“Nel fracasso di un cantiere edile il tronco spala, impasta materia opaca, bianco di calce, grigio di cemento, rimesta a secco, aggiunge acqua, la pala va a spinta di schiena e di braccia, il polso la guida a rigirare e non si ferma, va così per le sue ore prigioniere e sembra così saggio, il corpo,che maipotrò abituarmi ad abitare dentro uno scheletro così sapiente di fatica.”
Erri De Luca, Sulla traccia di Nives, 2005
Il Direttore dei lavori, in un cantiere edile, ma probabilmente in ogni cantiere, è come un capitano, che in viaggio a rotta predeterminata, da un porto all’altro, deve condurre la propria imbarcazione, con abilità e sapienza.
Lo deve fare nei tempi prestabiliti e con i mezzi e le persone che gli sono state destinate.
Nel caso dell’edilizia odierna, il Direttore dei lavori, deve saper conseguire anche una qualità complessiva dei lavori, che non sempre corrisponde all’entità economica messa a disposizione.
Come dichiarava John Ruskin: “La qualità non è mai casuale; è sempre il risultato di uno sforzo collettivo sapiente.”
Saper instillare, nelle persone con cui si collabora, l’orgoglio di conseguire la migliore qualità possibile, per il lavoro che si fa, è un fatto molto importante, che riguarda chi dirige, ma anche l’ultimo aiuto manovale del cantiere.
L’errore più grave, che spesso si fa in un cantiere, è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che sicuramente ognuno ha.
“La costruzione è l’arte di fare un insieme significativo di molte parti. Gli edifici sono testimoni della capacità umana di costruire cose concrete. Credo che il vero nucleo di tutti i lavori di architettura risieda nell’atto di costruire.”
Peter Zumthor, Pensare architettura, 1998
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SOPRA – Edificio Sarca OPEN 336, Park Associati 2023
Una presenza fortemente rappresentativa della “verzura” è ormai un fatto consolidato nell’edificato terziario che si realizza a Milano, e ciò al di là della sostenibilità espressa per regolamenti vigenti e/o certificazioni (Leed, Breeam, Well, ecc.).
Rendere sempre più “appetibili”, dal punto di vista della percezione ambientale, i nuovi interventi è ormai un “must” irrinunciabile, all’epoca del “Disastro Climatico Planetario”.
Rendere percepibile uno sforzo (anche economico) per contrastare il “Climate Change” è un atto dovuto che deve essere trasmesso anche visivamente ai committenti, agli utenti, ma soprattutto alla Pubblica Amministrazione.
Due recenti interventi di terziario all’Ex Area Breda di Viale Sarca a Milano, bene testimoniano di questa tendenza. In ambedue i casi si sono dedicate attenzioni alla localizzazione di aree verdi : sulle facciate, sul tetto, entro gli uffici, ecc.
Completamente diverso l’approccio dell’antistante edificio denominato SUPERLAB, progettato dai piemontesi Balance Architettura (http://www.blaarchitettura.it/).
Infatti, quì trattasi, di un risanamento di un edificio già esistente, sede degli uffici tecnici Breda (http://www.blaarchitettura.it/projects/2019_BLA_BREDA336/index_ita.html). La struttura è stata “scaricata” dalle facciate e dagli impianti, disvelando una struttura in cemento armato ed in ferro (reticolare), che è stata ripristinata, lasciandola a vista, ed adeguandola alle normative odierne (https://archello.com/project/superlab).
Anche quì, la natura entra dentro all’edificio, sarà posizionata nei prossimi mesi sulla copertura, ed è parte integrante della “sostenibilità” di tutto il complesso.
SOTTO – Edficio Superlab di viale Sarca 336, Balance Architettura, 2023
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Villa Reale, in via Palestro a Milano, sede della Galleria di Arte Moderna(immagine tratta da Google Earth)
La Villa Reale di Milano, già Villa Belgioioso o Villa Belgiojoso Bonaparte, è una villa costruita tra il 1790 e il 1796 a Milano dall’architetto Leopoldo Pollack, su commissione del conte Ludovico Barbariano di Belgiojoso.
L’ultimo complesso residenziale di CZA (Cino Zucchi Associati – https://www.zucchiarchitetti.com/) realizzato, tra i tanti, si trova a Turro, nella periferia Nord di Milano, in via Valtorta 32.
Si tratta di un intervento che ricalca la poetica dell’ormai notissimo architetto milanese, già codificato nell’intervento dell’area Junghans all’isola della Giudecca a Venezia (https://bit.ly/3AU8Mro), e nelle abitazioni al Portello di Milano (https://bit.ly/3LTDWFB).
