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Builders of the future

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enogastronomia

UN “CIRCUITO” TRENTINO


Un “circuito” stradale, nel Trentino del sud, fattibile sia in auto che in bicicletta. Un centinaio di chilometri circa, tra le due città trentine, uscendo dalla Brennero A 22 a Rovereto Sud (Lago di Garda Nord) passando per il lago di Toblino (SS 45BIS), e rientrando nella Brennero A 22 a Trento Nord………O VICEVERSA.

Un piccolo viaggio, da “sogno” tra laghi limpidi, falesie immaginifiche, splendide architetture, vigneti e paesaggi meravigliosi. Un viaggio, dove l’azione umana sulla crosta terrestre, sembra ancora avere una dimensione in cui Natura ed Artificio possano coesistere. Ovviamente, un viaggio anche di sapori, di enogastronomia, tra profumi e luci naturali indimenticabili. Una “mappa empatica”.

https://www.google.com/maps/d/edit?mid=1tv04fzuhAOpznfDAiZidaRlw8TgWKgc&usp=sharing

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PUNI


PUNI produce annualmente circa 176.000 litri di pregiato whisky, ed è la prima e unica distilleria italiana di questo liquore (https://bit.ly/3C9Kds3). La produzione avviene in un edificio, progettato dall’architetto altoatesino Werner Tcholl, immobile che incarna il carattere innovativo, per l’Italia, dell’azienda. La sede si trova nell’area industriale di Glorenza, in Val Venosta (Via Mühlbach, 2). Il progetto si esplicita attraverso un’organizzazione meticolosa della planimetria, ed una facciata che si rifà agli essiccatoi per il fieno, come dichiarato dal progettista. All’interno la doppia altezza della zona di produzione, delle pareti vitree, permettono di vedere le cisterne di affinamento interrate e gli alambicchi, direttamente dal punto di vendita e degustazione, posto al livello dell’ingresso. Tutte le attività dei tre piani dell’edificio sono avvolti da un involucro di metallo e vetro, celato da una seconda pelle, costituita da un reticolo di blocchi di cemento sfalsati, colorati rosso terra, a formare uno schema modulare come quello utilizzato nei fabbricati agricoli della zona. Il complesso all’esterno appare come un semplice ed essenziale cubo, da cui si intravedono le pareti della “pelle” interna.

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Imprinting


SOPRA – Immagini delle Langhe nei dintorni di Dogliani

SOPRA – Città di Castello e dintorni (immagine dal canale Youtube di Città di Castello)

Attraversare le Langhe, durante i mesi invernali, per andare a vedere una mostra su Alberto Burri, alla Fondazione Ferrero ad Alba ( https://bit.ly/3gcKluK ), fa ben capire l’intimo legame che fa sì, che l’esperienza umana sia intimamente legata alle “forme antropizzate” del Pianeta su cui viviamo.

Trasformando la Natura planetaria, a nostro uso e consumo, inoculiamo in noi stessi, nella nostra specie, un senso paesaggistico, che è parte integrante ed indispensabile della nostra caratteristica di uomini in quanto specie.

Il laureato in medicina, Alberto Burri, nato a Città di Castello, divenuto pittore durante la prigionia negli Stati Uniti ( https://bit.ly/35vnLvc ), condivide con le Langhe le forme ed i colori del paesaggio.

Nei suoi quadri i colori e le forme, sono indubitabilmente condizionate, da questo “imprinting” iniziale, che lega l’Umbria al Basso Piemonte.

Nel 1963, su incarico di Giulio Einaudi (https://bit.ly/3KWlae3), lo Studio A/Z Architetti e Ingegneri di Roma progetta, con la consulenza critica di Bruno Zevi, la biblioteca di Dogliani, dedicata alla memoria di Luigi Einaudi (Presidente della Repubblica tra il 1948 ed il 1955 – https://bit.ly/3uaBIsK). Un prototipo, nelle intenzioni, da moltiplicarsi in centinaia di esemplari, per diffondere capillarmente la cultura nei comuni e nei quartieri urbani. Una delle poche architetture organiche co-firmate da Bruno Zevi (https://bit.ly/3ud0EAa).

Anche la piccola biblioteca di Dogliani, sembra rifarsi ad un rigoroso “senso del paesaggio” : nei piani orizzontali certamente mediati da Wright; ma anche nel suo disporsi a sedime lungo l’alzaia del Torrente Rea; al contempo però è anche evocazione dell’opera di Burri, nei colori, e negli accostamenti materici.

