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Builders of the future

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Svizzera

Una pensilina


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Se vi capita di andare a Chur (Coira), nei Grigioni, non dovete assolutamente farvi mancare l’equilibrismo strutturale della pensilina che copre l’accesso all’edificio del Gran Consiglio.

L’edificio, una volta sede dell’ arsenale a Chur, fu completato nel 1863, attualmente ospita il Gran Consiglio grigionese e il teatro comunale. Nell’anno 2012, la storica sala del Consiglio ha subito una ristrutturazione completa onde aggiornarla agli standard impiantistici e funzionali contemporanei. L’attrazione principale, e fulcro della sala è un dipinto murale di grande formato da Alois Carigiet risalente al 1958-1960, che copre tutta la larghezza della sala e il cui impatto è accentuato dai nuovi arredi.

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Sempre nel 2012, lo studio di architettura di Valerio Olgiati, dipl. arch. ETH/SIA Coira/Flims (http://www.olgiati.net/), ultimò i lavori del nuovo ingresso pedonale, vinto per concorso nel 2007. Un piccolo “gioiellino” in calcestruzzo bianco (del costo impressionante di 650.000 franchi svizzeri), che grazie ad un raffinato calcolo strutturale, riesce a dare, all’attento osservatore, più di un elucubrazione statica. Infatti il grande (e pesante) disco centrale, oltre a nascondere la porta di ingresso, creando una specie di “spazio esterno/interno di compensazione”, cela al suo interno un pilastro di sostegno. Il resto dell’equilibrio, lo creano, lo sbalzo della pesante (ma leggera) copertura, e l’esile pilastrino quadrato, esattamente opposto all’inizio della rampa (che funge da contrasto).

Magistrale anche il parapetto in ottone, che “twitta” con l’architettura del vecchio arsenale. Una piccola architettura, raffinata ed intelligente, autonoma, ma che riesce a rendere contemporaneo tutto l’edificio del Gran Consiglio.

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My Stop


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Ancora un’architettura di “pelle”, e nemmeno di “pelle buona”(come invece è il magico MY STOP dello Studio Hotz & Partner ormai completato qualche annetto fa), il risultato del concorso internazionale per il “Padiglione Italia” di Expo 2015, rappresenta quanto di più retrivo e triste si potesse immaginare. Infatti il progetto del raggruppamento di imprese, come si dice oggi, costituito da : Nemesi & Partners Srl di Roma, Proger SpA di Pescara e BMS Progetti Srl di Milano, ha partorito un “topolino”, un progetto “fragile, fragile”, che assomiglia molto ad un “autogrill”, ad un “supermercato”, e si vede quindi costretto a trincerarsi dietro l’eco sostenibilità spinta (soprattutto impiantistica) data dall’equilibrio tra “produzione e consumo di energia”.

A pagare pegno è l’architettura, assente non giustificata, per lasciare spazio alla “grafica” al “design”. Ed il tutto capita a Milano, capitale dell’architettura italiana, con Giuseppe Terragni, Piero Bottoni, Giò Ponti, Franco Albini, Ignazio Gardella, Vico Magistretti, Aldo Rossi, Gae Aulenti, ecc., che si rivolteranno nelle loro tombe, e probabilmente il “grande vecchio inossidabile” Vittorio Gregotti che già mastica bile.

Un pò poco per un’Expo “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”, che ambiva (quando è stata vinta da Milano) ad essere un momento alternativo, un “pensatoio” di riflessione, su questo grande evento, commerciale/mediatico, che di solito si chiude in un “bagno di sangue” (economico) per il paese organizzatore.

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Masoala


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Il filmato che vedete qui sopra non è stato realizzato in Madagascar, ma a 289 chilometri da Milano, a Zurigo.

La foresta pluviale “Masoala”, dello Zoo di Zurigo, è la fedele ricostruzione di un pezzo di foresta pluviale del nord del Madagascar, oggi Parco Nazionale Masoala. Questo pezzo di “Africa”  è situato sotto una cupola trasparente (alta 30 metri) realizzata in “vesciche” di EFTE (montate su struttura metallica), un materiale che simula la luce solare, coibenta e consente di coprire, in maniera leggera, gli oltre 11.000 metri quadrati di superficie, mantenendo la temperatura interna tra i 20 ed i 30 gradi con un’umidità dell’80%. All’interno del Masoala, sono presenti oltre 17.000 piante e 430 animali liberi. Vie è persino un laghetto ed una grande cascata. Tutto il sistema è riscaldato e condizionato in maniera sostenibile con una centrale a pellets di legna, con un camino, bocchette di aspirazione ed un sistema di recupero del calore che immaganizza il calore in eccesso. Al funzionamento ed al mantenimento di questo ecosistema collaborano centinaia di esperti, ricercatori e scienziati.

