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Builders of the future

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Pit Stop


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Sergio Cattaneo Architetti ha elaborato il progetto del nuovo Easy Stop, che si trova a Coldrerio in direzione nord sull’autostrada Svizzera, che da Chiasso conduce a Mendrisio. Si tratta di un progetto di ristrutturazione di una struttura esistente, un’opera di “pelle” intelligente e colta, che si può apprezzare soprattutto negli interni, che sono molto curati con ampio uso di corian bianco : tavolini, bancone bar, ecc.. Tale materiale e un’attenta gestione delle aperture, consente una luminosità che conferisce agli ambienti interni, quell’accoglienza che è ormai un fatto consolidato nelle aree autostradali svizzere dedicate al “pit stop”. Carine anche le aree dedicate al wi-fi gratuito, con tablet a disposizione degli avventori e l’ampia area esterna a foggia di gradevole terrazza schermata dal rivestimento metallico microforato. Di ottima qualità i prodotti venduti sia al banco del bar, sia nel piccolo negozio. Rallentare, scalare le marce per provare a vedere se così si vive meglio, è quello che di fatto ci suggerisce questo intervento di architettura di supporto al viaggiare in auto, a lato di una delle autostrada più trafficate d’Europa. E questa è già una conquista importante per un’intervento così piccolo e minimale.

Quì una mappa con la localizzazione dell’Easy Stop

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Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

IAC


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Nel lontano 2007, veniva assegnato il primo premio del concorso “Progettazione e ristrutturazione del comparto Masseria, Istituto Agrario Cantonale, a Mezzana (IAC)”. Oggi questo edificio è una realtà, infatti si stanno completando i lavori.

Il progetto è degli architetti : Mario Conte, Gionas Pianetti, Michele Zanetta architetti di Lugano Carabbia. Un edificio caratterizzato dai grandi setti in terra, dal cor-ten, da grandi vetrate che si aprono sulla campagna e le viti circostanti.

Quasi non la si nota, questa architettura, dalla strada cantonale Chiasso-Mendrisio, eppure questa “corte non chiusa”, una volta disvelata, rivela tutta la sua forza paesaggistica, la sua “giustezza” con cui si colloca sul suolo inclinato, splendidamente contornata da magnifici vigneti.

il suolo esprime continuamente, nella sua duplice e inscindibile connotazione geografica ed umana, un serie di informazioni, non soltanto geometriche e formali , ma anche storiche e culturali. La lettura di tali informazioni, avviene nel progetto dello IAC in maniera scientifica, elaborando dati di varia natura .

Il progetto è uno strumento di ricognizione e la scoperta del terreno (del suolo, dell’orografia) è il momento decisivo del percorso nel quale intuizione e invenzione possono avere un peso diverso, ma comunque interagiscono. Il risultato architettonico qui a Mezzana è particolarmente riuscito.

http://www.behance.net/gallery/PROG-2007-scuola-agraria-IAC-mezzana/5301685

Anche quest’anno ci sarà, a fine settembre (27 – 28 – 29), la Sagra dell’Uva del Mendrisiotto, con apertura di cantine ed eventi, un’ottima occasione per fare il pieno, non solo di benzina, ma anche degli ottimi prodotti locali, di “ameni paesaggi” e di eccellenti architetture. Il tutto a soli 50 chilometri da Milano.

Quì una mappa che localizza l’edificio

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The Magnificent Mile


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Uscita MM Palestro

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Palazzo Saporiti

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Museo Scienze Naturali

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Villa Reale

Da un pò di tempo, mi capita di passeggiare con tranquillità e ripetutamente,  per via Palestro a Milano. E’ questo un posto magico, e come scrisse Robert Walser, nel suo romanzo “La Passeggiata” : “Lei non crederà assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io m’imbatta in giganti, abbia l’onore d’incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e con attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici. Eppure ciò può avvenire, e io credo che in realtà sia avvenuto”.

