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Builders of the future

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Urbanistica

Il Pertini


Una spesa complessiva di 9 milioni di euro per realizzare il Centro Culturale / mediateca e circa 10 anni tra progetto e realizzazione.  Il concorso di idee si concluse nel 2001, con vincitore l’architetto romano Riccardo Gaggi, capogruppo dell’ATI (associazione Temporanea di Imprese) Framing.

http://europaconcorsi.com/projects/106928-Nuovo-centro-culturale-in-attuazione-al-piano-particolareggiato-Centro-Citt-Cinisello-Balsamo-2001-

Il progetto aveva allora un’importo a base di gara di 6 milioni di euro. Il tutto è quindi avvenuto nel solco della più comune tradizione italiana in merito ai lavori pubblici : costi “lievitati”, tempi di realizzazione biblici. Alcuni numeri del Centro Culturale : 4.000 mq di superficie al pubblico, 5.400 complessivi su 5 livelli di cui 2 interrati; 78.000 libri cartacei; 8.700 dvd; 165 riviste; 13 quotidiani; 286 e-book scaricabili; 1.904 quotidiani e periodici on line; 2.800 cd musicali; 23.683 e-book in streaming; 33 pc portatili; 450 sedute tra sedie e poltroncine; 187 posti nell’auditorium (ipogeo); 3 cyclette; 25 bibliotecari; 63 ore settimanali di apertura (compresa la domenica).

Di positivo, una grande struttura per la cultura, che guarda al futuro (e sa solo Dio come in Italia ci sia bisogno di ciò), de-localizzata rispetto alla “radiocentricità” di Milano, un tentativo ante litteram di Città Metropolitana. Ennesima opera del terzo mandato della Sindaca Gasparini, che ha rivoltato Cinisello come un calzino, producendo qualità (e debiti ) nella ex città dormitorio, mercè grossi investimenti pubblici : Piazza Gramsci; Museo Nazionale della Fotografia a Villa Ghirlanda; Metrotramvia con Milano; pedonalizzazione del centro con relativo arredo urbano e pavimentazioni, ecc..

Ritornanto al “Pertini”, viene da chiedersi, chissà se però, le generazioni future saranno in grado di pagare i sicuri costi gestionali altissimi di un Centro Culturale così grande, forse più adatto ad una città di 300 mila abitanti che ad una di 75 mila abitanti.

Comunque un buon progetto, ben realizzato, moderno da godersi soprattutto negli interni : comodi, luminosi, accoglienti e razionali, organizzati attorno ad un volume centrale vuoto a tripla altezza. Interni, dove si può tranquillamente trascorrere una mezza giornata senza  mai annoiarsi, che però anche, genera degli spazi esterni urbani interessanti e di qualità, che “legano” parti ed edifici esistenti, fino ad ora poco coesi.

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

1291


Sopra immagini dell’attività di Snozzi a Monte Carasso

Sopra immagini del Municipio di Iragna di Cavadini

Sopra immagini – Peter Markli, la “Congiunta” a Giornico

Sopra immagini Infocentro + Torre di Controllo Alptransit

 

Immagini di Castelgrande di Galfetti  Bellinzona

La Casa d’Asburgo, nel 1291 dominava gran parte della Svizzera centrale. Per rendere più efficiente e moderna la loro amministrazione avevano intenzione di trasformare i propri feudatari in funzionari. Le comunità di contadini che abitavano le vallate alpine volevano invece conservare le loro ataviche prerogative e premevano per ottenere la dipendenza diretta dall’Impero senza l’intermediazione dei feudatari. Le comunità rurali, al fine di tutelare i propri antichi diritti, strinsero numerosi trattati di alleanza e di mutua assistenza, tra loro e con altri soggetti. Il principale di questi trattati è il Patto eterno del Rütli, stipulato intorno ai primi giorni di agosto del 1291 (da qui l’anniversario della Confederazione Svizzera del primo di agosto), in cui le comunità di Uri, Svitto e Unterwaldo si giurarono reciproco aiuto in caso di conflitto, formando il primo nucleo della Confederazione. A tale nucleo si unirono, nel corso del tempo altre comunità.