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Si può essere d’accordo o meno con l’esistenza di uno zoo, però l’idea di evitare il “bombardamento del Madagascar” con centinaia di migliaia di turisti, che muovendosi peggiorano l’impronta ecologica complessiva del pianeta, è molto accattivante e sensata. Si è così deciso di realizzare un pezzo di foresta pluviale a Zurigo, per contrastare la deforestazione selvaggia nella grande isola nell’Oceano Indiano, attraverso un contributo che ogni visitatore dà, acquistando un biglietto. L’esistenza di questa grande serra a Zurigo, consente di contribuire al sostentamento dello Zoo e ad aiutare dei progetti per la salvaguardia del Parco Nazionale del Madagascar, nonché incentivare un turismo sostenibile e consapevole in loco.

A Zurigo è il Madagascar che viene a visitare la città e non viceversa.

Nel 2012, Zurigo, si è classificata seconda nell’apposita graduatoria sulla qualità di vita nelle città del mondo di dimensione medio/grandi;  prima in classifica Vienna. I parametri rilevati sono 39, tra i quali : situazione politica locale, situazione economica, cultura, sanità, vivibilità, spazi verdi e loro accessibilità, contesto sociale, mobilità e traffico, inquinamento atmosferico, clima, ecc..

A Zurigo si trovano Università eccellenti che figurano tra le classifiche internazionali, centri di ricerca e innovativi think tanks. Una moderata imposizione fiscale, un elevato livello dei salari, una forza lavoro qualificata, un’eccellente rete di collegamenti, nonché un contesto sicuro e stabilità politica rendono Zurigo un sito attraente per società provenienti da tutto il mondo. Ma non son tutte “rose e fiori”, Zurigo è anche una delle città più care al mondo.

Nell’area metropolitana di Zurigo vivono circa due milioni di persone. La popolazione straniera si attesta attorno a una quota del 30%. Il fatto che Zurigo è situata nel cuore del continente e sulla linea di congiunzione fra tre diversi spazi culturali europei (Germania, Francia, Italia), lo si percepisce anche nella vita di tutti i giorni. Il tradizionale multilinguismo di Zurigo e il suo spirito aperto fanno sì che i nuovi arrivati, provenienti dall’estero, si sentano presto a loro agio.

La Svizzera offre condizioni di quadro economico e sociale assolutamente favorevoli e affidabili. La La Democrazia Diretta e il federalismo, sono alla base della stabilità politica e la politica economica di stampo liberale è garante della libertà economica e commerciale.

A Zurigo, l’architettura, il paesaggio, come in tutta la Svizzera, sono continuamente oggetto di una riflessione collettiva, di una “Mise au point” (messa a punto di lecorbuseriana memoria), tesa al conseguimento di una qualità dello spazio collettivo in cui vivere. Anche le aree dimesse, godono di questa qualità diffusa, che ha come epicentro la condivisione con i cittadini .

Il Puls 5 della ex fabbrica di turbine, Sihlcity, l’area dell’ex birrificio Hurlimann, sono solo degli esempi di una sana politica urbanistica, che coniuga sviluppo con un ridotto consumo di suolo, soprattutto salvaguardando la memoria collettiva di una dimensione produttiva e lavorativa che non è più.

In queste aree ex industriali, dei veri e propri laboratori sociali, oggi ci trovi tutto: un supermercato biologico, un ristorante “alla moda”, spazi multifunzionali bar/negozio di biciclette/ristorante che assomigliano ad un centro sociale, uffici ultramoderni. Mentre ancora convivono attività industriali in piena città e casettine da cartolina Svizzera.  C’è anche molta filosofia comunemente accettata del vintage, del recupero, del riciclo, con un pizzico di modernariato (che non guasta), mischiato con locali alla moda, terrazze per aperitivi, negozi ipertecnologici di computer.

