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Builders of the future

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Arte

Hektor


Modificare il paesaggio, in questo caso quello urbano, inciderlo in maniera “morbida” ed al contempo “violenta”, affinchè, le tracce “fragili” della vernice,  possano diventare pesanti come pietre, come cemento. Ecco a volte, il disegno paesaggistico, può essere stravolto, da un lavoro “abusivo”, bidimensionale, ma al contempo rivoluzionario, che ci consente di avere dei luoghi, una nuova lettura. Ne nasce un “nuovo paesaggio”, provvisorio, che però ci offre gratuitamente attimi “fissi” di quegli infiniti “possibili” a cui è inevitabilmente destinato il paesaggio antropizzato. E’ come se per un istante il tempo si fermasse, a sancire un solo fotogramma di un dinamismo inarrestabile, che è il paesaggio che passa e si modifica, continuamente, davanti ai nostri occhi di “mortali” spettatori .

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Corpo, ambiente ed architettura


Che relazione crea il corpo con l’ambiente in cui insiste,  esso interagisce, continuamente, con lo spazio, con l’architettura d’interni, ma anche con il paesaggio, con la natura. Mi è venuto in mente questo “legame”, mentre leggevo un articolo su questa relazione tra corpo e spazio, in un blog americano.  Noi oggi non ci facciamo più caso, siamo attenti solamente alla temperatura, alla luce, “imballati” come siamo da vestiti, pareti, auto, edifici, città,  ma esiste una sottile rete di interrelazioni, molto più complesse tra corpo ed ambiente. Il nostro corpo è il prodotto “selezionato” delle condizioni “spaziali ed ambientali” di questo pianeta : gravità, radiazione di fondo, movimenti degli astri, ecc.. Ed è quì, sulla Terra, indissolubilmente confinato (il corpo), si può solo cercare di ricreare altrove condizioni ambientali simili affinchè il nostro corpo possa sopravvivere. Eppure agiamo come se la Terra, il Sistema Solare, l’Universo, lo spazio, fosse nostro, ma la verità è che noi siamo della Terra e della sua “condizione spaziale” e non viceversa. E’ un sistema di relazioni, delle liaison, difficili da descrivere, da spiegare con le parole; quasi indescrivibile. Mi sembra che l’unica disciplina che possa avvicinarsi a ciò, è la danza, ed in particolare la coreografia, che è molto espressiva proprio di questa “relazione intima”. Ad esempio, mi sembra assolutamente emblematica di questa liasion, l’interpretazione del gruppo del Ballet Preljocaj (http://www.preljocaj.org/ ) di “La Sagra della Primavera” di Igor Stravinskij, coreografia di Angelin Preljocaj del 2000 .

Nel filmato che trovate qui sotto, di questo innovativo balletto contemporaneo, il giovane “corpo”, che si appresta ad  essere sacrificato è spinto e cade su un piccolo pezzo di terreno (una scheggia di paesaggio) e viene contenuto, dalla folla Pagana che lo circonda. Mi sembra emblematica, soprattutto la parte terza (3/3), dove, il giovane corpo, viene come oppresso e violentato dal terreno. Il corpo nudo, ovviamente crea una forte tensione erotica, ma alla fine ciò diventa normale, ed è più importante il fatto  che esso viene mostrato in tutta la sua fragilità, proprio nelle relazioni che instaura con l’ambiente, con lo spazio in cui è confinato. I numerosi contatti con la terra (Natura) creano delle relazioni, influenzano l’azione ed i comportamenti del corpo. Poi il corpo si abitua e cerca di esercitare, lentamente, il proprio controllo sull’ambiente spaziale in cui è confinato. E’ un po’ la rappresentazione , non descrivibile a parole, della storia del nostro corpo e “dell’intimità” che avviene, quando esso si relaziona con lo spazio circostante.

Una buona architettura, uno spazio progettato correttamente, un paesaggio “saggio”, devono tenere conto di queste relazioni, di queste liasion, di questi che anche possono essere dei “contrasti”, a volte violenti.

