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Messe (o del cestello della lavatrice)


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Da un tombino stradale, un sigaro “esausto” sembra guardare verso l’ingresso della Fiera di Basilea, quasi citando la casa  per appartamenti di Schutzenmattstrasse del 1993 di Herzog & De Meuron, completamente rivestita da frangisole di tale fattura (Von Roll). E qui infatti, che da poco, insiste un imponente edificio “simile ad un cestello di una lavatrice” come ha subito commentato il mio amico di Facebook Federico M., grande appassionato di architettura, appena ho postato una immagine.

Chissà se a guardare attraverso l’oblò della lavatrice (rimanendone
“fulminato”) e’ stato lo stesso Herzog, magari facendo il bucato, oppure qualche oscuro collaboratore che lavora nell’immenso studio di Basilea (oltre 250 dipendenti), in affaccio sul Reno.

Certo anche questo edificio, riconferma che bisogna prestare particolare attenzione e questi due grandi “Baristi dell’architettura”, capaci sempre di stupire con “aperitivi” di ottima fattura. Riescono, anche di un tradizionale happy hours  (di una “pelle” di facciata) a farlo diventare un evento importante, e ciò testimonia della loro classe infinita.

Nella nuova Hall di ingresso alla Messe (Fiera) di Basilea, la grande “centrifuga” genera, sotto di se uno spazio urbano, una piazza, da cui si accede al complesso fieristico, ma dove anche si puo’ prendere un taxi, oppure un tram.     Oppure semplicemente sostare in attesa di entrare a qualche manifestazione.
La piazza ha pavimentazione povera, di asfalto, ma il grande tondo di luce, che “ritaglia” il cielo, la nobilita fino a diventare una citazione del Pantheon romano.

Non a caso, li vicino, abbiamo rinvenuto le tracce di “passati bagordi” dove, tipici prodotti italiani, probabilmente sono stati utilizzati quali stimolanti, per future visioni architettoniche. Da loro due? Da altri? Chissà……

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Milano, kristall-act


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Oggi, venerdì 9 agosto 2013, Milano, dopo una settimana con temperature massime superiori ai 36 gradi e con una umidità che ha sfiorato più volte l’80%, si è risvegliata senza il solito cielo lattigginoso. Dopo una giornata di ieri, di pioggia a sprazzi, un cielo limpido e terso si è fatto improvvisamente strada dalla tarda mattinata. A ciò hanno corrisposto delle temperature estive miti e ventilate.

La mattina, nonostante la città si sia progressivamente svuotata, è stata caratterizzata da un “florilegio” di code infinite, imposte dai numerossimi cantieri stradali, che si sono aperti come funghi in poche ore.

Al pomeriggio è però cominciata la “grande fuga estiva”, dalle 14,00 le tangenziali erano ingolfate e lentamente la città si è definitivamente vista “asportare” un quantitativo significativo di auto e persone. Certo non si tratta più degli “esodi” ormai storici, ma di certo pochi rimarranno a godersi queste splendide giornate estive, ora che la “caligine” è stata sconfitta.

Una città vuota, fatta di edifici esistenti vuoti. E di “cassoni pneumatici”, non ancora inaugurati, di ferro e vetro, destinati a rimanere vuoti per parecchio tempo……forse per sempre. Insomma una specie di città fantasma, in cui si aggirano sparuti, timidi turisti giapponesi, disposti a fotografare qualunque cosa; e residenti che trascinano improbabili trolley, su è giù per le scale ed i marciapiedi.

In un mondo ridefinito oggi da grandi reti di comunicazione e da una cancellazione progressiva delle frontiere da parte delle forze economiche, l’accelerazione di processi urbanistici/immobiliari senza senso, che quando sono lanciati, sono impossibili da fermare, ha “inflitto” sul nostro ambiente milanese, e sullo spazio una “mazzata definitiva”.

Milano è una città “piccola”, con una regione enorme dietro le spalle, che ha subito, nel corso del tempo ogni tipo di sopruso urbanistico. Andava/andrebbe, trattata meglio, con interventi in grado di assecondare questa società (ormai internazionale) “fluida”, costantemente dilaniata tra momenti di crescita economica esponenziale e periodi di crisi dei consumi. Ambivalenze periodiche destinate ad alternarsi in maniera sempre più frenetica nei prossimi decenni.