E’ proprio in questo estremo mix funzionale e sociale (in Italia quasi impossibile da trovare), che si generano le condizioni ideali di sviluppo di quella “fluidità di pensiero”, alla base della creatività. Creatività che è forse l’unico contenuto veramente spendibile oggi in Europa, per superare questa insistente crisi economica.

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Puls 5

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Sihlcity

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Birrificio Hurlimann

Quì sotto alcune immagini di Zurigo

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Materiali locale/globale


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La via per Santiago (che ancora attraversa tutta l’Europa) al di là del Gran San Bernardo, si dipana in una serie di paesaggi ameni, che di fatto anticipano, la rigorosa e bellissima antropizzazione vinicola dei bordi del lago Lemano, su cui si affacciano Losanna e Ginevra. Quì, scendendo veloci verso Martigny, avendo a fianco il percorso che fu di migliaia di pellegrini, viene in mente immediatamente un personaggio che del camminare, ne ha fatto oggetto di un interessante racconto.

Per chi come me, ama la montagna, camminare ed il cinema, Werner Herzog, cineasta, scrittore  e documentarista tedesco, è sicuramente una figura di riferimento, un uomo da ammirare. Forse il suo più bel libro, si intitola “Sentieri di gliaccio”, ed è la storia di un viaggio meraviglioso che Herzog ha intrapreso a piedi, nell’inverno dell’ormai lontano 1974, per recarsi da Monaco a Parigi, dove lo aspettava una cara amica malata, Eisner Lotte. Una profonda e vera testimonianza d’affetto, quasi un pellegrinaggio sacrificale, che, secondo il cineasta tedesco, avrebbe dovuto aiutare, contribuire a tenere in vita una persona a lui cara. Strade, colline, boschi, architetture, paesaggi assolati, paesi attraversati da improvvisi temporali e bufere fitte (e magiche) di neve, villaggi deserti (misteriosi) e campi agricoli disabitati: questo è il paesaggio che ci fa percorrere Herzog con il suo libro mentre attua un gesto anticonformistico, dare corpo alla “lentezza”. Il racconto di Herzog ha la capacità di rappresentare in modo antico (ndr – la via Francigena, il sentiero per Santiago, ecc.) ed al contempo nuovo quell’Europa che attraversiamo spesso tutti quanti, in aereo, in treno, in auto. Un’Europa di cui percepiamo solamente, di solito (soprattutto noi italiani), esclusivamente i paesaggi, altamente  urbanizzati, le fabbriche, le autostrade, gli aeroporti, i complessi industriali. Lo scritto di Herzog, invece, ci restituisce raccontandoci il suo viaggio a piedi, un’Europa ancora agricola, naturale, con una dimensione ancora segreta. Un continente, quello europeo, profondamente antropizzato da migliaia di anni, ma che ancora presenta un paesaggio “forte” e “meraviglioso”, proprio in questo (spesso saggio) equilibrio tra sfruttamento umano e natura.

In queste zone, a ridosso del Gran San Bernardo, l’Europa si fa “sentire”, soprattutto proprio in questa sua dimensione,  ancora rurale ed atavica, dandoci la “misura” della sua grandezza storica, del sangue e delle vite umane sacrificate per conquistare questo assetto territoriale meraviglioso.

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Se è vero che il locale è una modalità di concepire il territorio ed il paesaggio  indipendentemente dalla scala di riferimento, di concepire le risorse, la società e il loro governo, è logico quindi sostenere che è di fatto, una “visione del mondo”.

Lo sviluppo delle società locali e quindi del paesaggio locale, rimanda ad un progetto che richiede il superamento del territorio e dell’ambiente come dati, come meri supporti delle attività economiche o come risorsa da consumarsi all’interno dell’idea di crescita illimitata.

Il Paesaggio locale, proprio quì, tra l’Italia, la Svizzera e la Francia, ha di fatto, nel corso del tempo, operato un salto concettuale, in cui si  richiede di considerare il locale come punto di vista che assume l’unicità, lo specifico come valore, la complessità come regola, l’auto organizzazione sociale, economica e paesaggistica, come modalità. Proprio come sostiene Ivano Spano, che scrive (ricerca : Sviluppo di comunità e partecipazione) : “Il territorio assume, quindi, la valenza di ecosistema e di società locale intesa come realtà complessa. Il rapporto tra territorio e processi socio-economici locali non va inteso, quindi, esclusivamente come proiezione spaziale di dinamiche economiche, ma come rapporto tra un insieme complesso di elementi le cui specificità territoriali sono espresse fondamentalmente dalla qualità di interazioni sociali e sistemi di comunicazione, cooperazione e scambio all’interno di concreti ambiti di identificazione culturale”.