Ed in effetti, passeggiando per questi marciapiedi, s’incontrano le signorine bene della Milano borghese ed un pò fighetta, le bellissime fotomodelle straniere dal fisico alto ed asciutto come i Watussi, i signori azzimati e griffatissimi anche quando corrono.

Ma soprattutto , quì a dominare è il paesaggio.

Il paesaggio urbano, stratificatosi, nel corso del tempo, in una via, che tra architetture monumentali ed il verde, riesce ad essere anche, frammento di quella Milano, che fu impostata per essere una grande città di livello europeo (continua più in basso).

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Giardini Pubblici – Parco Montanelli

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Il PAC

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Padiglione d’Arte Contemporanea

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Le sette statue di Fausto Melotti al PAC

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Via Palestro (a lato del PAC)

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Via Palestro (Lato Giardini Pubblici)

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Giardini Pubblici (Platano)

Si tratta di un percorso della “magnificenza”, della bellezza, che all’imbrunire, sembra ancora più bello. Perchè Milano è così, sempre in grado di sorprendere, di stupire, ed anche di fare salire alto il livello della malinconia. Forse proprio per questo, che la città, non è mai diventata, pur avendo tutte le qualità embrionali, qualcosa di diverso da quello che è : caotica, inquinata, molto densa, ecc..

Ecco tutto ciò percorrendo, via Palestro, risulta chiaro, evidente. Forse il simbolo migliore di questo “mancato obbiettivo” è il bellissimo Centro Svizzero. L’incarico di costruire questo nuovo edificio che allora era considerato un vero e proprio grattacielo, fu affidato, alla fine degli anni quaranta del  Novecento, agli architetti Armin Meili e Giovanni Romano. Il complesso fu inaugurato nel 1952 e costituisce ancora oggi un bellissimo riferimento, per chi si gode il verde dei Giardini Pubblici (continua più in basso). Il complesso, costruisce il lotto urbano, ma si propone anche come riferimento paesaggistico di forte respiro compositivo europeo, con le grandi finestre, lo sviluppo austero dei corpi di fabbrica, e poi con la verticalità dell’alta torre. Una specie di “iniezione tonificante”, nell’architettura milanese, rimasta per decenni unica ed isolata. (continua più in basso)

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Palazzo Svizzero

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Palazzo Svizzero (Dettaglio)

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Palazzo Svizzero (Torre alta)

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Palazzo Svizzero

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Palazzo dei Giornali

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Palazzo dei Giornali (Dettaglio bassorilievo)

Al di la della mura, passati gli archi di Porta Nuova Medioevale, la città storica disvela tutta la sua compattezza e la sua opulenza fatta di palazzi e monumenti storici. Quì Milano, ci propone la vera Milano, quella “da bere”, quella dei negozi dell’alta moda, del design, dei costi al metro quadrato delle case che superano i 15.000 euro (o più). Via Manzoni è una via del centro di Milano facente parte del Quadrilatero della moda e considerata una delle zone più lussuose, oltreché uno dei maggiori centri dello shopping dell’alta moda a livello mondiale. Ma in fin dei conti questa è una città piccola, quasi “micragnosa”, con un paio i chilometri si percorre tutto il diametro del centro storico. Berlino o Parigi, sono 10 volte tanto, Milano assomiglia, per dimensione, più a Zurigo o Lione, pur non avendone le caratteristiche paesaggistiche qualitative complessive (presenza di elementi naturali, offerta culturale, ambiente, mobilità sostenibile, ecc.).

Ecco questo “The Magnificent Mile”, di fatto disvela quella che è una delle caratterizzazioni principali del nostro Paese, essere un luogo di occasioni perse, di opportunità mancate. Un luogo “poco fertile” da cui è più facile fuggire, che rimanere. Ideale per una vacanza,  ma impossibile (o quasi) per viverci. Viene quindi voglia, quotidianamente (ormai) di fuggire, di andare in Svizzera, paese extraeuropeo che dista solamente 55 chilometri da Milano.