Il 7 di agosto del 2012, tre uomini maturi ed una vecchia toyota corolla (diesel) con oltre 175.000 chilometri, si sono recati a fare una passeggiata estiva nel Canton Ticino, proprio in quei luoghi che videro l’adesione al “Patto eterno del Rütli”. Gli obbiettivi dichiarati erano due : il primo, fare tesoro delle architetture e del paesaggio di questa parte della Svizzera, poco conosciuta, ma di una bellezza rara, in cui con sapienza si è coniugata (e si sta coniugando) presenza umana e natura: il secondo, godere al meglio di una giornata estiva stupenda, calda e soleggiata, adattissima ai bagni di sole e non solo.

Riguardo al primo punto, siamo stati a Monte Carasso dove Luigi Snozzi nel corso del tempo, ha realizzato (con relativo seguito) un’urbanistica fatta solamente di eccellenze architettoniche. Siamo anche stati a visionare lo splendido museo della “Congiunta” a Giornico esempio di struttura gestita dai fruitori, il Municipio di Iragna di Raffaele Cavadini, ed il castello di Castelgrande a Bellinzona luogo magico per osservare il paesaggio.

Riguardo al secondo punto direi che la permanenza al sole, a fianco delle fresche acque delle Cascate di Santa Petronilla a Biasca ha consentito grazie alla terrazza con vista  180 gradi di fare numerose considerazioni in merito a cosa è (o cosa non è) il paesaggio .

In questo luogo “magico” intriso della democrazia che ha condotto ad un altro tassello della Confederazione Svizzera nel Capodanno del 1292, si conclude il nostro piccolo viaggio, in un territorio che ha fatto della democrazia, della condivisione, della comunanza, la base stessa di un’unione sociale che è anche paesaggio. Da Milano, circa 253 chilometri (tra andata e ritorno a gasolio) tutte su strade statali, con una spesa totale omnicomprensiva (con colazione al sacco), di circa 26 euro.

 

Sotto immagini delle cascate di Santa Petronilla a Biasca

Con il rispetto del copyright delle immagini selezionate

Quel che resta……di due cascine.


Sopra alcune immagini di Cascina Merlata (Gallaratese-Milano)

Sopra alcune immagini di Cascina Zerbone  (Ponte Lambro – Milano)

Allora riassumendo : due cascine, due aree agricole, che subiscono un’aggressione di cemento, preordinata e studiata a tavolino negli anni. Due situazioni che vedono i cittadini e le forze che li rappresentano coinvolti in due maniere diverse. Due occasioni dove l’architettura ed il paesaggio vengono sconfitti per colpa di:  logiche immobiliari, indifferenza, assenza di condivisione.

Alla Cascina Merlata di Milano, la storia è vecchia, ne abbiamo già parlato, quì la Giunta Moratti (quindi centrodestra) approva, proprio poco prima di finire la consilatura precedente (marzo 2011), un progetto : 324.000 mq. di slp (superficie lorda di pavimento), 6.500 nuovi residenti, oltre 3.000 addetti, 990 alloggi, hotel, uffici, un enorme plesso scolastico con 800 alunni, centro commerciale, edifici di oltre 20 piani, ecc.. Oltre al parco e alla residenza, troveranno posto : parcheggi per 50.000 mq (tutti interrati quelli in dotazione alle abitazioni), un plesso scolastico di 12.000 mq, due asili nido e un centro per anziani. Il centro commerciale (di oltre 45.000 mq) è stato collocato sul confine nord del quartiere dove sono anche previsti un albergo (15.000 mq) e una torre per uffici (10.000 mq).

La principale società proprietaria dei terreni è il consorzio Euromilano (60%), ci sono poi Greenway (30%), Cesi (5%) e Zoppoli & Pulcher (5%). Il Consorzio, guarda caso, racchiude anche delle Cooperative di “sinistra”, la Banca Intesa, ecc……chissà come mai il PD si è astenuto durante la votazione in aula,  di fatto non ostacolando questo piano? Quì i cittadini, quelli sensibili alle tematiche inerenti il consumo di suolo, si sono di fatto “astenuti” l’iter progettuale e l’inizio dei lavori sono proceduti, quatti quatti, tutto viene “venduto” come un’iniziativa legata ad Expo 2015. Eppure anche quì si sottrae del fertile terreno agricolo. Forse mediaticamente quest’area risultava poco accattivante ed inoltre il depistaggio delle forze politiche ha operato sin da subito in maniera compatta e trasversale.

