Villa Reale, in via Palestro a Milano, sede della Galleria di Arte Moderna(immagine tratta da Google Earth)
La Villa Reale di Milano, già Villa Belgioioso o Villa Belgiojoso Bonaparte, è una villa costruita tra il 1790 e il 1796 a Milano dall’architetto Leopoldo Pollack, su commissione del conte Ludovico Barbariano di Belgiojoso.
Nipote acquisito dell’abile finanziere belga Adolphe Stoclet, Robert Mallet-Stevens (1886 – 1945), trascorrerà molti soggiorni a Bruxelles nella casa dello zio, il Palais Stoclet, progettato dall’architetto Josef Hoffman (e decorato da Gustav Klimt), figura di spicco della Secessione viennese (https://bit.ly/3nhYEp3) . Una “opera d’arte totale” che condizionerà la formazione giovane architetto Robert.
Al Salon d’Automne del 1912, dove espose i suoi primi progetti (soprattutto arredamenti), ebbe modo di conoscere P. Chareau e altri artisti, animati dallo stesso intento di rinnovamento che porterà alla costituzione nel 1929 dell’Union des Artistes Modernes.
Dopo essersi arruolato nell’aviazione durante la prima guerra mondiale, Robert Mallet-Stevens ha progettato vetrine e negozi per l’industria e il commercio e ha creato numerosi set cinematografici. Nel 1925 progetta diversi padiglioni e allestimenti per l’Esposizione delle Arti Decorative di Parigi (https://bit.ly/3AFyyiQ), che si distinguono per la loro modernità. Le linee pulite, geometriche, vengono liberate dagli ornamenti, dai decori, la luce viene trattata come materia, allo stesso modo di quelle frutto del progresso tecnologico (ferro, vetro, cemento).
Nel 1924, Robert incontra a Parigi il banchiere Daniel Dreyfus, che desidera realizzare un’operazione immobiliare per costruire un complesso residenziale su un terreno di 3.827 metri quadrati di sua proprietà nel 16° arrondissement, a pochi metri dalla sua residenza privata, situata in rue de l’Assomption.
SOPRA –Immagine tratta da Google Earth
SOPRA – Disegno a mano libera, del lotto, tratto da una planimetria presente sul posto (Dario Sironi, 2007)
Mallet-Stevens progetta quindi un insieme totalmente omogeneo, senza negozi e lontano dal rumore, interamente dedicato all’abitazione e alla calma. Dove possano insediarsi artisti, ricchi borghesi, intellettuali (https://bit.ly/44fraIB). Tutto è pensato dall’architetto, dall’arredo urbano alla decorazione d’interni, riprendendo il concetto di arte totale del Palais Stoclet.
Un complesso residenziale “lavorato” all’interno di un lotto. Un intervento di micro-urbanistica raffinato e coerente con i dettami del nascente Movimento Moderno. (https://www.villegiardini.it/robert-mallet-stevens/)
Vicino a Rue Mallet-Stevens, le Corbusier realizzò, qualche anno prima, nel 1924, la “doppia” villetta Maison La Roche – Jeanneret (8/10 Piazza du Docteur Blanche 75016 Paris); LC costruirà la “sua macchina da abitare”, in maniera ascetica e pauperistica, infischiandosene d’intrattenere un dialogo con il passato. Diverso è il caso di Mallet – Stevens, che con raffinata pazienza instaura un dialogo sapiente con la storia dell’architettura: fatto di dettagli, materiali e forme.
Purtroppo, negli anni Sessanta del Novecento, il complesso realizzato nel 1927, viene manomesso in molte parti (interni, arredo urbano, ecc.), e sopraelevato di 3 piani. Nonostante ciò il complesso consente ancora oggi di apprezzare la maestria e l’abilità architettonica dell’architetto franco-belga.
Dal 1930 Mallet – Stevens fu nel comitato direttivo de L’architecture d’aujourd’hui, la principale rivista d’architettura pubblicata in Francia.