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Porta medioevale

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Porta medioevale (Dettaglio)

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Piazza Cavour

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La “città che sale”

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Via Manzoni

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Via della Spiga

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Cinema/Teatro Manzoni

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Palazzo Borromeo D’Adda

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Chiesa San Francesco di Paola

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Chiesa San Francesco di Paola (Dettaglio)

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Spazio Armani con soprastante resort

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Monumento a Sandro Pertini

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Monumento a Sandro Pertini ed Edificio Armani

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Ritom


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Tra poco all’inverno, si farà strada, come sempre, la primavera. La prima volta che sono stato ai laghi Ritom, in Svizzera, era un maggio inoltrato, di una primavera calda ed assolata. Ecco qui, nella zona del “Rio Tom”, in un paesaggio meraviglioso ed ameno, un vero e proprio giardino paesaggistico d’alta quota, “costruito” d’acque e montagna, si può apprezzare cosa sia l’idea stessa del paesaggio, in cui l’uomo si inserisce, modificandolo in maniera saggia.  Quì, l’uomo, dal 1918,  ha antropizzato un sistema di laghi glaciali, a fini idrici e per produrre  energia, che forse non ha eguali come antropizzazione paesaggistica. Da quì, oltre a poter osservare l’importanza di una gestione idrica ed energetica saggia, in grado di proporre un intero territorio montano come, offerta turistica ed enogastronomica di livello europeo, si può anche osservare dall’alto, la grande arteria autostradale svizzera, definita “La via delle genti” (N2 ora E35).

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“L’autostrada, nei suoi elementi costitutivi  nonché negli oggetti integrativi dovrebbe  essere considerata non come un seguito di  strutture additive ma come un tutto armonico nelle sue espressioni formali: l’autostrada  dunque nel suo complesso, come un’opera  unitaria e, in quanto tale, debitamente inserita nel paesaggio che attraversa.” Chi scrive era Rino Tami, “consulente estetico” dell’Ufficio Strade Nazionali del Cantone Ticino (Svizzera), ruolo che svolse per un ventennio, dal 1963 al 1983.

Tami in un ventennio, meticolosamente affronta ogni aspetto, dell’inserimento nel territorio, nel paesaggio svizzero, del tracciato autostradale nel suo complesso. Ed ogni punto è  risolto attraverso un’attenta lettura del “genius loci” del sito e l’adozione degli accorgimenti più semplici e corretti, in un continuo dialogo tra preesistenze e modernità.

Un’attenzione particolare è riservata alla convinzione che un’autostrada è innanzitutto un’architettura del paesaggio in grado di proporre un nuova lettura della realtà ambientale circostante. Natura ed Artificio, convivono assieme senza distonie, ma ognuna integrandosi con il proprio reciproco.

Fonte primigenia di questa colta visione stilistica, è innanzitutto l’utilizzo di un unico materiale costruttivo, il beton (cemento armato a vista), declinato in maniera innovativa a comporre un linguaggio formale asciutto, direi quasi “spartano” alla ricerca della massima  pulizia possibile.

Il felicissimo risultato, facilmente leggibile dall’alto soprattutto dalla stazione di arrivo della funivia dei laghi Ritom, è un’opera di straordinaria bellezza e coerenza e soprattutto di altissimo valore formale, che contribuisce in misura determinante a caratterizzare, ma soprattutto a “disvelare” un’ampia porzione di territorio, da Chiasso al San Gottardo.

Il linguaggio di Rino Tami, farà scuola, divenendo, una vera e propria cifra stilistica, dell’arte di fare paesaggio in Svizzera, per le grandi infrastrutture. Infatti anche per l’alta velocità ferroviaria svizzera (AlpTransit, in corso di realizzazione) si ritrovano, negli apparati evidenti, la stessa tipologia di ricerca linguistica.