Quì a Turro risulta particolarmente interessante l’edificio a torre, che nello smusso, strutturalmente ardito, denuncia l’aspetto sensuale della architettura sapiente e di scuola tipicamente milanese.
L’abbazia di Mirasole, sita nel Comune di Opera, fu fondata all’inizio del Duecento dall’ordine degli Umiliati fuori Porta Vigentina. Gli Umiliati furono uno dei molti movimenti spirituali sorti nel Medioevo in contrasto ai costumi rilassati e alla ricchezza diffusa spesso ostentata dal clero, propugnando un ritorno verso una vita più austera, frugale. L’abbazia è uno dei rari casi in Lombardia, di edificio religioso parzialmente fortificato ( https://bit.ly/3L22yf4 ).
Il complesso dell’antica grangia (Comunità agraria fondata su un’organizzazione economica ed amministrativa propria) costituisce uno degli esempi meglio conservati di corte colonica medievale; gli edifici, disposti a quadrilatero difensivo simile ad una cinta murata, erano circondati da un fossato e difesi da una torre munita di ponte levatoio. Due gli ingressi, uno dalla città, l’altro dai campi, immettevano nella corte circondata da abitazioni e laboratori per la lavorazione della lana. Accanto alla corte si trova il chiostro, strutturato su due piani, sul quale si affacciavano altri ambienti di servizio.
Mirasole era anche un luogo di ristoro e meditazione per i pellegrini, provenienti anche da tutta Europa, collocato come era sui percorsi di devozione afferenti a Roma ed alle aree sacre del sud Italia.
I pellegrini, accolti nella struttura abbaziale, incidevano, nel corso del tempo, le copertine in cotto del chiostro al piano primo, per lasciare tracce del loro passaggio attraverso il Cammino dei Monaci ( https://bit.ly/3JjGjQv ), che è un cammino a tappe di 67 km che va da Milano alla via Francigena passando per il Po.
L’ultimo edificio, ad uffici, che si sta completando nell’Area metropolitana Milanese, il VI Palazzo uffici ENI a San Donato Milanese, è forse l’ultimo pensato con un concetto di “sostenibilità ed efficienza energetica”, ormai desueto, pre Climate Change (https://www.morphosis.com/architecture/220/).
Oggi probabilmente, un edificio così non sarebbe più concepibile, nè accettato dall’opinione pubblica, per altro già molto critica con il progetto di ENI (https://bit.ly/3YpKQW1).
Il concorso internazionale, che ha proclamato la cordata Morphosis/Nemesi, quale vincitore, si è concluso a fine 2011, ed è stato concepito agli inizi degli anni Duemila (https://bit.ly/3SPwYmG).
La ricerca di forme inusitate, sia in pianta che nei prospetti, finalizzata, secondo il progettista Thom Mayne (fondatore dello studio di Culver City e Pritzker 2005 – https://www.morphosis.com/about/153/?m=person) ad ottenere la massima flessibilità interna, ed a integrare gli impianti fotovoltaici (https://bit.ly/3ZorWjt); l’utilizzo di materiali, quali il calcestruzzo e l’acciaio, ne fanno un oggetto quasi “preistorico”.
Nelle foto (SOPRA E SOTTO) si evidenziano molto bene i rivestimenti “rossicci”, i cosiddetti “a screen microforati” in acciaio inox elettro-colorato.Quasi un lavoro “sartoriale”.
Garantire le massime prestazioni in termini di rendimento energetico e di illuminazione naturale degli ambienti, realizzare costosissimi giardini pensili (Skygarden), ormai non basta più.
Certamente tale edificio non corrisponde già più, nonostante non sia ancora stato inaugurato, agli standard 2030/2035 fissati per gli edifici dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC).
“L’evidenza scientifica è inequivocabile: i cambiamenti climatici sono una minaccia al benessere delle persone e alla salute del pianeta. Ogni ulteriore ritardo nell’azione concertata a livello globale farà perdere quella breve finestra temporale – che si sta rapidamente chiudendo – per garantire un futuro vivibile”, ha detto Hans-Otto Pörtner (Ricercatore IPCC).