Alla Cascina Zerbone, invece la storia è diversa, qui, a partire dagli anni duemila, essendo l’area di Ponte Lambro zona di grave degrado sociale, il quartiere al cui margine è inserita la cascina, è stato oggetto, di una profonda ristrutturazione di tutti gli edifici pubblici (Contratto di Quartiere): caseggiati Aler di Via Ucelli di Nemi e Serrati, il rifacimento delle vie centrali del quartiere, la ristrutturazione del Centro Territoriale Sociale, del Centro Giovani, dell’edificio parrocchiale, del Mercato Comunale, dell’ufficio postale e di alcune palazzine in “Via Rilke” appartenenti al Comune di Milano. Mentre il progetto di riqualificazione di alcuni caseggiati ALER, al quale ha partecipato anche l’architetto Piano Renzo presentato nel maggio 2000, è in fase di attuazione ormai da alcuni anni (2010) senza avere mai trovato una sua strada definitiva.

Veniamo alla Cascina Zerbone, ultima preesistenza di un paesaggio agricolo che non c’è più. Proprio a ridosso della tangenziale un’ultimo terreno, con qualche centinaio di mucche, produce ancora latte. Quì i cittadini (sotto dei bei bandieroni gialli) si sono mossi da subito per ottenere una revisione del Contratto di Quartiere (che prevede, quì, una massa di volume e di case residenziali, con un bello svincolone della tangenziale) per salvaguardare una cascina che forse non ha nemmeno senso tenere localizzata lì. Ma tant’è, quì gli operatori immobiliari possibili per la cementificazione dei terreni di Cascina Zerbone, sono soprattutto legati ad entità non coerenti con i “bandieroni gialli” sopra descritti . E quindi quì ci si dà da fare, per salvare quattro mucche ed un  latte che probabilmente, qualche chilometro più in là, verrebbe sicuramente meglio, lontano dai miasmi della tangenziale. Il concetto è di arginare definitivamente il consumo di suolo agricolo, in una città, Milano con una superficie comunale molto piccola, che agricola non lo è mai stata, che dell’agricoltura se ne è infischiata per centinaia di anni in favore della manifattura.

Ma come mai gli stessi cittadini milanesi, qualche chilometro più in là, nemmeno si interessano del consumo di suolo agricolo in atto a Cascina Merlata ? Probabilmente misteri di questi anni bui e tristi, che vedono spesso persone interessarsi “a macchia di leopardo” di problematiche che invece necessiterebbero da subito di una “visione di quadro” molto più ampia e non soggetta alle subdole interferenze della politica, abilmente camuffata con l’associazionismo. Associazionismo che pilota gli interessi di parte solo là dove non si schiacciano i piedi ai propri amici ed agli amici degli amici.

E l’architettura è il “mostro” da crocefiggere, l’urbanistica la “macchina tritacarne” da sopprimere. Forse ci vorrebbe più realismo da ambo le parti,  e soprattutto avere veramente a cuore la salvaguardia del paesaggio, che è un bene comune senza confini, che necessita probabilmente, più che di operazioni mediatiche, di un’attività didattica, nei confronti proprio di quei cittadini, pronti a muoversi solamente in una direzione, mentre invece dovrebbero “andare in più direzioni”.

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Nodo d’interscambio (Zermatt)


Zermatt (http://it.wikipedia.org/wiki/Zermatt) è chiusa al traffico, ormai da parecchi anni. L’accesso ai veicoli privati è consentito solamente fino al paese di Täsch (http://it.wikipedia.org/wiki/T%C3%A4sch a 5km da Zermatt). La strada Täsch – Zermatt è chiusa ai mezzi di trasporto privato, però a Zermatt è consentito l’uso di mezzi elettrici e biciclette.  A Täsch è stato realizzato tra il 2004 ed il 2006, un grande Nodo d’interscambio, il Top Matterhorn Terminal , con  2’100 posti auto coperti aperti 24 ore su 24 e posteggi non coperti (900 posti).