La qualità dei paesaggi, forma gli uomini, li condiziona e li caratterizza per tutta la vita: così come la materia e la poesia di cui sono fatti i luoghi.

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DORONA


Altinum (in prossimità dell’attuale Quarto d’Altino), divenne “Municipium” quando raggiunse il suo massimo sviluppo in epoca romana a partire dal II secolo a.C. Il processo di romanizzazione ebbe inizio intorno al 131 a.C., data della costruzione della via Annia. Altinum in epoca romana era una grande e florida città, tra le più importanti dell’impero, con oltre 30.000 abitanti. Si trovava ai margini della laguna veneta, protetta dai fiumi di risorgiva Sile, Zero e Dese, ed era un’importante nodo stradale dell’Impero Romano, poiché costituita sulla Via Annia (131 a.C.), che collegava Adria ad Aquileia passando per Padova, e dalla Via Claudia Augusta (47 d.C.), che arrivava fino al Danubio, passando dall’attuale Augsburg in Germania. Altinum fu anche uno dei più importanti scali dell’Alto Adriatico e la sua fortuna è in gran parte legata alla sua posizione ed alle vie di comunicazione citate, grazie alle quali la città si ingrandì con ville, templi ed edifici pubblici, e divenne “Urbs” già dal I° secolo d.C. Dopo l’editto di Costantino (313 d.C.) che concedeva libertà di culto ai Cristiani, Altino divenne sede vescovile con Eliodoro I, vescovo di Altino fino al 407 d.C. La decadenza della città altinate cominciò con l’invasione barbarica degli Unni di Attila nel 452 d.C., e nel VII secolo i suoi abitanti si trasferirono definitivamente sull’isola di Torcello (anticamente Turricellum, nome dato dagli altinati in ricordo della Turris di Altinum), dove fu trasferita anche la sede vescovile, creando così i presupposti per la nascita di Venezia.

Trasferendosi si portarono dietro anche delle “barbine” di uva ed impiantarono sulle isole alcuni vigneti. Si trattava di vigne di antico Trebbiano e garganega, chiamate “Dorona”. La viticoltura in Laguna esiste dall’alba dei tempi e Piazza San Marco fino al 1100 era un grande giardino con orti, vigneti e frutteti, quello che è noto come brolo. I campi a Venezia si chiamano così perché di fatto erano coltivati, dato che anche le piazze in una città in cui il novanta per cento dello spazio è occupato dall’acqua andavano sfruttate per sfamare il popolo.

L’isola di Mazzorbo, per le sue caratteristiche divenne il luogo ideale per produrre vino bianco fermo. Il vino dei Dogi veneziani, prodotto con un’uva che si era adattata al terreno salino ed al clima insulare della laguna. Il vigneto, da sempre fu gestito in maniera collettiva dalla popolazione.

Un muro ricostruito nel 1727, dai francesi, fu eretto per recingere i “preziosi” 10 mila metri quadrati di terra con 4000 piante d’uva Dorona, una esclusiva ed unica uva autoctona veneziana.

Oggi qui si trova la Tenuta Venissa: una vigna murata aperta al pubblico, dove passeggiare e rilassarsi nella magica atmosfera di questo luogo. La vigna murata del Venissa ospita il vigneto di Dorona di Venezia, un’uva autoctona veneziana, che era quasi scomparsa dopo la grande acqua alta del 1966. Oltre alla vigna si possono visitare gli orti, gestiti da nove pensionati dell’isola, che nei mesi primaverili producono le famose castraure (carciofi) di Mazzorbo. Parte della verdura prodotta negli orti viene utilizzata nel Ristorante Venissa, premiato con la stella Michelin, e nell’Osteria Contemporanea, che propone una cucina più informale. All’Osteria del Venissa è possibile fermarsi anche solo per bere un bicchiere di vino, godendosi la pace di quest’oasi verde nella laguna di Venezia. Sempre all’interno della tenuta, è presente il Venissa Wine Resort, che offre ai propri ospiti cinque eleganti camere, dov’è possibile soggiornare per vivere l’isola nei momenti più tranquilli e romantici: quando i turisti devono ancora arrivare, oppure rientrano in città, nelle isole di Mazzorbo e Burano si vive ancora quell’atmosfera paesana, che contraddistingue la vita dei suoi abitanti.