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/07/30/milano-edifici-vuoti-anche-in-centro-eppure-cemento-non-si-ferma/240865/

Non bisogna rifugiarsi in nicchie, in “paradisi artificiali”, di persone che auspicano la decrescita, un’architettura della bellezza, le coltivazioni a chilometri zero, il sogno di un orto sotto casa, di un’urbanistica consapevole, le moratorie sulle nuove costruzioni, ecc. Bisogna ritornare a mescolare la ribellione, che è tipica di chi soffre e sta male, con la necessità di esplorare, “ficcare” il naso ovunque, ma con uno scopo unico, preciso e ben finalizzato. Ritornare a fare politica davvero, per liberare le energie represse, che devono essere finalizzate e non stemperate in mille rivoli, incapaci di “farsi fiume”, come sta succedendo ora a Milano ed in tutta Italia. Solo così si potrà cambiare davvero la città ed il Paese, da un destino, che gli “scatoloni” vuoti di Porta Nuova, ben rappresentano nella loro incapacità di essere riferimenti territoriali (e non solo), come lo furono i campanili una volta.

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Ed il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti e soci stà a guardare…..

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…..come la Torre Galfa (vuota) di Melchiorre Bega

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Famelici, ci aggiriamo in queste serate estive, foriere di temporali improvvisi di inusitata violenza, e di caldi ed afosi tramonti, alla ricerca di nuove architetture degne di essere prese in considerazione. Alcune sere fa ci siamo imbattuti nell’ampliamento dello IULM (Libera Università di Lingue e Comunicazione) a Milano. A guardarlo, questo edificio in costruzione, viene immediatamente in mente il bellissimo film di Alfred Hitchcock, dal titolo “Psyco”. Il film prodotto nel 1960, racconta in estrema sintesi,  la storia di un ammalato di mente, Norman Bates, che completamente soggiogato dalla madre (uccisa e sotterrata in cantina), vive gestendo un Motel. Il film è tutto incentrato sul cambio continuo di personalità del giovane Bates (un grande Anthony Perkins), che a volte sembra normale, a volte si traveste impersonando, anche con la voce, la vecchia madre. Non a caso, sulla recinzione del cantiere, in corso di completamento del Knowledge Tansfert Center dello IULM (http://www.iulm.it/), si trova il manifesto della mostra attualmente in corso al Palazzo Reale di Milano, che ha come epicentro il grande regista inglese. Infatti come nel film “Psyco”, l’edificio progettato da 5+1AA, sembra soffrire di una “disgiunzione architettonica” di personalità. Dall’esterno, appare come un’enorme torre scenica, altamente tecnologica, di un teatro impossibile, mentre all’interno invece accoglie spazi universitari. L’inganno è notevole, e data l’altezza, attrae chi si imbatte nella sua mole colorata, che sovrasto lo squallido skyline milanese. Esattamente come nel film di Hitchcock, dove il “pislungone tenebroso” Perkins inganna con le sue “moine”  la belloccia e affascinante segretaria/ladra Marion Crane, per poi ammazzarla crudelmente (mentre si fa la doccia), una volta trasformatosi nella perfida madre.

Il cantiere è in corso di completamento, il progetto è del 2011, le finiture non sembrano male. Particolarmente “insolito” ed azzeccato quel vetro/cemento a tetraedro, posato sulla facciata nord-ovest. Il tutto tra le vie : Carlo Bo e Franco Russoli a Milano, per chi volesse fare “quattro passi nel brivido”………….

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http://www.5piu1aa.com/

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The Magnificent Mile


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Uscita MM Palestro

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Palazzo Saporiti

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Museo Scienze Naturali

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Villa Reale

Da un pò di tempo, mi capita di passeggiare con tranquillità e ripetutamente,  per via Palestro a Milano. E’ questo un posto magico, e come scrisse Robert Walser, nel suo romanzo “La Passeggiata” : “Lei non crederà assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io m’imbatta in giganti, abbia l’onore d’incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e con attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici. Eppure ciò può avvenire, e io credo che in realtà sia avvenuto”.

