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OLYMPUS DIGITAL CAMERA               Quì sopra, immagini dei lavori nel sito Expo 2015 a Milano (29/01/2012)

822 giorni all’alba (o forse, meglio, al tramonto) – Oggi 29 gennaio 2013, abbiamo eseguito l’ennesimo sopralluogo sul sito dove si stanno realizzando i “lentissimi” lavori per la realizzazione di Expo 2015. Il cantiere appare molto indietro, i lavori procedono come al rallentatore, mediante l’impiego di sparute maestranze, ed anche i mezzi meccanici utilizzati sembrano pochi. Le reti aeree sono ancora tutte da rimuovere, ed anche la viabilità interna all’area è ancora operativa, come lo sono le intense attività di prostituzione femminile, da sempre cifra stilistica dell’area.

Il 31 gennaio 2013, scaduti i termini per l’iscrizione al concorso internazionale di progettazione per il “Padiglione Italia di Expo 2015” (consegna 20 febbraio 2013). Nei “deliri” del bando si legge :

Il Padiglione Italia dovrà quindi esprimere a tutti i livelli questa relazione concettuale fra cultura e coltura, divenendo un laboratorio d’idee e creatività, proposte e soluzioni, uno spazio protetto e che, allo stesso tempo, offre visibilità per le energie fresche e giovani che operano nel nostro Paese. 
Un’architettura che offra un’immagine creativa e allo stesso tempo riconoscibile dell’italianità, né rappresenti l’identità oltre gli stereotipi e gli schemi consolidati, un’immagine inedita per un Paese in continua evoluzione“. 

t4_prpi__pad_regionaliUn’immagine recente di come sarà Expo 2015

Può l’architettura : “esprimere a tutti i livelli ….. una relazione concettuale tra coltura e cultura”? Può l’architettura di un singolo edificio essere: “l’immagine inedita di un Paese”? Può il testo di un bando, per un concorso di idee internazionale, essere così “farlocco”? Forse da architetti, ma soprattutto da Cittadini, dovremmo porci il perchè di un testo siffatto, per la realizzazione di un edificio così importante dell’importo presunto di circa 40 milioni di euro, collocato in un’operazione “usa e getta” di oltre 2 miliardi e mezzo di euro (viabilità e trasporti pubblici compresi). Edificio che è poi “imbrigliato”, sempre nel bando di concorso, da esigenze di rapidità realizzativa e di distribuzione funzionale.

Insomma dallo “splendido orto planetario”, poco costruito e con tanto verde, per favorire un’Expo diffusa nella città di Milano, pensato da Stefano Boeri e soci; si è passati al grande supermercato “stile outlet”, denso e molto costruito, con poco verde (soprattutto alberi), e con tutte le attività concentrate nel sito Expo, che è poi l’attuale masterplan in costruzione.

Ecco allora, nascere la necessità impellente di concentrare in un’unico edificio (il Padiglione Italia), le relazioni tra “cultura” e “coltura”, visto che tutto il resto è la solita banale rassegna “fieristica” di edifici frutto di una “folle ridda” di architetture strane, fatte per vendere i “prodotti” di ogni Nazione partecipante, e soprattutto degli sponsor.

Del tema originario “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” e del suo progetto che ci ha fatto vincere la manifestazione, rimane poco (molto poco). Rimane solamente il classico modello di Expo, quello che abbiamo sempre visto, certamente meno splendido e dai numeri di visitatori, che saranno certamente più contenuti (di quello cinese), vista la crisi economica che attraversa tutto il mondo occidentale.

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Natale alla Bovisa


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Il tessuto urbano della Bovisa è flagellato da una cacofonia di edifici esistenti, distonici tra di loro, ed i nuovi  interventi “casuali” (spesso di terziario vuoto, ed invendibile) male inseriti in quello che dovrebbe essere un paesaggio urbano storico da tutelare, simbolo della industria milanese, che ormai non è più, aggiunge tristezza ad un Natale, che tutti percepiamo, come greve. La Bovisa dovrebbe essere un quartiere progettato e ragionato, se non altro per il “peso” di inquinamento lasciato alle generazioni attuali ed a quelle future, dall’industria (nel terreno), ma invece, questa progettualità, non è. L’occasione delle aree dimesse da riqualificare, non è stata colta, qui alla Bovisa, manca un disegno virtuoso complessivo, che generi un paesaggio nel solco dell’immaginifico passato, o una valida alternativa ad esso.

