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Builders of the future

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Decrescita

Autunno anticipato


Tutti a parlare dell’arretramento “spettacolare e drammatico” dei ghiacciai delle Alpi (https://www.wwf.ch/it/stories/la-morte-dei-ghiacciai), per l’ormai evidente cambiamento climatico, sancito da questo anomalo luglio 2022; però a passeggiare lungo l’anello ciclo-pedonale che circonda il Lago del Segrino (appena sopra ad Erba), sembra di assistere, per colpa del “climate-change” ad un drammatico “foliage” autunnale anticipato (https://bit.ly/3PYrtzw). Quasi una violenta “bruciatura solare”.

La grande e perdurante calura estiva, con temperature sempre attorno ai 35 gradi, la quasi assente escursione notturna, la carenza d’umidità e di precipitazioni (non piove continuativamente sulla Lombardia dall’autunno 2021), hanno fatto si che le caducifoglie (Carpini, Pseudoacacie, Faggi, Castagni, ecc.), per non disperdere ulteriormente la vitale acqua, abscindono in massa le foglie, per ridurre la fotosintesi clorofilliana e la conseguente evaporazione.

Una soluzione estrema, che le caducifoglie adottano solamente quando la situazione siccitosa è particolarmente grave. Non avere il fogliame, alle piante per l’ultima fase estiva, fa si che esse immaganizzeranno meno zuccheri (energia) per la stagione invernale, e di fatto produrranno meno ossigeno, stoccando nel loro legno anche meno anidride carbonica (CO2).

E’ molto probabile, che nei boschi attorno al Lago del Segrino, ma come un pò sta capitando in tutta la Lombardia, soprattutto nelle Prealpi, vi sarà un’alta moria invernale di piante d’alto fusto (anche se non tutte moriranno), aggravando la situazione geologica dei terreni.

Una magra consolazione: le caducifoglie durante i periodi lungamente siccitosi, di solito tendono a produrre molti più semi, confidando che una volta precipitati nella terra, questi semi, prima o poi (al di là della loro morte) potranno dare luogo, una volta che si realizzeranno le condizioni climatiche ideali, ad una nuova generazione di piante. Una speranza per il futuro.

Il lago del Segrino è pieno d’acqua, come al solito in questa stagione, ma attorno i colori gialli, marroni e rossi (che dovrebbero essere esclusivamente sulla tonalità del verde intenso), evidenziano il grave stato di sofferenza arborea dei declivi che si affacciano sul lago. Soprattutto dei declivi con assenza di acque nel sottosuolo.

I forti temporali di questi giorni, sono troppo brevi per “bagnare il bosco”, servirebbero piogge continuative per più giorni e non violenti acquazzoni.

Senza le piante, non ci sarebbe stata vita su questo bellissimo e meraviglioso Pianeta (il nostro Paradiso); esse hanno creato l’atmosfera che tutti gli esseri viventi respirano. Senza le piante, non ci sarà più vita sulla Terra.

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I paesaggi formano gli uomini


Il nostro  rapporto, il nostro legame,  con  la  realtà  si  fonda  sulle  relazioni  che  si  stabiliscono  fra  due  diversi  ambiti  dell’esperienza:  quello  della coscienza  soggettiva  (emozioni,  ricordi, odori, ecc.)  e  quello  della  conoscenza  oggettiva (reperti, edifici, alberi, pietre, ecc.).  Il  paesaggio  è  il  momento  di  congiunzione, fungendo da fondamentale riferimento del nostro rapporto con il mondo di questo bellissimo Pianeta.

Un pianeta che gli esseri umani da sempre trasformano, adattandone la Natura, spesso in maniera violenta, alle proprie esigenze di vita, soprattutto per produrre gli oggetti, i contenitori, il cibo, i macchinari, di cui amiamo circondarci per facilitare la vita, sfruttare le risorse, e creare lo spazio e le condizioni, affinchè la specie umana possa replicarsi in maniera che fino ad oggi sembrava infinita.

