informale. All’Osteria del Venissa è possibile fermarsi anche solo per bere un bicchiere di vino, godendosi la pace di quest’oasi verde nella laguna di Venezia. Sempre all’interno della tenuta, è presente il Venissa Wine Resort, che offre ai propri ospiti cinque eleganti camere, dov’è possibile soggiornare per vivere l’isola nei momenti più tranquilli e romantici: quando i turisti devono ancora arrivare, oppure rientrano in città, nelle isole di Mazzorbo e Burano si vive ancora quell’atmosfera paesana, che contraddistingue la vita dei suoi abitanti.
Al di là del muro, insistono le splendide forme architettoniche, del quartiere di Edilizia Economica Popolare, il cui progetto è degli anni 1980-87, ed è stato elaborato dal gruppo progettazione guidato Giancarlo de Carlo con Alberto Cecchetto, Paolo Marotto, Etra Connie Occhialini, Daniele Pini, Renato Trotta.
De Carlo interviene a Mazzorbo, con un doppio incarico, per il Comune di Venezia, attua la realizzazione del progetto planivolumetrico dell’area, per lo Iacp l’edificazione di 36 alloggi. La particolare delicatezza e singolarità dell’ambiente lagunare richiedono all’architetto specifici studi preliminari sull’inserimento paesistico e sulla cultura dell’abitare tipica degli isolani, che culminano nei due aspetti più rilevanti della progettazione: ricerca dell’integrazione dei percorsi di terra e acqua e sviluppo delle tipologie di alloggi, distinte in nuclei “mazzorbini” e “buranelli” a seconda della provenienza e delle esigenze degli abitanti. Al primo lotto residenziale di 36 alloggi, già costruiti e commissionati dallo Iacp veneziano, avrebbe dovuto seguire un intervento 4 volte più esteso, poi invece molto ridimensionato e ridotto a soli altri 15 alloggi Iacp, con riqualificazione del campo sportivo e una nuova palestra dotata di tribune. La complessa articolazione volumetrica ricercata per ogni unità abitativa, sottolineata da un efficace cromatismo mutuato dall’isola di Burano, rende l’insediamento residenziale nuovo per il linguaggio moderno con cui è realizzato, magnificamente inserito nel delicato equilibrio naturale di terra, acqua e cielo, spazi tradizionali e caratteristici dell’ambiente laguna.
Ai giorni nostri, il lusso esclusivo e perfetto della “Tenuta di Venissa”, che produce un vino da oltre 300 euro al litro, venduto in tutto il mondo nelle bottiglie in foglia d’oro del muranese Giovanni Moretti, e la dotta sapienza architettonica del quartiere popolare di De Carlo, lasciato “deperire” per mancanza di manutenzione, come tutte le “cose” pubbliche in Italia, si confrontano, dal punto di vista paesaggistico, proprio nel Vigneto “murato” (ma aperto al pubblico).
Ci vorrebbe un ennesimo “piccolo miracolo italiano”, facendo in modo che le due realtà collaborassero (cosa che oggi non avviene) in un sostentamento che non è solo economico, ma anche di idee e di cultura, dove architettura, paesaggio, enogastronomia, potrebbero restituire l’idea di una patria, intesa come tutto ciò che costituisce lo spirito, le radici, l’identità di un popolo : l’ Heimat direbbero i popoli germanici.
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Il “floating piers” poggia su 220 mila cubi a pioli galleggianti in polietilene ad alta densità, riempiti di aria. Per ancorarli sul fondo dei sub francesi hanno posato delle ancore in calcestruzzo (di fabbricazione bulgara ed italiana) e metallo appositamente studiate. Una volta assemblati tra loro i galleggianti nell’apposita area di Moltecolino (300 mila metri quadrati), le parti del “pier” vengono trascinate con imbarcazioni sul luogo dove vengono fissati al fondale mediante appositi cavi ed uniti tra loro.