E’ quì, dove si confrontano da centinaia di anni, modelli tra loro molto differenti, di intendere l’economia, il sociale e la gestione del territorio, che si percepisce con chiarezza l’importanza delle opzioni locali. Infatti  perchè il globale esista, e sia di qualità, bisogna avere una sommatoria di eccezionalità locali. Ciò vale, ovviamente anche per il paesaggio e l’architettura.

Quì sotto immagini di Losanna

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Quì sotto immagini di Ginevra

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Ritom


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Tra poco all’inverno, si farà strada, come sempre, la primavera. La prima volta che sono stato ai laghi Ritom, in Svizzera, era un maggio inoltrato, di una primavera calda ed assolata. Ecco qui, nella zona del “Rio Tom”, in un paesaggio meraviglioso ed ameno, un vero e proprio giardino paesaggistico d’alta quota, “costruito” d’acque e montagna, si può apprezzare cosa sia l’idea stessa del paesaggio, in cui l’uomo si inserisce, modificandolo in maniera saggia.  Quì, l’uomo, dal 1918,  ha antropizzato un sistema di laghi glaciali, a fini idrici e per produrre  energia, che forse non ha eguali come antropizzazione paesaggistica. Da quì, oltre a poter osservare l’importanza di una gestione idrica ed energetica saggia, in grado di proporre un intero territorio montano come, offerta turistica ed enogastronomica di livello europeo, si può anche osservare dall’alto, la grande arteria autostradale svizzera, definita “La via delle genti” (N2 ora E35).

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“L’autostrada, nei suoi elementi costitutivi  nonché negli oggetti integrativi dovrebbe  essere considerata non come un seguito di  strutture additive ma come un tutto armonico nelle sue espressioni formali: l’autostrada  dunque nel suo complesso, come un’opera  unitaria e, in quanto tale, debitamente inserita nel paesaggio che attraversa.” Chi scrive era Rino Tami, “consulente estetico” dell’Ufficio Strade Nazionali del Cantone Ticino (Svizzera), ruolo che svolse per un ventennio, dal 1963 al 1983.

Tami in un ventennio, meticolosamente affronta ogni aspetto, dell’inserimento nel territorio, nel paesaggio svizzero, del tracciato autostradale nel suo complesso. Ed ogni punto è  risolto attraverso un’attenta lettura del “genius loci” del sito e l’adozione degli accorgimenti più semplici e corretti, in un continuo dialogo tra preesistenze e modernità.

Un’attenzione particolare è riservata alla convinzione che un’autostrada è innanzitutto un’architettura del paesaggio in grado di proporre un nuova lettura della realtà ambientale circostante. Natura ed Artificio, convivono assieme senza distonie, ma ognuna integrandosi con il proprio reciproco.

Fonte primigenia di questa colta visione stilistica, è innanzitutto l’utilizzo di un unico materiale costruttivo, il beton (cemento armato a vista), declinato in maniera innovativa a comporre un linguaggio formale asciutto, direi quasi “spartano” alla ricerca della massima  pulizia possibile.

Il felicissimo risultato, facilmente leggibile dall’alto soprattutto dalla stazione di arrivo della funivia dei laghi Ritom, è un’opera di straordinaria bellezza e coerenza e soprattutto di altissimo valore formale, che contribuisce in misura determinante a caratterizzare, ma soprattutto a “disvelare” un’ampia porzione di territorio, da Chiasso al San Gottardo.

Il linguaggio di Rino Tami, farà scuola, divenendo, una vera e propria cifra stilistica, dell’arte di fare paesaggio in Svizzera, per le grandi infrastrutture. Infatti anche per l’alta velocità ferroviaria svizzera (AlpTransit, in corso di realizzazione) si ritrovano, negli apparati evidenti, la stessa tipologia di ricerca linguistica.