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Visitare il Messner Mountain Museum, all’ingresso della Val Senales, vuol dire abbandonarsi alle atmosfere che il luogo e le varie “stanze” del castello, restituiscono al visitatore. Stanze tutte arredate con i reperti dei viaggi del grande esploratore, collocati con sapienza e maestria per “comunicare”. Vuol dire fare un’immersione nel paesaggio, nel tempo e nello spazio. Al visitatore meno accorto, che si perde nelle illustrazioni dei singoli oggetti, viene restituito un progetto didattico che istruisce sui paesaggi, reali, fantastici, sognati….Un viaggio fantastico che inizia su un piccolo autobus, che da Naturno, porta in pochi minuti, grazie ad una “mitica” guidatrice scavezzacollo, all’ingresso di Castel Juval.
Un non- museo quindi, ma una bellissima abitazione/teatro/laboratorio in cui rappresentare la vita di un luogo e di un uomo – https://bit.ly/3nXEgtn . Di una famiglia – https://bit.ly/3ZOmPsx . Una grande architettura di paesaggio (fisico e mentale) che suscita empatia. Assolutamente da non perdere – https://bit.ly/3UpVqvY
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Prima di costruire la cappella sulla collina di Ronchamp, Le Corbusier si preoccupò di fare un luogo di residenza per gli operai del cantiere, che doveva durare alcuni anni. Viene così costruito, in calcestruzzo armato e in pietre, invece del legno e della terra compattata, inizialmente previsti dall’architetto, un piccolo edificio in linea. Dopo l’inaugurazione della cappella, i pellegrini, hanno potuto usufruire di questo austero, ma rlegante riparo.
L’edificio, che si sviluppa prevalentemente in lunghezza ed è orientato verso Sud-Est, è organizzato in maniera magistrale, ed austera, da LC. Due grandi dormitori con letti a castello, dei bagni e un grande refettorio con una cucina costituiscono la pianta della casa. Un piccolo appartamento, ubicato sulla facciata Ovest, è destinato al gestore che accoglie i visitatori.
Oggi, questo edificio è visitabile ma non ci si può più dormire, per ragioni di mancanza delle normative vigenti in Francia per quanto concerne l’ospitalità.
All’interno è cambiato poco o nulla, dall’epoca della costruzione.
I mobili sono gli stessi disegnati apposta da Le Corbusier. Il loro peso, essendo in legno massiccio, doveva probabilmente premunirli dal furto, infatti i piedi d’acciaio sono riempiti di calcestruzzo. I colori, sono accesi, e sono stati scelti appositamente dall’architetto; ciò vale sia all’interno che all’esterno. Le Corbusier all’interno, colloca anche grandi riproduzioni fotografiche di affreschi medievali, una specie di omaggio all’attività del pellegrino, nata proprio nel Medioevo.
Proprio lì vicino si trova anche, con le stesse fatture architettoniche, la Casa del Cappellano, e la piramide per osservare la Cappella, sempre coeva.
Tutti le strutture sono state realizzate tra il 1950 (inizio progettazione) ed il 1955 (fine lavori).
SOPRA –Casa del pellegrino
SOPRA – Immagine tratta da Google Earthdella collina di Ronchamp
SOPRA E SOTTO – Casa del Cappellano
SOTTO – Alcune immagini della Cappella di Ronchamp
SOTTO – La piramide per osservare la Cappella ed il paesaggio
L’edificio, costruito tra il 1923 e 1925, su progetto di Le Corbusier e di suo cugino Pierre Jeanneret (https://bit.ly/3ZbPtmO), costituisce un “meccanismo architettonico” particolare, in perfetto stile Purista (https://bit.ly/3n4SSqg). La singolarità è dovuta principalmente all’abilità, quasi equilibristica di riunire nella medesima struttura la pinacoteca del collezionista/banchiere Raoul Albert La Roche ed i suoi appartamenti privati. Una parte dell’edifico è destinata all’esposizione d’arte e alla biblioteca e l’altra parte è riservata allo spazio abitativo con le funzioni domestiche classiche; si viene così a creare una suddivisione funzionale dell’area pubblica da quella privata. Attualmente la Maison La Roche/Jeanneret è la sede della Fondation Le Corbusier (https://bit.ly/3nd7KTN).