Conoscere il paesaggio permette all’uomo di vivere appieno il proprio tempo. Ogni popolo, ogni momento storico ha la sua “mappa” che, in tal  senso,  ha  un  profondo  valore  antropologico.  Infatti non si può parlare  di  geografia,  ma come ho scritto  di  vere e proprie “mappe mnemoniche”,  che  esistono  e  si diversificano in relazione all’ambiente, al cibo, alle tradizioni sociologiche di un popolo.

Aver passato parecchio tempo in questi luoghi, Camogli e dintorni, i miei nonni avevano in questa cittadina un appartamento, ha caratterizzato, ed indirizzato la mia vita.

Ritornare in questi luoghi dopo parecchi anni, mi ha fatto ritrovare : i colori, i suoni, gli odori della mia memoria; soprattutto quello della dispensa di mia nonna, dove custodiva i camogliesi della pasticceria Revello ( https://www.revellocamogli.com/?page_id=46 ).

SOPRA – Camogliesi al Rhum

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Calcestruzzo pro – capite


Giuseppe Micciché /Architekturpreis Beton 17

La Svizzera è tra i Paesi, al Mondo, col maggior consumo di cemento pro capite. In Svizzera, si consumano 584 kg pro capite l’anno, di calcestruzzo, per ogni abitante. La Svizzera è pero, anche tra i paesi più impegnati a rendere il settore delle costruzioni più ecologico. Se fosse una nazione, l’industria mondiale del cemento sarebbe la terza più inquinante dopo Cina e USA. È all’origine, l’industria del calcestruzzo, di circa l’8% delle emissioni globali di CO2: più di aerei e navi. Il settore è dunque chiamato a ridurre il suo impatto, ma il boom edilizio nei Paesi emergenti non aiuta. Che fare? Sostituendo i combustibili fossili che alimentano i forni con rifiuti domestici, biomasse o fanghi, i sei cementifici della Svizzera hanno già ridotto le emissioni. Ma questo era solo l’inizio. Ora, per raggiungere la neutralità climatica servono tecnologie di cattura e stoccaggio del CO2, rivedere la composizione del cemento e studiare materie prime alternative. Ed in ITALIA, invece, ogni anno vengono prodotti 19 milioni di tonnellate di calcestruzzo, per un consumo pro capite (60 milioni di abitanti) di circa 316 kg per anno. Pochissime le iniziative ed i finanziamenti per la ricerca di soluzioni alternative. Forse sarebbe il caso di incominciare a pensare ad una TRANSIZIONE ECOLOGICA EFFETTIVA, ed il Recovery plan, potrebbe essere uno stimolo, all’utilizzo di : legno, paglia e terra. Chissà se Draghi e soci ci stanno minimamente pensando?

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Così vicini, così lontani.


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Sopra l’inconfondibile Piazza Duomo venerdì 10 aprile 2020, ore 10,30. Vuota.

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Sopra Sesto Marelli, senza nessuno il 10 aprile 2020, ore 17,30

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Sopra Piazza liberty /sede Apple desertica il 11 aprile 2020, ore 11,30

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Sopra viale Bligny/Aula Magna Bocconi (Grafton Architects)  il 11 aprile 2020, ore 18,00

Ma veramente credevamo, si potesse andare avanti all’infinito a riprodurre un sistema economico capitalista “globale” (di oggetti, di persone, di prelievo indiscriminato delle risorse del Pianeta, d’inquinamento, ecc.), senza prima o poi pagarne le conseguenze, in merito alla distruzione sistematica, e senza limiti, di un ecosistema planetario?

Se non era il virus, sarebbe stato il clima, o altro a darci un segnale forte, inequivocabile. La misura è colma; o si ripartirà dopo questa pandemia, facendone tesoro, cercando tutti assieme di modificare la nostra maniera di vivere su questo pianeta, o presto, la nostra stessa permanenza come specie umana sulla superficie terrestre, ci sarà negata dai fatti. Vanno cambiati i sistemi di produrre, di consumare, di prelevare materie prime, di costruire le città, di muoversi, di coltivare la terra, di vivere. Ci vorrà tempo e sacrificio, ci vorranno soprattutto idee, ma potrebbe essere una grande opportunità per tutti. La possibilità, se sapremo coglierla, di modificare un percorso palesemente sbagliato.