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La Piazza Rossa (San Gallo)


Piazza Raiffeisen a Sankt Gallen 

La Piazza,  realizzata da Pipilotti Rist, artista e Carlos Martinez architetto, tra il 2003 ed il 2005, a San Gallo, costo 3,9 milioni di franchi svizzeri, è rossa. E’ di un rosso intenso dovuto alla pavimentazione ed agli arredi, rivestiti in un’unico materiale gommoso (da riciclo di gomma usata), di fatto si tratta di una grande “stanza urbana”, direbbe qualcuno di mia conoscenza, ma in realtà è una nuova dimensione spaziale, dove l’esterno, illuminato ed insonorizzato con la cura che solamente un’artista di fama internazionale, sà azzardare, diventa un’esperienza sensoriale, sensuale ed unica. L’acqua, della fontana, sgocciola su una superficie elastica, mentre voi vi sedete su panchine molli e gommose, che sono un tutt’uno con la pavimentazione ed anche con la fontana. I corpi illuminanti sono invece “sfere volanti”, in vetroresina,  sospese con cavi tra gli edifici. Anche la segnaletica “trasgredisce” alle normali e ferree regole svizzere, per diventare un effetto grafico che impreziosice, anzichè disturbare.

Pipilotti è magica, riesce sempre a trasformare lo spazio in un grande organismo vivente, mescolando cinema e televisione, allucinazioni e immagini ad alta definizione, musica. Ecco un esempio di come arte ed architettura, riescono a fondersi per produrre qualcosa di “confine” che fa del bene ad ambedue le discipline.

Riporto quì di seguito dal quotidiano “City” di oggi 9 novembre 2011 : ” Un lampadario fatto di mutande femminili. Un elettrodomestico che spara a raffica bolle di sapone. Apre oggi al pubblico milanese “Parasimpatico”, la prima importante mostra italiana dell’artista Pipilotti Rist, organizzata dalla Fondazione Nicola Trussardi e allestita al Cinema Manzoni (in via Manzoni 40). La sala, chiusa dal 2006, ha riaperto appositamente per ospitare la personale di questa eclettica performer svizzera: 49 anni, la Rist può vantare la partecipazione a ben cinque Biennali di Venezia (oltre che a quelle di Sidney, Istanbul, Mosca, Shanghai, Berlino, Lione e San Paolo) ed esposizioni al Moma di New York, al Centre Pompidou di Parigi, alla Fondazione Joan Mirò di Barcellona. A Milano la Rist – Pipilotti è la fusione del suo nome di battesimo, Charlotte, con quello di Pippi Calzelunghe, personaggio da lei amato durante l’infanzia – trasforma le sale del Manzoni in un continuum di opere e video-installazioni. Sullo schermo principale si vedrà l’artista mentre preme il viso contro una finestra, deformandolo. Fino al 18 dicembre, aperta tutti i giorni dalle 11 alle 21, ingresso libero.”

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Illuminazioni


“L’arte è un’esperienza unica ed illuminante”, da qui il termine “Illuminazioni”, che caratterizza la 54 esima Esposizione Internazionale d’Arte, voluto dalla svizzera Bice Curiger, curatrice per questa mostra d’arte contemporanea biennale.

http://www.labiennale.org/it/arte/index.html

La cosa che appare più evidente nel percorrere, sia i padiglioni dei Giardini, che l’Arsenale, è che la Biennale stà progressivamente dilatandosi, esondando, nella città di Venezia. La mappa di “Illuminazioni” è emblematica in tal senso, centinaia sono gli appuntamenti sparsi un po’ovunque. Inoltre la “massa” di opere, obbliga gli “avventori” ad un vero e proprio “tour de force” fisico e psichico, ormai per apprezzare con un minimo di serietà l’esposizione, è necessario almeno un fine settimana.