Il Terminal, progettato dall’ Architekturbüro Mooser & Petrig & Lauber dipl. di Zermatt (http://www.architekten-ml.ch/cv_mooser.html) è un edificio che potremmo definire “perfetto”, sia per caratteristiche architettoniche (ampio uso di legno e di materiali naturali, compresa grande copertura piana verde) che per prestazioni funzionali (collegamento tra auto e mezzi pubblici). Un edificio che si inserisce molto bene nel paesaggio della valle, pur essendo di notevoli dimensioni, inoltre è molto ben realizzato sia per la scelta dei materiali, che dei dettagli costruttivi.

Non mancano spazi accoglienti per l’attesa, negozi di varia natura e grandi viste sul paesaggio circostante. Delle grandi pensiline ondulate all’aperto, accolgono i Bus (pubblici e privati), il cui parcheggio è gratuito.  Il costo del biglietto è abbastanza caro, bisogna però dire che è un’esperienza unica arrivare quasi in metropolitana ad oltre 1600 metri di quota.

A Brig e a Visp la ferrovia ha un collegamento diretto con la ferrovia a scartamento ridotto della Matterhorn Gotthard Bahn che conduce a Zermatt. Attraverso la nuova galleria di base del Lötschberg da Frutigen (nel Bernese) verso Raron (nel Vallese) il viaggio in ferrovia per Zermatt si riduce in modo notevole.

Inoltre Zermatt è il punto di partenza o di arrivo del famoso Glacier Express (St. Moritz / Davos – Zermatt), conosciuto in tutto il mondo. A Täsch Presso il Terminal Matterhorn Täsch, lasciato il bus o l’auto, si sale direttamente e agevolmente sui  treni shuttle (su cui si può tranquillamente portare la bici). Dopo un tragitto di circa 12 minuti, attraverso  una frastagliata e romantica valle si raggiunge Zermatt nel cuore del villaggio del Cervino.

http://www.matterhorngotthardbahn.ch/it/Pages/default.aspx

Quì sotto alcune immagini di Zermatt

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Casa : giro di quartiere a Milano Sud – Ovest


Casa di Riposo per anziani Fondazione Antonietta Biffi di via Dei Ciclamini 34 

Casa Materna ed Asilo Nido di via Cascina Corba 97 

In una caldo pomeriggio di fine luglio, ci siamo chiesti , dove a Milano, fuori dai punti di riferimento classici, fosse possibile ravvisare chiaramente i segni di una architettura e di un’urbanistica, tesa a dare “residenzialità” ai ceti popolari. In tal senso l’area periferica, a sud-ovest di Milano (via Mimose, via Genziane, via Ciclamini, ecc.), risulta come, un pezzo di città dimenticata, quasi sconosciuta, anche poco analizzata.

In un editoriale della rivista di architettura ed urbanistica Casabella (n° 105 del 1936), Mario Pagano reputava quale luogo in cui costruire la “città razionalista”, la periferia milanese. In realtà. a  Milano, in quegli anni, l’esigenza era quella di dare case popolari agli operai, attraverso l’attività dell’Istituto Autonomo Case Popolare (IACP). Il risultato spesso, come nel quartiere Lorenteggio, erano delle “deformazioni” delle poetica razionalista, inserite a forza nei piani urbanistici vigenti. Erano case ben orientate, ma basate sempre sul concetto novecentista di corte aperta, con alloggi che spesso nulla avevano a che fare con l’impianto funzionale razionalista. Come nel Quartiere IFACP Renzo e Mario Mina (1938 – 1944 progetto : Tullio Tollio, Alberto Morone, Fausto Natoli, Guido Baselli, Pietro Della Noce) in via Inganni, via Giambellino, via Segneri e via Odazio. Venne poi il regime e successivamente la guerra, e ci si concentrò sui singoli edifici, più che sul problema della casa per i ceti popolari.  Si dovrà aspettare fino all’inizio degli anni cinquanta, con esempi quale il Quartiere IACP Giambellino (1951 – 1955 progetto : Irenio Diotiallevi, Max Pedrini, Camillo Rossetti) via Inganni 52 – 61, via Degli Astri 22 – 26, per ritrovare in questa zona  l’applicazione della “poetica razionalista”. Infatti al Giambellino notevole è il distacco tra gli edifici, il verde a disposizione, ed inoltre è millimetrica l’applicazione dell’orientamento planimetrico sull’asse eliotermico, come imponeva il razionalismo. Sempre in questa zona, con gli anni, la dotazione di servizi per i nuovi quartieri residenziali popolari,  acquisisce degli aspetti qualitativi molto interessanti, come ad esempio  la Casa Materna ed Asilo Nido di via Cascina Corba 97 (1954 – 1955 progetto di Marco Zanuso), quasi fiabesca nelle forme architettoniche; e la Casa di Riposo per anziani Fondazione Antonietta Biffi di via Dei Ciclamini 34 (1965 – 1970 progetto : Ignazio Gardella), che lontanamente fa il verso alla casa alle “Zattere” di Venezia.