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Degelo & Morger


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“I pasti quotidiani devono essere considerati come delle opere d’arte. La tavola è come una tela dipinta che ci insegna che oggi è una volta sola. L’immagine dipinta svanisce alla fine della giornata, ma il suo ricordo resta scolpito nella mente delle persone che erano sedute al nostro stesso tavolo. E’ qualcosa che i soldi non possono comprare, e che resta proprio in quanto svanisce. Costruire sapendo che scomparirà : come per i mandala di sabbia tibetani”   Banana Yoshimoto – Un viaggio chiamato vita – Feltrinelli 2010

Ecco l’architettura, con dei tempi molto diversi, molto più lunghi, è come un pasto, prima o poi svanisce, si sgretola, sotto il peso del tempo, spesso ci si dimentica immediatamente di chi l’ha progettata, sopravvive ad essa qualche foto, raramente dei disegni. Bisogna progettare e costruire “sapendo che prima o poi ogni cosa sparirà”.  Un giorno tutte le cose di questo nostro mondo, e di questa parte di universo, non ci saranno più, architettura compresa, ed allora forse conviene nella nostra vita accumulare il maggior numero di ricordi possibile.

Il Kunstmuseum Liechtenstein, a Vaduz, è stato costruito dagli architetti Meinrad Morger e Heinrich Degelo, insieme con Christian Kerez. L’edificio del museo è di grande complessità strutturale, ma esibisce un’architettura di grande semplicità e soprattutto discreta. Si tratta di una “scatola” di cemento colorato e pietra di basalto nero, la finitura esterna è stata lucidata in opera. Gli inerti neri mischiati ai ciottoli di fiume, offrono una colorazione studiata per formare un collegamento al paesaggio della valle del Reno. Le lunghe file di finestre aprono la base del cubo, offrendo un’inusuale rapporto tra  l’interno e esterno.

Un cubo di calcestruzzo, lucidato a mano, fino a tirarne fuori la componente ghiaiosa, l’inerte. La natura stessa del materiale, che si esalta, specchiando il paesaggio circostante, e soprattutto quando piove, mostrando tutta la sua bellezza di essere “paesaggio liquido”.

L’interno della “scatola nera” è un cubo perfetto bianco.  Come bianchi sono tutti i muri, mentre i pavimenti sono in listoni di legno. La pianta è libera e consente di realizzare diverse soluzioni espositive.

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Un pomeriggio di contrasti


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 Salendo sul Generoso 

Sole, cielo limpido, visibilità ottima. Dopo una lunga passeggiata mattutina al parco, gita al Monte Generoso. Si parte da Milano alle 13,00 e procedendo in direzione nord per la A9 dei Laghi, verso Como Sud, da qui si continua in direzione del confine italo-svizzero, uscendo dall’autostrada a Como Monte Olimpino. Si attraversa il confine a Chiasso (per evitare di pagare il bollino autostradale), poi si procede, utilizzando la strada cantonale per Lugano, fino a Capolago, dove si esce indirizzandosi per la Stazione ferroviaria. Davanti a questa, si trova la stazioncina della ferrovia a cremagliera per il Monte Generoso.

La ferrovia consente, con un costo di circa 32 euro a persona (andata e ritorno), di passare dai 305 metri di Capolago, ai 1704 della cima del monte, dove, un po’ più in sotto, stà la stazione di arrivo. Se la giornata è limpida, lo spettacolo vale assolutamente gli euro spesi, dato che il Monte Generoso, dalla parte Svizzera, è in totale dominanza della “piatta pianura padana”. Alla stazione di arrivo, inoltre un comodo self service/ristorante/bar, consente, mercè l’utilizzo di un’ampia terrazza, di godere di un maestoso panorama sia verso Milano, sia verso Lugano. Chi vuole darsi ad un comodo alpinismo, in circa 1,5 chilometri, si può risalire di altri 200 metri fino alla vetta, da dove si gode uno spettacolo incommensurabile delle Alpi. Una fattoria nelle vicinanze consente di acquistare latte e formaggini freschi. L’ultima corsa in discesa è alle 17,45 la prima in salita alle 8,45. Il tutto da marzo ad ottobre, qualche volta il collegamento è aperto anche per le festività natalizie. Con l’ultima corsa si ritorna a valle e da lì, presa l’auto, in circa un’oretta si è comodamente a Milano. 