Ed in effetti, passeggiando per questi marciapiedi, s’incontrano le signorine bene della Milano borghese ed un pò fighetta, le bellissime fotomodelle straniere dal fisico alto ed asciutto come i Watussi, i signori azzimati e griffatissimi anche quando corrono.

Ma soprattutto , quì a dominare è il paesaggio.

Il paesaggio urbano, stratificatosi, nel corso del tempo, in una via, che tra architetture monumentali ed il verde, riesce ad essere anche, frammento di quella Milano, che fu impostata per essere una grande città di livello europeo (continua più in basso).

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Giardini Pubblici – Parco Montanelli

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Il PAC

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Padiglione d’Arte Contemporanea

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Le sette statue di Fausto Melotti al PAC

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Via Palestro (a lato del PAC)

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Via Palestro (Lato Giardini Pubblici)

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Giardini Pubblici (Platano)

Si tratta di un percorso della “magnificenza”, della bellezza, che all’imbrunire, sembra ancora più bello. Perchè Milano è così, sempre in grado di sorprendere, di stupire, ed anche di fare salire alto il livello della malinconia. Forse proprio per questo, che la città, non è mai diventata, pur avendo tutte le qualità embrionali, qualcosa di diverso da quello che è : caotica, inquinata, molto densa, ecc..

Ecco tutto ciò percorrendo, via Palestro, risulta chiaro, evidente. Forse il simbolo migliore di questo “mancato obbiettivo” è il bellissimo Centro Svizzero. L’incarico di costruire questo nuovo edificio che allora era considerato un vero e proprio grattacielo, fu affidato, alla fine degli anni quaranta del  Novecento, agli architetti Armin Meili e Giovanni Romano. Il complesso fu inaugurato nel 1952 e costituisce ancora oggi un bellissimo riferimento, per chi si gode il verde dei Giardini Pubblici (continua più in basso). Il complesso, costruisce il lotto urbano, ma si propone anche come riferimento paesaggistico di forte respiro compositivo europeo, con le grandi finestre, lo sviluppo austero dei corpi di fabbrica, e poi con la verticalità dell’alta torre. Una specie di “iniezione tonificante”, nell’architettura milanese, rimasta per decenni unica ed isolata. (continua più in basso)

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Palazzo Svizzero

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Palazzo Svizzero (Dettaglio)

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Palazzo Svizzero (Torre alta)

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Palazzo Svizzero

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Palazzo dei Giornali

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Palazzo dei Giornali (Dettaglio bassorilievo)

Al di la della mura, passati gli archi di Porta Nuova Medioevale, la città storica disvela tutta la sua compattezza e la sua opulenza fatta di palazzi e monumenti storici. Quì Milano, ci propone la vera Milano, quella “da bere”, quella dei negozi dell’alta moda, del design, dei costi al metro quadrato delle case che superano i 15.000 euro (o più). Via Manzoni è una via del centro di Milano facente parte del Quadrilatero della moda e considerata una delle zone più lussuose, oltreché uno dei maggiori centri dello shopping dell’alta moda a livello mondiale. Ma in fin dei conti questa è una città piccola, quasi “micragnosa”, con un paio i chilometri si percorre tutto il diametro del centro storico. Berlino o Parigi, sono 10 volte tanto, Milano assomiglia, per dimensione, più a Zurigo o Lione, pur non avendone le caratteristiche paesaggistiche qualitative complessive (presenza di elementi naturali, offerta culturale, ambiente, mobilità sostenibile, ecc.).

Ecco questo “The Magnificent Mile”, di fatto disvela quella che è una delle caratterizzazioni principali del nostro Paese, essere un luogo di occasioni perse, di opportunità mancate. Un luogo “poco fertile” da cui è più facile fuggire, che rimanere. Ideale per una vacanza,  ma impossibile (o quasi) per viverci. Viene quindi voglia, quotidianamente (ormai) di fuggire, di andare in Svizzera, paese extraeuropeo che dista solamente 55 chilometri da Milano.