Il tempo, ha come decantato questa zona, salvaguardando alcuni terreni liberi, che creano degli spazi verdi inaspettati, ed alcune casette a schiera di “Corea”, costruite a fianco di alcune lignee su modello finlandese per essere provvisorie ed assolvere alla necessità immediata di abitazioni, poi divenute definitive. Ciò ha generato un quartiere ad alta residenzialità, tranquillo e ben collegato con il centro città.

Quartiere IACP Giambellino  via Inganni 52 – 61, via Degli Astri 22 – 26

Quartiere IFACP Renzo e Mario Mina ( in via Inganni, via Giambellino, via Segneri e via Odazio

Case di “Corea” divenute definitive

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Lavorare meno per lavorare tutti


Mentre ieri, 16 luglio 2012, si aggiudicavano i lavori per la così detta “piastra” di Expo 2015, ci siamo recati a dare un occhio al cantiere. Quello in atto di cantiere è quello vinto dalla cordata capitanata dalla Cmc (http://cmcgruppo.com/cmc/) , per la bonifica e la “pulitura” dell’area, con un ribasso del 42,83%. Già allora trasalimmo, ma oggi a stupirci ancora una volta è il ribasso della cordata capitanata dalla Mantovani (http://www.mantovani-group.it/), che con un ribasso del 41,80% si è aggiudicata la gara per la “piastra”, che poi sono i basamenti interrati (tipo scantinati con i relativi accessi) su cui poggeranno i vari padiglioni, il percorso centrale “telonato”, gli impianti, la viabilità, ecc.. Così dai 272 milioni di opere e materiali valutati come base per la gara, si è passati ad un importo di 165 milioni. Se si tiene conto che, chi è arrivato secondo aveva offerto un ribasso del 36%, mentre gli altri partecipanti in genere hanno offerto ribassi tra il 20 ed il 30%, bene si può comprendere quello che è successo e soprattutto quello che succederà. Il meccanismo della “Merloni”, la legge sugli appalti pubblici, ora Dlgs 163 del 12 aprile 2006 (http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/06163dl.htm) è ormai un “meccanismo infernale”, che produce sempre dei “mostri”. A soffrirne sono la qualità, i tempi ed i costi. Infatti, quasi sempre all’eclatante ribasso (anche frutto della grave crisi in cui versa il settore edile), succede una fase in cui l’impresa vincitrice, mette in difficoltà il suo controllore (in questo caso Expo 2015), con continue varianti e/o riserve che fanno lievitare i costi ed i tempi. Non sempre (o meglio quasi sempre) la struttura pubblica non è in grado di “cavalcare” questa fase ed alla fine i costi lievitano sino a rientrare completamente (o addirittura di più) del ribasso offerto in sede di gara. E’ un gioco al massacro, dove il ricatto è giocato dalle imprese, sui tempi, che in questo caso sono inderogabili, in cambio di denaro. Quello che inizialmente da tutti sarà “cantato” come un risparmio, si tradurrà a consuntivo finale in un ennesimo aumento del debito pubblico. Vedremo, speriamo di non essere “uccelli del malaugurio”, ma tant’è, le cicatrici ottenute di persona su questi temi, mi fanno presupporre che il risultato finale non sarà molto diverso da quanto sopra descritto.