L’edificio è ricavato in un lotto stretto e lungo, all’interno di un isolato urbano, non lontano dal Bois de Boulogne, ed ha una planimetria che s’insinua magistralmente all’interno del lotto, anche a tutelare le distanze con le altre abitazioni.
SOPRA – Immagine tratta da Google Maps
Entrando nell’abitazione, l’avventore si trova in un ingresso a tutta altezza inondato dalla luce della finestra a nastro del piano superiore. L’attenzione è titillata dal piccolo balcone avanzato che appare come sospeso nel vuoto. L’obiettivo del progettista fu quello di non ingombrare lo spazio centrale con una scala dominante l’ambiente.
Le Corbusier quindi decise di progettare due scale ai lati della hall/ingresso, una delle quali conduce alla abitazione e l’altra nella pinacoteca/libreria.
Alla verticalità del volume d’ingresso si contrappone lo sviluppo orizzontale orizzontale degli spazi della galleria d’arte, le finestre a nastro poste nella parte superiore della stanza consentono alla luce di filtrare all’interno in maniera costante ma graduale e non invasiva.
Attraverso la rampa “colorata” si accede alla biblioteca, luogo di studio e di contemplazione, uno spazio intimo, uno “studiolo rinascimentale” rivisitato, che domina la doppia altezza dell’ingresso. Studiolo, dal quale si può osservare senza essere visti. L’esposizione alla luce consente un’illuminazione naturale propria alla lettura. Una mensola si estende per il lato lungo della stanza al fine di accogliere i libri d’arte del collezionista.
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“Quando una città è bella, è più bella di un tempio. Ma anche un bel tempio fu sempre costruito come una città, per un fine che non era il bello.”
Alain (Émile-Auguste Chartier), Du style (1923)
“Mentre il funzionalista cerca il massimo possibile adeguamento a un fine il più possibile specifico, il razionalista cerca l’adattamento al più grande numero di possibilità. Niente di più comprensibile che il razionalista metta particolare enfasi sulla forma. L’uomo solitario, isolato nel mezzo della natura, non ha alcun problema formale. La questione della forma nasce con l’unione di più individui, e la forma è ciò che rende possibile la convivenza tra gli uomini.”
Adolf Behne, Der Moderne Zweckbau (1923)
“Può un insieme casuale di edifici, ognuno concepito singolarmente, ed espressivo nient’altro che la sua funzione immediata, veramente essere descritto come una città? Perché un edificio sia urbano deve avere urbanità. Ora l’urbanità, come tutti sanno, significa né più né meno che buone maniere, e la sua mancanza attesta piuttosto cattive maniere. Ci viene detto che l’arte è l’espressione di emozioni. La maggior parte degli edifici o dei quadri più esecrabili sono perdonati sulla base dell’argomento che essi rappresentino con sincerità ciò che l’artista sentiva. La dottrina che un edificio debba proclamare la personalità del suo progettista è stata la causa di molta volgarità in architettura.”
A.Trystan Edwards, Good and Bad Manners in Architecture (1924)
“La civiltà, osiamo sperare, si può trasmettere; non la si può insegnare in corsi universitari che si concludono in un esame. Quella che chiamiamo civiltà si può interpretare come una trama di giudizi di valore che sono impliciti piuttosto che espliciti”.
Ernst Gombrich, Art History and Social Sciences (1975)
“Che tradizione esiste? Una sola, quella di trasformare le cose; il tempo è misurato (è ‘creato’), solo dalla trasformazione delle cose: dove non si trasformano, non esiste il tempo, non esiste la storia”.
Gio Ponti, Amate l’Architettura (1957)
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L’ultimo edificio, ad uffici, che si sta completando nell’Area metropolitana Milanese, il VI Palazzo uffici ENI a San Donato Milanese, è forse l’ultimo pensato con un concetto di “sostenibilità ed efficienza energetica”, ormai desueto, pre Climate Change (https://www.morphosis.com/architecture/220/).