Al di là del muro, insistono le splendide forme architettoniche, del quartiere di Edilizia Economica Popolare, il cui progetto è degli anni 1980-87, ed è stato elaborato dal gruppo progettazione guidato Giancarlo de Carlo con Alberto Cecchetto, Paolo Marotto, Etra Connie Occhialini, Daniele Pini, Renato Trotta.

De Carlo interviene a Mazzorbo, con un doppio incarico, per il Comune di Venezia, attua la realizzazione del progetto planivolumetrico dell’area, per lo Iacp l’edificazione di 36 alloggi. La particolare delicatezza e singolarità dell’ambiente lagunare richiedono all’architetto specifici studi preliminari sull’inserimento paesistico e sulla cultura dell’abitare tipica degli isolani, che culminano nei due aspetti più rilevanti della progettazione: ricerca dell’integrazione dei percorsi di terra e acqua e sviluppo delle tipologie di alloggi, distinte in nuclei “mazzorbini” e “buranelli” a seconda della provenienza e delle esigenze degli abitanti. Al primo lotto residenziale di 36 alloggi, già costruiti e commissionati dallo Iacp veneziano, avrebbe dovuto seguire un intervento 4 volte più esteso, poi invece molto ridimensionato e ridotto a soli altri 15 alloggi Iacp, con riqualificazione del campo sportivo e una nuova palestra dotata di tribune. La complessa articolazione volumetrica ricercata per ogni unità abitativa, sottolineata da un efficace cromatismo mutuato dall’isola di Burano, rende l’insediamento residenziale nuovo per il linguaggio moderno con cui è realizzato, magnificamente inserito nel delicato equilibrio naturale di terra, acqua e cielo, spazi tradizionali e caratteristici dell’ambiente laguna.

Ai giorni nostri, il lusso esclusivo e perfetto della “Tenuta di Venissa”, che produce un vino da oltre 300 euro al litro, venduto in tutto il mondo nelle bottiglie in foglia d’oro del muranese Giovanni Moretti, e la dotta sapienza architettonica del quartiere popolare di De Carlo, lasciato “deperire” per mancanza di manutenzione, come tutte le “cose” pubbliche in Italia, si confrontano, dal punto di vista paesaggistico, proprio nel Vigneto “murato” (ma aperto al pubblico).

Ci vorrebbe un ennesimo “piccolo miracolo italiano”, facendo in modo che le due realtà collaborassero (cosa che oggi non avviene) in un sostentamento che non è solo economico, ma anche di idee e di cultura, dove architettura, paesaggio, enogastronomia, potrebbero restituire l’idea di una patria, intesa come tutto ciò che costituisce lo spirito, le radici, l’identità di un popolo : l’ Heimat direbbero i popoli germanici.

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Limoni e paesaggio


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Passammo davanti a Limone, i cui giardini, disposti a terrazze e coltivati a limoni, crearono un’immagine ricca e ordinata – Johann Wolfgang von Goethe,

Viaggio in Italia, 1786

Una magica alchimia tra paesaggio, clima “quasi” mediterraneo, architettura, ha fatto si che Limone del Garda sia da sempre il luogo più a nord del mondo dove crescono gli agrumi: cedri, limoni, bergamotti. Essi rappresentano i simboli naturali del clima mediterraneo che è proprio del lago, ed è quì  particolarmente evidente.

Per tutelare le preziosissime piante, ed i loro frutti, soprattutto durante l’inverno, nel corso del tempo si è sviluppata un’ architettura essenziale, semplice, che opera una sintesi tra paesaggio ed esigenze colturali. Mura alte, sapientemente orientate, cingevano le gradonate digradanti verso il lago (per proteggerle dai venti gelidi da nord); pilastri quadrati a maglia regolare consentivano di dispiegare un sistema di serramenti durante la stagione più fredda.

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Le origini delle serre di limoni, modernissimi ed efficienti “giardini ornamentali” risalgono al XVII Secolo, per garantire soprattutto un apporto di vitamine ai ceti benestanti austriaci. Poi divenne un’attività commerciale fiorente, che però, col tempo perse capacità concorrenziali. L’unificazione dell’Italia e la conseguente eliminazione dei dazi doganali, lo sviluppo delle reti di trasporto e la degenerazione delle piante per la malattia della “gommosi”, portarono al graduale abbandono di questa attività agricola.

Lentamente, le “macchine” per coltivare e proteggere i limoni, furono lasciate decadere.