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Degelo & Morger


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“I pasti quotidiani devono essere considerati come delle opere d’arte. La tavola è come una tela dipinta che ci insegna che oggi è una volta sola. L’immagine dipinta svanisce alla fine della giornata, ma il suo ricordo resta scolpito nella mente delle persone che erano sedute al nostro stesso tavolo. E’ qualcosa che i soldi non possono comprare, e che resta proprio in quanto svanisce. Costruire sapendo che scomparirà : come per i mandala di sabbia tibetani”   Banana Yoshimoto – Un viaggio chiamato vita – Feltrinelli 2010

Ecco l’architettura, con dei tempi molto diversi, molto più lunghi, è come un pasto, prima o poi svanisce, si sgretola, sotto il peso del tempo, spesso ci si dimentica immediatamente di chi l’ha progettata, sopravvive ad essa qualche foto, raramente dei disegni. Bisogna progettare e costruire “sapendo che prima o poi ogni cosa sparirà”.  Un giorno tutte le cose di questo nostro mondo, e di questa parte di universo, non ci saranno più, architettura compresa, ed allora forse conviene nella nostra vita accumulare il maggior numero di ricordi possibile.

Il Kunstmuseum Liechtenstein, a Vaduz, è stato costruito dagli architetti Meinrad Morger e Heinrich Degelo, insieme con Christian Kerez. L’edificio del museo è di grande complessità strutturale, ma esibisce un’architettura di grande semplicità e soprattutto discreta. Si tratta di una “scatola” di cemento colorato e pietra di basalto nero, la finitura esterna è stata lucidata in opera. Gli inerti neri mischiati ai ciottoli di fiume, offrono una colorazione studiata per formare un collegamento al paesaggio della valle del Reno. Le lunghe file di finestre aprono la base del cubo, offrendo un’inusuale rapporto tra  l’interno e esterno.

Un cubo di calcestruzzo, lucidato a mano, fino a tirarne fuori la componente ghiaiosa, l’inerte. La natura stessa del materiale, che si esalta, specchiando il paesaggio circostante, e soprattutto quando piove, mostrando tutta la sua bellezza di essere “paesaggio liquido”.

L’interno della “scatola nera” è un cubo perfetto bianco.  Come bianchi sono tutti i muri, mentre i pavimenti sono in listoni di legno. La pianta è libera e consente di realizzare diverse soluzioni espositive.

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Un pomeriggio di contrasti


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 Salendo sul Generoso 

Sole, cielo limpido, visibilità ottima. Dopo una lunga passeggiata mattutina al parco, gita al Monte Generoso. Si parte da Milano alle 13,00 e procedendo in direzione nord per la A9 dei Laghi, verso Como Sud, da qui si continua in direzione del confine italo-svizzero, uscendo dall’autostrada a Como Monte Olimpino. Si attraversa il confine a Chiasso (per evitare di pagare il bollino autostradale), poi si procede, utilizzando la strada cantonale per Lugano, fino a Capolago, dove si esce indirizzandosi per la Stazione ferroviaria. Davanti a questa, si trova la stazioncina della ferrovia a cremagliera per il Monte Generoso.

La ferrovia consente, con un costo di circa 32 euro a persona (andata e ritorno), di passare dai 305 metri di Capolago, ai 1704 della cima del monte, dove, un po’ più in sotto, stà la stazione di arrivo. Se la giornata è limpida, lo spettacolo vale assolutamente gli euro spesi, dato che il Monte Generoso, dalla parte Svizzera, è in totale dominanza della “piatta pianura padana”. Alla stazione di arrivo, inoltre un comodo self service/ristorante/bar, consente, mercè l’utilizzo di un’ampia terrazza, di godere di un maestoso panorama sia verso Milano, sia verso Lugano. Chi vuole darsi ad un comodo alpinismo, in circa 1,5 chilometri, si può risalire di altri 200 metri fino alla vetta, da dove si gode uno spettacolo incommensurabile delle Alpi. Una fattoria nelle vicinanze consente di acquistare latte e formaggini freschi. L’ultima corsa in discesa è alle 17,45 la prima in salita alle 8,45. Il tutto da marzo ad ottobre, qualche volta il collegamento è aperto anche per le festività natalizie. Con l’ultima corsa si ritorna a valle e da lì, presa l’auto, in circa un’oretta si è comodamente a Milano. 

