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Beton e Legno a Davos


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Kirchner Museum Davos 1992

Le prese per la corrente degli svizzeri, sono completamente diverse da quelli di ogni altra parte del mondo, e utilizzare un adattatore normale europeo, spingendo e trafficando, spesso non serve a niente, non funziona. Ci vuole l’adattatore svizzero, che è un oggetto assolutamente unico, una particolarità, che, se ce ne fosse bisogno, caratterizza ulteriormente questa esemplare Nazione.

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La prima volta che sono stato a Davos era estate, una di quelle estati calde, che solamente l’alta montagna svizzera riesce a mitigare. Il mio obbiettivo era preciso, visionare lo Sport Zentrum Davos, che gli architetti Gigon & Guyer, avevano appena finito di completare. Quì ho anche potuto anche visitare il Museo Kirchner, sempre realizzato dai due zurighesi, non molto distante dal primo. Vi riporto, quì di seguito, alcune considerazioni, che abbiamo fatto allora con le persone che mi accompagnavano, un ingegnere e tre architetti.

Questi due edifici, costruiti nello stesso decennio, gli anni Novanta del Novecento, di fatto sono la dimostrazione della particolarità svizzera. L’utilizzo del legno e del beton, che caratterizzano la materia con cui sono finiti i due edifici, rappresentano, anche un “marcatore” necessario per caratterizzare la funzione a cui sono destinati . Ma soprattutto, servono, per inserirli al meglio nel paesaggio, a farli implementare nel corpo urbano e nella natura circostante.

Nel caso dello Sport Zentrum, il legno è asservito ad eseguire una “mitigazione”, di un impianto tecnico importante e quindi invasivo, rifacendosi alla grande architettura tradizionale del Canton Grigioni, costruita essenzialmente in legno, in moltissime sue componenti. Nel secondo caso, il Museo Kirchner, invece, la pietra “cotta e liquefatta”, il beton, riprende chiaramente la solidità monumentale delle montagne, che circondano la località sciistica. Quì il Beton  a vista, restituisce anche la necessità di essere, l’edificio, “contenitore sicuro”, “teca preziosa”, per le opere di Ernst Ludwig Kirchner (Aschaffenburg, 6 maggio 1880 – Davos, 15 giugno 1938) che è stato un grande e famoso pittore, scultore, nonchè incisore tedesco.

Ecco che, allora, i due materiali, scelti dai saggi architetti svizzeri Gigon & Guyer, diventano portatori dell’essenza stessa del paesaggio di Davos, facendo diventare i due edifici dei veri e propri Landmark, insostituibili, come lo è il paesaggio che li circonda. Ed il paesaggio svizzero, proprio perchè parte indispensabile della “diversità” di questa nazione, è oggetto di una specifica “concezione e strutturazione”, a cui si dedica un’ente apposito L’UFAM (Ufficio Federale dell’Ambiente).

Si legge nel documento CPS (Concezione Paesaggio Svizzero) : “Il paesaggio svizzero è il risultato dell’azione concomitante di processi naturali, fattori culturali ed economici e della percezione. L’influenza dell’uomo sul paesaggio è quindi duplice: da un lato è il prodotto dei nostri interventi sul territorio e dall’altro è la raffigurazione mentale di come noi lo percepiamo”. Il nostro modo di vivere, intendere e ricordare i paesaggi è strettamente influenzato non solo dai nostri stati d’animo, ma anche dai giudizi di merito dettati dalla nostra cultura. La stretta interazione che esiste tra uomo e natura, quì a Colmar appare quanto mai mediata dall’architettura e dalla materia, anche culturale (ma non solo), di cui l’architettura stessa è fatta.

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Sport Zentrum Davos 1997

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Lècch


La Meridiana, edificio commerciale, terziario e residenziale –  Renzo Piano (R.P.B.W.)

Edificio residenziale “La Corte” – Ettore Sottsass e Associati

Edificio residenziale “le Vele” – Marco Albini, Franca Helg, Antonio Piva

Piazza Cermenati – Progetto Marco Castelletti

Nel 1991, per alcuni anni sono andato a lavorare a Lecco, una ridente cittadina lacustre lombarda, nota per essere la città dell’incipit del romanzo del Manzoni “I promessi sposi”. Lì ho potuto (soprattutto durante le lunghissime pause tra il lavoro mattutino e quello pomeridiano) deambulare su questo piano urbano inclinato (infinito), che di fatto è dato da una sommatoria di piccoli “bellissimi” ed ancora oggi autonomi (e leggibili nel tessuto urbano), borghi rurali : Acquate, Belledo, Bonacina, Castello, Chiuso, Germanedo, Laorca, Lecco, Maggianico, ecc.. Ognuno con le proprie specificità, anche architettoniche. Le considerazioni fatte durante queste “passeggiate paesaggistiche”, assolutamente personali e particolari, le riporto quì in maniera sintetica.

Si tratta di una città con una popolazione, essenzialmente montana, “spiaggiata” accidentalmente a lago, ma che con esso, non ha un rapporto di usanze e di “feeling paesaggistico” particolare.  Lecco è una città che fino al Settecento è stata un luogo di produzione agricola, poi nell’Ottocento, ha consolidato una vocazione prettamente industriale (Acciaierie e metalmeccanica), divenendo una dei principali luoghi produttivi, nella filiera dell’acciaio, d’Italia. Nel secondo Dopoguerra, la lenta dismissione delle numerose realtà industriali, ne ha fatto un luogo essenzialmente di terziario ed in parte turistico.

L’architettura ed il paesaggio urbano, hanno seguito, fedelmente, questo “stato delle cose”. Infatti  Lecco non ha mai prodotto una scuola “lecchese” in merito, come invece è capitato a Como, a Varese, a Milano. La città, è nata, saturando, all’abbisogna, con un tessuto urbano incoerente ed abbastanza caotico, il territorio tra un antico borgo e l’altro.

L’unica stagione, che vede dei protagonisti lecchesi, è quella dei movimento Novecentista : Ennio Morlotti, Mino Fiocchi, Mario Cereghini, Orlando Sora, ecc.. Pittori, scultori, letterati, architetti, che si affermano anche a livello nazionale e tentano, senza riuscirci, di “segnare” la città, di indirizzarla.

Una delle principali attività, oltre al terziario, di Lecco, è oggi l’edilizia, quì nel corso del tempo, si sono sviluppati grandi imprese, che oggi costruiscono sia in città (nelle numerose aree dismesse), ma anche su tutto il territorio nazionale. Ciò ha consentito soprattutto negli ultimi decenni, di realizzare degli edifici, che singolarmente, rappresentano delle eccellenze, degli esempi di architettura, pur non essendo emblematici e rappresentativi dell’attività dei loro autori.

D’altronde, il paesaggio di questo ramo del Lago di Como, è così bello e mutevole, continuamente in bilico tra la mitezza lacustre e l’estrema vicinanza con le maestose montagne (Resegone, Grigne, ecc.), da poter sopportare qualunque “violenza paesaggistica”. Il dualismo : lago, montagna, genera una tensione, che rende spesso “magica”, una città per nulla bella.  La stessa meteorologia, estremamente mutevole, fà di Lecco uno dei “lavandini d’Italia” (soprattutto in estate), così come è influenzata dai due venti dominati : la Breva ed il Timavo, ma è anche fonte di una forte variazione luminosa, che garantisce una sublime espressività scenografica del cielo e delle nuvole. Cosa per nulla secondaria all’esaltazione delle forme architettoniche e paesaggistiche.

Quì sotto alcune immagini di Lecco

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

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