Dall’alto di un Monte, le cose umane, che stanno in basso, sembrano più chiare e definite. Da sempre, isolato nell’ovattata sicurezza della Montagna, un’entità di nome Etere osservava l’evolvere di una “costruzione collettiva” in cui sapienza ed ignoranza, s’intrecciavano nella realtà di una pandemia virale globale, sempre più feroce ed invasiva, che sta letteralmente devastando i corpi e le menti degli uomini.

L’uomo, e la natura, sembrano qui, sul Monte, ritrovare una loro dimensione equilibrata; dove anche i contenitori per lo svolgimento delle attività legate alla vita degli uomini, riescono ad inserirsi magistralmente nel paesaggio locale, nella Natura. Certamente in maniera diversa, e con meno densità abitativa, da quanto succede nelle città, caotiche, molto costruite ed inquinate.

L’aria è un bene indispensabile ed irrinunciabile per la vita, oggi lo si può comprendere meglio, proprio a seguito di questa crudele pandemia virale di Covid-19, che uccide gli esseri umani, proprio sottraendogli la capacità polmonare di assumere il fluido “aria”, per poter vivere.

La Montagna è un’arca del respiro, un luogo, vicino al cielo. Probabilmente la casa del mitico Etere, avrebbero sancito i greci antichi. Il luogo dove il fluido purissimo che dà la vita alle divinità, nasce dai boschi e si rende palpabile ed evidente, al di là dell’automatica consuetudine, che ci fa dimenticare questo semplice ed indispensabile gesto automatico: respirare. Alberi, piante, cielo, ed il mito di un’aria pulita e sopraffina, qui trovano la loro fusione in una biosfera unica legata alla respirazione del corpo umano e dell’ambiente.

Sono stati microscopici organismi, usciti dagli oceani, che, milioni di anni fa hanno incominciato a produrre, quale “scarto” della loro esistenza, quell’ossigeno, che nel corso del tempo, grazie alla fotosintesi di miliardi di piante, di alberi, ha costruito la parte “nobile” di quel fluido gassoso che contraddistingue la vita così come la conosciamo oggi.

Il mito dell’aria degli Dei (Etere), ha origini antichissime, ma viene precisato e meglio definito nell’antica Grecia, prendendo i connotati e le forme di una divinità religiosa. Etere sarebbe la potenza del cielo, in particolare di quella zona inaccessibile del cielo dove i greci pensavano vivessero solamente gli Dei, e dove era racchiusa la luce. Secondo i greci antichi, infatti, gli Dei respiravano un’aria diversa da quella della comune gente mortale: l’aria dell’etere. Etere, secondo Esiodo, era figlio di Erebo e della Notte. Suo fratello era il giorno, Hemere. Personificazione del cielo, della luminosità, della parte della luce più pura che è distante dalla terra e vicino agli Dei, questo soggetto ritorna sia nella filosofia, che nella teologia. Secondo Aristotele, infatti, le divinità erano composte proprio di questa sostanza, di questo mitico “fluido”: l’etere. Dai greci era raffigurato come un uomo dal fisico forte, con spalle possenti, gambe nerborute e lunghi capelli con boccoli.

Mi piace pensare, stando qui tra i boschi di larici ed abeti della Montagna, laddove la selva diventa più fitta, vi sia la casa di Etere. La casa di quel “fluido mitico” fattosi divinità in forme umane. Una dimora, ampia con i soffitti molto alti, ed accogliente, ma spartana e semplice, molto luminosa, ovviamente realizzata con un legno antico di origini misteriose. La magione è un campionario di scricchiolii delle travi, dei rivestimenti, degli arredi lignei, tanto che tra la notte ed il giorno, sembrano stirarsi, contorcersi. Migliaia di fessure microscopiche generano sibili e fischi. Una casa in cui gli alberi che la circondano, possano entrare in essa, dalle porte, dalle finestre: con i rami, senza un vero vincolo preciso tra interno ed esterno. Più che altro un tetto primigenio, una protezione, un luogo dove incontrarsi: uomini, miti, divinità ed alberi. Quegli alberi, quelle piante, che sono generatrici di “Etere”. Una casa normale, una costruzione che protegga ed includa; le cui stanze diventino una foresta, e la foresta una casa, che non andrà mai in rovina. Mentre fuori sta la Natura, è un rassicurante giardino selvaggio, in cui: ghiri, scoiattoli, picchi, cuculi, e uomini, possano trovare una nuova maniera di convivere assieme.

Le persone, soprattutto quelle urbanizzate, sono troppo spesso disconnesse dalla natura, dovrebbero avere una tregua. Vivere la maggior parte dell’anno in luoghi con l’aria inquinata, caotici e con una “distanza” da quella natura di cui siamo parte, certamente non aiuta. La pandemia ha risvegliato un desiderio sottorappresentato negli abitanti delle città di connettersi con la natura. Quel desiderio è un diritto umano. L’aria pulita dovrebbe essere, di fatto, una conquista a cui tutta la nostra società umana dovrebbe tendere, invece troppo spesso ciò non è un fatto scontato.

Gli alberi, le piante, sono stati, e se ben ci pensiamo, ancora lo sono, i riferimenti che ci consentono di provare a spiegare la realtà della vita “respirante” di noi uomini: una vita interconnessa ad un ecosistema planetario di cui siamo solamente una parte insignificante.

Noi umani, siamo parte di quella natura, da cui proveniamo, e che riteniamo, come specie apicale: “una proprietà esclusiva”, asservendola alle nostre necessità. Nutrendoci di essa, modificandola e distruggendola come più ci aggrada, ma essa ci è soprattutto indispensabile per la nostra vita. Una vita vocata a “mangiarci” fisicamente il Pianeta, a “succhiarne” tutta l’energia possibile, replicandoci in numeri ormai insostenibili per la Terra.

Moriremo espirando, e questa è l’unica certezza che abbiamo dalla nascita. E le piante, ci saranno sul Pianeta Terra, anche parecchio tempo dopo la nostra ineluttabile scomparsa da esso.

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