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Le strutture, nel corso del tempo, vennero “occupate”; “colonizzate” per essere abitate. Divennero case, ristoranti, abitazioni, hotel, ecc.. Alcune ristrutturate con sapienza, conservandone le caratteristiche uniche per modernità e minimalismo; altre “brutalizzate” con interventi meno attenti.

Oggi solo alcune limonaie (quattro), sono ancora utilizzate per produrre i pregiatissimi agrumi, e sono visitabili : quella più interessante dal punto di vista della conservazione è la Limonaia del Castèl.

Bisogna però rilevare come, in tutto il paesino lacustre, l’architettura delle limonaie ha condizionato (e condiziona) qualunque nuova costruzione: imponendo uno stile, una misura proporzionale, data proprio da questa presenza architettonica, che potremmo definire “endemica”, ormai parte indissolubile del paesaggio.

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Qui sotto alcune immagini di “occupazioni” sapenti delle limonaie

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Dario Sironi

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Nutrire il cemento. Energie per la “fuffa”


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Il progetto Expo 2015 di Burdett, Herzog, Boeri, Petrini con cui si è vinta la manifestazione a Milano

Poco prima che Expo 2015 succeda, ecco il bel racconto di Stefano Boeri, che descrive (alla televisione della Svizzera Italiana), lo “scempio” che si è fatto dell’evento e del sito espositivo. Facendo delle proposte per “salvare il salvabile”. Un racconto “critico” ma reale, che è anche una riflessione sullo stato dell’arte della società milanese.

A COSI

Quanto si sta effettivamente realizzando, in totale spregio rispetto al progetto iniziale

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Riso (amaro) vercellese


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Negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di circa 8 metri quadrati al secondo, ogni ora spariscono 2,8 ettari. Ogni giorno, a mezzanotte, se ne sono andati per sempre quasi 70 ettari. E questo capita per 365 giorni all’anno. La media europea di terreni cementificati è del 2,3% mentre 14 regioni su 20, in Italia, superano abbondantemente la soglia del 5% e alcune quella del 10%. A ciò ha corrisposto un progressivo stato di abbandono dei centri storici, ed una loro sistematica cementificazione a scopi speculativi. Insomma un inno al volume ed al nuovo.

Anche a Vercelli, come in molti centri storici italiani, tutto ciò che riguarda la polis (la città), vale a dire noi e i nostri figli, sia pure nel nostro ambito: riguardano il progressivo annullamento della memoria collettiva, della storia, che sono poi, anche la nostra vita ed ancor più il nostro modo di viverla, ma soprattutto il lascito per le generazioni future.

Infatti, troppo spesso, delle architetture nuove, brutte ed avulse dal contesto, vengono costruite demolendo una parte importante della storia, ed affogando nelle loro fondamenta di cemento i reperti storici della Vercellae Romana.

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Insomma una serie raccapricciante di distruzioni di ogni tipo, si concentrano nel centro storico di Vercelli. Scientemente si è dissipato, una parte considerevole del patrimonio urbano e storico, del Paesaggio italiano, ma soprattutto della memoria di una città. Il tutto additando la necessità di realizzare del nuovo per “incassare” gli oneri di urbanizzazione e di rifiutare il restauro, ed il recupero dell’esistente. Tutto ciò palesa soprattutto delle evidenti incapacità gestionali e di progettazione dell’Amministrazione comunale, ed anche di sviluppare delle politiche culturali adeguate, sia a livello locale, come a livello nazionale.

Per fortuna, che quel poco che rimane, fuori ed entro terra, riesce ancora a raccontare una storia urbanistica, architettonica e sociale, sofisticata, complessa e sofferta, fatta di un paesaggio antropizzato  bellissimo tra acqua e terra. Storia che spesso si confonde con le capacità produttive enogastronomiche di un territorio fertile e generoso, che può trovare nel turismo un nuovo motore per una crescita più sostenibile e coerente.

E’ arrivato il momento di ritornare ad una corretta pianificazione urbana, ritornando anche ad una definizione non speculativa delle trasformazioni degli edifici e dei tessuti urbani esistenti. Avendo come obbiettivo il conseguimento di un nuovo modello di sviluppo per il futuro. I decenni della liberalizzazione edilizia, non solo non ha prodotto i risultati sperati in termini quantitativi, ma in moltissimi casi hanno reso ancora più brutti parecchi centri storici e rese ancor più disordinate le periferie urbane ed i territori agricoli attorno  Vercelli. Occorre dunque rinnovare profondamente le città, ritornare a costruire attraverso regole semplici ma con finalità chiare e precise, leggi e regole condivise ed efficaci che non permettano il perpetuarsi della logica speculativa che ha tristemente caratterizzato questi anni.

