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Tokyo Imagine


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Tokyo Imagine è per costruttoridifuturo.com, sicuramente il padiglione/evento, più riuscito di questa Milan Design Week 2014. Mentre l’anno scorso il Padiglione Visconti (via Tortona 58)  all’ex Ansaldo era occupato “malamente”, quest’anno invece è li che si è insediata la grande performace dei designer nipponici. Sotto la guida attenta di Kenji Kawasaki, con l’apporto di Katsumi Asaba, e del comitato esecutivo costituito da Toshiuki Kita e da Shigeru Sato, sono riusciti i giapponesi a fare di questo spazio, qualcosa di particolare in grado di presentare in maniera ottimale lo stato dell’arte del design contemporaneo dell’area metropolitana di Tokyo, tra elaborazione della tradizione ed applicazione di tecnologie innovative ai prodotti.

Qui il PDF che presenta Tokyo Imagine 

Assolutamente pregevole il lavoro dello show designer Kimi Hasegawa (Velveta Design) e della Visual Art Director Asami Kiiyokawa. Un lavoro di squadra che palesa immediatamente qualità ed estrema concretezza. Tokyo Imagine presenta la creatività e la sofisticata tecnologia della città di Tokyo applicate al design, all’arte, al fashion d’avanguardia, alla musica, alle arti mediali e al cibo.

Questa stessa mostra/evento sarà poi presentata anche in settembre al Tent London – http://www.tentlondon.co.uk/ (Regno Unito) ed al prestigioso Design Miami – http://www.designmiami.com/ (U.S.A.) a Dicembre 2014. Insomma un padiglione pregevole e da non perdere, soprattutto nella parte giochi/multimedia, assolutamente strepitosa.

http://youtu.be/Hvq2JGrtKBk

Tra i designer più “prestanti” di Tokyo Imagine, segnaliamo : Tetsu Kataoka, Ryu Kozeki, Jun Fujiki, Hayashi Atsuhiro, Eiko Kasahara, Hikaru Yamaguchi.

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Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

 

Bici e dintorni


Mentre alcuni sostengono  un ciclismo veicolare in cui la bicicletta è inserita nel sistema del traffico al pari di auto e moto e quindi la pista ciclabile è solamente una striscia sulla pavimentazione stradale. Dall’altra abbiamo una “cultura” in costante crescita dell’uso del ciclo, che spinge verso una maggiore ciclabilità (intesa come qualità e sicurezza) per le piste ciclabili. Tale atteggiamento culturale ha portato a realizzare intere reti di corsie separate dalla viabilità ordinaria, con i propri sistemi autonomi di viabilità. Le infrastrutture ed il livello di ciclabilità  giocano un ruolo importante nello sviluppo  dell’utenza della bicicletta . L’utente della bicicletta vuole sentirsi innanzitutto sicuro.

Abbiamo quì sotto selezionato alcuni progetti innovativi, degni di nota, che riguardano il concetto di ciclabilità.

LIGHT LANE – PISTE CICLABILI ISTANTANEE A CORSIA DINAMICA

Light Lane: Dynamic Lane creation

Riconoscendo che le piste ciclabili protette sono un mezzo efficace per migliorare la sicurezza per tutti gli interessati, ed  al contempo riconoscendo che il costo di tali corsie, in media  40/50.000 euro per chilometro, è attualmente impensabile per un loro diffuso impiego,  i progettisti di corsia Luce , Tee Alex e Evan Gant (Altitude) hanno il seguente obiettivo:

“Invece di costringere i ciclisti di adattare il loro comportamento alle infrastrutture esistenti, la pista ciclabile deve adattarsi al ciclista” .

Il LightLane  è un accessorio da montare sulla bicicletta che proietta una ben definita corsia virtuale sulla superficie dell’asfalto. Viene cosi segnalato a tutti gli “attori” del traffico veicolare un territorio protetto, rendendo la bicicletta un mezzo ideale per un pendolarismo a breve e medio raggio.

COPENAGHEN CICLISMO RINGHIERE

Copenaghen Rails Bike – immagine da Zakka / Mikael su Flickr

In una città, Copenhagen, che è la Mecca dei ciclisti, i piccoli dettagli continuano a fare la differenza. Fisicamente questo pezzo di arredo urbano offre poco più di una piccola comodità – che permette ai ciclisti di evitare di smontare dalla bicicletta quando sono  in attesa che il semaforo diventi verde. Al di fuori di questo utilizzo, questa rete di ringhiere parla di una cultura ciclistica “matura” che ha superato la fase di soddisfare i requisiti minimi, e può permettersi  di guardare verso l’innovazione di seconda generazione.