E’ il Monte Generoso, un paesaggio di contrasti, di “magici contrasti”, tra la pianura e la montagna, tra i laghi ed il cielo. E’ soprattutto il luogo della contemplazione di questi contrasti, che magari al nostro arrivo ce li fa apprezzare in un clima caldo e secco, mentre  poco dopo, subentra velocemente vento e neve.

Ma la vita stessa di noi umani, su questo pianeta si fonda sui “contrasti”, in un eterno braccio di ferro tra la luce e la notte, tra la natura e l’artificio, tra la vita e la morte. Alla stessa maniera la democrazia, additata dai più, nel loro intimo, e non certamente dichiarandolo, quale astrazione pura, è invece la capacità fantastica di percepire e “capire” anche i milioni di individui che ci circondano quotidianamente (e di cui non possiamo provare coinvolgimento diretto), sono fatti della nostra stessa materia, carne, come lo sono i nostri amici più cari. Bisogna mettersi nella “pelle degli altri”. Si tratta di sviluppare una giusta misura, una filosofia di sopravvivenza, per praticare la sottile membrana osmotica che divide un opposto dall’altro.

Volendo si può arrivare in cima al Generoso anche a piedi, dalla Svizzera, partendo da Mendrisio e seguendo la strada per il Monte Generoso. Si lascia la macchina alla Stazione di Bellavista e poi a piedi si segue il sentiero, che porta fino alla cima. Dall’Italia   invece la partenza di solito viene effettuata dall’Alpe d’Orimento, raggiungibile con la macchina dal Lago di Como.

Nelle serate estive, la ferrovia, il sabato (solamente il sabato), è operativa anche alle 19,15, e consente di raggiungere la vetta, dove viene servito un pranzo luculliano. Poi verso le 22,00 (se la serata lo consente) un astronomo svizzero, con una specula di notevoli dimensioni, illustra il cielo. Alle 23,15 si parte per rientrare a Capolago. Costo del piccolo viaggio notturno, complessivamente, circa 65 euro a testa. Chilometri percorsi (andata e ritorno) circa 113.

http://www.montegeneroso.ch/it/13/home.aspx

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Beton e Legno a Davos


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Kirchner Museum Davos 1992

Le prese per la corrente degli svizzeri, sono completamente diverse da quelli di ogni altra parte del mondo, e utilizzare un adattatore normale europeo, spingendo e trafficando, spesso non serve a niente, non funziona. Ci vuole l’adattatore svizzero, che è un oggetto assolutamente unico, una particolarità, che, se ce ne fosse bisogno, caratterizza ulteriormente questa esemplare Nazione.

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La prima volta che sono stato a Davos era estate, una di quelle estati calde, che solamente l’alta montagna svizzera riesce a mitigare. Il mio obbiettivo era preciso, visionare lo Sport Zentrum Davos, che gli architetti Gigon & Guyer, avevano appena finito di completare. Quì ho anche potuto anche visitare il Museo Kirchner, sempre realizzato dai due zurighesi, non molto distante dal primo. Vi riporto, quì di seguito, alcune considerazioni, che abbiamo fatto allora con le persone che mi accompagnavano, un ingegnere e tre architetti.

Questi due edifici, costruiti nello stesso decennio, gli anni Novanta del Novecento, di fatto sono la dimostrazione della particolarità svizzera. L’utilizzo del legno e del beton, che caratterizzano la materia con cui sono finiti i due edifici, rappresentano, anche un “marcatore” necessario per caratterizzare la funzione a cui sono destinati . Ma soprattutto, servono, per inserirli al meglio nel paesaggio, a farli implementare nel corpo urbano e nella natura circostante.

Nel caso dello Sport Zentrum, il legno è asservito ad eseguire una “mitigazione”, di un impianto tecnico importante e quindi invasivo, rifacendosi alla grande architettura tradizionale del Canton Grigioni, costruita essenzialmente in legno, in moltissime sue componenti. Nel secondo caso, il Museo Kirchner, invece, la pietra “cotta e liquefatta”, il beton, riprende chiaramente la solidità monumentale delle montagne, che circondano la località sciistica. Quì il Beton  a vista, restituisce anche la necessità di essere, l’edificio, “contenitore sicuro”, “teca preziosa”, per le opere di Ernst Ludwig Kirchner (Aschaffenburg, 6 maggio 1880 – Davos, 15 giugno 1938) che è stato un grande e famoso pittore, scultore, nonchè incisore tedesco.