La crisi che stiamo vivendo, dimostra l’intima interrelazione, tra la salute umana e le condizioni dell’ecosistema del pianeta: la scala globale, l’interdipendenza e la rapidità della diffusione del virus Covid-19 hanno mostrato questa realtà in tutta la sua drammaticità. Le aree urbane sono i principali epicentri dell’emergenza sanitaria in corso: Wuhan, Milano, Madrid, New York, ecc., in quanto luoghi privilegiati della contiguità, della densità, inquinati e malsani (Ed in tal senso Milano è leader al Mondo (https://bit.ly/39H5mbr). Tutti fattori che li rendono ottimali per il proliferare del virus, che usa i nostri corpi come vettori, e “contenitori/case/cibo” in cui vivere e diffondersi sul Pianeta.

La forma urbana attuale che continua a estendersi come un tumore inarrestabile, è palesemente inadeguata, per dare risposte alle esigenze anche sociali della società post Covid-19, dove bisognerà rispettare delle precise distanze interpersonali per anni, stando “lontani”, ma cercando di stare “vicini”, come società coesa in grado di supportare questi cambiamenti indispensabili dal punto di vista sanitario ed economico.

La salute, come la natura, nell’ambiente urbano sono circoscritte e ben delimitate, come se fossero un dato di fatto, un’appendice obbligatoria, piuttosto che essere un concetto generativo fondamentale per un habitat sostenibile, in cui gli esseri umani, ed i loro “contenitori” (architetture), cercano di coesistere in armonia con la natura e l’ambiente. I futuri “contenitori per gli esseri umani” dovranno essere realizzati “di natura” (ad esempio di legno – https://bit.ly/2UQXTlE) non solamente “rivestiti” con essa, per conseguire fin da subito, benessere e salubrità per la collettività.

L’emergere di epidemie porta alla luce il significato di un nuovo concetto di salute e benessere in relazione all’ambiente costruito. La città andrà ripensata, radicalmente, come dovremo ripensare la nostra vita di relazione per coesistere con il virus.

La politica soprattutto nei suoi aspetti legati all’economia, deve saper ridare fiducia alla Nazione, riparare i danni alle finanze dei cittadini e delle imprese, che saranno prodotti dalla “chiusura totale”, per proteggerci dalla diffusione virale, isolandoci. Tali danni saranno soprattutto evidenti nel post-virus, tra l’estate e l’autunno 2020, bisognerà quindi garantire riforme in grado di innescare un duraturo e innovativo percorso per una “crescita economica controllata”. Intendendo con questo termine, l’esigenza di dare una chiara discontinuità, rispetto alla “crescita folle” e senza limiti in cui eravamo tutti “lanciati” prima dell’epidemia.

Da domani saremo chiamati a prefigurare lo spazio urbano dell’uomo, nelle grandi città, con uno sguardo nuovo, “diverso”: partendo dalla Natura e dal nostro rapporto con essa; e non solo dall’antropocentrismo. Non basterà più evocare un frettoloso maquillage verde, come fatto a Milano fino a ieri, per “nascondere il cemento sotto il tappeto” e sottrarre agli occhi dei cittadini, le masse volumetriche eccessive di una pianificazione quantitativa, asservita alle immobiliari ed ai capitali esteri o italici, più che qualitativa, dalla parte dei cittadini ed a tutela della loro salute.

