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LA MACELLERIA DEL PAESAGGIO


Il Centro Direzionale di Milano Garibaldi/Repubblica/Porta Nuova, fotografato dall’Aeroporto di Bresso

La cementificazione della Pianura Padana vista da Montevecchia Alta, in direzione Bergamo

In Lombardia la Legge Regionale n°12/2005 dell’11 marzo “Legge per il governo del territorio“, ha istituito con l’articolo 81, le “Commissioni del Paesaggio”. Articolo che riporto quì di seguito.

La vaghezza del legislatore, ha fatto si, nell’indifferenza degli ordini professionali, che il ruolo dei membri delle Commissioni del Paesaggio, sia ottemperato in maniera completamente gratuita, di fatto configurandosi come totale volontariato.

Compito della Commissione per il Paesaggio è valutare l’impatto di un progetto, garantendo l’equilibrio tra la libera esplicazione del diritto di proprietà, di cui è espressione lo jus edificandi (diritto di edificare), e l’interesse pubblico alla tutela dei valori paesaggistici, che (ove pure sussistente sul piano estetico) diventa recessivo se afferente a un bene non fruibile dalla generalità indifferenziata dei consociati.

Il potere di autorizzare o negare gli interventi edilizi risiede sempre e comunque, da ultimo, in capo al Comune, al cui esercizio non può sottrarsi rimanendo sottomesso al parere della Commissione per il paesaggio, che è e rimane un organo tecnico-consultivo.

La Commissione del Paesaggio, firmando il “Verbale con cui esprime il suo parere”, di fatto però si assume (gratuitamente) la responsabilità civile e penale di quanto espresso nel suo parere tecnico- consultivo. Esemplare in tal senso il “Caso Milano” – https://www.rainews.it/tgr/lombardia/video/2024/11/commissione-paesaggio-milano-inchieste-a719b648-0f3e-4e8b-88c3-621eda064b50.html

Da Montevecchia Alta guardando verso Milano

Ma cosa è il “Paesaggio”………..

La Convenzione Europea del Paesaggio (è un documento firmato il 20 Ottobre 2000 a Firenze ed è parte del lavoro del Consiglio d’Europa sul patrimonio culturale e naturale, sulla pianificazione territoriale e sull’ambiente), considera il paesaggio come  “determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”  è la  “componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale, nonché fondamento della loro identità”.

Il termine “paesaggio” definisce quindi una parte di territorio che viene riconosciuta o meglio percepitadalle popolazioni che abitano tale luogo.

Questo riconoscersi delle popolazioni in un territorio è strettamente legato alle forme spaziali e temporali che la popolazione stessa percepisce nel luogo, permettendole di  disegnare e dare forma al territorio. Questo carattere del paesaggio è legato quindi a fattori naturali e a fattori culturali/antropici, chiarendo definitivamente che il concetto di paesaggio non è definito solo dall’ambiente ma soprattutto dalle trasformazioni che le popolazioni riversano sui loro territori, per determinare un connubio che ci permette di osservare “quel paesaggio” e riconoscerlo come tale.

La “giungla” di antenne sui tetti del centro di Roma

L’Arno a Firenze fotografato dalle “finestre Mussolini” del Corridoio Vasariano

Torre Unicredit vista da Piazza XXV Aprile – Paesaggi vecchi e nuovi che si confrontano

Anni fa lo storico e teorico del paesaggio italo-svizzero Michael Jakob ha scritto che il paesaggio: «non sarebbe un concetto misurabile, identificabile e oggettivo, bensì un fenomeno che si sottrae a qualunque tentativo di fissarlo; la sua rappresentazione, con parole o immagini, si scontra con l’identità fluttuante, aperta e forse irritante del fenomeno».

Sempre uno svizzero rinomato, il sociologo, urbanista e soprattutto promenadologo Lucius Burckhardt, affermò che: «Il paesaggio è un costrutto. Questa parola per significare che il paesaggio non va ricercato nei fenomeni ambientali, ma nelle teste degli osservatori.» Insomma, non è concetto semplice da maneggiare, quello di “paesaggio”, nonostante sia tra quelli più utilizzati da chiunque quando vi sia da descrivere il mondo che ci circonda; parimenti la sua “gestione” non è facile dal punto di vista politico – quello principale, in effetti – stante questa sua indeterminatezza, e non di rado in forza di essa accadono cose opinabili anche se di testi che trattano tali argomenti, e che appaiono utili alla loro conoscenza e competenza, ne siano stati prodotti innumerevoli e molti di grande rilevanza.