Ed ancora Paolo Bertoldi, IPCC e senior expert per la Commissione Europea: “Sulle città, e in particolare sugli edifici, si gioca un’importante partita. Si parla di ridisegnare la mobilità urbana, ridurre in generale i consumi di risorse degli ecosistemi cittadini e implementare soluzioni nature based per stoccare carbonio (ad esempio verde urbano). Soprattutto gli edifici di nuova costruzione dovranno tutti essere a zero emissioni, in grado di stoccare CO2, nelle strutture realizzate in legno, adottare concetti progettuali ed impianti a biofilia per il trattamento dell’aria interna agli edifici (come il caso del costruendo progetto “Welcome” di Kengo Kuma e Stefano Mancuso, sempre a Milano – https://bit.ly/3KXYbSv). Ma soprattutto bisognerà anche trovare il modo di ridurre e ottimizzare gli spazi per limitare il consumo di suoloin un pianeta sempre più popolato.
L’efficienza non basta più – puntualizza Paolo Bertoldi – s’introduce ora il concetto di Sufficienza energetica, che significa limitare la domanda (di spazi, di risorse, di energia) a ciò che può consentire il vero benessere di tutti.
La stessa forma architettonica (Fluida, decostruita, tecnologica) e le scelte materiche (acciaio microforato, ecc.) esprimono un linguaggio ormai desueto, le ARCHISCULTURE, più consono al secondo Millennio, che al terzo. Vengono in mente Zaha Hadid, Jean Nouvel, o meglio Frank O. Gehry a Bilbao (https://bit.ly/3YrrOOW).
Proprio lì di fronte, il V Palazzo ad uffici dell’Eni, progettato da Gabetti ed Isola parecchi anni fa, inaugurato nel 1991, incarna ancora oggi, nelle proprie forme e caratteristiche, un linguaggio ben più anticipatore ed innovativo, in grado di resistere al tempo, e di recepire nelle forme architettoniche le opzioni dettate dal “Climate Change”.
SOPRA –Quinto (V) Palazzo ad uffici, progetto di Gabetti ed Isola (1991)
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Un progetto, a Milano, di “trasformazione urbana” di uno svincolo, più che una piazza, da sempre. Una spesa complessiva per i lavori prevista tra i 70 ed 80 milioni di euro, salvo aumenti ulteriori. Aumenti quasi sicuri vista la complessità del sito, e di quello che ci sta sotto (due linee di metropolitana e sottoservizi). Solito “delirio di presunto verde” tanto caro alla Giunta Sala. 300 alberi “bonsai” da piantare, più altri 220 alberi previsti nell’ intorno dal “verzuramento milanese” di Forestami (?). Verde dovunque: sopra, sotto, a lato, nell’intorno, collocato ad arte per nascondere e camuffare il cemento, i metri cubi, il tutto per fare quadrare il costo notevole dell’intervento…….La Milano del duo Pierfrancesco Maran/Beppe Sala, e del PD (e soprattutto dell’invotabile Majorino candidato alla Presidenza della Regione Lombardia): una “squadra” che continua a produrre CEMENTO A GO-GO, per il sollazzo degli immobiliaristi. In via Porpora 10 (ingresso libero, 10/20 da martedì a domenica), uno spazio dedicato, per titillare i cittadini e gli avventori. Qui i due inventori del marketing verde (che verde non è), “spacciano” i nuovi spazi, collocati sopra lo svincolo autostradale ed al nodo delle due metropolitane 1 e 2, di Piazzale Loreto. Ovviamente tutto pronto, inderogabilmente, per le Olimpiadi Invernali 2026.
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“E che cos’è in fin dei conti la bellezza? Certamente nulla che possa
essere calcolato o misurato. E’ invece sempre qualcosa di impoderabile,
qualcosa che si trova fra le cose”.
(Mies van der Rohe)
Il problema “classico” dell’angolo, nella costruzione dei “contenitori per esseri umani”, più volte ricorrente nella Storia dell’Architettura, viene risolto nell’edificio di via Dogana 3 a Milano, attraverso la smaterializzazione del punto d’incontro tra le due superfici delle facciate.
I prospetti, nella curvatura del paramento in laterizio, proprio sull’angolo, si fondono, confermando la continuità dei volumi, ma allo stesso tempo, attraverso la rinuncia allo scontro delle pareti, lasciano intatta l’energia prodotta dalle fughe prospettiche.
Fughe accentuate dal “design” dello stesso paramento di laterizio, che vuole come duplicare ed accentuare le connessure di montaggio tra gli elementi di rivestimento, divenendo un vero e proprio motivo decorativo.
Così la negazione dell’angolo può quindi essere letta, all’opposto, come un’esaltazione dell’angolo stesso, la cui tensione, non risolta dal girare della facciata, rimane sospesa, enfatizzandolo. L’effetto morbido e organico che consegue alla negazione della luce, quale elemento separatore tra le zone chiare da quella oscure, delinea la disposizione di un provvedimento per “governare la luce”, che oltre alla scala volumetrica dell’edificio, opera anche a livello della textura delle facciate.
