Ho viaggiato in Portogallo, dapprima con le poesie di Fernando Pessoa ed i libri di Josè Saramago, e poi soprattutto con il bellissimo film di Wim Wenders, “Lisbon Story” (1994), senza muovermi da casa. Poi a tappe, lentissime nel tempo, negli anni, sono stato ad Oporto, a Lisbona, a Faro, a Evora, a Setubal, ecc.. Ci sono stato, e ci sono anche tornato più volte, l’ultima poche settimane fa a Lisbona (erano i primi di dicembre 2011). Ci sono tornato, per “costruire” quel percorso individuale di viaggio, che Saramago descrive, così bene,  nella presentazione del suo straordinario libro “Viaggio in Portogallo”.

“Mal gliene incoglie all’opera se le richiedono una prefazione che la spieghi, mal gliene incoglie alla prefazione se presume tanto. Conveniamo, dunque, che questa non è una prefazione, ma un semplice avvertimento, o un preavviso, come quell’ultimo messaggio che il viaggiatore, già sulla soglia della porta, già con lo sguardo rivolto all’orizzonte prossimo, lascia a chi rimane a badare ai fiori. La differenza, se c’è, è che l’avvertimento non è ultimo, ma il primo. E non ce ne saranno altri. Che il lettore quindi si rassegni a non disporre di questo libro come di una normale guida, o di una mappa da tenere sottomano, o di un catalogo generale. Alle pagine che seguono non si dovrà ricorrere come a un’agenzia di viaggi o di turismo: l’autore non è qui per dare consigli, benché ribondi di opinioni. Vi si troveranno, questo è pur vero, i luoghi selezionati del paesaggio e dell’arte, l’aspetto naturale o trasformato della terra portoghese: ma non sarà forzatamente imposto, o abilmente orientato, alcun itinerario solo perché le convenzioni e le abitudini hanno finito per renderlo obbligatorio a chi da casa propria si allontana per conoscere quello che c’è fuori. L’autore, senza dubbio, è andato dove si va sempre, ma è pure andato là dove non si va quasi mai. Che cos’è, in fondo, il libro che una prefazione possa annunciare con una qualche utilità, sia pure non immediata a prima vista? Questo viaggio in Portogallo è una storia. Storia di un viaggiatore all’interno del viaggio da lui compiuto, storia di un viaggio che in se stesso ha trasportato un viaggiatore, storia di un viaggio e di un viaggiatore riuniti nella fusione ricercata di colui che vede e di quel che è visto, un incontro non sempre pacifico tra soggettività e oggettività. Quindi : emozione e adattamento, riconoscimento e scoperta, conferma e sorpresa. Il viaggiatore ha viaggiato (in questo caso) nel proprio paese. Il che significa che ha viaggiato all’interno di se stesso, per la cultura che lo ha educato e lo sta educando, significa che per molte settimane è stato riflettore delle immagini esterne, un vetro trasparente attraversato da luci e ombre, una placa sensibile che ha registrato, in transito e progresso, le impressioni, le voci, il mormorio interminabile di un popolo. Ecco ciò che voleva essere questo libro. Ecco ciò che suppone di aver conseguito in parte. Prenda il lettore le pagine che seguono come sfida e invito. Faccia il proprio viaggio secondo un proprio progetto, presti minimo ascolto alla facilità degli itinerari comodi e frequentati, accetti di sbagliare strada e di tornare indietro, o, al contrario, perseveri fino a inventare inusuali vie d’uscita versi il mondo. Non potrà fare miglior viaggio. E, se sarà sollecitato dalla propria sensibilità, registri a sua volta quel che ha visto e sentito, quel che ha detto e sentito dire. Insomma, prenda questo libro come esempio, mai come modello. La felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare, probabilmente, è una di queste. Affidi i fiori a chi sappia badarvi e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo.”

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