Gli architetti che fanno volontariato gratuito presso le Commissioni del Paesaggio di fatto sono, in balia della loro condizione poco definita di dover tutelare un “Paesaggio” che in Italia è poco trattato e non bene definito.

Sono, gli architetti, in balia (NDR – e lo dice uno che per 14 anni è stato membro di Commissioni del Paesaggio in diversi comuni del milanese) delle pulsioni edificatorie delle amministrazioni comunali, ed essendo un organo puramente consultivo, esprimono un parere, facilmente by-passabile da semplici determine dirigenziali.

Il Paesaggio diventa quindi un “minuetto”, una “recita”, una “sceneggiata” fatta per “riempire” la bocca dei politici locali.

Di fronte a progetti “obbrobriosi”, non riformabili con modifiche, o a “storture urbanistiche” (tipologiche, dimensionali, ecc.) fissate, spesso per motivi politici nei PGT (Piani di Governo del Territorio), ai membri che hanno intenzione di “Salvare il Paesaggio”, o quello che ne resta, non rimane che dimettersi (NDR – come ho più volte fatto).

Diversamente in molti Paesi europei, come la Svizzera, il paesaggio da decenni è studiato e normato, ed ogni anno “fissato” in appositi convegni e ricerche pubbliche destinate a definirne, per gli utenti e gli operatori, le mutevoli caratteristiche (https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/1966/1637_1694_1679/it)

Autostrada A2 – E35 (La via delle genti). Scavalcamento paesaggistico/naturalistico a Quinto.

Come scriveva Andrea Zanzotto (1921 – 2011) che è stato uno studioso del paesaggio e partigiano italiano, tra i più significativi poeti italiani della seconda metà del Novecento : ” Un bel paesaggio una volta distrutto non torna più.”

Ma di ciò, in Italia, ai più importa poco; appena si può lo si “macella” il Paesaggio, senza nessun ritegno.

La Torre Velasca e l’abside del Duomo di Milano, visti dall’ ultimo piano della ex Torre Tirrenia, in Piazzetta Liberty

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P.U.E.


SOPRA – Edificio terziario e Data center a Zug (Svizzera) – Immagini tratte da – https://boltshauser.info/projekt/buero-und-infrastrukturgebaeude-wasserwerke-zug-wwz/

Quando prenotiamo un hotel online, guardiamo una partita di tennis in streaming o inviamo una mail, dei data center nel mondo devono consumare molta energia e acqua, per conservare ed elaborare le nostre richieste. Una certificazione lanciata in Svizzera, nel 2007, la P.U.E. (Power Usage Effectiveness = Efficacia del consumo energetico) intende identificare e ridurre l’impatto su ambiente e clima delle nostre abitudini digitali e fare della Svizzera una location ideale per data center più ecologici (https://www.swissinfo.ch/ita/crisi-climatica/un-label-svizzero-vuole-rendere-i-data-center-pi%C3%B9-verdi/81947167).

Immagini tratte da Espazium.ch – del 27-06-2024

(https://www.espazium.ch/it/attualita/uffici-e-data-center-wasserwerke-zugo)

L’edificio, realizzato a Zugo, è stato oggetto del concorso di architettura a inviti bandito nel 2016, appartiene alla grande azienda multiutility regionale Wasserwerke Zug. Fuori terra ospita tre piani a uso ufficio e nei piani interrati è installato il data center di una delle più grandi aziende svizzere di comunicazione via cavo.

La localizzazione dei data center nell’Artico, in altitudine, o sott’acqua offre vantaggi significativi per ridurre l’efficienza dell’utilizzo dell’energia. Il clima naturalmente freddo del l’Artico o della montagna alta, offre un vantaggio intrinseco, consentendo un raffreddamento libero, che riduce la dipendenza dai sistemi di raffreddamento ad alta intensità energetica. Seguendo questa stessa dinamica, i data center subacquei sfruttano l’acqua circostante per dissipare il calore in modo efficiente, migliorando l’efficienza energetica e riducendo il PUE. Queste sedi innovative sfruttano il potere della natura, consentendo operazioni di data center più sostenibili ed ecologiche, ma tutto ciò contribuisce al surriscaldamento del clima terrestre.