Il problema è che i politici, gli imprenditori, soprattutto quelli milanesi e lombardi, sono stati abituati per anni a svolgere il loro ruolo avendo a disposizione un’elevata quantità di denaro. La crisi economica, post Covid-19, imporrà di riprogettare l’Italia e soprattutto Milano e la Lombardia, avendo a disposizione pochi soldi e tempi contingentati (se non si vuole che tutto muoia). I Manager veicolati da prestigiose esperienze imprenditoriali, senza limiti di cassa, ed i liberi professionisti imprestati alla politica, non hanno una cultura in merito. Bisognerà essere geniali e portatori d’idee innovative. Soprattutto comunicare quello che si fa, molto bene, ed in maniera chiara. Ci vuole altro rispetto all’attuale organigramma amministrativo milanese e lombardo. Bisognerà anche mettere mano agli assetti urbanistici della città; il vigoroso, volumetrico e “verdeggiante” PGT 2030, approvato in Consiglio Comunale milanese pochi mesi fa, è ormai carta straccia. Inadeguato alla società post Covid-19. Sarà molto difficile trovare capitali e società che vogliano insediarsi in quella che è stata la capitale italiana della “peste 2020”.

Si dovrà agire, mettendo a punto nuovi standard abitativi, un nuovo sistema di mobilità e nuovi modi di pensare gli spazi collettivi. Valorizzare i vuoti urbani, per fare “respirare” la città, ed il verde orizzontale. Magari demolire ciò che è vetusto ed ecologicamente non risanabile. Incentivare al massimo le architetture sostenibili, altamente sostenibili dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico e dell’equilibrio termico, a consumo zero. Architetture fatte di natura, facilmente riciclabili e sostituibili.

Eppure, Milano ha già, in seno al proprio costruito, un esempio emblematico in tal senso, che ricostruisce qualità ambientale e sociale, all’insegna di una natura “dentro” che dà il senso dello scopo anche “sanitario” dell’architettura (https://bit.ly/2Xs7cuk), che si dovrà conseguire dovunque, laddove possibile, in futuro.

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Sopra – Complesso Aler di Via Cenni a Milano, Arch. Rossi Prodi, 2015 

Sotto –  Foto del complesso dall’alto, tratta da – https://bit.ly/2JWHruc

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Paesaggio Christologico


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Cinque chilometri di passeggiata di colore giallo dalia (tessuto in nylon poliammidico della ditta Setex di Greven in Germania), di cui due chilometri “flottanti” sull’acqua. Dieci milioni di euro (circa) di costo previsto. Un afflusso previsto tra il 18 giugno 2016 ed il 3 luglio (ma si parla già di una proroga al 10 luglio) di circa 40 mila persone al giorno, mentre il “floating piers” ne può contenere contemporaneamente al massimo 17.500.

Il “floating piers” poggia su 220 mila  cubi a pioli galleggianti in polietilene ad alta densità, riempiti di aria. Per ancorarli sul fondo dei sub francesi hanno posato delle ancore in calcestruzzo (di fabbricazione bulgara ed italiana) e metallo appositamente studiate. Una volta assemblati tra loro i galleggianti nell’apposita area di Moltecolino (300 mila metri quadrati), le parti del “pier” vengono trascinate con imbarcazioni sul luogo dove vengono fissati al fondale mediante appositi cavi ed uniti tra loro.

Il tutto progettato ed intensamente voluto, dall’artista Bulgaro/Americano Christo Vladimirov YavachevL’opera alla fine dei sedici giorni di esposizione, verrà completamente rimossa e sarà industrialmente riciclata. I 10 milioni di euro dei costi, anticipati dall’artista e dagli sponsor, saranno recuperati dalla vendita dei gadgets e delle opere create dall’artista (quadri, serigrafie, ecc.), come già avvenuto per altri suoi lavori..

Christo ha scelto il Lago d’Iseo dopo un lungo sopralluogo sui laghi del nord Italia, insieme a Germano Celant, rimanendo colpito dall’Isola di San Paolo e da quella di Monte Isola, nonchè dal piccolo borgo di Sulzano.

Una operazione artistica, di valenza mondiale, voluta anche dalla comunità locale, per il rilancio internazionale del turismo sul Lago d’Iseo. Costo di tutta l’operazione “pagato” dall’Ente di promozione turistica del Lago d’Iseo e della Regione Lombardia, in collaborazione con sponsor/partner privati (Ubi Banca, Iseo Serrature, Franciacorta Outlet Village).