E’ il Monte Generoso, un paesaggio di contrasti, di “magici contrasti”, tra la pianura e la montagna, tra i laghi ed il cielo. E’ soprattutto il luogo della contemplazione di questi contrasti, che magari al nostro arrivo ce li fa apprezzare in un clima caldo e secco, mentre  poco dopo, subentra velocemente vento e neve.

Ma la vita stessa di noi umani, su questo pianeta si fonda sui “contrasti”, in un eterno braccio di ferro tra la luce e la notte, tra la natura e l’artificio, tra la vita e la morte. Alla stessa maniera la democrazia, additata dai più, nel loro intimo, e non certamente dichiarandolo, quale astrazione pura, è invece la capacità fantastica di percepire e “capire” anche i milioni di individui che ci circondano quotidianamente (e di cui non possiamo provare coinvolgimento diretto), sono fatti della nostra stessa materia, carne, come lo sono i nostri amici più cari. Bisogna mettersi nella “pelle degli altri”. Si tratta di sviluppare una giusta misura, una filosofia di sopravvivenza, per praticare la sottile membrana osmotica che divide un opposto dall’altro.

Volendo si può arrivare in cima al Generoso anche a piedi, dalla Svizzera, partendo da Mendrisio e seguendo la strada per il Monte Generoso. Si lascia la macchina alla Stazione di Bellavista e poi a piedi si segue il sentiero, che porta fino alla cima. Dall’Italia   invece la partenza di solito viene effettuata dall’Alpe d’Orimento, raggiungibile con la macchina dal Lago di Como.

Nelle serate estive, la ferrovia, il sabato (solamente il sabato), è operativa anche alle 19,15, e consente di raggiungere la vetta, dove viene servito un pranzo luculliano. Poi verso le 22,00 (se la serata lo consente) un astronomo svizzero, con una specula di notevoli dimensioni, illustra il cielo. Alle 23,15 si parte per rientrare a Capolago. Costo del piccolo viaggio notturno, complessivamente, circa 65 euro a testa. Chilometri percorsi (andata e ritorno) circa 113.

http://www.montegeneroso.ch/it/13/home.aspx

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Acciaio !


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Senza titolo-1 copia

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Sopra immagini dell’area ex Italsider di Bagnoli (Napoli)

Le acciaierie sono state il simbolo dell’industria pesante italiana e della classe operaia per almeno in secolo, come in molti altri luoghi produttivi europei. Nel 1994 chiude definitivamente l’Italsider di Bagnoli. Negli stessi anni è in corso lo smantellamento sistematico delle acciaierie Falck di Sesto San Giovanni. Nel 1985, a Sesto San Giovanni c’erano 12.750 lavoratori dipendenti Breda, Falck, e Magneti Marelli. Nel 1992, i dipendenti sono scesi a sole 700 unità. Ambedue i siti industriali soggiaciono, ad un apposita Legge per la loro riconversione, la n° 582 del 1996.

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Foto del T3 “La Pagoda” ex aree Falck a Sesto S.G. (Milano)

A Sesto, si trovano quasi improvvisamente concentrate, in pochi anni, un quantitativo enorme di aree dimesse. Quasi tutte le aree dimesse sestesi, vengono “valorizzate” dalle proprietà originarie (Falck, Magneti Marelli, Breda, ecc.) e vendute ad operatori immobiliari privati, e ad ogni passaggio di mano, aumentano di valore. Infatti le aree di si trovano in un punto nodale dell’area metropolitana milanese, altamente infrastrutturata. Alcune aree vengono parzialmente recuperate (PII ex Marelli), altre come al esempio la riqualificazione delle aree Falck, stentano ad avviarsi.