A Milano, si tenta una strada innovativa, con la prima partnership industriale in Italia per il recupero di calore dai Data Center destinato al teleriscaldamento: grazie ad A2A, in collaborazione con DBA Group e Retelit (https://www.gruppoa2a.it/it/media/comunicati-stampa/milano-primo-progetto-italia-recupero-calore-data-center), l’energia generata da “Avalon 3”, il più recente data center iperconnesso e sostenibile della società di telecomunicazioni leader in Italia nel B2B, alimenterà la rete cittadina nel Municipio 6.

Immagine tratta da – https://www.dbagroup.it/news/a-milano-il-primo-progetto-in-italia-per-il-recupero-di-calore-da-data-center

Il progetto permetterà di servire 1.250 famiglie in più all’anno, consentendo un risparmio energetico di 1.300 tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) e di evitare l’emissione di 3.300 tonnellate di CO2 con benefici ambientali pari al contributo di 24.000 alberi.

I Data center, come tutte le infrastrutture impiantistiche, inserite in contesti urbani o paesaggisticamente rilevanti, necessitano di una configurazione architettonica che ne consenta un inserimento, che abbia una elevata attenzione qualitativa per il costruito ed il paesaggio, che sia in grado di dialogare con il contesto. Se ne è accorto perfino l’Ordine degli Architetti di Milano, che in collaborazione Città metropolitana di Milano, e la Fondazione degli Architetti PPC della provincia di Milano aprono giustamente una riflessione con un dibattito sui Data Center, tema di progetto e oggetto architettonico di crescente impatto nel territorio ( https://ordinearchitetti.mi.it/it/formazione/eventi-formativi/L-%28IN%29SOSTENIBILE-LEGGEREZZA-DEL-DATO-70f6e).

Ormai si sta andando, anche in Italia, verso Data Center, GREEN e completamente ecologici, che creino un impatto minimo anche dopo la loro eventuale dismissione; e che restituiscano ciò nelle forme e nei materiali utilizzati. (https://www.arkitectureonweb.com/it/-/progetti/00gate-green-data-center-lignoalp-damiani-holz-ko).

SOPRA – Immagine tratta dal sito : Suisseinfo.ch

Per altro, la necessità di inserire dal punto di vista paesaggistico le infrastrutture tecniche, ha una sua coniugazione storica che ha esempi pregevoli. Come ad esempio la Centrale Elettrica di Riva del Garda progettata negli anni Venti del Novecento dall’ Architetto Giancarlo Maroni , che appare, dal punto di vista architettonico come un frammento urbano in continuità con il centro storico della cittadina gardesana (https://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_idroelettrica_del_Ponale)

SOPRA – Immagine della centrale di Riva tratta da Google Earth

Rinasce quindi, la necessità di ritornare a ragionare dal punto di vista disciplinare, su come coniugare “impianti”, loro architettura, e paesaggio. Ciò riguarda non solo i data center, ma anche i grandi impianti elettrici, i terminal portuali, le centrali di trasformazione, i grandi complessi ferroviari, ecc..

Un esempio interessante è la nuova sottostazione APG di Nauders (Tirolo), collocata ad un’altitudine: 1.400 m s.l.m..

Nauders è la prima località su territorio austriaco dopo aver attraversato Passo Resia. Si trova su un altipiano soleggiato tra il Passo di Finstermünz e Passo Resia, e vanta una storia lunga e movimentata: già all’età del Bronzo, il passo venne attraversato e al seguito eretto l’insediamento di Nauders. La sua posizione stupenda fa pensare inevitabilmente a maestose vette e passi alpini.

E’ per questo che la progettazione di questo impianto, trasnazionale (Austria/Italia), per migliorare la potenza elettrica insediata nord/sud, ha subito una progettazione paesaggistica particolarmente attenta, sia nella dislocazione dei necessari edifici, e degli impianti, che nella scelta dei materiali di finitura.(https://www.apg.at/en/projects/nauders-substation/#c7574).

La stessa scelta di realizzare molti cavidotti completamente interrati, ben testimonia dell’attenzione per i luoghi dimostrata dai gestori energetici (APG e Terna).