Un altro tema che con questa 54 esima mostra, sembra ormai emergere in maniera definitiva, è il limite ormai fragilissimo che separa le varie discipline dell’arte contemporanea : pittura, scultura, fotografia, teatro, cinema, ecc.. L’arte contemporanea ormai vive esclusivamente di contaminazioni, di ibridazioni, e questa constatazione è ormai un fatto irreversibile. Soprattutto la scultura ha stabilito, ormai da anni una liaison dangerous “stabile” con l’architettura. E questa 54 esima Biennale d’arte, sembra sancire questo patto indissolubile. Mi viene in mente, quella bellissima e stupefacente mostra tenutasi al Museo Beyeler di Basilea, qualche anno fa (tra il 2004ed il 2005), dal titolo “Archisculpture”; lì si declinava, in senso storico, questa continua e perniciosa relazione tra architettura e scultura. In quella “illuminante” mostra sembrava ancora possibile un apporto disciplinare separato, di reciproco arricchimento. Invece qui a Venezia, oggi, gli architetti fanno gli scultori, come gli scultori fanno gli architetti, senza nessuna differenza, a volte persino ignorandosi l’un, l’altro. E’ questo un fatto gravissimo, che nel tempo, impoverirà necessariamente ambedue le discipline.

Scrive Bice Curiger: ” Si è cercato di stabilire (ndr. nella mostra) un ritmo, come nella poesia; ma anche di creare incontri inaspettati tra opere e artisti provenienti da orizzonti culturali diversi e che lavorano secondo criteri differenti. Siamo infatti convinti che il mondo dell’arte non è solo una colonia di individui che agiscono soli : è soprattutto una comunità d’intenti”.

Tantissimi giovani a questa 54 esima Biennale arte di Venezia. Moltissimi visitatori stranieri, anche in una giornata feriale in mezzo alla settimana, come quando ci sono andato io. Sarà aperta fino al 27 novembre 2011. Assolutamente da non mancare.

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Come siamo


Andrea Zanzotto – Così siamo – : «E così sia: ma io / credo con altrettanta / forza in tutto il mio nulla, / perciò non ti ho perduto / o, più ti perdo e più ti perdi, / più mi sei simile, più m’avvicini».

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Il ritorno della ragione


MAN RAY

MARCEL DUCHAMP

FERNAND LEGER

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Ping – Pong


SURASI KUSOLWONG (Ayutthaya, Tailandia, 1965) vive e lavora a Bangkok. All’Hangar Bicocca di Milano la sua mostra criptica ed al contempo accattivante, si occupa di PING-PONG…….. ed anche di POLITICA. Lo testimonia l’ultima immagine emblematica di questo articolo, che suona un pò come un ammonimento, a cui noi italiani dovremmo prestare particolare attenzione!

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Il Plastinatore


Lo sapevate che i corpi possono conservarsi intatti e inalterati tramite un processo chiamato “plastinazione”.

Gunther von Hagens ha utilizzato questo procedimento, da lui inventato, su corpi umani e ora lo adopera per organizzare delle mostre, dove mette in evidenza la caducità del corpo umano, che dopo la morte viene trattato come un rifiuto speciale” da nascondere, da celare.