Forse ha ragione Serge Latouche, che in una bella intervista al quotidiano on-line “Lettera 43” di oggi 17 luglio 2012, dichiara che per l’Italia, in queste condizioni economiche e di assetto istituzionale, la cosa migliore sarebbe una bella bancarotta, da cui ripartire (come ha fatto l’Argentina, poi ripresasi egregiamente), con nuove regole e nuove prospettive per il futuro. Certamente, se così sarà, una delle prime cose da affrontare è una profonda rivisitazione sulla legislazione inerente gli appalti pubblici, visto che fa acqua da tutte le parti e soprattutto fa spendere molto più denaro di quello inizialmente previsto, ingigantendo così il debito pubblico. E dato che di ciò la politica italiana, che già si appresta alle elezioni del 2013, nemmeno ne parla, noi facciamo a questo punto il tifo per la bancarotta!

http://www.lettera43.it/economia/macro/italia-serve-la-bancarotta_4367557970.htm

Ma ritorniamo all’area di Expo 2015, i lavori languono e soprattutto le bonifiche sono ben lontane dall’essere in  stato avanzato. I lavori sono puntuali e non generalizzati. Ad oggi la grande trasformazione in loco, che è avvenuta (e colpisce lo spettatore) è la moltiplicazione delle prostitute, che da sempre infestano l’area anche di giorno, probabilmente dovuta alla presenza del personale maschile delle imprese che lì lavorano.

          Area Expo 2015, una prostituta ogni 40/50 metri

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Il Portello dalle “Grandi Orecchie”


Girare in maniera a-finalistica nell’area che fu dello stabilimento Alfa Romeo al Portello di Milano, consente di valutare i due interventi ex novo che si stanno attuando, alla destra ed alla sinistra della sopraelevata Renato Serra, in attuazione dell’Accordo di Programma “Progetto Portello” PII (Piano Integrato d’Intervento) in Variante al PRG vigente, in fase avanzata di ultimazione, prevista per il dicembre 2012.

Gli edifici di Cino Zucchi (e soci), già ultimati, si succedono a generare uno spazio urbano accattivante e sofisticato, apprezzabile proprio la differenza degli oggetti architettonici, che riescono insieme a generare un “paesaggio urbano” che trova nel parco (montagnetta conoidale e nel lago circolare) la sua logica sublimazione. Anche il centro commerciale, seppur più rozzo, progettato dallo studio Valle di Roma, si inserisce ottimamente nel layout urbanistico e nei profili architettonici.

Se da un lato si può già apprezzare nella sua finitezza, l’intervento colto e raffinato progettato dell’architetto milanese, per altro già con parte del rivestimento in piastrelline che si stacca, dall’altro, il completamento parziale di quello che è stato progettato dal parmense  Guido Canali (e soci), rivela già degli aspetti  molto inquietanti.  Le grandi “orecchie fragili”, inutili e gratuite,  che spuntano dalle coperture, fanno da contraltare ad un costruito denso e sinceramente poco raffinato, perché monotono e ripetitivo. Che dire poi dei grandi “spicchi di grana” (ovviamente parmigiano) che incapsulano gli edifici di terziario, un vero e proprio obbrobrio, sancito da facciate anonime e tristi. Marco Zanuso, a cui è intestata una via quì al Portello, si rivolterà nella tomba.

Gli apparati dell’architettura di Canali, non riescono a nascondere lo scempio volumetrico che lì si sta attuando, generando un paesaggio urbano triste. Dall’altro lato del cavalcavia invece  è stato abile Zucchi a generare un “meccanismo” più sofisticato, dove il volume viene gestito, “manipolato” anche graficamente,  per costruire la città.

Ecco forse è meglio che Canali, ormai al tramonto della sua “luminosa” carriera, ritorni a fare quello che sa fare da sempre, e cioè a confrontarsi solamente con l’esistente ed  il restauro, in cui ha saputo restituirci dei capolavori “magici”.  Mentre Zucchi , qui al Portello, dà l’ennesima prova di maturità,  da ormai consolidata archistar, in grado di muoversi su più fronti.

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Stratford 012


Il Parco Olimpico, per Londra 2012,  è stato costruito su un’area enorme di oltre cento ettari a Stratford, una zona industriale degradata alla periferia est di Londra.

La riqualificazione urbana, secondo i concetti dell’urbanistica sostenibile, della riduzione di consumo di suolo, sono stati il motore per tutti i progetti realizzati. Una riqualificazione che adotta  alcune delle “invenzioni” sul futuro delle città inglesi proposte dalla “Urban Task Force”, diretta da Richard Rogers: la concentrazione dello sviluppo edilizio su suoli ex-industriali invece che su suoli agricoli, l’uso massimo possibile del trasporto pubblico, la riduzione del consumo di suolo e la mescolanza (Megamix) di funzioni residenziali, commerciali e terziarie.