La nuova sottostazione APG di Nauders (Tirolo) e la nuova linea da 220 kV migliorano l’approvvigionamento energetico regionale e promuovono lo scambio transfrontaliero, in particolare di energie rinnovabili (https://news.provincia.bz.it/it/news/terna-e-entrata-in-servizio-l-interconnessione-italia-austria)

Un altro esempio emblematico di inserimento nel paesaggistico per quanto riguarda le infrastrutture tecniche, è il termovalorizzatore “Amager Bakke” di Copenhagen in Danimarca, progettato da B.I.G. (Bjarke Ingels Group – https://big.dk/), e funzionante dal 2017.

Il “macchinario”, esistente ed in disuso, è stato riconvertito dallo studio della Archistar danese, ed ha una “pelle” ed una composizione architettonica, finalizzate a renderlo parte integrante del paesaggio urbano della capitale danese. Il tetto: un giardino verde inclinato, in estate ed inverno, diventa pista per lo sci (https://www.pantografomagazine.com/copenhill-inceneritore-green-copenaghen/)

Bisogna che gli enti preposti alla realizzazione di questi “impianti”, soprattutto in Italia, dove non c’è una cultura in tal senso, dimostrino in merito una particolare sensibilità, che non può solamente riguardare gli aspetti economici ed impiantistici, o tecnici, bisogna con urgenza occuparsi soprattutto di paesaggio. Lo stesso devono fare le società d’ingegneria a cui di solito è demandata la progettazione esecutiva, magari sviluppando internamente dipartimenti “di qualità” dedicati alla progettazione paesaggistica di queste infrastrutture da proporre nelle loro offerte tecniche, ai committenti.

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Giovanni il milanese.


Giovanni Segantini, Naviglio a ponte San Marco, Milano, 1880

Appena sono venuto a conoscenza della ghiotta esposizione che si teneva nel Museo Segantini di St. Moritz, mi sono precipitato in loco (https://segantini-museum.ch/it/homeit/).

Per la prima volta venivano ricongiunti molti suoi importanti lavori del periodo milanese.

Una foto di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini  (Arco, 15 gennaio 1858 – monte Schafberg, 28 settembre 1899) arriva  a Milano, nel 1865, a sette anni e se ne andrà solo nel 1881 per trasferirsi prima in Brianza e poi in Svizzera, a Savognino e poi in Engadina. Resta dunque nel capoluogo lombardo per diciassette anni, fondamentali per lo sviluppo della sua carriera artistica e per la sua “fama” come pittore.

Nel Museo di St. Moritz a lui dedicato, i quadri, realizzati in quegli anni, sono testimonianza della Milano di allora. Gli sfondi, come sempre nelle opere del pittore trentino, raccontano attraverso forme, colori, luce, edifici, persone, ecc., i “paesaggi di un’epoca”.

Giovanni Segantini, Nevicata sul Naviglio, 1881

Segantini a Milano, aveva acquisito uno studio, nel complesso di Case Popolari di via San Fermo, con accesso diretto da via San Marco 26. La quotidiana frequentazione con i luoghi milanesi d’acque (molti di questi oggi interrati), gli consentono di realizzare degli effetti luminosi, che esaltano soprattutto gli elementi architettonici di quegli anni, in affaccio sul sistema idrico dei Navigli.

Non va dimenticato che il pittore trentino, aveva una innata passione per la disciplina dell’architettura.  Ed infatti il suo atelier, al Passo del Maloja, che realizzerà dopo il 1894, a seguito del suo trasferimento in Engadina, e’ opera di una sua progettazione attenta soprattutto per quanto riguarda la luce.

Il pittore usa i lucernari, ed ogni accorgimento, per creare all’ interno, un sistema di illuminazione naturale, sinergico al proprio lavoro.

Atelier Segantini al Passo del Maloja, con la caratteristica “cupola con lucernari”
Giovanni Segantini, ritratto della Signora Torelli, 1880. Sullo sfondo il parapetto ed un ponte del Naviglio Grande a Milano.
Museo Segantini a St. Moritz – Trittico della Vita, 1896/1899.
Giovanni Segantini, ritratto di donna in via San Marco a Milano, 1880

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GHOST DREAMS


Sono stato alla fondazione Beyeler di Riehen (Basilea), decine di volte, ed ogni volta una sorpresa nei criteri di allestimento, nella qualità della proposta museale. Ma questo “fuori/dentro” dal museo al giardino, che ho potuto apprezzare oggi, ha qualcosa di sorprendente, di meraviglioso, che lega l’arte intimamente con le regole della Natura planetaria di questa parte di Universo…..Sogni fantasma – https://www.fondationbeyeler.ch/en/exhibitions/ghost-dreams

Per la prima volta nel quarto di secolo della Fondation Beyeler gli spazi di tutto il museo e del parco vengono ripensati da artisti e curatori ma anche scienziati, filosofi, architetti, musicisti e poeti per un’esperienza espositiva sperimentale stimolante, innovativa e dinamica.