Il tutto progettato ed intensamente voluto, dall’artista Bulgaro/Americano Christo Vladimirov Yavachev. L’opera alla fine dei sedici giorni di esposizione, verrà completamente rimossa e sarà industrialmente riciclata. I 10 milioni di euro dei costi, anticipati dall’artista e dagli sponsor, saranno recuperati dalla vendita dei gadgets e delle opere create dall’artista (quadri, serigrafie, ecc.), come già avvenuto per altri suoi lavori..
Christo ha scelto il Lago d’Iseo dopo un lungo sopralluogo sui laghi del nord Italia, insieme a Germano Celant, rimanendo colpito dall’Isola di San Paolo e da quella di Monte Isola, nonchè dal piccolo borgo di Sulzano.
Una operazione artistica, di valenza mondiale, voluta anche dalla comunità locale, per il rilancio internazionale del turismo sul Lago d’Iseo. Costo di tutta l’operazione “pagato” dall’Ente di promozione turistica del Lago d’Iseo e della Regione Lombardia, in collaborazione con sponsor/partner privati (Ubi Banca, Iseo Serrature, Franciacorta Outlet Village).
Per 15 giorni il Lago d’Iseo sarà “l’ombelico del Mondo”, un luogo di confluenza per paesaggio, turismo, arte, che saranno per una volta, finalizzati ad una grande operazione di “immagine” a livello mondiale.
Percorrere il “Floating Piers” sarà completamente gratuito. Il comune di Sulzano e quello di Monte Isola hanno predisposto piccoli padiglioni per accogliere i turisti e fornire cibo ed accoglienza.
Quello che interessa è il tentativo di sganciarsi dai soliti canoni di marketing turistico, per intraprendere una strada innovativa, probabilmente l’unica in grado di fare diventare il turismo italiano, un vero e proprio “motore economico primario” del Paese.
Comunque un’opera “maestosa” che nella sua artificialità voluta e palese, sia nel disegno che nei materiali, ci fa immediatamente capire tutta la violenza (e la bellezza) della specie umana, che da sempre modifica all’abbisogna, il paesaggio di questo magnifico pianeta.
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Si presenta come una piscina azzurra circolare (inscritta su un basamento di forma sempre circolare che funge da perimetro/seduta), piena d’acqua per circa 30 centimetri, sulla cui superficie galleggiano numerose zuppiere bianche di porcellana, che dolcemente cozzano tra loro, emettendo un delizioso tintinnio, grazie al lento movimento del liquido.
Così facendo si ricrea nell’enorme atrio dell’edificio progettato da Shigeru-Bahn (http://www.shigerubanarchitects.com/works.html) un paesaggio visuale e sonoro molto coinvolgente ed accogliente.
La semplicità apparente dell’installazione è inversamente proporzionale al fascino che essa esercita sugli spettatori. In realtà si tratta di una macchina sonora complessa che l’autore può configurare in diverse maniere aumentando o diminuendo le “zuppiere” in movimento, riempiendole più o meno di liquido, o modificando i vortici che agitano l’acqua.
La temperatura dell’acqua, mantenuta attorno ai 30 gradi centigradi, favorisce l’emissione sonora e la risonanza. La persistenza del suono, fa si che gli spettatori si astraggano dal tema dell’installazione, per concentrarsi esclusivamente sull’emissione sonora.
Il tempo sembra come rallentare, per un attimo; per ogni spettatore, perdere un po di tempo a godere del concertino, pare essere una cosa buona e giusta.
Oltre ad essere un compositore, Céleste Boursier-Mougenot è noto soprattutto per le sue opere ambientali, vere e proprie installazioni sonore, come nel caso di Rêvolutions, l’opera con cui, nel 2015, rappresenta la Francia alla cinquantaseiesima esposizione internazionale d’arte contemporanea della Biennale di Venezia.
Quì sotto il link ad alcune immagini dei luoghi
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Se in una giornata calda, vi rimangono nel serbatoio alcuni litri di carburante (oppure siete vicini alle Ferrovie Nord), non potete mancare di fare una visita al Lago del Segrino, tra Eupilio e Canzo, proprio sopra Erba. Sono circa 55 km. dal centro di Milano, che si percorrono agevolmente in circa 58 minuti. Se ci andate in ferrovia il tempo necessario, tra treno ed autobus è di circa 98 minuti.
