
Piazza Duomo a Milano, lato “La Rinascente”
Non è un caso che il Futurismo sia nato a Milano. In Corso di Porta Venezia 21A, una targa su una casa d’angolo con Via Senato 2: ricorda che lo scrittore Filippo Tommaso Marinetti, fondò qui la rivista “Poesia” nel 1905, nel suo appartamento posto al primo piano. Qualche anno più tardi, nel 1909, su diversi giornali italiani viene pubblicato sempre da Marinetti il “Manifesto Futurista” – 1) Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2) Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3) La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4) Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’ automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. 5) Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita………. Il 20 febbraio 1909 lo stesso Marinetti pubblica il “Manifesto Futurista” sul quotidiano francese “Le Figaro”; l’idea è quella di un movimento trasnazionale, che guarda all’Europa.

Umberto Boccioni “La città che sale”, olio su tela 199,3 x 301 cm. (1910/1911), Museum of Modern Art New York
Nel febbraio 1910 il Manifesto dei pittori futuristi, in cui si legge: «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…». Questo movimento nacque inizialmente in Italia e successivamente si diffuse in tutta Europa.
Milano ha implementato nella “genia meticciata”, dalla Storia: Longobarda/Spagnola/Francese/Austriaca dei suoi residenti, le categorie Futuriste : la velocità, il dinamismo, la propensione per il futuro, la ricerca di un continuo rinnovamento, il rigore, ecc.. Esse sono immediatamente attecchite nel fertile Meltin Pot sociale.
Non è quindi un caso che Milano abbia “consumato” da allora, anno dopo anno, la sua fame di modernità e cambiamento, con un occhio sempre “puntato” su Parigi, sull’Europa, divenendo di fatto, il “Ponte”, lo “Stargate”, italiano per l’estero.
Milano ha dato a molti italiani l’unica possibilità di crescere e di sperare in un futuro migliore, in una società – quella italiana ancora feudale, dove uno dei pochi “ascensori sociali” è dato dall’appartenenza clientelare a nuclei familiari o dall’affiliazione settaria a corporazioni: nell’università, nelle professioni, in politica ed in genere in tutti i campi.


La pandemia, il Coronavirus, è stata per queste categorie, una “Tempesta perfetta”, che dopo oltre 100 anni, ha come “incastrato i meccanismi” della velocità, obbligandoli a rallentare, fin quasi a fermarsi.
La lentezza non è di Milano, né dei milanesi. E’ una città che cresce, e “sale”, con i suoi grattacieli, con la velocità dei mezzi di trasporto. Ecco nascere quindi hastag condiviso #milanononsiferma, un tentativo di strenua e goffa resistenza alle necessità “sanitarie”, alla velocità di propagazione virale, cercando di continuare lo storytelling (il “racconto”) precedente.
Ma se prima, con fatti come: la Guerra Fredda, l’11 settembre, il Terremoto si poteva sempre ricondurre il tutto ad un “racconto” ad uno “storytelling”: del virus ne sappiamo poco o nulla, è una situazione imprevista, globale, senza storytelling, fatta più che altro di comunicati (il numero dei morti o dei contagiati), in cui tutti dobbiamo essere attori partecipi per “contrastarlo” adeguatamente.
Non si riesce a fare in modo che l’imprevisto, la “fermata”, diventi progetto e destino. Attendiamo che “scenda dal cielo” un qualcosa, una norma, una legge comprensibile, che ci consenta di ritornare a quel “racconto” che siamo stati costretti ad abbandonare.

Via Paolo da Cannobio a Milano
Dovremmo invece capire, che quello che il virus ha spalancato, è un Mondo nuovo, più impegnativo e complesso, in cui servono più doti di adattabilità, di agilità, e soprattutto di impermanenza, la quale ci insegna soprattutto a guardare le cose e le situazioni così come sono, senza sviluppare sentimenti di attaccamento o di avversione. Noi soffriamo non perché l’impermanenza sia di per sé sofferenza, ma perché non riusciamo ad accettare che le cose cambino. Ci vuole in questa situazione pandemica più fantasia ed energia psichica, per scommettere e lavorare sulla novità.
Milano è una città già vocata per questa situazione.; abituata al continuo cambiamento. Milano non dovrà cambiare ed essere lenta, non dovrà chiudersi, non dovrà aspettare “che passi il tempo”.
Dovrà essere veloce, più veloce; ed i milanesi avere più “energia psichica” da investire in flessibilità e fantasia. Anche per un doveroso rispetto delle categorie Marinettiane. Meno numeri, meno economia, e più filosofia.
“Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.” (Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909)
Soprattutto si dovrà anche lavorare, con i media, per “fare dimenticare” l’idea consolidata di Milano capitale della pandemia mondiale del Covid19.
Bisognerà ottimizzare e trasformare ciò che già esiste: non come un ingegnere, ma come un artigiano che fa quel che può con il materiale che ha a disposizione, trasformandolo con fantasia, arrangiandolo e rimaneggiandolo, in una costante “messa a punto”.
Alla fine il risultato sarà “splendidamente imperfetto” come sono le cose belle che ci hanno lasciato le generazioni passate.

Piazza Duomo a Milano, lato Palazzo Reale
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