In effetti è difficile immaginare una mostra museale che muta in continuazione, che invita a leggere un libro, mentre le opere d’arte intorno vengono cambiate ogni tanto. Una patata dolce cuoce nel microonde, puoi dormire in un letto che interpreta i tuoi sogni,  e ogni tanto sei avvolto da una fitta nebbia che dà un senso di spaesamento surreale.

Sembra di partecipare ad un esperimento, incluso il titolo della mostra che cambia nelle dodici settimane di esposizione. Invece il tutto è un colto meccanismo per rendere l’arte concettuale accessibile, titillante, meravigliosa, senza ricorrere a un intrattenimento “facile” e banalmente spettacolare, come spesso succede di questi tempi, ad uso dei media. Quì al centro vi è lo spettatore/visitatore/esploratore che deve “conquistarsi” la sua personale interpretazione della mostra.

Il tutto ad iniziare dalla guida criptica della mostra  “All my love spilling over” (Tutto il mio amore si riversa), che costringe il visitatore a fare lavorare il cervello per comprendere il titolo e l’autore dell’opera che ha davanti. Spetta al visitatore creare Liaison tra opere visivamente accostate con sapienza per stimolarlo, per fare lavorare la memoria (visiva e non solo) di ognuno.

Ecco che Koo Jeong A (un giovane artista sudcoreano specializzato in installazioni e tecniche miste), con una scultura nera sospesa (Boolgasaeu Boolgasali del 2024), viene messo in relazione con il famosissimo (ed enorme) quadro ad olio su tela di Claude Monet ‘Lo stagno delle ninfee’ (1917-20); mentre fuori (basta chiedere e si può uscire), nel giardino, vicino ad un laghetto incombe la grande scultura “Hase” un’opera di Thomas Schütte che fa parte della Collezione Beyeler dal 2014. Nel laghetto Fujiko Nakaya fa vibrare con un sistema di onde d’urto, il pelo dell’acqua.

L’architettura di Renzo Piano aiuta con le grandi vetrate, l’illuminazione naturale, ed i setti in porfido, a dare un legame intimo con l’esterno, con il paesaggio circostante arricchito da “presenze” artistiche.

La spettacolare e stimolante mostra collettiva estiva della Fondation Beyeler sta riscuotendo un notevole successo, tanto da essere legittimamente definita “l’argomento principe di conversazione del mondo dell’arte 2024”.

Fondation Beyeler è uno dei più importanti musei della Svizzera, e stà per diventare uno spazio espositivo vastissimo. Alla sede principale di Piano, si aggiungeranno, tra il 2025 ed il 2026, tre edifici dell’architetto/guru svizzero, Peter Zumthor (una sede espositiva di 1500 metri quadri, un padiglione e un edificio di servizio) che sono in costruzione nel parco paesaggistico di impostazione ottocentesca in stile inglese (acquisito dai confinanti per duplicare l’estensione dei giardini, facendoli diventare una “piccola” riserva naturale).

https://www.fondationbeyeler.ch/en/museum/new-museum-building

SOTTO – Stralci dalla guida della mostra

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Il chiosco del fioraio


Sigurd Lewerentz (https://it.wikipedia.org/wiki/Sigurd_Lewerentz), grande architetto svedese, raggiunge l’apice della sua poetica, con il chiosco dei fiori del Cimitero Est di Malmö (Östra kyrkogården, Sallerupsvägen), del 1969.

Nel sublime e minimalista, piccolo edificio, la decorazione non palesa più i contenuti della costruzione, sinergica a testimoniare il “sentire” del suo tempo, come era avvenuto in passato, ma si fa dichiarazione di nuovi valori autonomi, sia formali, che materici, suggerendo un probabile futuro per l’architettura che, di fatto, è diventato il nostro presente. Tanti gli “spunti poetici” legati al mondo lecorbuseriano.