Oggi probabilmente, un edificio così non sarebbe più concepibile, nè accettato dall’opinione pubblica, per altro già molto critica con il progetto di ENI (https://bit.ly/3YpKQW1).
Il concorso internazionale, che ha proclamato la cordata Morphosis/Nemesi, quale vincitore, si è concluso a fine 2011, ed è stato concepito agli inizi degli anni Duemila (https://bit.ly/3SPwYmG).
La ricerca di forme inusitate, sia in pianta che nei prospetti, finalizzata, secondo il progettista Thom Mayne (fondatore dello studio di Culver City e Pritzker 2005 – https://www.morphosis.com/about/153/?m=person) ad ottenere la massima flessibilità interna, ed a integrare gli impianti fotovoltaici (https://bit.ly/3ZorWjt); l’utilizzo di materiali, quali il calcestruzzo e l’acciaio, ne fanno un oggetto quasi “preistorico”.
Nelle foto (SOPRA E SOTTO) si evidenziano molto bene i rivestimenti “rossicci”, i cosiddetti “a screen microforati” in acciaio inox elettro-colorato.Quasi un lavoro “sartoriale”.
Garantire le massime prestazioni in termini di rendimento energetico e di illuminazione naturale degli ambienti, realizzare costosissimi giardini pensili (Skygarden), ormai non basta più.
Certamente tale edificio non corrisponde già più, nonostante non sia ancora stato inaugurato, agli standard 2030/2035 fissati per gli edifici dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC).
“L’evidenza scientifica è inequivocabile: i cambiamenti climatici sono una minaccia al benessere delle persone e alla salute del pianeta. Ogni ulteriore ritardo nell’azione concertata a livello globale farà perdere quella breve finestra temporale – che si sta rapidamente chiudendo – per garantire un futuro vivibile”, ha detto Hans-Otto Pörtner (Ricercatore IPCC).
Ed ancora Paolo Bertoldi, IPCC e senior expert per la Commissione Europea: “Sulle città, e in particolare sugli edifici, si gioca un’importante partita. Si parla di ridisegnare la mobilità urbana, ridurre in generale i consumi di risorse degli ecosistemi cittadini e implementare soluzioni nature based per stoccare carbonio (ad esempio verde urbano). Soprattutto gli edifici di nuova costruzione dovranno tutti essere a zero emissioni, in grado di stoccare CO2, nelle strutture realizzate in legno, adottare concetti progettuali ed impianti a biofilia per il trattamento dell’aria interna agli edifici (come il caso del costruendo progetto “Welcome” di Kengo Kuma e Stefano Mancuso, sempre a Milano – https://bit.ly/3KXYbSv). Ma soprattutto bisognerà anche trovare il modo di ridurre e ottimizzare gli spazi per limitare il consumo di suoloin un pianeta sempre più popolato.
L’efficienza non basta più – puntualizza Paolo Bertoldi – s’introduce ora il concetto di Sufficienza energetica, che significa limitare la domanda (di spazi, di risorse, di energia) a ciò che può consentire il vero benessere di tutti.
La stessa forma architettonica (Fluida, decostruita, tecnologica) e le scelte materiche (acciaio microforato, ecc.) esprimono un linguaggio ormai desueto, le ARCHISCULTURE, più consono al secondo Millennio, che al terzo. Vengono in mente Zaha Hadid, Jean Nouvel, o meglio Frank O. Gehry a Bilbao (https://bit.ly/3YrrOOW).
Proprio lì di fronte, il V Palazzo ad uffici dell’Eni, progettato da Gabetti ed Isola parecchi anni fa, inaugurato nel 1991, incarna ancora oggi, nelle proprie forme e caratteristiche, un linguaggio ben più anticipatore ed innovativo, in grado di resistere al tempo, e di recepire nelle forme architettoniche le opzioni dettate dal “Climate Change”.
SOPRA –Quinto (V) Palazzo ad uffici, progetto di Gabetti ed Isola (1991)
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“Oggi attribuiamo grande valore alle apparenze, come un tempo si usava l’architettura per dimostrare potere: lo stile fascista, per esempio, che non ho mai amato, rappresentava la potenza di un governo, di una nazione, facendo un uso improprio della bellezza.