WASHINGTON DC UNION STATION BICICLETTE TRANSIT CENTER

DC Union Station biciclette Transit Center – Design KGP

Come estensione periferica dei trasporti pubblici la Union Station, già funge da hub per i treni, metropolitana e autobus di Washington DC. Il progetto realizzato di Transit Center per biciclette (KGP Design Studio), cerca di collegare la rete ciclabile a questo  terminale multi-modale. Si tratta di fornire un parcheggio “strutturato” per le bici, che possono essere affittate, ma non solo, anche : spogliatoi, armadietti, servizi igienici, ecc..

Liberamente tratto e tradotto da : Infranetblog.org – autore : Maya – apr 13, 2011

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NO LOGO


“L’immagine è tutto: Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni, passati ad inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza: la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza.” Naomi Klein – No Logo – Baldini & Castoldi – 2000

MARCHIO = Segno emblematico o nominativo usato dall’imprenditoria per contraddistinguere i propri prodotti.

Quale è la genesi del marchio, nella società contemporanea? Come scrive Naomi Klein nel suo “geniale” libro dal titolo emblematico di NO LOGO, chi detiene legittimamente la proprietà del marchio, non ha nessun interesse a “dare qualità” al prodotto, ma solo di costruire e rafforzare la propria immagine. Il fine è soprattutto quello di apporre, a merci e prodotti, di qualità e provenienza dubbie, acquistate e prodotte all’abbisogna, in qualunque parte del Mondo, il proprio marchio. Si punta sulla quantità, sui numeri di diffusione del marchio, non sulla qualità. Spesso in maniera subdola e palese, il marchio è simbolo, quasi esclusivamente di valori effimeri e non duraturi. Quello a cui si punta, quando si utilizza il marchio (e non un simbolo, un emblema), sono delle tecniche di “branding” (diffusione del marchio) e “advertising” (pubblicizzare), metodologie spesso confuse tra loro, che hanno come unico fine “aumentare il valore di immagine del marchio”. Perché più aumento il valore del marchio, più sono sicuro di poter “spacciare” grandi quantitativi di prodotti e contenuti, di bassa e media qualità, e quindi poco costosi da acquisire, In questo senso ha assunto una certa rilevanza il così detto “modello asiatico” del Keiretsu (termine giapponese che indica una rete di aziende tra loro correlate). L’idea è di costruire un marchio non attorno, esclusivamente, ai prodotti, ma alla fama, ed a dei valori.  Valori semplici, quasi banali, ampiamente condivisi e condivisibili, senza addentrarsi in quelli più complessi e “difficili” per le masse. Ad esempio, un’azienda in regime Keiretsu, vende libri, un’altra Dvd, l’altra ancora pubblicizza e sostiene valori sociali (ambiente, sviluppo, ecc.) legati proprio al contenuto dei media che vende. A volte questi sistemi Keiretsu raggiungono dei veri e propri paradossi, il caso più emblematico è quello della Marlboro, si vendono sigarette, su cui c’è scritto: nuoce gravemente alla salute, mentre con un’altra azienda si vende abbigliamento, e poi con un’altra ancora (Marlboro Country), si vendono viaggi esclusivi in luoghi meravigliosi ed incontaminati.

Il sogno di ogni pubblicitario o di chi si occupa di comunicazione pubblicitaria è di gestire un’azienda Keiretsu, in cui i prodotti ed il marchio, sono la stessa cosa, in simbiosi tra loro, dove sono gli stessi acquirenti dei prodotti, a pubblicizzare ed espandere il marchio (perché sono direttamente coinvolti) mediante i valori di cui sono psicologicamente “dipendenti”, consentendo una diffusione di ambedue, in maniera quasi automatica e senza costi. Riuscire a confondere prodotti, valori, marchio, in un’unica cosa, vuol dire ottenere grandi ricavi a fronte di investimenti minimi.

In questa logica, chi boicotta il marchio, chi lo critica, chi si schiera verso strategie “No Logo”, tese a fare comprendere che, chi utilizza il marchio, è quasi sempre un’azienda che “inganna” chi acquista, diventa velocemente un pericoloso antagonista, da “eliminare”. Bisogna che le aziende che gestiscono i marchi, incomincino a pensare all’etica, più che all’estetica pubblicitaria, alla qualità ed all’organizzazione di quello che fanno e producono.

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