Leggevo stamattina l’articolo/intervista di Silvia Bizio all’attore americano Brad Pitt, pubblicato sul supplemento di “Repubblica” denominato “D” (n° 762 dell’8 ottobre 2011). L’attore ad un certo punto dell’intervista dichiara di avere una grande passione, l’architettura. Tanto che : “ Ho collaborato con un’organizzazione no profit nel realizzare (a New Orleans) una serie di case a basso costo, ma comode e pratiche, disegnate pensando a consumi contenuti, con pannelli solari, materiali isolanti speciali (altamente prestanti) e rialzate su palafitte, nel caso la città dovesse subire di nuovo un’alluvione”. Ecco mi sono detto, un altro, Brad Pitt, che senza avere un minimo di “retroterra” culturale sulla disciplina, si mette a dire la sua, a suon di soldini dati in beneficenza, su cosa deve o non deve essere fatto (ed anche come). L’architettura, quale disciplina, è evidente in questi anni, si è sempre più allontanata dall’essere una”Croce Rossa”, su cui nessuno spara, per diventare un ambito di vero e proprio “tiro al bersaglio” da parte di chiunque. Dalle lettrici di Casaviva  (piuttosto che di improbabili riviste inglesi di cottages), ringalluzzite, da visioni architettoniche “demenziali”, agli attori che si “comprano” la loro visione del Mondo, tutti pretendono di “modificare” lo spazio, il paesaggio, come più gli aggrada, senza nessun criterio e con inputs disciplinari minimi. Magari assoldando qualche “laureato” o “neo-laureato” per “seviziarlo” adeguatamente, affinché gli venga imposto il loro volere architettonico. Rimangono emblematiche,  le “folli” elucubrazioni architettoniche di Silvio Berlusconi, poco dopo la sua discesa in campo, all’inizio degli anni novanta, dove bellamente dichiarava, in un libello inviato ad ogni famiglia italiana, di essere stato un “seguace”, all’epoca della realizzazione di Milano 2 (che sosteneva avere progettato e coordinato insieme ai “suoi architetti”) dell’architettura decostruttivista russa e dell’urbanistica del movimento moderno.

Ma purtroppo, oltre a queste “amenità”, la realtà dell’architettura, e soprattutto di quella italiana, oggi è un’altra, ed oltre ad essere una disciplina vessata da ogni forma di contaminazione (artisti che fanno gli architetti, geometri che si danno all’urbanistica, ecc.), ciò che è più evidente, è la “massa abnorne” di architetti che sfornano le università, al di là della capacità del mercato di assorbire tale tipo di laureato, data una crisi del settore edilizio ed immobiliare che ormai si protrae dal 2006. Un po’ di “italici” dati :  2,4 architetti ogni 1.000 abitanti, con 144.824 architetti iscritti agli ordini professionali (raddoppiati dal 1998, quando se ne contavano 72.764). La Germania, seconda per numero (100.500) si ferma a quota 1,23, mentre la Spagna, terza con i suoi 50.000, si attesta su 1,09. Vuol dire che in Italia un architetto libero professionista, iscritto all’ordine, ha un parco clientela “teorico” di 416 possibili clienti.

I numeri della crisi sono evidenti e così riassumibili al 2011 : -22% per gli investimenti in costruzioni (rispetto al picco del 2006), -35% in nuova edilizia (rispetto al 2006), -8% in rinnovo edilizio (rispetto al 2006), -43% in nuove costruzioni residenziali (rispetto al 2006), -28% per le compravendite di abitazioni (rispetto al 2006), -17% per i prezzi delle case (rispetto al 2006).

L’incapacità cronica degli architetti nostrani, di proiettarsi sui mercati internazionali e soprattutto di fare “sistema”, creando realtà professionali di grandi dimensioni e pluridisciplinari, di fatto stà facendo sparire questa professione, dove i neo-laureati si vedono costretti ad iniziare a  lavorare, come liberi professionisti (presso studi professionali), o gratuitamente, oppure per cifre attorno ai 300/400 euro; e questo dura per i primi 1 o 2 anni, Una professione, dove vieni ritenuto “giovane” a cinquant’anni, perché è a quell’età che magari incominci a costruire qualcosa, magari per i parenti o gli amici di questi;  dove la meritocrazia non serve “assolutamente a nulla”, mentre impera la “clientela forzata”.

Secondo le ultime rilevazioni Istat, che risalgono a marzo 2010, il 95,1% dei laureati del Politecnico di Milano a tre anni dalla conclusione degli studi ha un’occupazione, il più delle volte coerente con il titolo di studio: più precisamente il 97,4% gli architetti e il 93,1% degli ingegneri, nessuno si chiede “a che prezzo”, con quale stipendio. Di solito un neo laureato, o lavora gratis, come già scritto, oppure per cifre ridicole almeno sino ai 30/33 anni, poi o trova un’occupazione più seria per 1.000/1.200 euro al mese lordi a fattura, oppure viene “espulso” dal mercato del lavoro, perché ritenuto vecchio. Comunque cifre, con cui, a Milano ed in tutta l’Area Metropolitana è assolutamente impossibile “campare”, se non appoggiandosi al “sistema familiare”. Forse sarebbe meglio finalizzare queste energie e dare maggiore qualità all’insegnamento di questa disciplina, ed alla professione, restituendo un quadro veritiero di quello che stà succedendo in Italia, piuttosto che alimentare, in maniera illusoria, la persecuzione ostinata della quantità degli iscritti, sia alle Facoltà di architettura che agli Ordini Professionali.

Ci stanno rubando il futuro, e soprattutto stanno rubando il futuro dell’architettura !

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