Per 15 giorni il Lago d’Iseo sarà “l’ombelico del Mondo”, un luogo di confluenza per paesaggio, turismo, arte, che saranno per una volta,  finalizzati ad una grande operazione di “immagine” a livello mondiale.

Percorrere il “Floating Piers” sarà completamente gratuito. Il comune di Sulzano e quello di Monte Isola hanno predisposto piccoli padiglioni per accogliere i turisti e fornire cibo ed accoglienza.

Quello che interessa è il tentativo di sganciarsi dai soliti canoni di marketing turistico, per intraprendere una strada innovativa, probabilmente l’unica in grado di fare diventare il turismo italiano, un vero e proprio “motore economico primario” del Paese.

Comunque un’opera “maestosa” che nella sua artificialità voluta e palese, sia nel disegno che nei materiali, ci fa immediatamente capire tutta la violenza (e la bellezza) della specie umana, che da sempre modifica all’abbisogna, il paesaggio di questo magnifico pianeta.

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Smog Architecture (Milan)


 

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SOPRA – Milano – Via San Raffaele – 18 dicembre 2015

In questi giorni, di progressivo avvicinamento alle Festività Natalizie, l’inquinamento dell’aria “la fa da padrone” in tutta la Pianura Padana. In particolar modo a Milano la qualità del fluido in cui siamo irrimediabilmente immersi, è pessima . Ogni giorno è sempre peggio. Vento e pioggia sono ormai un’eventualità lontana. Non ci resta che morire (quasi senza accorgercene), portando avanti un modello di “civiltà” pesantemente condizionato dall’economia e dall’indifferenza dei più.

Quì in Padania, o in Cina, si fa di tutto per esorcizzare questa grande follia collettiva, frutto di “cieche” politiche passate e di odierna totale mancanza di programmazione per il futuro.

Tra qualche ora, oppure tra qualche giorno, magari tra qualche settimana, forse una precipitazione farà cambiare la situazione (si spera). Immediatamente, sia dai Cittadini, che dai politici, l’inquinamento, lo smog, sarà completamente rimosso, dimenticato. Fino al prossimo autunno, quando le stesse problematiche si ripresenteranno immutate.

Milano, in questo dicembre del 2015, mostra le sue architetture ed accende le sue luci, nella nebbia che uccide, nello smog persistente e mefitico, facendo diventare la città più teatrale del solito. La stessa nebbia : “che penetra, come l’effetto di una macchina teatrale, nella galleria milanese.”, come scriveva Aldo Rossi nella “Autobiografia scientifica” (Pratiche Editrici, 1990);  che fa grande  l’architettura, che la completa, che ne cela le brutture. La stessa nebbia inquinata : “C’è della gente che parla male della nebbia di Milano. Io non conosco quella degli altri paesi, ma questa di Milano è una gran nebbia, simpatica, affettuosa, cordiale. Ti fascia tutto come una carezza. E poi mi pare che la nebbia inviti all’intimità, all’ottimismo, alla confidenza.”, come sosteneva Carlo Campanini (Attore, 1906-1984); che però oggi uccide lentamente ma inesorabilmente.

Lo smog, come la nebbia è un’esperienza percettiva multisensoriale : visiva (il campo visivo è distorto, sfumato), olfattiva (l’odore dello smog tutto pervade), tattile (lo smog nella sua “densità” può quasi essere toccato), uditiva (la percentuale di particolato nell’aria, riduce la diffusione delle onde sonore). E se l’architettura è la scena fissa delle vicende dell’uomo sul Pianeta Terra, lo smog, facendoci avere una percezione nuova dell’architettura e della città, rende ambedue più adatte a questi anni, più consone alla realtà.