L’obiettivo a Napoli è diverso, si punta al recupero di Bagnoli, anche per bilanciare il forte inquinamento subito per decenni dalla popolazione locale, Per altro Bagnoli è stata un paradiso stretto fra Nisida e Capo Miseno, uno dei posti, in passato, più belli del mondo, affacciato su Ischia e Procida, che ancora oggi conserva un suo grande fascino. L’amministrazione pubblica qui interviene direttamente, quale proprietaria dell’area, ed attua un piano di riqualificazione

La legge per la riqualificazione delle acciaierie dimesse di Bagnoli e Sesto San Giovanni  è la stessa , ma i metri cubi da costruire, nel corso del tempo, sono cresciuti a dismisura, più a Sesto però, che a Bagnoli.

Viene quindi logico chiedersi, perché quello che si fa usualmente all’estero, ed in merito l’area della Ruhr (in Germania) docet, non si riesce a fare nella penisola italica? Nasce quindi il sospetto che questa “impasse” serva, proprio, laddove l’operatore è pubblico, a mungere denaro di finanziamenti pubblici europei, oppure laddove l’operatore è privato, a fare aumentare in maniera esponenziale il valore immobiliare delle aree.

Mentre a Sesto San Giovanni è la stessa amministrazione di centrosinistra, che in un momento di crisi dell’edilizia, “sostiene” gli operatori privati, con il tentativo (riuscito) di localizzare nelle ex Falck la così detta “Città della Salute”; a Bagnoli, dopo che per anni si sono dilapidati capitali pubblici (italiani ed europei), creando edifici male gestiti e già degradati, si partorisce un “topolino”, il concorso di idee per delle panchine da collocarsi nella “Porta del Parco”, dal titolo “Astipe ca ritrouve”.

Concorso di idee, aperto a tutti, dove a fronte della produzione di progetti ed addirittura modelli per panchine, con materiali da riciclo, si corrisponde al vincitore, un premio esiguo, direi micragnoso e svilente qualunque professione creativa, di 1.000 euro, al secondo classificato un corso per sommozzatore, ed al terzo una felpa, una borsa da palestra ed un libro. Organizzatrice, la società “Bagnoli Futura Spa”, la società di trasformazione urbana (STU) costituita nel 2002, tra il Comune di Napoli (90%), la Provincia di Napoli (2,5%) e la Regione Campania (7,5%).

Quindi due realtà molto simili, con modelli di gestione della loro riqualificazione molto diversi, e con percorsi molto dilatati nel tempo, eppure ambedue, in una situazione dove i cittadini, sono completamente succubi di scelte, spesso, troppo spesso, calate dall’alto.

Quale “Futuro” possano avere delle aree dismesse, così “maltrattate”, viene logico chiederselo. Soprattutto il “quando” inquieta parecchio, così come il tema “scottante” delle bonifiche dei terreni.

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La storia di Bagnoli Futura

Il sito web  di Bagnoli Futura

UN VIDEO SU COME DOVEVA (E POTREBBE) ESSERE BAGNOLI

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Bagnoli “Città della Scienza” – Pica Ciamarra Associati  (1996/2006)

La Città della Scienza a Bagnoli

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Bagnoli “Porta del Parco” – Silvio D’ascia (2010)

Il sito web della Porta nel Parco

Articolo del 27 luglio 2012, tratto dal “Repubblica” sull’inaugurazione della Porta del Parco a Bagnoli

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Bagnoli “Acquario Tartarughe” – AA.VV. (2011)

Articolo  sull’Acquario delle Tartarughe di Bagnoli

Articolo sulla gestione dell’acquario delle tartarughe

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Beton e Legno a Davos


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Kirchner Museum Davos 1992

Le prese per la corrente degli svizzeri, sono completamente diverse da quelli di ogni altra parte del mondo, e utilizzare un adattatore normale europeo, spingendo e trafficando, spesso non serve a niente, non funziona. Ci vuole l’adattatore svizzero, che è un oggetto assolutamente unico, una particolarità, che, se ce ne fosse bisogno, caratterizza ulteriormente questa esemplare Nazione.

