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Paesaggi dello spazio pubblico


Il paesaggio fisico storico esperienziale e rappresentativo, più abituale della vita collettiva nell’Antropocene, è ancora ovviamente lo spazio pubblico, il cui termine, ha contenuti che necessariamente devono essere scomposti, per non ridurlo esclusivamente ad una banale dicotomia storica tra pubblico e privato (piazze, vie, rotonde, parchi, ecc.).

Già Aristotele nel IV secolo a.C. ha affermato la naturale tendenza dell’essere umano alla socialità. Siamo per genia, portati a stare in contatto l’uno con l’altro, questa “contiguità” addirittura è parte essenziale del definirsi della nostra identità.

E’ quindi indubbio, ed acclarato da sempre, il valore sociale dello spazio pubblico, e della sua importanza politica, culturale ed economica.

Lo spazio pubblico è una necessità umana, e la telematica, l’informatica pur insinuandosi in esso, e nella vita contemporanea, non sembrano, per ora, in grado di adattare questo paesaggio, destrutturandolo, a livelli d’informazione e di accessibilità diversi.

Nemmeno “Second Life”, il mondo virtuale (pubblico/privato) elettronico digitale online lanciato nel 2003 dalla società statunitense Linden Lab, è riuscito ad essere un’alternativa allo spazio pubblico reale. Ad un’iniziale successo, la piattaforma dal 2013 ha progressivamente perso utenti (avatar).

I vari social network: Facebook, Twitter, Instagram, nonostante i numeri notevoli degli utenti iscritti, sembrano incapaci di superare il “chiacchiericcio da pollaio”, la “violenza verbale”, la “critica gratuita”, lo sghignazzo”, per diventare degli spazi pubblici di vero dibattito ed incontro sociale. Questi “palcoscenici liquidi” hanno però determinato il collasso definitivo delle sfere sociali classiche: famiglia, colleghi, amici, eccetera. Ciò sta producendo una progressiva ulteriore frammentazione del pubblico e delle sue liaison con il mondo virtuale. L’esempio più concreto è: piazza/mercato = internet/vendite on-line.

La stessa fusione di alcune di queste piattaforme in “Meta”, voluta dal fondatore di Fb Mark Zuckerberg, per superare il calo di iscritti, sembra non in grado di superare questa impasse. Meta non si limiterà a connettere le persone ma punterà al cosiddetto Metaverso, un mondo virtuale nel quale proiettare la nostra identità digitale. La promessa del fondatore della società, è che trasformeremo la nostra “casa” (privata) in un luogo “aumentato” (semi-pubblico) nel quale i nostri amici si materializzeranno davanti ai nostri occhi ovunque essi siano, in cui lavoreremo come fossimo in ufficio, anzi meglio, dove faremo sport o shopping, ed acquisiremo cultura, senza soluzione di continuità.

Oggi possiamo acclarare che nella realtà contemporanea, è in atto una progressiva degenerazione dello spazio pubblico, reale, fisico, di una sua costante perdita di appeal, e contemporaneamente di una sua “ibridazione on-line”, dove la separazione storica, tra spazio pubblico e spazio privato, è ormai ridotta ai minimi termini, o forse già più non esiste.

Storia breve, di una genesi

All’origine “pubblico”, era tutto il Pianeta Terra, in quanto bene comune, a disposizione di tutti gli esseri viventi (animali e vegetali) che qui si sono evoluti, per: abitare, viverci e riprodursi. Poi noi Sapiens, scesi dagli alberi, dopo un lungo periodo di nomadismo, evolvendo, abbiamo incominciato a perimetrare, recintare ed ordinare la superficie terrestre, per coltivare, per produrre alimenti ed energia, per moltiplicarci, rendendo “privati” pezzi sempre più grandi di questo bene comune.

La specie Homo Sapiens, a cui apparteniamo, ha velocemente identificato tutto l’ambiente planetario come, “spazio esclusivamente suo”, eleggendolo ad ambito di azione, a cui appartengono o si riferiscono i diritti o gli interessi di una collettività dominante civilmente ordinata, in continua esponenziale crescita.

L’ambiente naturale, della biosfera planetaria, è stato, nel corso del tempo, modificato, assoggettato all’evoluzione ed alla moltiplicazione selettiva della specie umana (con finalità di puro sfruttamento); la quale specie, ha precise responsabilità, molto evidenti oggi, rispetto all’inquinamento di: aria, acqua, terra: al consumo di suolo (città, agricoltura intensiva, infrastrutture) ed al conseguente cambiamento climatico planetario.

Ancora oggi, il paesaggio fisico storico, esperienziale e rappresentativo, più abituale della vita collettiva nell’Antropocene, è ovviamente questo “bene comune”, il cui termine, ha contenuti che necessariamente devono essere scomposti, per non ridurlo esclusivamente ad una banale dicotomia storica tra pubblico e privato, tra naturale ed artificiale.

Già Aristotele nel IV secolo a.C. ha affermato la naturale tendenza dell’essere umano alla socialità. Siamo per genia, portati a stare in contatto l’uno con l’altro, questa “contiguità” addirittura è parte essenziale del definirsi della nostra identità. Siamo dal punto di vista fisico, meticci, costruiti, mischiati, con il materiale genetico di altri. Nasciamo alimentandoci del sangue di nostra madre; ci alimentiamo con la “materia” di altri esseri viventi. La stessa vita planetaria è già mescolanza di: “infinite altre specie, che si sono date appuntamento nel nostro corpo”.

E’ indubbio, ed acclarato da sempre, il valore sociale, d’incontro, dello spazio pubblico, e della sua importanza politica, culturale ed economica per l’uomo. Lentamente ci siamo impossessati del “bene comune planetario”, riempiendolo di: contenitori, infrastrutture, impianti, natura antropizzata, ecc.; addirittura rinominandolo per farlo diventare “spazio pubblico”, supporto, “esclusivamente nostro” in cui dipanare la nostra vita di specie dominante.