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Porta medioevale

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Porta medioevale (Dettaglio)

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Piazza Cavour

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La “città che sale”

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Via Manzoni

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Via della Spiga

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Cinema/Teatro Manzoni

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Palazzo Borromeo D’Adda

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Chiesa San Francesco di Paola

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Chiesa San Francesco di Paola (Dettaglio)

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Spazio Armani con soprastante resort

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Monumento a Sandro Pertini

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Monumento a Sandro Pertini ed Edificio Armani

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Una pensilina


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Se vi capita di andare a Chur (Coira), nei Grigioni, non dovete assolutamente farvi mancare l’equilibrismo strutturale della pensilina che copre l’accesso all’edificio del Gran Consiglio.

L’edificio, una volta sede dell’ arsenale a Chur, fu completato nel 1863, attualmente ospita il Gran Consiglio grigionese e il teatro comunale. Nell’anno 2012, la storica sala del Consiglio ha subito una ristrutturazione completa onde aggiornarla agli standard impiantistici e funzionali contemporanei. L’attrazione principale, e fulcro della sala è un dipinto murale di grande formato da Alois Carigiet risalente al 1958-1960, che copre tutta la larghezza della sala e il cui impatto è accentuato dai nuovi arredi.

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Sempre nel 2012, lo studio di architettura di Valerio Olgiati, dipl. arch. ETH/SIA Coira/Flims (http://www.olgiati.net/), ultimò i lavori del nuovo ingresso pedonale, vinto per concorso nel 2007. Un piccolo “gioiellino” in calcestruzzo bianco (del costo impressionante di 650.000 franchi svizzeri), che grazie ad un raffinato calcolo strutturale, riesce a dare, all’attento osservatore, più di un elucubrazione statica. Infatti il grande (e pesante) disco centrale, oltre a nascondere la porta di ingresso, creando una specie di “spazio esterno/interno di compensazione”, cela al suo interno un pilastro di sostegno. Il resto dell’equilibrio, lo creano, lo sbalzo della pesante (ma leggera) copertura, e l’esile pilastrino quadrato, esattamente opposto all’inizio della rampa (che funge da contrasto).

Magistrale anche il parapetto in ottone, che “twitta” con l’architettura del vecchio arsenale. Una piccola architettura, raffinata ed intelligente, autonoma, ma che riesce a rendere contemporaneo tutto l’edificio del Gran Consiglio.

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Il seminatore


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Il seminatore, non deve essere conformista. Il seminatore deve essere creativo. Chi progetta, sa chiaramente cosa intendo dire, ma anche chi insegna lo sa. Dare senso a quello che si fa, costituisce per l’insegnante ed il progettista accorto, l’unica maniera per garantirsi “sempre” un risultato. Esattamente come il seminatore, il quale piantando il seme nella terra, spera di conseguire, quale risultato finale, un frutto, perfetto, bello e sano. Ma il seminatore sa (come il progettista ed il docente), che quel piccolo seme, sarà alla fine, quello che dovrà essere, se la seminagione avviene nel momento dell’anno più opportuno, nel terreno più adatto. E poi se quel seme riceverà acqua e calore, luce e un pò d’amore, diventerà una pianta. La quale, pianta, è soggetta all’attacco di parecchie patologie, che dovranno essere costantemente tenute sotto controllo, monitorate, e respinte nella maniera migliore e più naturale possibile. Altra acqua, calore e luce, garantiranno a quella pianta (insieme all’accudimento che è anche amore per noi esseri umani), di fiorire. Se il fiore sarà casualmente impollinato da un insetto o dall’aria, si avrà un frutto, al quale necessiterà per maturare, altra acqua, calore e luce.