Quì una mappa di Vercelli con evidenziate alcune eccellenza architettoniche e paesaggistiche

Ora per consolarci da questa Italia, cementificatrice, intrallazona e “mafiosa” di cui Vercelli è assolutamente rappresentativa, godiamoci una ricetta per consumare un prodotto agricolo vercellese di eccellenza, il riso. Una sintesi perfetta (il riso) tra : paesaggio, architettura ed enogastronomia.

RISOTTO AI PORRI E CAPRINO

Ingredienti per 4 persone

350 gr. di riso carnaroli superfino (utilizzato prodotto della Riseria Asigliano – Vc)

2 porri

parmigiano reggiano grattugiato

1 cipolla

1 carota

1 costa di sedano

olio extravergine d’oliva

burro

sale quanto basta

un bicchiere di vino bianco

PROCEDURA

Preparare un brodo vegetale con la cipolla, la carota ed il sedano e salarlo leggermente. In un tegame alto far rosolare con dell’olio extravergine d’oliva il porro mondato e tagliato a rondelle sottilissime per un minuto, versare il riso e farlo tostare leggermente, poi sfumarlo con un bicchiere di vino bianco. Continuare la cottura del riso versando man mano un mestolo di brodo vegetale.

A cottura ultimata, mi raccomando che il riso sia bene al dente, spegnere il fuoco e mantecare bene il risotto con il formaggio caprino, il parmigiano reggiano ed il burro, salare leggermente. Impiattare e versare eventualmente su ogni piatto un cucchiaio di parmigiano grattugiato. Un piatto delicato, soave, leggero.

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IAC


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Nel lontano 2007, veniva assegnato il primo premio del concorso “Progettazione e ristrutturazione del comparto Masseria, Istituto Agrario Cantonale, a Mezzana (IAC)”. Oggi questo edificio è una realtà, infatti si stanno completando i lavori.

Il progetto è degli architetti : Mario Conte, Gionas Pianetti, Michele Zanetta architetti di Lugano Carabbia. Un edificio caratterizzato dai grandi setti in terra, dal cor-ten, da grandi vetrate che si aprono sulla campagna e le viti circostanti.

Quasi non la si nota, questa architettura, dalla strada cantonale Chiasso-Mendrisio, eppure questa “corte non chiusa”, una volta disvelata, rivela tutta la sua forza paesaggistica, la sua “giustezza” con cui si colloca sul suolo inclinato, splendidamente contornata da magnifici vigneti.

il suolo esprime continuamente, nella sua duplice e inscindibile connotazione geografica ed umana, un serie di informazioni, non soltanto geometriche e formali , ma anche storiche e culturali. La lettura di tali informazioni, avviene nel progetto dello IAC in maniera scientifica, elaborando dati di varia natura .

Il progetto è uno strumento di ricognizione e la scoperta del terreno (del suolo, dell’orografia) è il momento decisivo del percorso nel quale intuizione e invenzione possono avere un peso diverso, ma comunque interagiscono. Il risultato architettonico qui a Mezzana è particolarmente riuscito.

http://www.behance.net/gallery/PROG-2007-scuola-agraria-IAC-mezzana/5301685

Anche quest’anno ci sarà, a fine settembre (27 – 28 – 29), la Sagra dell’Uva del Mendrisiotto, con apertura di cantine ed eventi, un’ottima occasione per fare il pieno, non solo di benzina, ma anche degli ottimi prodotti locali, di “ameni paesaggi” e di eccellenti architetture. Il tutto a soli 50 chilometri da Milano.

Quì una mappa che localizza l’edificio

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Milan Design Week (Fuorisalone 2013)


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Ed eccoci di nuovo, come ogni anno, alla settimana del design, dove Milano, improvvisando (ma non troppo), ed in maniera totalmente provvisoria, si trasforma, soprattutto nel Fuorisalone, in quello che non è durante tutto l’anno (se si esclude la esclusiva settimana della moda): essere una delle capitali mondiali di “qualcosa”. Di fatto durante la “Design Week Fuorisalone” Milano diviene, per una settimana, un enorme think tank (letteralmente serbatoio di pensiero), che elabora un workshop tematico, completamente (o quasi) gratuito, aperto a tutti.