Eppure, questo “spazio pubblico” in senso universale, che continuamente modifichiamo, mangiamo, distruggiamo, ci condiziona e ci modifica. Nella materia carnale e soprattutto nella testa. Come scrive Emanuele Coccia nel suo libro “Metamorfosi”[6]: “La vita non è che un’unità cosmica che stringe la materia della Terra in un’intimità carnale. Siamo tutti carne della stessa carne, indifferentemente dalla specie cui apparteniamo”.

Spazio pubblico e Natura

La natura (L’ecosistema terrestre, il bene pubblico planetario condiviso) non è un “prodotto” umano; la specie umana può solo tentare di arrivare a capire, e modificare, la natura, attraverso la cultura. In tal senso la banca dati del World Wide Web, ci consente, con l’ausilio dei computer, di comprendere, attraverso una “memoria culturale” la continua metamorfosi dei saperi più diversi: dalla zoologia alla filosofia, dalla biologia alla linguistica, dalla botanica alla letteratura, dall’architettura all’astrofisica, dalla genetica all’arte. Ne risulta una visione in cui l’essere umano stesso, secondo Coccia, è una specie di “zoo ambulante”, un “Arlecchino” frutto ed espressione di una forma di vita più vasta e magistralmente intimamente interconnessa.

Lo spazio pubblico, in cui si muove questo “Arlecchino” è però una necessità tipicamente umana, e la telematica, l’informatica pur insinuandosi in esso, e nella vita contemporanea, non sembrano, per ora, in grado di adattare questo paesaggio, destrutturandolo, a livelli d’informazione e di accessibilità diversi.

Lo abbiamo visto bene tutti durante la “clausura” pandemica, dove l’isolamento, la mancanza di socialità protratta per lungo tempo, ha portato conseguenze psicologiche, su vaste fasce della popolazione, e soprattutto sui giovani. La stessa necessità di applicare in maniera diffusa lo smart-working (in italiano: lavoro agile), ha fatto cambiare completamente gli orari di uso delle città, ed i riti di frequentazione delle persone, costrette a vedersi ed a risolvere i loro necessari incontri, mediante l’utilizzo di piattaforme on-line: Meet, Zoom, Teams, eccetera. Soprattutto l’isolamento pandemico, ci ha indirizzati ad acquistare su piattaforme dedicate, come Amazon, o direttamente on-line dai produttori. Salvando molte attività commerciali, che velocemente hanno implementato o ampliato la loro presenza on-line. Però molti negozi, luoghi di arricchimento e mediazione sociale, proprio dello spazio pubblico, sono stati costretti a chiudere per mancanza di utenti, di fatto modificando il paesaggio pubblico urbano.

Chiusi in casa, abbiamo tutti sperimentato appieno, e modificato, le nostre case (private) per adattarle a queste nuova situazione, per lavorare a casa, per studiare, eccetera. Le nostre abitazioni sono diventate lo sfondo di collegamenti on-line interminabili. Le piazze, le vie, improvvisamente, per imposizione legislativa sanitaria, hanno acquisito una “vuotezza” raramente sperimentata prima. Anche durante gli anniversari istituzionali legati alla memoria di una Nazione.

[fig.1] Piazza del Duomo a Milano il 25 aprile 2020, durante la pandemia (Fonte: Foto dell’autore).

[fig.2] Piazza del Duomo il 25 aprile 2022 (Fonte: Foto dell’autore)

Pandemia: ridefinizione del confine tra pubblico e privato

Gli anni della pandemia hanno determinato una mutazione profonda nelle nostre relazioni, nel modo di lavorare, nella maniera di rapportarci con la realtà “fisica”. E lo spazio pubblico, per “stare insieme” che è la città tutta, o un teatro, o addirittura un parco, hanno subito una forte mutazione. Lo spazio pubblico, è stato per anni gravato da provvedimenti sanitari restrittivi, ma oggi, con un allentamento del controllo sanitario, in atto, conseguente alla riduzione della circolazione virale, gli spazi pubblici (piazze, spiagge, discoteche, teatri, raduni, concerti, ecc.) stanno riacquistando il loro ruolo sociale, ante-pandemia.

Nemmeno “Second Life”, il mondo virtuale (pubblico/privato) elettronico digitale online lanciato nel 2003 dalla società statunitense Linden Lab, è riuscito ad essere un’alternativa allo spazio pubblico reale. Ad un’iniziale successo, la piattaforma dal 2013 ha progressivamente perso utenti (avatar).

I vari social network: Facebook, Twitter, Instagram, nonostante i numeri notevoli degli utenti iscritti, sembrano incapaci di superare il “chiacchiericcio da pollaio”, la “violenza verbale”, la “critica gratuita”, lo sghignazzo”, per diventare degli spazi pubblici di vero dibattito ed incontro sociale. Questi “palcoscenici liquidi” hanno però determinato il collasso definitivo delle sfere sociali classiche: famiglia, colleghi, amici, eccetera. Ciò sta producendo una progressiva ulteriore frammentazione del pubblico e delle sue liaison con il mondo virtuale. L’esempio più concreto è nell’antinomia: piazza/mercato = internet/vendite on-line.