Gunther von Hagens (nato nel 1945) è  un anatomopatologo tedesco, inventore della plastinazione, un procedimento che permette la conservazione dei corpi umani tramite la sostituzione dei liquidi con dei polimeri di silicone. Questa tecnica rende i reperti organici rigidi ed inodori, mantenendo inalterati i colori.
La plastinazione è un procedimento che permette la conservazione per dei corpi umani tramite la sostituzione dei liquidi con dei polimeri di silicone. Questa tecnica rende i reperti organici rigidi ed inodori, mantenendo inalterati i colori.
Von Hagens espone i corpi plastinati, in pose che riprendono celebri opere d’arte, nelle mostre intitolate Körperwelten (in inglese Body World), in cui, di fatto rende immortali i corpi , sottraendoli al loro destino di rifiuto.
Il procedimento è complesso e molto lungo temporalmente :
1. Imbalsamazione e dissezione anatomica: Il primo passo del processo consiste nel bloccare i processi degenerativi pompando formalina nel corpo attraverso le arterie. La formalina uccide i batteri e blocca il decadimento tissutale. Usando strumenti da dissezione vengono preparate le strutture anatomiche rimuovendo la pelle, il tessuto connettivo ed il tessuto adiposo.
2. Rimozione dal corpo di grasso e acqua: L’acqua ed i grassi solubili del corpo sono sciolti immergendo il cadavere in un bagno di acetone.
3. Impregnazione a forza: Questo secondo processo di scambio è il passaggio centrale della plastinazione. Durante l’impregnazione a forza del silicone (o un altro polimero analogo) rimpiazza l’acetone. Queste operazioni vengono svolte in contenitori sigillati ed il silicone viene inserito in questi contenitori in pressione in modo da penetrare in ogni cellula.
4. Posizionamento: Il corpo viene posizionato nella posizione desiderata ed ogni struttura anatomica è fissata con l’aiuto di spaghi, aghi e molette.
5. Solidificazione: Il passaggio finale è la solidificazione e il tempo ed il modo dipendono dal polimero usato. Certi polimeri solidificano per esposizione a gas, altri per esposizione a radiazioni UV ed altri ancora per esposizione a fonti di calore.

Il processo di plastinazione richiede in genere 1500 ore di lavoro ed un anno per essere completato. Le persone, ancora in vita (o a volte i parenti, post mortem), cedono il loro corpo all’artista, con la certezza di “durare” per sempre!

Fondamenta degli incurabili


Emilio Vedova mentre dipingeva uno dei suoi quadri

Sabato, 26 febbraio 2011, ore 17,22. Venezia, Ponte agli Incurabili. Tramonto.

Ho appena visitato la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, che ha sede alle Zattere, Dorsoduro 42, negli ex Magazzini del Sale. Uno spazio antico, una volta produttivo, vicino al deposito dove viene conservato il Bucintoro. Tale spazio espositivo, dove vengono conservati alcuni dipinti di Emilio Vedova (1919-2006) uno dei più grandi pittori italiani di Arte Moderna Informale, è stato realizzato su progetto dell’architetto Renzo Piano, ed è dotato delle più moderne tecnologie per la conservazione e la fruibilità delle opere d’arte. La Fondazione Vedova ha anche spazi aperti ai lavori degli artisti di tutto il mondo, soprattutto giovani, che vogliono confrontarsi in maniera dialettica con le opere di Vedova. I quadri, tutti di grandi dimensioni, dal loro deposito, vengono condotti più volte al giorno, da un macchinario robotizzato (posto sul soffitto), nella loro collocazione espositiva, con programmi di disposizione, sempre diversi. Lo spazio è stretto e lungo, molto alto, le pareti sono in mattoni a vista, antichi, il pavimento è in legno naturale, ad assi, inclinato verso l’unica porta di ingresso ed uscita. Vedova lavorava sull’azione, sul fare, gettando, agendo sulle tele bianche, con i colori. La sua strategia era soprattutto linguistica, semplice, comunicare, informare in maniera chiara alla società, ai suoi interlocutori le sue poche tematiche, il suo impegno di approfondimento costante su di esse : pittura, spazio, tempo, storia, futuro. Per comunicare, ma anche soprattutto, per condividere.

Fondazione Vedova

Come ho scritto all’inizio, sto camminando lungo le Fondamenta del Canale della Giudecca, nella luce dorata, di un tramonto che avviene dopo una giornata calda e serena. Tutto sembra magico e sospeso, come se il tempo, per un attimo avesse rallentato cercando di fermarsi. E’ il primo fine settimana di Carnevale, a Venezia le folle mascherate invadono gioiose la città, ma io, guidato da una provvidenziale “App Mappe” dell’IPad, e dai ricordi, ho guidato i miei 5 accompagnatori in luoghi molto lontani dai percorsi turistici, dove Venezia appare ancora per quella che è, una città bellissima, un labirinto di viuzze, calli e campi, disabitata e morente, fatta di gente anziana (tanta) e giovani (pochi). Una città che, proprio come nel percorso artistico di Emilio Vedova, è riuscita a ragionare su sé stessa a conciliare il proprio spazio urbano, il proprio tempo costruito intorno all’acqua, con la propria antica storia, per costruire un futuro solido, che oggi si sta concretizzando proprio in “contaminazioni”, come è la Fondazione Vedova, dove opzioni tematiche tra loro molto distanti coesistono meravigliosamente.

