“L’immagine è tutto: Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni, passati ad inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza: la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza.” Naomi Klein – No Logo – Baldini & Castoldi – 2000

MARCHIO = Segno emblematico o nominativo usato dall’imprenditoria per contraddistinguere i propri prodotti.

Quale è la genesi del marchio, nella società contemporanea? Come scrive Naomi Klein nel suo “geniale” libro dal titolo emblematico di NO LOGO, chi detiene legittimamente la proprietà del marchio, non ha nessun interesse a “dare qualità” al prodotto, ma solo di costruire e rafforzare la propria immagine. Il fine è soprattutto quello di apporre, a merci e prodotti, di qualità e provenienza dubbie, acquistate e prodotte all’abbisogna, in qualunque parte del Mondo, il proprio marchio. Si punta sulla quantità, sui numeri di diffusione del marchio, non sulla qualità. Spesso in maniera subdola e palese, il marchio è simbolo, quasi esclusivamente di valori effimeri e non duraturi. Quello a cui si punta, quando si utilizza il marchio (e non un simbolo, un emblema), sono delle tecniche di “branding” (diffusione del marchio) e “advertising” (pubblicizzare), metodologie spesso confuse tra loro, che hanno come unico fine “aumentare il valore di immagine del marchio”. Perché più aumento il valore del marchio, più sono sicuro di poter “spacciare” grandi quantitativi di prodotti e contenuti, di bassa e media qualità, e quindi poco costosi da acquisire, In questo senso ha assunto una certa rilevanza il così detto “modello asiatico” del Keiretsu (termine giapponese che indica una rete di aziende tra loro correlate). L’idea è di costruire un marchio non attorno, esclusivamente, ai prodotti, ma alla fama, ed a dei valori.  Valori semplici, quasi banali, ampiamente condivisi e condivisibili, senza addentrarsi in quelli più complessi e “difficili” per le masse. Ad esempio, un’azienda in regime Keiretsu, vende libri, un’altra Dvd, l’altra ancora pubblicizza e sostiene valori sociali (ambiente, sviluppo, ecc.) legati proprio al contenuto dei media che vende. A volte questi sistemi Keiretsu raggiungono dei veri e propri paradossi, il caso più emblematico è quello della Marlboro, si vendono sigarette, su cui c’è scritto: nuoce gravemente alla salute, mentre con un’altra azienda si vende abbigliamento, e poi con un’altra ancora (Marlboro Country), si vendono viaggi esclusivi in luoghi meravigliosi ed incontaminati.

Il sogno di ogni pubblicitario o di chi si occupa di comunicazione pubblicitaria è di gestire un’azienda Keiretsu, in cui i prodotti ed il marchio, sono la stessa cosa, in simbiosi tra loro, dove sono gli stessi acquirenti dei prodotti, a pubblicizzare ed espandere il marchio (perché sono direttamente coinvolti) mediante i valori di cui sono psicologicamente “dipendenti”, consentendo una diffusione di ambedue, in maniera quasi automatica e senza costi. Riuscire a confondere prodotti, valori, marchio, in un’unica cosa, vuol dire ottenere grandi ricavi a fronte di investimenti minimi.

In questa logica, chi boicotta il marchio, chi lo critica, chi si schiera verso strategie “No Logo”, tese a fare comprendere che, chi utilizza il marchio, è quasi sempre un’azienda che “inganna” chi acquista, diventa velocemente un pericoloso antagonista, da “eliminare”. Bisogna che le aziende che gestiscono i marchi, incomincino a pensare all’etica, più che all’estetica pubblicitaria, alla qualità ed all’organizzazione di quello che fanno e producono.

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