La stessa fusione di alcune di queste piattaforme in “Meta”, voluta dal fondatore di Fb Mark Zuckerberg, per superare il calo di iscritti, sembra non in grado, per ora, di superare questa impasse. Meta non si limiterà a connettere le persone ma punterà al cosiddetto Metaverso, un mondo virtuale nel quale proiettare la nostra identità digitale. La promessa del fondatore della società, è che trasformeremo la nostra “casa” (privata) in un luogo “aumentato” (semi-pubblico) nel quale i nostri amici si materializzeranno davanti ai nostri occhi ovunque essi siano, in cui lavoreremo come fossimo in ufficio, anzi meglio, dove faremo sport o shopping, ed acquisiremo cultura, senza soluzione di continuità. Nel Metaverso, potremo acquistare o affittare “spazi virtuali privati non tangibili”, da ritagliare nel Metaverso (pubblico?), in cui costruire case, ambienti, gallerie, ecc. con degli “architetti digitali”. Magari acquistare questi “spazi virtuali privati non tangibili”, con criptovalute (tipo BITCOIN), in cui collocare/esporre/commercializzare, degli NFT opere d’arte digitali. NFT che significa non-fungible token (gettone non fungibile o gettone non riproducibile), cioè è un tipo speciale di token, che rappresenta l’atto di proprietà e il certificato di autenticità scritto su catena di blocchi di un bene unico (digitale o fisico).

Si genera così uno spazio parallelo a quello fisico; uno spazio virtuale né pubblico, né privato, Uno spazio n cui ritrovarsi come specie.

Infatti, se di fatto, in diluizioni infinitesimali di miliardesimi di DNA, siamo tutti imparentati “fratelli e sorelle”, costituiti in una rete sociale, che si è ritagliata nell’ecosistema planetario, con famelica bramosia spazi pubblici/privati, ad uso esclusivo, come abbiamo visto in precedenza. Questi spazi fisici, sempre più grandi, sono finalizzati ad “ospitare e sfamare” numeri di individui in continuo esponenziale aumento; ma il virtuale, il Metaverso, non consente di produrre cibo ed energia, per “sfamare” individui atti ad una crescita infinita.

Si crea così, un nuovo confine (memoria del recinto/muro), come “limite” tra reale e virtuale. Dove però i significati di “pubblico” e “privato” tendono ad “ibridarsi”, a confondersi.

In architettura la facciata di un edificio, sia esso pubblico o privato (con i suoi materiali, i suoi colori, la sua composizione, ecc.) stabilisce un limite/comunicazione con lo spazio pubblico, sia esso: piazza, via, parco, o quant’altro, e l’io privato degli utenti. E lo stesso spazio pubblico interagisce con gli utenti, attraverso le caratteristiche di finitura, di segnaletica, di arredo, eccetera, degli stessi.

In questo contesto, lo “spazio pubblico”, tende a diventare (nel convenzionamento tra pubblico e privato), sempre più spesso, uno spazio che totalmente pubblico non è. La cessione di spazi pubblici, nelle grandi trasformazioni urbane (piazze, verde, ecc.), ma non solo, diventa una promessa fatta ai cittadini (nella liaison tra politici/amministratore, ed immobiliaristi sempre più voraci) in cambio di “eccessi volumetrici”, ma che nella realtà si traduce soprattutto in spazi che potremmo definire “di solo uso pubblico”. Questi spazi, non più privati, né completamente pubblici, vengono convenzionati e gestiti per decenni, sia come manutenzione, che per gestione degli spazi (eventi, sicurezza, ecc.), dal privato, che ne gode dal punto di vista immobiliare, facendo affacciare su questi “spazi nobili” i propri volumi, che così aumentano ulteriormente di valore.

Il gestore pubblico, non in grado di assumere un ruolo direttorio, manageriale ed economico di rilievo, nella conservazione di questi spazi, soggiace a questa condizione, che è ormai una consuetudine.

Da spazio pubblico a spazio di uso pubblico

In merito a questa mutazione, un caso emblematico lo si trova a Milano, nella trasformazione urbana Garibaldi/Repubblica/Porta Nuova. Il progetto, approvato nel 2004, dopo un iter urbanistico/immobiliare risalente al 1958, è stato curato dall’imprenditore immobiliare statunitense Hines e dalla sede italiana Hines Italia Sgr. Frutto di un convenzionamento innovativo per l’Italia, tra amministrazione pubblica ed operatore privato proprietario delle aree. In questo masterplan, il parco pubblico, realizzato da Hines Italia a scomputo oneri, detto “Biblioteca degli Alberi – BAM” (progetto: studio olandese Inside Outside di Petra Blaisse) è emblematico di questa assurda condizione dello spazio pubblico. Dal 5 luglio 2019 la Fondazione Riccardo Catella gestisce, dal punto di vista tecnico e culturale, il parco pubblico BAM, Biblioteca degli Alberi Milano. Per gestire al meglio il calendario del Parco mantenendone rigogliose, sicure e pulite le aree verdi, tutte le iniziative sono da allora comunicate e concordate con la Fondazione stessa. Nella BAM, anche la miscela floreale, che caratterizza i parterre di questo parco, viene decisa dal privato, per ottimizzare la manutenzione e la resa scenica.

[fig.3 e fig.4] Immagini di alcuni parterre della BAM, durante la fioritura primaverile (Fonte: Foto dell’autore)

Lo stesso vale per piazzetta Liberty (progetto: studio inglese Foster + Partners), sempre a Milano, un altro “spazio in uso pubblico”, dove addirittura il sottosuolo è di proprietà privata (Apple), ed anche qui tutto avviene esclusivamente per convenzionamento, sotto la regia esclusiva del privato. L’accordo di convenzione, prevede che Apple, oltre alla manutenzione ed alla sicurezza della piazza, dovrà organizzare ogni anno almeno otto eventi pubblici gratuiti di alto profilo culturale e sociale, concordati con l’Amministrazione e proporre al Comune almeno quattro ulteriori eventi l’anno.

[fig.5] Piazzetta Liberty a Milano il 15 maggio 2020 (Fonte: Foto dell’autore).

[fig.6] Piazzetta Liberty il 15 maggio 2022 (Fonte: Foto dell’autore)

Eppure, questi “spazi”, vengono percepiti dagli utenti, grazie al marketing “spinto” di eventi prestigiosi in essi realizzati, ai giornali, alla rete ed ai social che ne diffondono le immagini, come se fossero delle entità spaziali esclusivamente pubbliche. Cosa che nella realtà non sono, essendo il frutto di un compromesso, di una convenzione, cui non corrisponde più una chiara definizione terminologica tra ciò che è “pubblico” e ciò che è “privato”.

