Si deve allo studio ABDR – http://www.abdr.it/site2010/ – (capogruppo Paolo Desideri) la realizzazione della nuova Stazione Ferroviaria di Tiburtina, intitolata a Camillo Benso Conte di Cavour. Un enorme edificio/ponte che intercetta trasversalmente il piano dei binari, creando, in quota (+ 9,00 metri dal piano dei binari) una “ponte abitato”, una “megastruttura” di 300 metri, larga 60 metri, in grado di collegare i due quartieri di Pietralata e Nomentano (una volta divisi dai binari). In totale 48.500 mq di superficie lorda di pavimento (negozi, bar, spazi museali, sale convegni, ecc.), frutto di un concorso internazionale del 2001. I lavori sono iniziati nel 2007, e sono quasi conclusi, la stazione però è operativa dal 2011. Costo complessivo dell’opera oltre 330 milioni di euro, dei 160 iniziali previsti. Passeggeri ipotizzati 150.000/200.000 al giorno, venti i binari.  Tanto metallo e vetro nei rivestimenti esterni, lastre di copertura in silicio carbonato colore  rosso e lamiere microforate in rame verde. Interni  di una ricchezza di finiture, molto alta, forse inadatte a creare un “luogo”.

Viene logico chiedersi come si è evoluto il ruolo delle “megastrutture”, come la Stazione Tiburtina, a partire dagli anni sessanta, in cui furono teorizzate da Banham, Maki, Tange e soci. Le megastrutture teorizzate  allora, regolavano la vita collettiva e la crescita della città in una realtà di massa, nascente, e rispondevano all’esigenza di costruire per numeri alti, in contesti urbani ad alta densità.
Le megastrutture sono state una risposta alla crisi della città dovuta al boom economico e demografico di quegli anni, ma sono anche l’evoluzione dell’ideale di “total architecture” del movimento moderno. Non a caso molte hanno un’impostazione “pop”, proprio per stemperare quella loro caratteristica, troppo spesso tecnicistica ed asettica. La megastruttura infatti, prende forma da una concezione totalizzante della progettazione architettonica e urbanistica, e rappresenta infine anche, un estremo tentativo di racchiudere in una forma architettonica la complessità della città, le sue continue e profondi mutazioni.

Quì a Roma, con la Stazione Tiburtina, Paolo Desideri, cita il Ponte Vecchio di Firenze, come se fosse possibile re-inventare un ponte-abitato di quella fattura. In realtà ci troviamo di fronte all’ennesimo “vuoto urbano”, ad uno “scatolone megastrutturale” che difficilmente potrà trovare una sua collocazione all’interno del contesto urbano. Gli spazi commerciali, infatti hanno difficoltà a trovare affittuari, le sale convegni languono. Gli ambienti, soverchiati da percorsi lunghi ed infiniti non troveranno mai una loro vitalità sociale. Forse sarebbe stato più “realista” e credibile metterci sopra ai binari, per unire quartieri popolari, un bel ipermercato, con un multisala cinematografico annesso (unica megastruttura che insieme agli hub aeroportuali funzioni), come sono in uso fare in Inghilterra, patria delle megastrutture, dopo decenni di catastrofici fallimenti in merito. Oppure forse, si doveva pensare a qualcosa di meno elegante, più calato nel contesto italiano, e di una realtà, anche economica, in decrescita, più che in crescita……..anche nei numeri dei Cittadini viaggianti in treno.

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