ARRREEEEEa


La prima volta che sono stato a Davos era estate, una di quelle estati calde, che solamente l’alta montagna svizzera riesce a mitigare. Il mio obbiettivo era preciso, visionare lo Sport Zentrum Davos, che gli architetti Gigon & Guyer, avevano appena finito di completare. Quì ho anche potuto anche visitare il Museo Kirchner, sempre realizzato dai due zurighesi, non molto distante dal primo. Vi riporto, quì di seguito, alcune considerazioni, che abbiamo fatto allora con le persone che mi accompagnavano, un ingegnere e tre architetti.

Questi due edifici, costruiti nello stesso decennio, gli anni Novanta del Novecento, di fatto sono la dimostrazione della particolarità svizzera. L’utilizzo del legno e del beton, che caratterizzano la materia con cui sono finiti i due edifici, rappresentano, anche un “marcatore” necessario per caratterizzare la funzione a cui sono destinati . Ma soprattutto, servono, per inserirli al meglio nel paesaggio, a farli implementare nel corpo urbano e nella natura circostante.

Nel caso dello Sport Zentrum, il legno è asservito ad eseguire una “mitigazione”, di un impianto tecnico importante e quindi invasivo, rifacendosi alla grande architettura tradizionale del Canton Grigioni, costruita essenzialmente in legno, in moltissime sue componenti. Nel secondo caso, il Museo Kirchner, invece, la pietra “cotta e liquefatta”, il beton, riprende chiaramente la solidità monumentale delle montagne, che circondano la località sciistica. Quì il Beton  a vista, restituisce anche la necessità di essere, l’edificio, “contenitore sicuro”, “teca preziosa”, per le opere di Ernst Ludwig Kirchner (Aschaffenburg, 6 maggio 1880 – Davos, 15 giugno 1938) che è stato un grande e famoso pittore, scultore, nonchè incisore tedesco.

Ecco che, allora, i due materiali, scelti dai saggi architetti svizzeri Gigon & Guyer, diventano portatori dell’essenza stessa del paesaggio di Davos, facendo diventare i due edifici dei veri e propri Landmark, insostituibili, come lo è il paesaggio che li circonda. Ed il paesaggio svizzero, proprio perchè parte indispensabile della “diversità” di questa nazione, è oggetto di una specifica “concezione e strutturazione”, a cui si dedica un’ente apposito L’UFAM (Ufficio Federale dell’Ambiente).

Si legge nel documento CPS (Concezione Paesaggio Svizzero) : “Il paesaggio svizzero è il risultato dell’azione concomitante di processi naturali, fattori culturali ed economici e della percezione. L’influenza dell’uomo sul paesaggio è quindi duplice: da un lato è il prodotto dei nostri interventi sul territorio e dall’altro è la raffigurazione mentale di come noi lo percepiamo”. Il nostro modo di vivere, intendere e ricordare i paesaggi è strettamente influenzato non solo dai nostri stati d’animo, ma anche dai giudizi di merito dettati dalla nostra cultura. La stretta interazione che esiste tra uomo e natura, quì a Colmar appare quanto mai mediata dall’architettura e dalla materia, anche culturale (ma non solo), di cui l’architettura stessa è fatta.

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Sport Zentrum Davos 1997

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Mons Taegia


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La vita umana è estremamente breve, di solito dura un “battito di ali”, un attimo, il problema è che si ha la consapevolezza di ciò, di solito, solo quando si è nell’imminenza della morte. Appena si prende coscienza di questa condizione umana, e quindi a maturare (veramente), arriva il momento di dire addio agli amici ed ai parenti. Spesso non ci si rende conto nemmeno di ciò. L’amicizia, insieme al legame parentelare, è certamente la cosa più importante, ma ambedue richiedono sia sviluppata una condizione di buona convivenza, e di condivisione, ma anche quì difficilmente si riesce a stabilire ciò con tutti coloro che si incontrano durante la vita.