Sempre nell’Area Metropolitana di Milano, nei comuni di Rho/Pero, è in atto l’operazione immobiliare “Mind”, la riqualificazione dell’ex Area per Expo 2015 (che prima era un terreno agricolo), che è la più grande liaison, tra pubblico e privato, in corso: 510 mila metri quadrati di nuovi edifici, che ospiteranno oltre 40 mila utenti, per un progetto da 2 miliardi di euro. Sarà soprattutto terziario (circa 200 mila mq.), con l’arrivo, presunto, di grandi aziende come Novartis, Bayer, Glaxo, Bosch, Abb, Ibm, eccetera. Poca la residenza (63 mila mq.) di cui 9 mila metri quadrati di residenze di alto livello, e 30 mila mq. di social housing (case a prezzi contenuti). A ciò si aggiungono altri 54 mila mq. di studentati (residenze per studenti). Completano il progetto 16 mila mq. di spazi commerciali, ma senza grande distribuzione, e 7 mila mq. di hotel. Il tutto gestito dai privati di Lend Lease insieme alla società pubblica proprietaria delle aree, Arexpo.

Investimenti previsti: 2 miliardi pubblici e 2 miliardi privati. Per sviluppare il progetto e “valorizzare” almeno 250 mila mq, Lend Lease verserà ad Arexpo 671 milioni di euro, in cambio di una concessione che durerà 99 anni. Altri 230 mila mq saranno “valorizzati” direttamente da Arexpo, che conta di ricavarci 130 milioni, o vendendoli a Lend Lease o direttamente a privati. Oltre a tutto ciò, sull’area è già stato edificato, ed in corso di completamento, anche un ospedale, l’ortopedico Galeazzi, che pagherà ad Arexpo 25 milioni per i 50 mila mq ottenuti.

Ma ciò che renderà credibile e realizzabile l’operazione “Mind”, facendo da attrattore per le aziende hi tech e big pharma, sarà il trasferimento sull’area Expo delle facoltà scientifiche dell’Università Statale (150 mila mq., costo ipotizzato 380 milioni), oltre al più piccolo centro di ricerca Human Technopole su genoma e big data, che ha già occupato Palazzo Italia e si amplierà ad alcuni edifici a ovest dell’Albero della Vita.

Secondo il progetto Lend Lease, 460 mila metri quadrati dell’area saranno occupati da un parco pubblico. Ma per conseguire questa cifra si devono sommare anche i canali, l’anello esterno con i relativi canali, l’arena per grandi eventi, la Cascina Triulza e aree come il “decumano” e il “cardo” di Expo, che saranno in realtà trasformati in viali pedonali alberati, su cui dovranno comunque transitare automezzi per i rifornimenti e che saranno creati sopra la piastra “impiantistica” di cemento che impedisce la piantumazione di alberi ad alto fusto. I cittadini milanesi, nel 2011, hanno votato a favore (con risultato del 95,51%) al quesito di un referendum comunale consultivo, che impegnava a lasciare a parco tutta l’area verde che si sarebbe realizzata nell’area di Expo 2015[1]. Anche qui, il limite, tra cosa è pubblico e cosa è privato, seppur regolato da rigide convenzioni, sembra “labile” e potrebbe erodersi, senza nemmeno rispettare veramente il risultato del referendum pubblico consultivo espletato.

[fig.7] L’Ospedale Ortopedico Galeazzi in completamento nell’Area MIND (Fonte: Foto dell’autore).

[fig.8] L’intorno dell’ex Padiglione Italia oggi sede di Human Technopole (Fonte: Foto dell’autore)

[fig.9] L’area di Expo 2015 a Milano prima dell’intervento (Fonte: immagine del 2001 tratta da Google Earth).

Considerazioni finali

E’ chiaro che, in questa situazione “fluida”, tra una pandemia planetaria, ed una guerra, tra una crisi economica imminente, e la necessità di ristrutturare la maniera di vivere e di produrre, per salvare l’ecosistema planetario, i confini tra pubblico e privato, tenderanno sempre più a soffrire, ad essere labili e “virtuali”. Ci troviamo in una realtà sempre più ingannevole, in cui il Metaverso farà buon gioco a chi realizza spazi fisici, vendibili e praticabili virtualmente, in una loro “costruzione virtuale 3D” ancora prima che si posi a prima pietra. Microsoft ha recentemente annunciato che dal 2022 integrerà il Metaverso nella piattaforma Teams con una funzionalità chiamata Mash: gli utenti potranno creare un avatar con cui partecipare alle riunioni di lavoro

(già lo sfondo lo possiamo alterare per non fare capire dove siamo). Ciò anche per creare un ulteriore spostamento di confine tra reale e virtuale. Ci si prospetta una vera e propria vita senza mai alzarsi dal divano. Spazio “privato” e “spazio pubblico” (la via, la piazza, la città), che stanno lentamente ambedue convergendo, verso quel divano con sopra “noi”, il nostro corpo, la nostra carne, e davanti un terminale video.

Eppure, già di fatto, noi stessi, il nostro corpo, sono da sempre “materia pubblica”, essendo la nostra genia il frutto di una selezione (e di un sostegno sociale) in cui sono entrati in campo tutti gli esseri umani che sono stati presenti sul Pianeta Terra, fin dal primo uomo scimmia, e di tutto quello di cui ci siamo alimentati, sia per ricavare energia vitale, idee, progetti.