Quì la natura è ancora prorompente e l’ottima sistemazione paesaggistica dell’uomo, ne fa una riserva di “delizie paesaggistiche” e di frescura. Assolutamente da evitare la domenica, per colpa di un afflusso pazzesco di turisti ed avventori, ma in qualunque altro giorno, non vi deluderà.
Eseguire il percorso naturalistico, ciclo-pedonale, che circonda il Lago è veramente un’esperienza di paesaggio totalizzante. Ma la cosa più raccapricciante di quest’esperienza, è il paesaggio, il territorio della Brianza, che ci scorre sotto gli occhi per raggiungere il Segrino. Un Paesaggio una volta bellissimo, sistematicamente distrutto, nel corso del tempo da una congerie di cacofonie architettoniche che oggi si sono irrimediabilmente saldate tra loro. Di fatto realizzando una “città infinita” tra Milano ed Erba. Tutto ciò, in contrasto con il luogo ancora bellissimo del Segrino, ci fa capire che siamo giunti ad un un punto di non ritorno: uomo, natura, cementificazione ormai non riescono più a coesistere in maniera sinergica ed equamente simbiotica.
Mentre scrivo, sto seguendo, attraverso una piattaforma informatica Webinar, uno di quei corsi obbligatori per legge a cui sono vincolati alla partecipazione gli architetti per acquisire crediti formativi. Si tratta di un corso sul paesaggio dal titolo : “Conoscenza, tutela e valorizzazione del paesaggio”, organizzato dall’ Ordine degli Architetti di Milano (OAM) e dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) – http://bit.ly/1hHTWYV – . Vi partecipano soloni ed esperti quali : Umberto Vascelli Vallara, Silvano Tintori, Sergio Cavalli, Anna Rossi, Marina Cattaneo, ecc.
Ho ormai oltre 28 anni di professione dietro le spalle, spesso esercitata in ambiti paesaggistici e/o su edifici con vincoli monumentali. Per oltre 10 anni sono stato dapprima assistente al Politecnico di Milano e poi docente a contratto. Da quattro anni sono Presidente della “Commissione per il Paesaggio” di un comune della provincia di Milano. Da qualche tempo insegno in Svizzera, dove il Paesaggio (Territorio) è implementato nello stesso percorso di preparazione degli architetti fin dal primo anno. Posso quindi tranquillamente affermare di essere un “esperto” in temi paesaggistici e nella relativa legislazione di tutela.
Quello che sento pomposamente affermare, in questo triviale corso obbligatorio, è la glorificazione sistematica di una legislazione paesaggistica italiana, monumentale e becera, che discettando per decenni sulla terminologia (è meglio Paesaggio, Territorio, Ambiente, ecc.) e pochissimo sui contenuti effettivi, ha legittimato lo scempio che ci troviamo di fronte se da Milano, ci rechiamo al Lago del Segrino.
Ma costoro si rendono conto di quello che è avvenuto e che ogni giorno sta avvenendo in tutta Italia: ogni secondo che immancabilmente passa 8 metri quadrati di suolo agricolo e/o naturale vengono irreversibilmente fagocitati, con l’avvallo di chi si occupa della tutela del Paesaggio stesso, che non possiede (per legge) autorevolezza, ne strumenti legislativi che siano in grado di interrompere questo meccanismo perverso e folle.
Quando come Commissione per il Paesaggio, respingiamo un progetto, perchè realizzato non in coerenza con il vincolo paesaggistico a cui soggiace, il dirigente del settore, può con una sua determina ad hoc, farsene un baffo del parere di esperti (cinque), non retribuiti e scelti in maniera meritocratica in seguito ad invio di curricula.
Ma ci rendiamo conto tutti quanti che lasceremo alle generazioni future, andando avanti a distruggere sistematicamente il Paesaggio più che a tutelarlo veramente, un vincolo tale per cui il loro presente non gli consentirà delle scelte. Ma ci rendiamo conto dello squallore del quadro legislativo italiano in merito al Paesaggio, rispetto ad altre realtà europee. Ma ci rendiamo conto, noi architetti, che questa non è formazione ma merda allo stato puro !
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