In questi giorni, mi sta scadendo l’abbonamento alla rivista di architettura “Abitare”. Questo fatto coincide con un cambio di direzione della rivista, ed anche con un aumento del costo (da 7,50 euro a 9,00 euro). Da quando mi sono laureato, ma anche da prima, la rivista di architettura è sempre stata uno strumento della mia attività professionale. Ho tutti i numeri di “Casabella” della direzione Gregotti, i “Domus” quando era direttore Vittorio Magnano Lampugnani. Ho intere collezioni di “Lotus International”, di “Area”, di “Rassegna”, di “Zodiac”. Da quasi quattro anni, sono stato un fedele abbonato esclusivamente di “Abitare”. Alle riviste di architettura, ho quasi un “affetto feticistico”, mi sono quasi indispensabili. Eppure questa scadenza è stata l’occasione per riflettere, con i miei colleghi di studio, se è ancora il caso di investire in uno strumento che ormai, nel momento stesso dell’acquisto, diventa vecchio, vetusto, ed inevitabilmente finisce in uno scaffale per non essere quasi mai più consultato. Spesso i progetti, presentati nelle riviste, sono già ampiamente conosciuti, essendo ormai internet la rassegna dell’immediatezza, con centinaia di inviati che “rastrellano, fotografano e sondano” il mondo dell’architettura. Da oltre tre anni, non acquisto più fisicamente il quotidiano, ma il “Corriere della Sera” mi arriva direttamente sul mio IPad, facendomi risparmiare denaro e spazio, lo stesso potrei fare con le riviste di architettura. Infatti forse proprio “Abitare” è stata una delle prime ad avere anche una versione digitale. Ma ha senso ciò ? Molti dei miei colleghi, soprattutto quelli più giovani, se ne guardano bene dall’acquistare una rivista di architettura, ogni aggiornamento o approfondimento, avviene “ravanando” in internet. Lo stesso fanno gli studenti di architettura. Non conosco i trend inerenti le vendite delle varie riviste di architettura ma, ne sono certo, devono essere molto in discesa. Ritornando ad “Abitare”, il tentativo del nuovo direttore di occuparsi maggiormente di tutto quello che stà attorno al progetto, più che del progetto stesso, mi sembra un estremo tentativo per rianimare un morto. Lo stesso ha fatto “Domus” con risultati direi pessimi. Le riviste di architettura, sono dei “cadaveri che camminano”, degli “zombie”, nulla potrà fermare la loro lenta ed inevitabile morte.
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