Ma le apparenze, in realtà, non significano nulla, i soldi non sono una misura per capire chi abbiamo di fronte.
Dinanzi alla vita, alla morte, al tempo che passa, alla monumentalità della natura siamo tutti uguali, creature fragili, mortali.”
Oscar Niemeyer (1907 / 2012)
GLORENZA
Glorenza è un comune italiano di 913 abitanti della provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige, situato nell’Alta Val Venosta, lungo la strada verso il Passo del Forno. Si trova a 10 chilometri dal confine svizzero. È il più piccolo comune dell’Alto Adige a fregiarsi del titolo di città. Altitudine 907 m.s.l.m.
Il toponimo è attestato come “Glurnis” nel 1163 e “Glurns” nel 1228. Esso deriva da colurnus, variante del latino corylus (che significa «nocciolo». Nel 1309 Glorenza fu elevata a città (risultando la più piccola delle otto presenti nella provincia). Venne completamente rasa al suolo nel 1499, dopo la battaglia della Calva, nel corso della guerra sveva, che opponeva l’imperatore Massimiliano I alla Confederazione dei tredici Cantoni.
Dopo questa distruzione, l’imperatore Massimiliano decise di ricostruirla e di munirla di mura (le quali si sono conservate intatte fino al presente e sono uno dei principali luoghi d’interesse della città), trasformandola in una testa di ponte verso i possedimenti asburgici in Svizzera.
Anche dopo che questi, poco tempo dopo, furono perduti, Glorenza conobbe comunque lunghi secoli di prosperità come città mercantile, grazie soprattutto al commercio del salgemma proveniente da Hall (Tirolo settentrionale) e destinato in Svizzera.
Sono stato a Glorenza per 3 giorni, l’estate scorsa (2022). Tutto sembra perfetto, con una notevole propensione da parte dei cittadini venostani, al rispetto delle leggi e ad una esagerata manutenzione del paesaggio.
L’architettura moderna, che si confronta con il suo importante passato, è particolarmente brillante ed attenta alla sostenibilità. Potendo anche disporre di un’entità economica rilevante.
Come ad esempio, ha fatto Werner Tscholl, per il nuovo edificio della Distilleria PUNI (l’unica distilleria di whiskey in Italia), Glorenza, Via Mühlbach, 2. Progettata e costruita tra il 2010 ed il 2012. Un edificio cubico, rivestito come i vecchi fienili per l’essicazione del fieno. Dentro un cubo di cristallo, con gli uffici e gli spazi per la vendita. Sotto la parte produttiva e la cantina per l’invecchiamento del whisky. Un piccolo capolavoro, frutto di grande maestria del professionista altoatesino (http://www.werner-tscholl.com/new-constructions/puni-destillerie-glurns-2012/).
1.877 chilometri a sud di Glorenza………..
…….pari a 2,5 ore di aereo o 26 ore in auto, o 297 ore a piedi……..
…….si trova l’isola di Lampedusa («un pezzo d’Africa in Italia»).
Tra le due cittadine, ci sta tutta l’Italia, ci stiamo noi, con le nostre contraddizioni, le nostre idiosincrasie, i nostri contrasti.
Sono stato di recente a Lampedusa per 4 giorni. 5.871 abitanti ed oltre 1.000 unità delle forze dell’ordine (soprattutto Guardia di Finanza), per la problematica dei migranti. In estate gli abitanti aumentano a circa 60.000.
È la più estesa dell’arcipelago delle Pelagie nel Mare Mediterraneo, nonché il territorio italiano più meridionale in assoluto e fa parte del Consorzio di Agrigento. Geograficamente si trova in Africa. Amministrativamente forma, assieme a Linosa, il comune di Lampedusa e Linosa (di cui è la sede municipale, che conta 6 373 abitanti complessivi. Con una superficie di 20,2 km², è la quinta per estensione delle isole siciliane. In greco antico era nota come Λοπαδοῦσσα Lopadoûssa, poi latinizzata in Lopadusa. Appartiene alla placca africana (Fonte : Wikipedia).