Il quartiere della Bovisa, che negli anni passati aveva acquisito una propria autonomia, architettonica fatta di edifici industriali e dignitose case popolari: autonomia anche sociale, rispetto a Milano, oggi, è tra le aree dimesse, da bonificare, più inquinate dell’area urbana (e forse d’Europa). Nonostante ciò, qui è ovunque, un rifiorire di gru, di imprese che edificano “selvaggiamente”, senza nessun progetto urbanistico e paesaggistico complessivo, edifici di rara insulsaggine architettonica e volumetrica. Qui il paesaggio è perso, probabilmente definitivamente, e forse ormai non c’è più nulla da salvare, se non qualche edificio isolato. Il Natale qui, sente il “peso mortale” di ciò, dei numerosi cartelli “vendesi” che probabilmente rimarranno lì per anni ed anni, ancora. E la pochezza delle “luminarie natalizie” della Bovisa, issate dai commercianti nel bel mezzo delle vie, testimonia in maniera evidente, di un sistema economico ormai al collasso.

Strano destino,  quello dei tessuti urbani costruiti, con finalità produttive: in pochi anni sull’onda di un violento sviluppo economico, a partire dai primi decenni del Novecento, sono “esplosi”, nati dal nulla, consumando quel suolo agricolo fertile che è comune a tutta la Pianura Padana. Poi rapidamente sono degradati in aree dimesse ricche di fascino e memoria. Oggi questi ambiti, sono alla ricerca di un proprio futuro paesistico, che viene spesso disatteso, e sostituito da un pianificazione “casuale” che premia ed incentiva il  volume (incrementi volumetrici per chi costruisce sostenibile, per chi fa housing sociale, ecc.), la mutazione di destinazione funzionale (da industriale a residenziale/terziario), e soprattutto con la mancanza di un “quadro complessivo”, nonostante i piani urbanistici ed i progetti di archistar quali : Renzo Piano a Sesto San Giovanni e Rem Koolhaas alla Bovisa di Milano, di .

Forse in queste parti di tessuto urbano, che tanto hanno dato in passato, più che favorire una densificazione della città, come si ostina a sostenere Vittorio Gregotti (ed ha applicato con sistema alla Bicocca di Milano), quale soluzione di tutti i mali, imponendo una sviluppo prettamente volumetrico ed in altezza, bisognerebbe decrescere, come suggeriscono molti, verso forme più “soft” di pianificazione controllata, in grado di preservare, grandi aree verdi con all’interno anche quella che fu la memoria produttiva,  recente, di questi luoghi, magari di nuovo abitata (la memoria) da funzioni di eccellenza.

Ecco questo Natale alla Bovisa, con la crisi economica che attanaglia tutti, se ci deve portare un regalo, speriamo sia proprio questo, la consapevolezza dei politici, e soprattutto di noi cittadini, che il futuro, deve essere “governato”, “indirizzato”, per tornare ad essere quel “sogno reale” da vivere a cui tutti aspiriamo.

TANTI AUGURI A TUTTI !

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Assenza di futuro


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Il Professor Giancarlo Consonni, pubblica un articolo dal titolo “Bocconi l’architettura delle facili metafore”  sul giornale  La Repubblica – Milano, del 9 dicembre 2012, che di fatto è un manifesto contro il progetto di Sanaa per l’area della ex Centrale del Latte di Milano (di recente presentato all’opinione pubblica).  In tale documento, l’anziano docente, ci fa un escursus dotto, una vera e propria “lezione frontale”, di quanto sia il progetto di Sanaa, non allineato con la storia dell’architettura milanese, e soprattutto con il “moderno” di Giuseppe Pagano Pogatschnig (1896-1945), autore del primigenio edificio dell’università Bocconi (di cui sono le immagini di questo articolo).  E rincarando la dose, ci illumina che la città di Bramante e Filerete, non può avere un progetto che : “è lontano anni luce da quella storia, compresa la sontuosa spazialità che caratterizza gli interni bocconiani di Pagano e Predaval. Si sa: nell’inseguire una visibilità sulla scena mediatica, tra i mezzucci a cui ricorrono architetti in grave crisi di idee vi è la metafora facile, priva di senso civile: la biblioteca-libro, il grattacielo-supposta, il casinò-fiche, ma anche lo stadio-nido, il museo vasca da bagno ecc. ecc.”