Il modello di architettura, e quindi di città a cui guardare, puo’ essere solo quello che sappia sapientemente coniugare il tema della crescita con quello dell’ecologia e della sostenibilità; ma anche con il lavoro, i servizi, i trasporti, la natura urbana, l’agricolutura di prossimità. Certamente non bisogna farsi affascinare dal fatto che sia la “verzura” a nascondere le incapacità degli architetti e degli urbanisti; che siano “quattro alberelli” a nascondere un modello cementificatorio e ad incrementare il consumo di suolo.

La vera sfida dei prossimi anni, dei prossimi decenni, è quella di cambiare stile di vita, e fissare nuovi obbiettivi per il futuro all’insegna della qualità sostenibile; come scrive Claudio De Albertis nel bell’articolo intitolato  “Il futuro della città è la città”, nel numero 997 di Domus (Dicembre 2015, pagina 126) : “La prima infrastruttura per la vita e l’economia sostenbile del futuro è la città ed è cruciale che la progettazione, le costruzioni e le tecnologie si sviluppino con una costante attenzione al comportamento e ai bisogni umani.”

Il futuro è nella rigenerazione urbana, riqualificando l’esistente, ampliandolo in pianta (poco)  e sopraelevandolo (tanto), con procedure e tecnologie semplici, leggere, a basso impatto ambientale e ad alta sostenibilità. Sostenibilità che dovrà essere anche sociale, oltre che ambientale ed economica. Città più dense (dato che il fenomeno dell’urbanizzazione è in continua crescita e di recente la popolazione planetaria residente in luoghi urbani ha superato il 50%), ma più intelligenti, vivibili, ad alta socialità e connesse tra loro (sia dal punto di vista fisico che di comunicazione).

Se così non sarà, moriremo lentamente, tra architetture e città bellissime, smaterializzate, che emergono dallo smog, perfette ed infinite. Testimonianze “assurde” della presenza umana su questo pianeta e della nostra follia.

Giusto per non dimenticare velocemente queste settimane, con la gola che brucia costantemente.

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SOPRA – Qualità dello stato dell’aria, espressa in valori annui, nell’Area Metropolitana Milanese

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Coltivatori di querce (a John Dekker experience)


F. L. Wright – Hyde Park (Chicago) – Robie House – 1910 (Sopra)

Frank Lloyd Wright – Casa e Studio ad Oak Park (Chicago) – 1909 

Frank Lloyd Wright – Museo Salomon R. Guggenheim (New York) – 1959 

Scrive il grande architetto america  Frank Lloyd Wright nell’introduzione del suo libro “La Città Vivente” (Einaudi 1966): “Quando una grande quercia sta per morire, alcune foglie di un verde giallastro appaiono sui rami piú alti. La stagione seguente la maggior parte della corona superiore dell’albero è gialla; l’anno dopo i rami in alto rimangono senza foglie. Dopo diverse stagioni successive diciamo che l’albero è secco. Ma per molti anni ancora lo scheletro dell’albero inaridito rimane eretto e segna il cielo col suo profilo scuro come se nulla fosse avvenuto. Infine, marcito alla radice, inutile, la struttura greve alla sommità, precipita. Ma anche cosí lo scheletro pesante giace a lungo spezzato sul suolo. Occorrono molti anni prima che si tramuti in humus e nasca l’erba e che forse da una o due ghiande abbiano origine altre querce. Quel che per la grande quercia furono la linfa e le foglie è per un popolo una sana estetica.”

Il grande Frank Lloyd Wright, magico artefice di quell’architettura “organica”, che è un pò un’occasione persa, “dimenticata” per tutta la disciplina, ci da in questo scritto, un’ennesima traccia da seguire affinchè si possa tornare ad un equilibrato rapporto tra uomo, costruito :  l’estetica.  La sua idea di architettura rifuta la mera ricerca estetica fine a sè stessa, o il semplice  atteggiamento progettuale superficiale, come ben si evince dalla metafora dell’albero. L’architettura dovrebbe essere indipendente da ogni imposizione esterna contrastante con la natura dell’uomo. La progettazione architettonica deve creare un’armonia tra l’uomo e la natura. Così non sarà, morto Wright, sarà infatti, proprio l’estetica (non quella organica pregna di contenuti ed in perfetto allineamento con la storia della natura dell’uomo), a caratterizzare per i decenni successivi a questo scritto, e fino ad oggi, l’architettura americana.