Ecco che, allora, i due materiali, scelti dai saggi architetti svizzeri Gigon & Guyer, diventano portatori dell’essenza stessa del paesaggio di Davos, facendo diventare i due edifici dei veri e propri Landmark, insostituibili, come lo è il paesaggio che li circonda. Ed il paesaggio svizzero, proprio perchè parte indispensabile della “diversità” di questa nazione, è oggetto di una specifica “concezione e strutturazione”, a cui si dedica un’ente apposito L’UFAM (Ufficio Federale dell’Ambiente).

Si legge nel documento CPS (Concezione Paesaggio Svizzero) : “Il paesaggio svizzero è il risultato dell’azione concomitante di processi naturali, fattori culturali ed economici e della percezione. L’influenza dell’uomo sul paesaggio è quindi duplice: da un lato è il prodotto dei nostri interventi sul territorio e dall’altro è la raffigurazione mentale di come noi lo percepiamo”. Il nostro modo di vivere, intendere e ricordare i paesaggi è strettamente influenzato non solo dai nostri stati d’animo, ma anche dai giudizi di merito dettati dalla nostra cultura. La stretta interazione che esiste tra uomo e natura, quì a Colmar appare quanto mai mediata dall’architettura e dalla materia, anche culturale (ma non solo), di cui l’architettura stessa è fatta.

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Sport Zentrum Davos 1997

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Biblioteca 3D


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“Costruire, significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne restera’ modificato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione che e’ la vita stessa delle citta’. Quanta cura, per escogitare la collocazione esatta d’un ponte e  d’una fontana, per dare a una strada di montagna la curva piu’ economica che e’ al tempo stesso la piu pura!…..Costruire un porto, significa fecondare la bellezza d’un golfo. Fondare biblioteche, e’ come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.” Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano – pagg. 120 e 121 (Einaudi, 1963)

Per chi progetta,  possedere oggi una  biblioteca piena di libri (un granaio) non e’ piu’ sufficiente. Nell’epoca dell’informatica, della societa’ “fluida 2.0”, il lavoro degli architetti e’ profondamente mutato, divenendo preda di soliloqui creativi e di tempi compressi.  Non e’ piu’ l’epoca della china e della carta da lucido, in cui,  in tanti, l’uno vicino all’altro, si collaborava alla stesura ed alla formazione del progetto, condividendolo. Quello che una volta lo si faceva in cinque, oggi lo si esegue da soli. Bisogna tornare a “fare decantare” il progetto, a condividerlo, e per far cio’ ci vuole tempo. Ecco che il viaggio finalizzato (con degli ottimi compagni di viaggio) a trovare delle idee od a verificare quello che si sta facendo, diventa l’occasione per “dare tempo” al progetto, per tornare a “collaborare con la terra e con gli uomini”.

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La Svizzera, che ha sulla banconota da 10 franchi, il volto di Le Corbusier, e’ una sommatoria di luoghi, di edifici e di paesaggi, facilmente raggiungibili in giornata, da Milano,  in cui, nel bene o nel male, e’ possibile visionare, studiare e soprattutto apprezzare con tutti e cinque i sensi l’architettura moderna e contemporanea dei grandi architetti. Perchè quì, come in un granaio, si continuano ad ammassare opere di grande architettura : “…..ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.

La nazione Svizzera, e’ la nostra biblioteca in tre dimensioni, una biblioteca fatta di edifici. Una biblioteca democratica, sempre aperta, disponibile per tutti. Finchè ci sarà energia e risorse, noi ci andremo, quando avremo bisogno di consultare qualcosa, o di fare “decantare” il tempo. Perchè il viaggio, è sempre parte di un buon progetto.

“L’universo (che altri chiamano la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, circondati da ringhiere bassissime. Da qualunque esagono, si vedono i piani inferiori e superiori: interminabilmente. La distribuzione delle gallerie e’ invariabile…… Quando venne proclamato che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima sensazione fu di stragrande felicita’. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto. Non c’era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse in qualche esagono. L’universo era giustificato….” Jorge Luis Borges – Finzioni – pagg. 67 e 71 (Adelphi, 2003)

Quì sotto immagini della Biblioteca dell’Università di Lugano  – Architetti : Michele e Giorgio Tognola (1999)

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