A pochissime settimane dall’accensione del “fuoco olimpico” a Londra è quindi tutto pronto. Le  attrezzature dei Giochi Olimpici : Stadio, Velodromo, Centro Acquatico, Villaggio, infrastrutture per i servizi energetici, ecc.. E poi, un grande parco, sculture, diverse opere di arredo urbano, che migliorano le infrastrutture di trasporto. Particolare il  Villaggio olimpico che, a Giochi terminati, è destinato a diventare un quartiere residenziale / terziario, realizzato con il coinvolgimento di partner pubblici e privati, adatto a generare, in loco, nuovi posti di lavoro.

Nel Parco Olimpico sono stati poi progettati sistemi ecologici, dei  percorsi verdi che “penetrano” nel tessuto urbano dei quartieri circostanti (Hackney, Fish island, Leyton, Stratford, ecc.) e rendono l’area ex industriale, rigenerata, , più “vicina” al centro di Londra.  Al Parco si può accedere con il trasporto pubblico e con percorsi ciclopedonali. Insomma, un magnifico giardino che sarà una risorsa aggiuntiva per Londra.

Cinque principi basilari per l’attuazione della  sostenibilità per i Giochi di Londra 2012 : 1) contenere il cambiamento climatico, 2) riciclaggio spinto dei rifiuti, 3) aumentare la biodiversità dell’area, 4) particolare attenzione per salute, 5) inclusione sociale, soprattutto delle categorie deboli (giovani ed anziani in primis).

È stata anche creata ad hoc un’apposita società di scopo, l’Olimpic Park Legacy Company (OPLC – http://www.londonlegacy.co.uk/), che si occuperà di amministrare e gestire l’area per circa 30 anni una volta terminati i Giochi. I risultati di questa impostazione sembrano essere soddisfacenti non solo sotto il profilo ambientale ed ecologico, ma anche da quello economico, dato che nel business plan, i Giochi londinesi costeranno quasi la metà di quelli di Pechino 2008.

Tutte le strutture architettoniche e le infrastrutture realizzate per le Olimpiadi 2012, sono state sottoposte ad una preliminare valutazione prestazionale, svolta sulla base dei cinque principi di sostenibilità stabiliti e degli indicatori del Building Research Establishment Environmental Assessment Methodology (BREEAM – http://www.breeam.org/). Le procedure di certificazione energetica ed ambientale del Regno Unito sono molto restrittive in termini di sostenibilità e di approvvigionamento energetico e prevedono misure per la riduzione dell’impronta ecologica per tutto il ciclo di vita del progetto. Per compensare in parte il fabbisogno energetico  degli apparati olimpici  è stata appositamente realizzata a Eton Manor, a nord dell’area dei giochi, una turbina eolica, che, secondo la ODA (http://www.london2012.com/about-us/the-people-delivering-the-games/oda/) “produrrà l’energia equivalente al fabbisogno medio annuo di 1.200 famiglie”. La ODA ha inoltre sviluppato strategie per la riduzione dell’uso dell’acqua e la produzione di rifiuti.

Un altro aspetto molto importante, riguarda il ri-utilizzo dei materiali derivanti dalle demolizioni che hanno preceduto la realizzazione del Parco Olimpico e quelle che seguiranno dopo la conclusione. Diverse di queste ultime sono infatti attrezzature provvisorie che ospiteranno i Giochi 2012 e che dopo la conclusione dell’evento saranno smantellate e riutilizzate. E’ stato poi calcolato che oltre il 90% delle macerie derivate dalle demolizioni siano state recuperate e ri-utilzzate per costruire le nuove strutture.

L’impatto ambientale di Londra 2012, non riguarderà soltanto le strutture sportive e le realizzazioni urbanistiche ma anche lo svolgimento degli stessi “eventi” giochi olimpici. Sarà quindi adottata la metodologia di monitoraggio del footprint (Impronta ecologica di Mathis Wackernagel). Il comitato organizzatore, sostiene così di aver già evitato l’emissione in atmosfera di oltre 100mila tonnellate di anidride carbonica e ha inoltre messo in atto un programma di approvvigionamento sostenibile anche da parte delle ditte fornitrici dei prodotti, dal cibo alle attrezzature sportive.