Si tratta quindi di un’operazione, intelligente e colta, sofisticata e molto complessa, in cui si arrovelleranno sia Libera, che Mies, ed addirittura lo stesso Scarpa.
E’ un “qualcosa d’imponderabile” che rende l’edificio di un bellezza discreta, e non comune, che titilla l’occhio esperto.
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In questi giorni, mi capita spesso di passare in prossimità della Torre UNIPOL, il nuovo Headquarters del Gruppo Unipol/Sai, in costruzione in zona Garibaldi/Repubblica (https://bit.ly/2KFiruO).
Un gruppo Unipol/Sai, che è storicamente “pilotato” dalle cooperative emiliane (https://bit.ly/33lNK4z). Un gruppo assicurativo, presente anche nel settore finanziario ed immobiliare, ed anche con molte finalità sociali e culturali, essendo da sempre legato al milieu valoriale della “sinistra” italiana.
La Torre che si sta realizzando a Milano, è un edificio imponente ed innovativo, ad alta efficienza, firmato dall’archistar bolognese Mario Cucinella (Mca & Partners). Un edificio con finiture eleganti e strutture particolari, molto costoso: si parla di una cifra finale di pura costruzione, di circa 105 milioni di euro, destinati a lievitare con il “fit out” finale (finiture interne ed arredi) a circa 130 milioni di euro. Il tutto per 22 piani e 100 metri di altezza, tre piani interrati, un auditorium per 270 posti, una grande serra per eventi. Il tutto per una superficie totale di circa 35 mila metri quadrati, di cui solo circa 15 mila ad uffici e spazi di accoglienza (https://bit.ly/3o24sxx).
Il tutto per una cifra per metro quadrato, particolarmente “squilibrata”, anche nel faraonico panorama milanese : circa 8.500 euro/metro quadrato a conclusione del “fit out”, se si calcolano i soli spazi utili (15.000 mq.); circa 3.700 euro/metro quadrato se si calcola la superficie totale (35.000 mq.).
Quando a Milano, costruire degli edifici di terziario, ben rifiniti, costa mediamente attorno ai 2000/2500 euro per metro quadrato.
E proprio l’area su cui insiste la Torre Unipol/Sai, palesa un’altra incongruenza della metropoli meneghina. Infatti Piazza Gae Aulenti, è un moderno luogo di ritrovo cittadino “apparentemente pubblico”, dominato dai lussuosi grattacieli privati affittati alle banche ed alle principali società nazionali ed internazionali. Ma in realtà questo “luogo” è uno spazio privato solamente in uso pubblico (convenzionato).
Molti “luoghi apparentemente pubblici” a Milano, e soprattutto molti giardini e piazze, appartenenti a questa categoria sono il prodotto del ricorso sempre più diffuso alla compensazione degli “oneri di urbanizzazione” (le tasse che il costruttore edile deve per legge al patrimonio collettivo) attraverso la costruzione di “opere di urbanizzazione”, cioè opere di utilità pubblica come: piazze, giardini, musei, scuole, parcheggi, ecc..
Il circolo “perverso” è dunque il seguente: un terreno adiacente ad un complesso edilizio privato diviene giardino mediante l’uso virtuale di denaro pubblico ma, attraverso la formula della concessione (come ad esempio la manutenzione nel caso della Biblioteca degli Alberi Milano – BAM), ritorna nelle mani del privato che ha interessi immediatamente contigui (uffici, case, negozi, ecc.) e lo trasforma in un’appendice tesa a valorizzare ulteriormente il bene di consumo che ha costruito.
La repressione delle libertà individuali e collettive, attuate dal gestore privato, in questi “luoghi in uso pubblico” (contegno, orari, sicurezza, eventi, ecc.) ha uno scopo puramente funzionale a conservare al meglio i vantaggi di chi ha costruito, e non risponde, se non minimamente, ad una effettiva e piena valorizzazione sociale di quei luoghi.
Tanto che di clochard, o mendicanti, nel complesso Garibaldi/Repubblica/Porta Nuova, non c’è traccia, sono stati tutti relegati, a suon di ammonizioni, nelle vie adiacenti, che ancora sono luoghi pubblici, non ancora nelle mani dei privati.
Semplicemente, a Milano, il bene pubblico quasi più non esiste……..esistono solo le scenografie all’americana dei grattacieli, per i quali, ci “siamo venduti la civitas” (https://bit.ly/37mxX6O), e soprattutto continuiamo a costruire le nuove “Torri di Babele” (https://bit.ly/2JgcPHb).
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