
Sono passati più di trent’anni, da quando Giorgio Grassi, il “Guru” milanese della “costruzione logica dell’architettura” (libretto del 1967, ma diventato nel tempo quasi un manuale) completava in Spagna con Manuel Portaceli la ristrutturazione/ricostruzione/consolidamento del teatro romano della cittadina di Sagunto, operazione destinata a diventare oggetto di infinite querelle e dibattiti tanto ampi da abbracciare anche la stessa definizione di restauro.
Per chi, come lo scrivente, era stato in quegli anni Ottanta del Novecento, studente del Politecnico di Milano, “Giorgino” era una specie di VATE, con un suo seguito di discepoli adoranti e fedelissimi. Una figura autorevole, severa, quanto colta, a cui tutti mendicavano una tesi o un esame di Composizione Architettonica. Con il tempo gli adepti divennero “quasi una setta”.
Tutto ciò ha fatto nascere un dibattito su cosa sia un “restauro”, anche perchè i resti del Teatro erano vincolati. Nel 1985 la rivista “Arquitectura” di Madrid pubblicava il progetto per il teatro di Sagunto, ideato dagli architetti Giorgio Grassi e Manuel Portaceli: animato da una profonda critica ai tradizionali metodi di restauro, tale progetto fu considerato di grande interesse culturale.
“Attualmente il teatro di Sagunto si presenta, in larga misura, come una rovina artificiale”: con queste parole Giorgio Grassi e Manuel Portaceli commentavano lo stato in cui giaceva l’antico teatro romano di Sagunto, risalente al I secolo d.C. e avviavano il loro ragionamento sul progetto. La scomparsa quasi totale del muro del post-scaenium rompeva l’unità architettonica tipica della scatola scenica romana e provocava l’impressione di trovarsi di fronte alle rovine di un teatro alla greca, appoggiato sul pendio del monte e rivolto verso il paesaggio circostante. L’intervento di Grassi e Portaceli si poneva l’obiettivo di restituire l’unità architettonica originaria dell’edificio, che il tempo e i restauri precedenti avevano compromesso.
La base antica del Teatro, viene, nel progetto, come scrive lo stesso Giorgio Grassi su Domus n° 756 del gennaio 1994 “contemporaneamente rispettata e violata, rimettendo in servizio il teatro attraverso un suo completamento funzionale e l’assunzione della matrice razionale delle sue strutture originarie”.
Fino dal giorno in cui il cantiere fu compiuto, l’intervento sul Teatro di Sagunto non ha smesso mai di essere oggetto di polemiche e lo spettro della demolizione fu invocato più volte, benchè l’opera avesse avuto l’approvazione dalle autorità competenti. Venne impugnato ad ostaggio di una vertenza strumentale, tutta legata ad interessi di potere politico. Dopo 17 anni di contesa giudiziaria, viene fatto circolare, nel 2008 un Manifesto contro la demolizione. La Sovraintendenza di competenza fece fare degli studi sulla possibilità di ripristinare la situazione dei reperti ante intervento di Grassi/Portaceli. Studi che giunsero alla conclusione che era ormai impossibile ripristinare i luoghi ed i reperti.
Nel corso del tempo, sono tornato parecchie volte in “pellegrinaggio” al Teatro di Sagunto, quasi per penitenza, o meglio per vaccinarmi; e sempre questo metodo di restauro (se così lo si può chiamare) non mi ha mai convinto. Più che una “violenza” lo trovo un vero e proprio stupro architettonico.

Il “cassone ricostruttivo” che domina la cittadina di Sagunto (1985/1993) – Immagine tratta da Google Earth








SOPRA – Immagine tratta da Google Earth

Il cemento armato, appoggiato sui reperti archeologici del basamento del Teatro romano, banalmente rivestito in mattoni di laterizio. Una operazione banale di nascondimento scenografico, probabilmente concordata con i detentori del vincolo sui reperti.




La ricostruzione di Grassi/Portaceli è visibile da ogni punto della cittadina di Sagunto (da Google Earth)
La questione del restauro di un Teatro romano, è quanto mai viva oggi, che David Chipperfield si appresta a ricostruire quello di Brescia collocato nell’area archeologica di Brixia. Il progetto mira a restituire al monumento la sua natura di spazio vivo, culturale e urbano, al servizio della città.
Diversi sono i presupposti progettuali, finalizzati ad una progettazione partecipata. Il progetto sarà il frutto di un ampio lavoro preparatorio: rilievi laser scanner, studio storico, e soprattutto dialogo con istituzioni e cittadinanza. La Regione Lombardia ha sostenuto un percorso di sensibilizzazione pubblica, culminato in un ciclo di conferenze sul Teatro Romano.
Importante anche la sinergia con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio che, con Fondazione e Comune, garantirà un dialogo ed un controllo costante durante le fasi di scavo e progettazione esecutiva.
I lavori si svolgeranno a cantiere aperto, permettendo al pubblico di assistere alla trasformazione del sito. Diversamente dal Teatro romano di Sagunto, non sarà ricostruita la scena del Teatro, nè si poserranno, delle sedute in materiale plastico nella cavea.

Immagine aerea tratta da Google Earth del Teatro Romano di Brescia
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