Oggi possiamo acclarare che nella realtà contemporanea, è già in atto una progressiva degenerazione dello spazio pubblico, reale, fisico, di una sua costante perdita di senso del “bene comune”, a favore di un appeal, sempre più pilotato e controllato (telecamere, ripetitori wi-fi, conta-utenti, ecc.), anche a causa della pandemia. E contemporaneamente ci, troviamo di fronte ad una sua “ibridazione on-line”, dove la separazione modulata e storica, tra spazio pubblico e spazio privato, come avveniva nelle città porticate di una volta, è ormai ridotta ai minimi termini, o forse già più non esiste.

Bibliografia

Veronica Barassi, I figli dell’algoritmo. Sorvegliati, tracciati, profilati dalla nascita. Luiss Press, 2021

Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, 2020

Giancarlo De Carlo, La città e il territorio. Quattro lezioni, Quodlibet Habitat, 2019

Salvatore Settis, Teatro della democrazia. Cattedra Borromini 2014-2015, Mendrisio Academy Press, 2016

Massimo Cacciari, La Città, Pazzini Editore, 2004

Raymond Ledrut, Sociologia urbana, Il Mulino, 1969

LOC 2026


Un progetto, a Milano, di “trasformazione urbana” di uno svincolo, più che una piazza, da sempre. Una spesa complessiva per i lavori prevista tra i 70 ed 80 milioni di euro, salvo aumenti ulteriori. Aumenti quasi sicuri vista la complessità del sito, e di quello che ci sta sotto (due linee di metropolitana e sottoservizi). Solito “delirio di presunto verde” tanto caro alla Giunta Sala. 300 alberi “bonsai” da piantare, più altri 220 alberi previsti nell’ intorno dal “verzuramento milanese” di Forestami (?). Verde dovunque: sopra, sotto, a lato, nell’intorno, collocato ad arte per nascondere e camuffare il cemento, i metri cubi, il tutto per fare quadrare il costo notevole dell’intervento…….La Milano del duo Pierfrancesco Maran/Beppe Sala, e del PD (e soprattutto dell’invotabile Majorino candidato alla Presidenza della Regione Lombardia): una “squadra” che continua a produrre CEMENTO A GO-GO, per il sollazzo degli immobiliaristi. In via Porpora 10 (ingresso libero, 10/20 da martedì a domenica), uno spazio dedicato, per titillare i cittadini e gli avventori. Qui i due inventori del marketing verde (che verde non è), “spacciano” i nuovi spazi, collocati sopra lo svincolo autostradale ed al nodo delle due metropolitane 1 e 2, di Piazzale Loreto. Ovviamente tutto pronto, inderogabilmente, per le Olimpiadi Invernali 2026.

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LA FINE DI UN’ERA


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E’ PREOCCUPATO – Giuseppe Sala (detto Beppe) potrebbe non esserci futuro, per l’ex galoppatoio a San Siro, e per lo Stadio……e poi, per il “Tiro a Segno”, per l’Ex Piazza d’Armi, per gli scali ferroviari, ecc, ecc…….. Come si farà a Milano senza TUTTO QUEL BEL CEMENTO, che : “Io e Pierfrancesco avevamo organizzato così bene per il 2030” ! – https://bit.ly/2z4xMzc

I primi segnali della Milano che più non sarà come prima del Covid-19, GIÀ CI SONO . E sono inequivocabili. Urge cambiare strategia urbana e di pianificazione a medio e lungo termine. Ci vogliono valori diversi da quelli alla “Bosco verticale”. La natura non potrà mai più essere UNA PELLE sotto cui nascondere il cemento. Sala non è più l”uomo giusto per Milano. Troppo abituato a lavorare avendo a disposizione ingenti capitali e consenso. Nel dopo Covid19, bisognerà avere idee in grado di essere realizzate con pochi denari. Le suggestioni alla Boeri o alla Cucinella, sono GIÀ MORTE, se le sono portate via le bordate pestilenziali – https://www.milanotoday.it/economia/westfield-segrate-sospeso.html

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BOERITUDINE gourmet


TRE B

Può essere Milano una città più serena, che persegue il raggiungimento della sostenibilità di capitali europee, già da decenni in “corsa” per raggiungere lo stesso obbiettivo per il 2025 (https://bit.ly/2C8N7NP  – ben 5 anni prima).

E mentre da noi, a Milano, si discute di qualità dell’architettura (e non di giardinaggio), distratti ad arte da Beppe Sala e Pierfrancesco Maran; il duo cela nel VERDEGGIANTE PGT 2030 di Milano, milioni di metri quadrati di slp. per l’esattezza : 4 milioni e 500 mila; pari ad oltre 15 milioni di metri cubi di cemento (con le premialità inerente la sostenibilità del Regolamento Edilizio); pari ad oltre 100 mila nuovi residenti a Milano da qui al 2030.

Un volume pari a SEI VOLTE il volume della Piramide di Cheope. Eppure nessuno dice niente in merito. Passate le osservazioni, si discute dei milioni di alberi che il Sindaco Sala ha promesso di piantare (per nascondere il cemento).

Milano è ormai da anni in preda alla “Boeritudine”, che ha dimostrato che si può nascondere un grattacielo a torre (massiccio e pesante, di una mediocre qualità architettonica) sotto alcune migliaia di piante, ed i turisti, i cittadini e gli architetti, giù a sperticarsi in complimenti senza fine.

L’architettura ormai è solo “nascondimento” nella città più INQUINATA (https://bit.ly/2q4FLYQ) ed europea d’Italia; ma è anche propaganda, effetto, stranezza, e il futuro non può essere un bosco verticale replicato all’ennesima potenza, come si legge nei documenti del PGT 2030 e nel testo del Regolamento Edilizio, che il duo Sala/Maran si accinge a modificare.

Ci vogliono PARCHI, pause nel tessuto urbano, per OSSIGENARE i cittadini che muoiono letteralmente asfissiati.