Cosa è quindi, allo stato attuale, l’architettura di un luogo, gli Stati Uniti, che è una nazione ed una società in continua trasformazione? L’architettura è l’anima stessa di questo paese, come lo è la natura. Qui’ si costruisce, anche per competere con la natura, che spesso è ancora molto forte e soverchiante le attività umane (ma dove non lo è con il surriscaldamento dell’atmosfera terreste). L’architettura presuppone, un’evoluzione continua e benchè talvolta si possono verificare delle rivoluzioni, la matrice estetica (che è anche quella comunicativa principale), su cui si lavora è quasi sempre la stessa, il “limite esterno”, che attua la delimitazione di uno spazio “termico” atto a garantire la sopravvivenza dell’uomo su questo pianeta, indipendentemente dai “capricci” della natura. Quello che una volta era il “luogo della composizione architettonica”, oggi è sempre più una “pelle scultorea” che funge inevitabilmente da vero e proprio “marchio d’immagine”.

Se prima l’estetica, nell’architettura americana era anche “contenuti” oggi è sempre più solamente un’immagine, destinata a un rapido invecchiamento. La tecnologia, i materiali, per definire questo limite, sono finalizzati a creare uno “stupore estetico”, che fanno parte dell’imboscata mediatica, con cui nascono e si definiscono le poetiche delle archistar. Un “bliz estetico” però destinato a durare poco, ed a rinnovarsi di continuo. Insomma l’architettura americana attuale, non è fatta per durare, ma per essere continuamente manutenuta, pulita, spazzolata, riverniciata, ecc.. Il tutto con dei costi, anche per l’ambiente, “folli”, anche quando si parla di edifici sostenibili. L’architettura americana attuale è ancora perfettamente nel solco suicida che portò alla “crisi dei subprime”, così come lo è l’economia americana. Considerazioni in parte estendibili a tutto il mondo occidentale. Non a caso, proprio nel terzo trimestre del 2012, l’economia americana ha ripreso a crescere, e trainata soprattutto dal settore edile, a consumare suolo. Presto sarà così per tutto l’Occidente, sarà l’ennesima fatua “fiammata”. Forse l’ultima.

Ecco quindi, che le parole di accettazione del secondo mandato, del Presidente Barak Obama : “Il meglio deve ancora venire”, appaiono anche profetiche per la disciplina  dell’architettura americana. Speriamo sia soprattutto un “meglio” che contempli una profonda rivisitazione dei contenuti e degli obbiettivi, magari dando un giusto peso alla parola “decrescita”, con cui prima o poi tutto il mondo occidentale, ed anche l’architettura,  dovrà confrontarsi, volente o nolente. L’architettura deve ripensare il proprio modello di sviluppo, e quindi la propria estetica,  in America, come in Italia, ed in tutto il mondo. Vanno ripensati i criteri stessi della crescita urbana fin quì utilizzati. Non si tratta di porre un limite alla crescita urbana, all’edilizia, ma di ottimizzare le strategie atte a contrastare il consumo di suolo e l’inquinamento, attuando un nuovo modello di gestione del territorio.

Forse bisogna anche ritornare a coltivare ed a piantare querce, le cui ghiande, per millenni sono state cibo per lo stomaco degli esseri umani, ed anche per la loro mente.

Sopra il filmato “5 minuti di recupero” Un’occasione per ripensare la crescita urbana

F.O. Gehry – Jay Prizker Pavillion – Millenium Park (Chicago)

Asymptote – 166, Perry Street (New York) 

Morphosis – Cooper Square, 41 (New York) 

The Crown Fontain – Jaume Plensa – Millenium Park (Chicago) 

Sanaa – Art Museum , Bovery 235 (New York)

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