Un altro aspetto importante preso in considerazione riguarda la mobilità elettrica al servizio delle Olimpiadi 2012 e della città di Londra. In tal senso è stato individuato un partner strategico  importante, la GE Energy Industrial Solutions che installerà 120 stazioni di ricarica per auto elettriche e che fornirà anche duecento vetture elettriche per gli spostamenti di atleti e dirigenti durante i Giochi. Al termine della manifestazione olimpica le stazioni di ricarica resteranno in eredità alla città e potranno essere utilizzate dagli automobilisti inglesi entrando a far parte della rete Source London, la più grande del Regno Unito e che nel 2013 conterà oltre 1.300 stazioni. Durante le Olimpiadi le stazioni di ricarica saranno invece utilizzate da appositi veicoli elettrici (BMW e Mini).

http://www.london2012.com/

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Delle Megastrutture


Si deve allo studio ABDR – http://www.abdr.it/site2010/ – (capogruppo Paolo Desideri) la realizzazione della nuova Stazione Ferroviaria di Tiburtina, intitolata a Camillo Benso Conte di Cavour. Un enorme edificio/ponte che intercetta trasversalmente il piano dei binari, creando, in quota (+ 9,00 metri dal piano dei binari) una “ponte abitato”, una “megastruttura” di 300 metri, larga 60 metri, in grado di collegare i due quartieri di Pietralata e Nomentano (una volta divisi dai binari). In totale 48.500 mq di superficie lorda di pavimento (negozi, bar, spazi museali, sale convegni, ecc.), frutto di un concorso internazionale del 2001. I lavori sono iniziati nel 2007, e sono quasi conclusi, la stazione però è operativa dal 2011. Costo complessivo dell’opera oltre 330 milioni di euro, dei 160 iniziali previsti. Passeggeri ipotizzati 150.000/200.000 al giorno, venti i binari.  Tanto metallo e vetro nei rivestimenti esterni, lastre di copertura in silicio carbonato colore  rosso e lamiere microforate in rame verde. Interni  di una ricchezza di finiture, molto alta, forse inadatte a creare un “luogo”.

Viene logico chiedersi come si è evoluto il ruolo delle “megastrutture”, come la Stazione Tiburtina, a partire dagli anni sessanta, in cui furono teorizzate da Banham, Maki, Tange e soci. Le megastrutture teorizzate  allora, regolavano la vita collettiva e la crescita della città in una realtà di massa, nascente, e rispondevano all’esigenza di costruire per numeri alti, in contesti urbani ad alta densità.
Le megastrutture sono state una risposta alla crisi della città dovuta al boom economico e demografico di quegli anni, ma sono anche l’evoluzione dell’ideale di “total architecture” del movimento moderno. Non a caso molte hanno un’impostazione “pop”, proprio per stemperare quella loro caratteristica, troppo spesso tecnicistica ed asettica. La megastruttura infatti, prende forma da una concezione totalizzante della progettazione architettonica e urbanistica, e rappresenta infine anche, un estremo tentativo di racchiudere in una forma architettonica la complessità della città, le sue continue e profondi mutazioni.

Quì a Roma, con la Stazione Tiburtina, Paolo Desideri, cita il Ponte Vecchio di Firenze, come se fosse possibile re-inventare un ponte-abitato di quella fattura. In realtà ci troviamo di fronte all’ennesimo “vuoto urbano”, ad uno “scatolone megastrutturale” che difficilmente potrà trovare una sua collocazione all’interno del contesto urbano. Gli spazi commerciali, infatti hanno difficoltà a trovare affittuari, le sale convegni languono. Gli ambienti, soverchiati da percorsi lunghi ed infiniti non troveranno mai una loro vitalità sociale. Forse sarebbe stato più “realista” e credibile metterci sopra ai binari, per unire quartieri popolari, un bel ipermercato, con un multisala cinematografico annesso (unica megastruttura che insieme agli hub aeroportuali funzioni), come sono in uso fare in Inghilterra, patria delle megastrutture, dopo decenni di catastrofici fallimenti in merito. Oppure forse, si doveva pensare a qualcosa di meno elegante, più calato nel contesto italiano, e di una realtà, anche economica, in decrescita, più che in crescita……..anche nei numeri dei Cittadini viaggianti in treno.

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