Mentre nel PGT 2030, la giunta “spaccia” il nascondimento VERDEGGIANTE di un’edificazione “prona” alle esigenze degli immobiliaristi (Coima, Hines, ecc.), letteralmente “FUMANDOSI” anche l’occasione generazionale di 1 milione e 200 mila metri quadrati degli ex Scali Ferroviari da trasformare PER MOTIVI SANITARI URGENTI, esclusivamente in aree verdi, in parchi (come il Parco Nord); mentre invece solo il 50/60% di queste enormi aree sarà trasformato in verde pubblico (ovviamente a gestione privata).

E’ la BOERITUDINE GOURMET, la ricetta perversa di mettere verde ovunque, rinunciando a costruire una città per i cittadini, fatta di piazze, parchi, case  popolari, servizi, biblioteche (non di alberi MA DI LIBRI), come si faceva qualche decennio fa con l’Urbanistica.

Oggi con il PGT (Piano di Governo del Territorio) la pubblica amministrazione ha delegato il tutto alle fameliche ricette degli immobiliaristi, mentre la BOERITUDINE convince tutti esattamente come UN SOLE INGANNATORE.

No, così la città, Milano non PUO’ ESSERE SERENA.

BOERITUDINE

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THE GAME


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Immagine tratta da Google Earth

Duemila partecipanti, tre giorni di lavoro ( 15, 16, 17 dicembre 2016 ), storie di contributi: si è chiusa così i tre giorni di workshop (“Dagli scali, la nuova città”) sul futuro degli scali ferroviari voluta da Sistemi Urbani, Società delle Ferrovie dello stato, e dal Comune di Milano. Officina molto CRITICA perchè svolto velocemente, sotto Natale, senza che i più, i meno dell’architettura milanese, possono dire la loro. “Una operazione poco democratica e falsamente condivisa e partecipata, anche nel metodo adottato, teso ad un accurato” pilotaggio “.

Il compito di disegnare gli scenari dei singoli scali e della Milano del futuro è poi spettato ai cinque architetti incaricati – Stefano Boeri, Francine Houben, Benedetta Tagliabue, Ma Yansong, Cino Zucchi – che hanno avuto tre mesi di tempo per proporre le loro idee per la città.

http://www.ioarch.it/milano_i_risultati_del_workshop_sugli_ex_scali-1750-0.html

Molto critico il mondo professionale milanese, che lamenta poca chiarezza “strategica per il futuro” in merito, da parte del Comune di Milano, e la totale sudditanza agli operatori privati

http://www.arcipelagomilano.org/archives/47303

Cino Zucchi (CZA) ha pensato alla proposta “verdeggiante” sottostante per lo scalo Farini (407.000 mq), presentata ad aprile 2017 , in occasione del Salone del Mobile.

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Di seguito trovi il link con tutti i progetti dei cinque “scenari” per la dismissione degli scali ferroviari milanesi, oltre 1 milione e 200 mila metri quadrati – http://www.abitare.it/it/habitat/urban-design/2017 / 05/21 / Milano-scali-ferroviari-architetti /

22 giugno 2017 , si ha l’approvazione dell’Accordo di Programma tra Comune di Milano e Ferrovie dello Stato sulla riqualificazione degli scali ferroviari.

https://www.ilsole24ore.com/art/casa/2018-07-24/coima-acquista-l-area-valtellina-dell-ex-scalo-farini-milano-131207.shtml?uuid=AEDdCZRF

Gennaio 2018, molti dei cittadini che risiedono nelle aree limitrofe agli scali ferroviari in oggetto, ricorrono al TAR per avere una riapertura delle osservazioni all’Accordo di Programma (AdP).

http://www.arcipelagomilano.org/archives/49069

A luglio 2018 Coima Sgr ha provato dal Fondo Olimpia Investimenti, gestito da Savills Im Sgr, l’area Farini Scalo / Valtellina, porzione strategica dello Scalo Farini adiacente a Porta Nuova, che rientra nel programma di riqualificazione urbana dei sette scali ferroviari promosso dal Comune di Milano e dalle Ferrovie dello Stato Italiane. L’area è stata acquisita attraverso il nuovo Fondo dedicato Coima Mistral. Sviluppato con progetti di coliving e housing student.

Coeguito la collaborazione con il Comune di Milano e le Ferrovie dello Stato Italiane si è trattato di un piano internazionale per selezionare lo studio di architettura che si occupa del piano di sviluppo delle linee guida dello Scalo Farini (407.000 mq) ».

Nell’operazione, Coima Sgr (Manfredi Catella) è stata assistita dagli studi per gli aspetti legali, per gli aspetti fiscali e giuridici.

https://www.ilsole24ore.com/art/casa/2018-07-24/coima-acquista-l-area-valtellina-dell-ex-scalo-farini-milano-131207.shtml?uuid=AEDdCZRF

Il 22 ottobre 2018 , FS Sistemi Urbani (Gruppo FS Italiane) e COIMA sgr (società leader in Italia nell’investimento, sviluppo e gestione di patrimoni immobiliari per conto di investitori istituzionali e domestici) hanno bandito il “Concorso Farini”, il concorso internazionale avente ad oggetto la redazione del Masterplan di rigenerazione degli scali ferroviari dismessi di Farini e San Cristoforo.

La prima fase, in forma palese, ha il fine di selezionare tra i candidati un numero di Gruppi di progettazione fino a cinque. Nomino in grado di “ricadere” nelle rigide griglie di selezione (economica, curriculare, ecc.) Già si sussurrano. Tutti gli altri professionisti STARANNO per l’ennesima volta A GUARDARE. A vedere mutare la loro città senza poter dire o proporre le loro idee.

La seconda fase, in forma anonima, ha il fine di selezionare, tra i Masterplan dei Gruppi di Progettazione partecipanti a questa fase, il progetto vincitore. Ai partecipanti selezionati che consegneranno il Masterplan sarà rilasciato un rimborso spese di 25.000 euro comprensivo di oneri e tasse.