Milano durante questi brevissimi giorni, esibisce se stessa (splendori e magagne), con tutte le contraddizioni e le duttilità del caso, elaborando così,  ciò che avviene normalmente molto più spesso, a Berlino, Zurigo o Londra. Aree dismesse, cantieri, spazi di lavoro, officine, strade, piazze, vincoli, ecc. diventano l’occasione per incontrarsi, visionare oggetti, discutere, progettare e fare business.

La “bolgia umana” che pervade il Fuorisalone, diventa di fatto un’antenna sensibile, delle trasformazioni in atto nella società italiana e mondiale. Per questo percorrere le strade del Fuorisalone, è un’occasione imperdibile per l’attento osservatore, che vuole cogliere l’attimo fuggente di uno scenario possibile, che forse sarà.

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Cosa ci dice quest’anno 2013, il Fuorisalone, cosa ci suggerisce, in un’attività multi-disciplinare di analisi comparata, che spazia dal design, all’architettura, alla sociologia, all’economia, al paesaggio?

Innanzitutto ci segnala : 1) Che la crisi ha modificato profondamente lo scenario espositivo, gli stand mirabolanti ed immaginifici, ricchi di gadgets,  di qualche anno fa, sono ormai pochissimi. 2) Che il pubblico è sempre più differenziato ed infarcito di stranieri soprattutto dei paesi emergenti (Cina, Russia, ecc.). 3) Che, nel design dei prodotti,  il tema dei materiali naturali e del riciclo è stato implementato alla grande quasi esclusivamente dai paesi stranieri (emergenti in primis), mentre in Italia stenta ad affermarsi. 4) Che le trasformazioni urbane in atto a Milano, atte ad accogliere meglio il Fuorisalone, sono lentissime e senza progettualità gestionale, basti per tutte il Museo di David Chipperfield nell’area ex Ansaldo (come esempio), quasi terminato ed abbandonato come uno “scatolone vuoto”, mentre  potrebbe diventare un Museo di arte contemporanea e design, sicuramente migliore e meglio allocato di quello esistente attualmente in Triennale. 5) Che nonostante timidi e sicuramente meritevoli tentativi, finalmente presenti, ancora molto si deve fare per legare design/enogastronomia/paesaggio/turismo.

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Infatti nel Fuorisalone 2013 di via Tortona, degli “stand enogastronomici”, per nulla oggetto di uno studio attento di design, quest’anno erano presenti, e forse rappresentavano il primo timido tentativo di legare i prodotti di design con il territorio lombardo. Infatti in questi stand, oltre alla vendita di prodotti agricoli che garantiscono la fornitura di un’assoluta eccellenza a “chilometri zero”, viene anche disvelato, alla moltitudine umana (soprattutto straniera) che in questi giorni frequenterà il Fuorisalone, la presenza di un territorio turistico assolutamente non trascurabile, e degno di essere visitato.

Più avanti, all’incrocio tra via Bergognone e via Tortona, un grande stand, promuove con il motto “Good food, in good design”, il MI-GUSTO, FARMER E GOURMET EXPERIENCE, dove delle vere e proprie star dei fornelli, si esibiscono in leccornie e prelibatezze, tra “sciure” super-eccitate e giovanotti, in giacca e cravatta, che sanno il “Cucchiaio d’argento” a memoria.

Manca ancora la connessione, decisa tra design, paesaggio e turismo, atta a trattenere i visitatori nell’area lombarda, per qualche giorno in più, rispetto alla settimana canonica, però molte delle realtà agricole e produttive, si dilettano (per campare) anche nell’agriturismo, che essendo molto economico, attrae soprattutto chi viene da lontano ed è alla ricerca di qualcosa di nuovo da sperimentare ed a buon prezzo.

OLYMPUS DIGITAL CAMERASe avete qualche disponibilità di tempo, da oggi al 14 aprile 2013,  vale sicuramente la pena fare una visitina, nella bolgia di oggetti e di varia umanità che pervade in questi giorni, alcune zone di Milano. Soprattutto per trarre in merito, le proprie considerazioni. Certamente se farete ciò, vi colpiranno le “installazioni”, realizzate in uno sturbo collettivo di creatività, in prossimità dei cestini di raccolta dei rifiuti, testimonianze, che ad oggi, ancora molto si deve fare per rendere Milano ancora più accogliente e propositiva rispetto a tutta questa energia che si scaturisce annualmente nell’intorno del design.

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