Durante questo soggiorno, sono riuscito ad avere lo scontrino solamente una volta in 4 giorni, per una granita da 2 euro ai gelsi di Linosa, TUTTO IL RESTO IN NERO (per Pos non funzionanti, e lo scontrino è un optional)………. siamo così, noi italioti, FATTI MALE !
Meno male, che c’è l’Architettura (quella con la “A” maiuscola”), la quale grazie a professionisti seri e colti, riesce a restituirci, in povertà o in ricchezza, tutta quella “GRANDE BELLEZZA” lasciataci dalle generazioni passate, che continuiamo a portare avanti nonostante la maggior parte dei nostri concittadini sembra indifferente a tutto ciò.
All’alba il dolore è stanco il corpo si abbandona sulla terra umida. Lento dalla ferita sorge il sole mentre la notte ha già preso il largo su una scialuppa di fortuna. Forse questa giornata approderà su un colle e gli uomini si chineranno a raccogliere frutti di generazioni mandate al sacrificio. Sono venuto nel tuo paese con il cuore in mano Espulso dal mio, Un po’ volontariamente e un po’ per bisogno Sono venuto, Siamo venuti per guadagnarci da vivere, Per salvaguardare la nostra sorte, Guadagnare il futuro dei nostri figli, L’avvenire dei nostri anni già stanchi, Guadagnarci una prosperità che non ci faccia vergognare, Il tuo paese non lo conoscevo E’ un immagine… Un miraggio, credo, ma senza sole… Siamo arrivati qui ad informare, con un canto di follia nella testa… E già la nostalgia e i frammenti del sogno… Sopravviviamo tra l’officina o il cantiere e i pezzi del sogno Il nostro cibo, la nostra dimora Dura l’esclusione Rara la parola rara la mano tesa.
Tahar Ben Jelloun
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Le Dolomiti viste da Nova PonenteIl Fiume EgaLa casetta di Walter Pirchler (al centro)e la Fucina (che si intravvede sulla destra)La casetta.
1 settembre 2022, Nova Ponente
Intellettuale, scultore, architetto, Walter Pichler nasce nel 1936 a Nova Ponente (Deutschnofen) in Val d’Ega, Alto Adige. La sua famiglia, proprio quell’anno 1936, decide di trasferirsi in Austria a causa della Seconda Guerra Mondiale, della penuria di cibo e delle leggi razziali. Nell’anno 1955, Walter Pichler si diploma alla Hochschule für Angewandte Kunst (Università di arti applicate) di Vienna.
Nel 1963 insieme ad Hans Hollein (1934/2014, importante architetto austriaco. Premio Pritzker nel 1985) realizza la mostra innovativa e rivoluzionaria “Architektur” alla Galerie nächst St. Stefan di Vienna: progetto con cui vogliono liberare l’architettura dalle costrizioni del costruire e la scultura dalle costrizioni di un astrattismo diventato arido. Nel 1967 con “Visionary Architecture” espone al MoMA (Museum of Moder Art) di New York con Hans Hollein e Raimund Abraham. Nel 1968 partecipa a Documenta 4 e 6, di Kassel ( https://bit.ly/3TEmNBH )
Nel 1972 Pichler compra un terreno a Sankt Martin sul Raab (Burgenland meridionale – Austria), che elegge a sua residenza, in cui allestisce le sue sculture all’interno di costruzioni architettoniche realizzate ad hoc ( https://bit.ly/3ekJ5YS ). Pur avendo anche un prestigioso studio a Vienne, trascorre qui la maggior parte della sua vita creativa.
Un’altra peculiarità di questo artista era la progettazione molto lenta, quasi maniacale nella definizione dei dettagli, che a volte ha richiesto decenni per il completamento di una scultura, realizzato molti schizzi, disegni e modelli. Ed anche una passione sfrenata per la tecnologia applicata al costruire tradizionale.
Nel 1975 è nuovamente al MoMA con “Projects” ( https://www.moma.org/artists/4612 ), e nel 1982 partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 1998 espone allo Stedelijk Museum di Amsterdam.