Servirebbero studi ed analisi approfondite, ma appare chiaro, che questo minuto edificio “criptico”, è di fatto un manifesto per una architettura essenziale ed innovativa. Una “pietra” lanciata nel futuro, dal grande architetto svedese, quasi un lustro prima di morire.

Elementi di un manifesto che si possono facilmente ravvisare in molte architetture contemporanee, svizzere ad esempio.

SOPRA – Planimetria del Cimitero Est di Malmö, con evidenziato in rosso il chiosco dei fiori

(tratta da Google Earth)

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Sasso Corbaro


Dall’alto domina la piana di Magadino a 230 metri sopra il livello della città. Tipica fortezza sforzesca, le sue masse murarie, per compenetrazione di volumi, sono ridotte all’essenzialità di una figura geometrica.
Si deve la sua costruzione per ordine del Duca di Milano nel 1479 in poco più di sei mesi di lavoro dopo la battaglia di Giornico. Dai bellinzonesi è detto anche Castello di Cima. Dal 2000 è inserito insieme a Castelgrande ed al castello di Montebello, come un bene UNESCO.

Questo fortilizio austero e dalla planimetria semplice ed essenziale, fu innalzato per garantire al meglio la chiusura della Valle del Ticino, con lo scopo di arginare le popolazioni provenienti dal Nord delle Alpi, ed istituire dazi al passaggio delle merci. Dopo il 1798, lentamente venne completamente abbandonato.

https://www.myswitzerland.com/it-it/scoprire-la-svizzera/castello-di-sasso-corbaro/

Ciò che si vede dal Castello del Sasso Corbaro verso Nord: “Da qui Messere si domina la Valle”

Ciò che si vede dal Castello del Sasso Corbaro verso Sud: “Da qui Messere si domina la Valle”

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OBV


All’inizio del 2022 è entrato in funzione la nuova ala dell’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio progettata dall’architetto Michele Gaggini (https://www.studiogaggini.ch/).
L’edificio, da 34 milioni di franchi svizzeri, ospita il nuovo polo ambulatoriale, 30 letti di degenza post-acuta, la sede di alcuni partner sanitari dell’OBV e soprattutto l’ampliamento dell’autorimessa.

La nuova ala risulta magistralmente incastrata nel vecchio ospedale (Ospedale Regionale di Mendrisio) generalista, che fu aperto al pubblico, nella ancora moderna struttura, nel 1990.

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Orto Botanico “Isole di Brissago”


Da Locarno, si prende un comodo battello, e circa in mezz’ora, o poco più, si raggiunge il paradisiaco Orto Botanico.

Il giardino, con più di 1700 piante, viene raccontato con un percorso ambizioso teso ad illustrare la vegetazione del Mondo.

In primavera l’Orto Botanico delle Isole di Brissago (https://www.isoledibrissago.ti.ch/it/), dà il meglio di sè, con le cime più alte, verso nord, che circondano il Lago Maggiore, ancora innevate, mentre le fioriture delle Camelie, delle Azalee, dei Rododendri, ecc., e delle perenni primaverili, restituiscono, per contrasto, inquadrature indimenticabili – https://www.ticino.ch/it/commons/details/Isole-di-Brissago-Giardino-Botanico/2636.html

Una gita “di paesaggio”, per chi apprezza i contrasti e la Natura.

https://photos.app.goo.gl/mEN72EVZDaBf43oW8

SOPRA – L’Albergo delle Api

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Kapelle der Heiligen Familie Mühlebach


A Mühlebach, nel Vallese Svizzero, sorge in dominanza del paese, la piccola Cappella della Sacra Famiglia, consacrata nel 1676. Un chiaro esempio, la Cappella, dell’assioma lecorbuseriano, che ha portato al bellissimo libro di LC : ” Quando le cattedrali erano bianche”.

Mühlebach è una frazione di 77 abitanti del comune svizzero di Ernen, nel Canton Vallese (distretto di Goms) – https://costruttoridifuturo.com/2020/09/14/ernen/.

Davanti alla Cappella, una grande pietra (con targa metallica) ed un arbusto, ricordano il luogo caro ad un noto pianista internazionale Gyorgy Sebock.