Al vincitore verrà riconosciuto un importo pari a 50.000 euro, comprensivo di oneri e tasse , che includerà l’adeguamento / modifica del Masterplan presentato anche alla luce degli esiti del dibattito pubblico. Il “dibattito pubblico”, è ormai una strategia di falsa inclusione partecipativa dei cittadini, oltremodo soffocato dall’Amministrazione di Giuseppe Sala (vedasi operazione Navigli). MOLTO SERRATA (pubblicato da Bando pubblicato il 22 ottobre 2018, presentazione MOLTO SERRATA, Bando pubblicato il 22 ottobre 2018 delle candidature è il 23 novembre 2018. Non si dice nulla sulla seconda fase e la sua tempistica. 

http://www.arcipelagomilano.org/archives/51062

http://www.scalimilano.vision/concorso-scalo-farini/

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Immagine tratta da Google Earth

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

La necrosi dell’architettura


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Anche noi di “Costruttoridifuturo” avevamo partecipato al gioioso assalto dei cittadini, avvenuto il “torrido giorno” 27 luglio 2013, per visionare (gratuitamente) il MUSE, che si inaugurava a Trento. Arrivando da sud, a piedi, nell’area pedonalizzata dell’evento, abbiamo attraversato l’elegante e “vuoto” quartiere delle “Albere”, progettato insieme allo stesso MUSE, dall’architetto genovese Renzo Piano. Poi, soprattutto per pudore, riguardo a quello che avevamo visto, non avevamo fatto seguito con un articolo mirato alla nostra visita estiva.

Parecchi mesi prima, durante un sopralluogo del cantiere, nell’ex area Michelin, avevamo però già espresso, proprio in questo blog, le nostre perplessità in merito al progetto dell’archistar. Oggi ad alcuni mesi da queste nostre “visite”, a biglie ferme, ci sembra opportuno trarre alcune considerazioni.

Innanzitutto, ancora oggi il quartiere, a parte alcuni negozi al piano terreno, risulta per la maggior parte quasi completamente vuoto. Insomma sembra essere un elegante, costoso ed ecosostenibile FLOP.

Il quartiere, nonostante il bel successo del MUSE, appare “morto”, esente da quella “vita urbana” che nelle intenzioni del progettista, degli imprenditori e dei politici locali, doveva essere complementare ed alternativa a quella del Centro Storico di Trento. Una vita “ideale”, proiettata nel futuro, che però non sembra alla portata della società italiana e trentina contemporanea. Tanto che già oggi si sprecano i tentativi “politici” di rianimare ciò che già a luglio 2013, risultava essere in completa necrosi, spostando lì funzioni di pregio.

Le “Albere” a Trento, cosi come il quartiere della Bicocca a Milano, o Milanofiori Nord ad Assago, scontano della megalomania di politici ed imprenditori locali, che completamente avulsi da una progettualità immobiliare in grado di generare i luoghi della vita sociale futura, riversano sul mercato, quantitativi impressionanti di volume e di cemento, usando quali “cavalli di Troia” le archistar più o meno nostrane. Archistar che si prestano a questo gioco teso a conseguire la “necrosi completa dell’architettura”, per alimentare i loro “faraonici” studi professionali mondiali, dove non tramonta mai il sole.

Dal flop trentino, il senatore-archistar, Renzo Piano, proprio in questi giorni è in tour nei dintorni di Sesto San Giovanni (l’ex Stalingrado d’Italia), dove altri politici ed imprenditori privi di progettualità e di contestuale “visione di futuro”, si lanciano, in operazioni immobiliari ed architettoniche “faraoniche” (P.I.I. ex Aree Falck) destinate inevitabilmente a creare nuovi flop e disastri, facilmente prevedibili. Scatolini vuoti, realizzati all’abbisogna, con architetture monocordi, tristi e fallimentari già sulla carta, al di là dell’eleganza formale o della sbandierata sostenibilità ambientale. Sembra che la crisi, ancora imperante soprattutto nell’edilizia, non abbia insegnato nulla. Si riprende “sicuri e testardi” nella stessa direzione che ha portato al disastro economico di questi tristi anni, si riprende incapaci di elaborare nuove strategie e nuove progettualità.

http://www.ilghirlandaio.com/top-news/92888/renzo-piano-racconta-con-passione-milanosesto-la-sua-ultima-creatura/

http://video.gelocal.it/altoadige/cronaca/l-utopia-di-renzo-piano-dalla-fabbrica-della-modernita-all-ospedale-modello/21580/21601

Anzichè rimuovere ciò che è “marcio ed ammalato”, lo si alimenta, lo si incentiva, in maniera senziente anche a Sesto San Giovanni. Si va avanti favorendo la diffusione della malattia, anzichè arginarla e contenerla. E’ la completa necrosi sistematica dell’architettura!

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Cirillo e la Democrazia


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SCENA INIZIALE

“Si può essere felici senza avere 1000 amici su Facebook! La solitudine è anche una fonte di felicità.”

“Penso che un viaggio offra l’occasione ideale per incontrarsi e riflettere su se stessi.”

“Io sono stato in politica, e se ho capito bene, con il rischio che si prende personalmente a fare tale attività a perderci è sempre la Democrazia.”

Sono alcune celebri frasi di Cyril Aouizerate (http://www.cyrilaouizerate.com/), francese, filosofo barbuto ed urbanista occhialuto, spesso dotato di  bombetta e maglietta. Un uomo che non passa certamente inosservato, sembra un rabbino contemporaneo. E’ invece un astuto investitore, un abile operatore nel campo della ristorazione e degli alberghi (M.O.B., Mama Shelter, ecc.). Dal 2012 è direttore della Città della Moda e Design di Parigi (http://www.citemodedesign.fr/), fondata quattro anni fa sulle rive della Senna al Ponte di  Austerlitz e rimasta per parecchio tempo uno spazio vuoto in cui nessuno ci voleva andare. Con lui è “rifiorita” fino a diventare (in piena crisi economica europea) uno dei nuovi “epicentri” parigini.