Nel 2002 inizia la realizzazione della Casa accanto alla Fucina in Val d‘Ega, su un terreno del nonno, concessogli dai parenti, a ridosso del Fiume Ega (Kardaunbach). Una casetta di appena 59 metri quadrati, che l’artista utilizza durante l’estate quando viene a trovare i parenti.
Al piano terreno un bagno, una cucina, un piccolo deposito, ed un vasto locale con un divano/letto per dormire ed un tavolo per ricevere le persone.
Immagini del piano terreno
Al piano interrato, a cui si accede attraverso un ingegnoso escamotage (a mo’ di ponte levatoio), un grande locale, con un enorme tavolo per le riunioni con i parenti. Tutti gli impianti in questo locale (compreso il rosso scaldabagno elettrico) sono a vista, mentre al piano superiore, sono tutti incassati e celati, con sportelli di acciaio. Il solaio sembra realizzato con un sistema prefabbricato simile alle predalle.
Una casetta senza finestre, ma con solide pareti in muratura di pietra (quella del Fiume Ega lì vicino) e cemento armato a vista, con un tetto di vetro per osservare il cielo. Tutto, all’interno ed all’esterno nella casetta, viene minuziosamente disegnato da Walter Pirchler, e perfezionato, seguendo di persona gli artigiani locali. Dettagli spesso strepitosi, come il grande forno/caldaia in piastrelle di ceramica, o come i ripiani lapidei della cucina in pietra di Andriano (rosata) levigata, ma anche il tetto, il tavolo, le sedie, ed il sistema a “tenda orizzontale” (a carrucole) di schermatura del tetto vitreo. Strepitose le travi in acciaio di sostegno dei pannelli di vetro del tetto, tagliate e saldate al laser (grazie alla perizia dei cugini che ancora continuano la lavorazione dei metalli a Bolzano).
Un’intercapedine ventilata, in cemento armato, isola la casetta, rendendola salubre dalle possibili infiltrazioni d’acqua.
Alle pareti, del piano terreno, i parenti conservano i numerosi schizzi e disegni, dell’architetto/scultore, che aiutano i visitatori a contestualizzare il processo creativo che ha portato alla realizzazione della casetta.
Walter Pirchler muore nel 2012 a settantacinque anni, a causa di un cancro. Nel 2015 tuttavia viene realizzata, dai parenti, postuma, la Plattform über dem Bach (Piattaforma sopra il Fiume Ega, di colore rosso) che completa, con questo osservatorio paesaggistico, pensato e disegnato da Walter in ogni dettaglio, il progetto della casetta in Val d’Ega.
Un progetto che nelle sue parti reinterpreta tutta la Storia dell’Architettura, con le pareti in sasso, il frontone classicheggiante del tetto (evidenziato in rosso), il rigore planimetrico simile ad un tempio greco, la scelta di materiali naturali, ecc.
Dal 17 giugno al 4 settembre il MUSEION di Bolzano, a cura di Andreas Hapkemeyer (raffinato e colto storico dell’arte che ci ha accompagnati nella visita della casetta a Nova Ponente), ha accolto l’interessante mostra di alcuni disegni di Pichler, con visita guidata della casetta in Val d’Ega, in presenza dei parenti :
Walter Pichler (1936 – 2012), Architettura – Scultura, Haus neben der Schmiede, Val d‘Ega
Vista della grande Caldaia/Forno, con gli elementi ceramici disegnati da Pirchler (come ad esempio il modulo d’angolo in pezzo unico)
Sopra –Gli sportelli in acciaio studiati da Pirchler per nascondere gli impiantiLe sedie lignee, in faggio per il piano terrenoL’accesso al piano interrato (solo dall’esterno) condiviso con quello al piano terra Immagini del piano interratocon il grande tavolo, le panche, ed il lampadario mobile a contrappesoLe grandi pietre di fiume, che nascondono ed arieggiano l’intercapedine in c.a.(sotto)E per finire alcune immagini della Fucina, con il tavolo esterno (in pietra rosa di Andriano) su cui era solito sostare in estate Walter Pirchlerdurante le belle giornate
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