Alcuni giorni fa, un sabato, mi è capitato di recarmi nella “Brianza Felix”, per ameni motivi legati alla mia professione, con due cari amici, un uomo ed una donna. Eseguita l’ardua incombenza, ci siamo recati a Montevecchia (l’antica Mons Taegia), che si trovava lì vicino, con l’unico scopo di prelevare del burro dorato, dal “meraviglioso” laboratorio di Amabile Maggioni.

Se siete nei dintorni (ma non solo), non potete mancare di fare una visita a Montevecchia (metri 479 s.l.m.), un crinale, in dominanza del paesaggio, tra la pianura padana ed il Parco della Valle del Curone. Un tempo l’amena località era il luogo di incontro, durante i fine settimana, delle famiglie, a caccia di formaggini e deliziosi vini bianchi. Un luogo ideale per praticare le amicizie in deliziosi incontri conviviali, ed in lunghe passeggiate dedicate al cazzeggio e alle dotte considerazioni .

La giornata era stata piovosa e nebbiosa, poi all’improvviso un vento violento aveva spazzato la pianura padana. A Montevecchia si godeva un tramonto che esaltava il paesaggio di questa parte di Lombardia, con il costone arenaceo-calcareo, che emergeva, come un’isola, nel mare di nebbia in cui versava la pianura. Discutendo con i due amici, rimirando il paesaggio, mi è venuto naturale fare alcune considerazioni che ora vi racconto e che sono il frutto di quello che ci siamo detti, sentendo il suono delle campane dei vespri emergere dalla nebbia sottostante.

Da qualche tempo, in Italia, la cultura urbanistica ed ambientalista, si sta orientando verso il tema del consumo di suolo, prima completamente ignorato. Il territorio italiano, per conformazione (è molto montuoso) ha subito, nel corso del tempo, un consumo di questo “bene pubblico” molto alto. E la Lombardia è all’apice del consumo di suolo (la città infinita). Non ha senso oggi consumare altro suolo extraurbano, visto che le stesse città, espandendosi a dismisura hanno generato al proprio interno zone di degrado, aree dimesse o zone sotto-utilizzate. Bisogna dare priorità alla riqualificazione, al riuso, rispetto all’espansione indefessa, una rigenerazione che non sia una nuova cementificazione, ma l’occasione per “ossigenare” il tessuto urbano, per renderlo vivibile a dimensione umana, con un saggio equilibrio tra utilizzo del suolo, volume da insediare ed aree verdi. Le città di fatto sono come un grande ecosistema, mantenuto in vita da un flusso costante di materie ed energia. Tale flusso è presente sia in entrata che in uscita, però alla fine il flusso è squilibrato, mentre in un ecosistema naturale è sempre in equilibrio. Le attuali entità urbane sono dei sistemi che disperdono le risorse, consumandole. Le disperdono nelle acque, nel terreno, nell’aria. Eppure basta elevarsi, come qui a Montevecchia, che il territorio, il paesaggio, di Lombardia (ripeto, uno dei più “consumati” del mondo) appare come un entità ancora sanabile, ancora “riparabile”. Bisogna decrescere, bisogna consumare meno suolo, direbbero i più, invece io ritengo che bisogna trattare il suolo in maniera più saggia, consumandolo (poco) laddove necessario, e demolendo tessuto urbano laddove indispensabile (bonificando i terreni), per restituire terreno (tanto) al paesaggio dei centri urbani. Soprattutto bisogna costruire più in alto, con grande qualità architettonica, modernità e tecnologia, nei centri urbani, per poi demolire tessuto urbano di pessima qualità e liberare suolo nelle aree di degrado urbano (ossigenandolo) e renderlo disponibile all’agricoltura, agli ortisti, allo svago.

A sera siamo tornati verso casa, ampiamente riforniti di burro, formaggini e ricotta. Certamente empi di immagini in grado di scolpire i nostri cuori, oltre che le nostre menti.

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