Mentre cammino seguendo idealmente i percorsi veneziani di Iosif Brodskij, che tanto amo come scrittore, così ben descritti nel libro – Fondamenta degli Incurabili – (Adelphi, 1989), mi si prospetta di nuovo il tema della comunicazione, della capacità, tramite essa di operare sintesi da condividere con gli altri. Scrive Brodskij, a chiusura  del libro che ho appena citato : “ Acqua è uguale a tempo, e l’acqua offre alla bellezza il suo doppio. Noi,  fatti in parte d’acqua, serviamo la bellezza allo stesso modo. Toccando l’acqua, questa città (Venezia) migliora l’aspetto del tempo, abbellisce il futuro. Ecco la funzione di questa città nell’universo. Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento. La lacrima ne è la dimostrazione. Perché noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentre la bellezza è l’eterno presente. La lacrima è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore : la bellezza all’uomo. Lo stesso vale per l’amore, perché anche l’amore è superiore, anch’esso è più grande di chi ama.”

Una maniera di descrivere Venezia (l’acqua, la staticità della città) e fare allo stesso tempo considerazioni  (la bellezza urbana, il futuro, l’amore). Brodskij, il poeta, ci trasmette l’essenza stessa della città di Venezia, ce la descrive sintetizzandola. Informare, comunicare, condividere, vuol dire, certamente non essere all’altezza di un premio Nobel, perché è impossibile, ma comunque provare a suscitare interesse in maniera curiosa, intelligente, colta, ma soprattutto chiara e condivisibile, mettendo amore e qualità in ciò che si fa.  E’ molto diverso dal pretendere di informare e comunicare tanto, forse troppo, generando molto rumore per nulla. Vuol dire soprattutto informare e comunicare il minimo necessario (lavorando perché questo avvenga), in maniera chiara e semplice, facendo in modo che il messaggio raggiunga tutti indifferentemente. Ecco io chiedo a coloro che oggi lavorano nel campo dell’informazione e della comunicazione, infestato di messaggi e strumenti di comunicazione (giornali, televisioni, internet, ecc.) che generano solamente una grande distrazione di massa, dove il cinismo, il sensazionalismo, l’audience, hanno preso il sopravvento, e tutti dichiarano che tutto è possibile, per poi fare esattamente l’opposto e contraddirsi, chiedo a costoro che lavorino per costruire qualcosa di più semplice, e credibile per tutti.

Bisogna “ritrovare un percorso alternativo”, non seguire quello della massa. Sottrarsi  a quel “pensiero unico” che pretende di appiattire tutto come se fosse uno schiacciasassi. Non bisogna pensare di essere “Incurabili”, persi in un mondo ostile e non modificabile, accontentandosi di contare delle quantità su degli istogrammi o i picchi delle curve cartesiane. Si deve agire sulla crescente insofferenza nei confronti della comunicazione mass-mediatica, per costruire una informazione ed una comunicazione con contenuti di qualità, limpida come l’acqua, credibile, che abbia una sua bellezza ed un suo fascino e soprattutto sia condivisibile nella maniera più ampia possibile. Ecco io credo che ci si debba porre questo come obbiettivo quando ci si occupa dell’informazione, e della comunicazione, utilizzando i mezzi oggi a disposizione in maniera gioiosa, creativa, innovativa, proprio come facevano Emilio Vedova e Iosif Brodskij.  Impossible? Impossible is nothing!

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