György Sebők (2 novembre 1922-14 novembre 1999) è stato un pianista americano di origine ungherese e professore presso la Jacobs School of Music dell’Università dell’Indiana a Bloomington, Indiana, Stati Uniti.

Era conosciuto in tutto il mondo come solista con le principali orchestre, recital in quattro continenti, artista discografico e per le sue masterclass, visiting professor e il festival musicale svizzero che ha organizzato a Ernen.

Nacque a Szeged, in Ungheria, il 2 novembre 1922. Sebők ha tenuto il suo primo recital per pianoforte solo all’età di 11 anni. A 14 anni ha suonato il Concerto per pianoforte n. 1 di Beethoven sotto la direzione di Ferenc Fricsay, un’esibizione su cui avrebbe riflettuto molti anni dopo.

Si iscrive all’Accademia Franz Liszt all’età di 16 anni, sotto la guida di Zoltán Kodály e Leo Weiner. Dopo il diploma, ha tenuto concerti[1] per dieci anni in tutta l’Europa centrale e orientale e nell’ex Unione Sovietica.

Ha vinto il Grand Prix du Disque nel 1957. Sebők è stato elencato in Who’s Who in America, Who’s Who in Music, National Register of Prominent Americans e altri dizionari biografici. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui la Croce al merito del governo ungherese, La Medaille de la Ville de Paris, Echelon Vermeille e, nel 1996, Kulturpreis des Staates Wallis, (Prix de Consacration). Sempre nel 1996, il governo francese gli ha conferito la decorazione Chevalier de L’Ordre des Arts et des Lettres.

Nel 1949 fu nominato professore di musica al Conservatorio Béla Bartók di Budapest. Dopo la rivolta ungherese del 1956, si stabilì a Parigi. Incoraggiato dal suo amico violoncellista János Starker, all’età di quarant’anni, andò alla Indiana University School of Music di Bloomington, iniziando quella che è considerata la fase più produttiva della sua carriera. Jeremy Denk (uno dei più noti pianisti americani – https://www.jeremydenk.com/) ha dedicato il suo libro di memorie “Every Good Boy Does Fine: A Love Story in Music Lessons” a Sebők e ha scritto del profondo impatto che Sebők ha avuto sulla sua educazione musicale e sulla sua carriera.

Sebők era un professore ospite della Berlin Hochschule der Kunste (HDK) in Germania, dove insegnava master class due volte l’anno. È stato anche membro onorario a vita della Toho School of Music di Tokyo e insegnante ospite regolare presso il Banff Center for Arts; il Conservatorio Sweelinck di Amsterdam, la Scuola di Musica di Barcellona e la Hochschule für Musik di Stoccarda. Nel 1974 ha fondato e organizzato masterclass estive annuali a Ernen, in Svizzera, per pianisti e “altri strumenti”, e l’anno successivo è stato membro della giuria del primo Concorso Pianistico Internazionale Paloma O’Shea Santander. Ha anche fondato e diretto il “Festival der Zukunft” a Ernen nel 1987, che ancora oggi porta la sua eredità con un numero crescente di frequentatori di concerti. I funzionari della città lo nominarono cittadino onorario, solo il terzo in 800 anni.

Prima di un recital del 1985 al Musical Arts Center di IU, Sebők ha ripensato al suo concerto all’età di 14 anni e ha tracciato un collegamento tra quell’evento e la sua filosofia di insegnamento. “Durante il terzo movimento ho fatto degli errori”, ha ricordato, “ma non mi sono sentito in colpa perché sentivo di aver fatto del mio meglio. Avevamo un vicino, un amante della musica, che raccontava a mio nonno della mia esibizione , ‘Oh, è stato meraviglioso, ma nel terzo movimento qualcosa è andato storto.’ Mio nonno si arrabbiò molto con lui e disse: “Non mi interessa, perché anche il sole ha delle macchie”. È stata una cosa bellissima da dire per mio nonno, penso, e a volte lo ricordo: anche il sole ha delle macchie”. (https://www.youtube.com/watch?v=h427L7297xM)

Allo stesso modo, Sebők ha aiutato i suoi studenti a superare la paura degli errori per dare le loro migliori prestazioni. Bisogna accettare che essere umani significa essere fallibili, quindi fare del proprio meglio ed essere catturati dalla musica. (Fonte : Wikipedia)

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