Eppure lì vicino, l’orribile “ciambella mattonata” di Ignazio Gardella, riconosciuto maestro della “scuola milanese del moderno”, costruita quale ampliamento dell’università Bocconi, tra il 1999 ed il 2000, testimonia di una presunta mancanza di “senso civile”, che non è solo di Sanaa. Ma di Gardella, il lungimirante Consonni non parla, sarebbe troppo “sconveniente” fare le pulci, ad un illustre defunto, che ha una genia ancora attiva a livello universitario.

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La “ciambella mattonata” di Ignazio Gardella 

All’esimio docente ci preme, sottolineare inoltre, che il progetto di Sanaa, è il frutto di un concorso ad inviti di livello internazionale, che si è avvalso di una giuria presieduta da Peter Cook (architetto e designer di fama mondiale, nonché Sir della Corona inglese), fondatore di Archigram, già direttore dell’Institute of Contemporary Arts, London, e della Bartlett School of Architecture, University College London.

Tale giuria contava i seguenti elementi : Guido Tabelloni (che allora era rettore dell’Università Bocconi); Bruno Pavesi (consigliere delegato dell’Università Bocconi); Federico Oliva (professore di urbanistica al Politecnico di Milano); Yvonne Farrell (degli irlandesi Grafton Architects); Martha Thorne (direttore esecutivo del Premio Pritzker); Deyan Sudjic (direttore del Design Museum di Londra); Enrico Cucchiani (amministratore delegato di Intesa Sanpaolo); Cesare de Seta (notissimo storico dell’arte e dell’architettura); Stefano Cascinai (architetto e scrittore).

I professionisti invitati al concorso, oltre al vincitore Sanaa erano di assoluta rilevanza internazionale : Rem Koolhaas (Olanda) Premio Pritzker 2000; David Chipperfield (Regno Unito); Thom Mayne (USA), Premio Pritzker 2005; Massimiliano Fuksas (Italia); Mario Cucinella (Italia); Cino Zucchi (Italia); Mathias Sauerbruch, Louisa Hutton (Germania); Benedetta Tagliabue – EMBT (Spagna); Odile Decq (Francia).

Il progetto potrà non piacere, al docente universitario, ma forse, prima di trarre delle conclusioni così definitive, sarebbe meglio attendere la sua costruzione, visto che molte architetture contemporanee, più che valutate “sulla carta” vanno vissute, con tutti e cinque i sensi, per essere apprezzate (come la biblioteca del Politecnico di Losanna). Ma forse, per Consonni questo è difficile da comprendere, attaccato come è alla metafora della “fabbrica moderna” che diventava università a cui si rifaceva in maniera esplicita Pagano (riferendosi al modello della Bauhaus di Dessau).

Non dimentichiamoci poi, che moltissimi componenti di quel “moderno milanese” citato nell’articolo, e sembra “rimpianto” da Consonni, hanno “rovinato”, sia dal punto di vista dell’architettura che dell’urbanistica,  parecchie zone di Milano, soprattutto in periferia. La continuità, con la storia dell’architettura, spesso deve godere di “preziose discontinuità”, proprio per potersi re-indirizzare verso un nuovo futuro possibile. Ma questo il  Consonni, difensore di una “scuola milanese” morente, che ci ha regalato dei veri e propri scempi (architettonici, urbanistici e sociali), come le case di Aldo Rossi a Vialba o al Gallaratese, oppure quelle di Aymonino sempre al “Galla”, oppure quelle da Albini e soci a San Siro, oppure il quartiere di Quarto Oggiaro, ecc. ecc..

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