CAMBIO DI SCENA

Dipartimento dell’Hérault nella regione della Linguadoca-Rossiglione – Agosto 2013 –  La spiaggia di Sète, si trova, vicinissima all’omonima cittadina francese, su una fascia sabbiosa larga da 500 metri a 1 km e mezzo, che separa il Mare Mediterraneo dal bacino di Thau. Una spiaggia di sabbia di conchiglie che qui si disgregano da milioni di anni. Il mare è sempre limpido e cristallino. La spiaggia è molto lunga, le persone sono rade, anche ad agosto. Alcune donne prendono il sole a seno nudo, altre preferiscono il nudo integrale. Poco più in là, sopraggiunge una famiglia di cinque persone, tre uomini e due donne, tutte di nero vestite. Assemblano una tenda, le donne vi entrano, e successivamente vi fuoriescono con una specie di tuta integrale, rigorosamente nera, che copre anche i capelli. Poco dopo a veloci falcate percorrono la bollente sabbia di conchiglie e raggiungono il mare. Nuoteranno vestite (anche con occhiali da sole) per circa un’ora, raggiunte anche dagli uomini con normali short da bagno. Il tutto avviene nell’indifferenza e nel rispetto reciproco.

RITORNO ALLA SCENA INIZIALE

Aouizerate, si ostina a sostenere, che la società contemporanea, le stesse città, e quindi anche le strutture alberghiere, la ristorazione, ecc.. devono essere progettate per essere, come dei “Kibbutz contemporanei”, dove persone di diversa etnia, religione, cultura, possono incontrarsi, cibarsi, rigenerarsi, fare affari, ecc.., in ambienti che siano in grado di generare quell’accoglienza e quel rispetto per ognuno, che è alla base della democrazia. Un bell’esempio in tal senso è l’Hotel “Mama Shelter” di Marsiglia (http://www.mamashelter.com/marseille/), “business” progettato dallo stesso Cyril Aouizerate, da Phlippe Starck e dalla famiglia Trigano, che così si ripartiscono le quote di azionariato di questa catena francese di alberghi :

Mama Shelter – assetto societario

Famiglia Trigano 54% (gestione hotel)

Michel Reybier 27% (investitore)

Cyril Aouizerate 11% (filosofo ed urbanista)

Philippe Starck 8% (architetto e designer)

Localizzazione della struttura, rigorosamente in un quartiere degradato in un’area semi-centrale, prezzi modici, grande qualità degli spazi comuni, cibi sani e di ottima qualità, wi-fi gratuito, camere semplici spartane con parecchio cemento armato a vista, personale giovane e molto affabile, ecc.. Il tutto confezionato con leggerezza, dai “deliri” e dalle genialate, ben conosciute, di Starck (http://www.starck.com/).

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Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Tra le nuvole


Mentre il mercato immobiliare milanese langue, ed è a “crescita zero”, tanto che molti appartamenti ed uffici non riescono ad essere piazzati sul mercato, l’unico mercato che rimane pimpante è quello delle residenze esclusive, di lusso estremo. Ma fino a quando?

A due passi da Corso Como, all’angolo della Via del Nord, con Melchiorre Gioia, sta sorgendo il grattacielo Solaria (http://www.residenzeportanuova.com/it/residenze-solaria/), progetto dello studio Arquitectonica (http://arquitectonica.com/), epicentro dell’intervento di Porta Nuova, che con i suoi 34 piani (ed oltre 143 metri di altezza) sarà l’abitazione residenziale  più alta d’Italia.  Un edificio, la torre Solaria,  dalle finiture di prestigio, ad alta sostenibilità, certificata dal sistema Leed . La proprietà Hines Italia (una società nata nel 1999 dal gruppo texano Hines) non si sbilancia, ma pare siano già stati venduti quasi il 50% degli alloggi dei piani bassi, quelli più “economici”. Si va dai 7.000 ai 9.000 euro per metro quadrato. Il lotto degli attici, appartamenti esclusivi  “al top” (triplex e penthouse) dalle pezzature quasi da villa (da 250 mq. Fino a più di 650 mq.), con piscina ed ascensore privato, verranno messi  in asta, con quotazioni che presumibilmente potranno raggiungere  tra i 16.000 ed i 20.000 euro per metro quadrato. Per gli interessati  l’iter è un po’ elitario: si accede alla lista offerte e si prenotano lotti solo previa cauzione di cinquemila euro. Chi si prenota però può giovarsi di rendering virtuale che di ogni casa, simula in maniera realistica la vista dall’interno e altre cosucce di sicura esclusività. La riffa, con questi “folli numeri” tra i megaricchi, lassù in alto,  non ha nessun ritegno, tanto che di quello che succede molti piani più sotto, e cioè la crisi mondiale ed europea, credo non freghi minimamente a nessuno.

Viene ovvio chiedersi se in periodi come questo esista un’etica dell’investitore immobiliare, ma visto il “fremito delirante” che pervade gli occhi degli assolutamente insospettabili partecipanti alla “riffa”, soprattutto italiani,  disposti a spendere qualunque cifra per assicurarsi una “postazione esclusiva tra le nuvole”, mi sa che la risposta viene ovvia. E’ anche logico chiedersi se un acquirente di un attico alla Torre Solaria, dopo aver speso per un triplex oltre 10 milioni di euro, si renda conto che siamo creature mortali.

Ed intanto il mercato immobiliare milanese langue, langue sempre di più, nonostante sia trascorso un anno, il 2011, all’insegna di una fragile stabilità . Se i prezzi tengono a Milano, non si può immaginare ancora per quanto, vi è una forte tendenza al ribasso nell’hinterland ed in tutta Italia. Diverso è il caso degli immobili terziari (uffici), dove il mercato è in “crollo verticale” verso il basso, e tantissimi sono gli immobili in affitto nuovi, ormai da anni non collocati.

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