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Insomma, quasi sempre, se nasce da un seme, una pianta e poi un frutto, il risultato è il conseguimento di un “piccolo miracolo”, spesso dovuto alle capacità del seminatore (progettista o docente che sia), il quale deve essere “geniale”, uscire “fuori dagli schemi”, per poter garantire, con sapienza, ed accuratezza il risultato finale. Perchè è nell’orto che il seminatore, colto ed attento alla economia di gestione, al riciclaggio, al consumo di energia, dimostra quello che vale come costruttore di futuro. E’ nell’orto, luogo dell’eccellenza, che tutto si organizza intorno a tre elementi centrali : terra, acqua, sole. Come scrive Gilles Clèment nel superlativo libro : Breve storia del giardino – edizioni Quodlibet, 2011 : “Virtualmente nell’orto  non manca nulla: l’utile e il futile, la produzione e il gioco, l’economia e l’arte. L’orto attraversa il tempo e racchiude in sè il sapere….. Nelle campagne la parola giardino non designa altro che un orto, il resto è paesaggio; quando quest’ultimo è organizzato, si parla di parco”.

E poi ancora, un vero e proprio insegnamento, un percorso chiaro e facilmente intelligibile, da seguire,  per il seminatore : “La storia (ndr – dell’orto) ci parla poco del tempo – del tempo che passa, della durata, del tempo che consente l’impianto al suolo, dell’incontro fra gli esseri viventi, dell’ibridazione e della nascita dell’imprevedibile. La storia preferisce le forme e i grandi gesti architettonici che hanno lasciato una traccia sorprendente e indiscutibile del genio umano. Eppure è quì, nello spazio del tempo (ndr – nell’orto), che a mio avviso si delineano le questioni del futuro”.

E ciò è sempre vero, per un progetto, ma anche per un percorso didattico.

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La regola del mattone


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La Chiesa dei SS. Giovanni Battista  e Paolo, alla Bovisa, completata nel 1964 su progetto degli architetti Figini e Pollini è forse una delle più belle chiese moderne di Milano. Lo è soprattutto negli interni. Infatti se gli esterni richiamano in maniera evidente e “smaccata” le architetture di Alvar Aalto, di Le Corbusier e di Louis Kahn, anche gli interni evocano dei riferimenti precisi a questi architetti, però mediati dall’alta abilità dei due professionisti milanesi, nella cura dei dettagli e nella scelta dei materiali.

Gli interni sono un vero e proprio inno alla luce ed all’acustica: grandi lucernari modulano una luce sempre “opportuna” e mai eccessiva, coadiuvati da finestre e sapienti aperture sui muri verticali; una piccola fonte d’acqua illuminata dall’alto da un lucernario con vetrate blu, diffonde uno sgocciolio, che dalla cappella laterale in cui è collocata, si irraggia in tutta la chiesa.

L’edificio, la sua bellezza palese, interna ed esterna, è il frutto  di una società dalle idee chiare, in grado di osare e di “farsi contaminare” per creare quel futuro a cui molti allora aspiravano, quasi con certezza.

http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/3m080-00053/

continua……..

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Oggi viviamo nell’epoca della crisi economica, ma anche in quella delle contaminazioni creative. La tv si contamina con la rete, i giornali sposano il linguaggio dei social media e “nuove praterie” si aprono agli incroci tra cultura ed architettura, cibo e paesaggio, cinema e , turismo ed agricoltura. Bisogna però avere entusiasmo, creatività, voglia di osare e l’ottimismo della ragione e del sentimento, per poter investire ora in Italia in questi anni bui. Soprattutto oltre a continuare a descrivere una società allo sbando e del malaffare (che certamente esiste in maniera diffusa), bisogna anche incominciare a descrivere chi opera in maniera virtuosa, positiva (e certamente anche qui si trovano anche oggi in Italia numerosi esempi) generando nuove attività, posti di lavoro e focalizzando l’attenzione internazionale sul nostro Paese .

Alessandro Baricco a Torino, vicino a Porta Palazzo, ad ottobre inaugura la nuova sede della scuola Holden. Si tratta di un esempio, proprio di “quell’osare”, colto ed intelligente, che sicuramente nel tempo darà i suoi frutti. Comunque un’idea per costruire il futuro, oltre che, ovviamente, un’iniziativa economica. Anche quì, un edificio in mattoni pieni rossi, quello della “Caserma Cavalli”, segna questa intrapresa (newco), a cui concorrono anche Eataly e Feltrinelli. L’edificio risale alla ristrutturazione fatta da Giovanni Castellazzi a seguito della disastrosa esplosione del 1852, un edificio rigoroso di impianto simmetrico, con una forte vocazione alla “costruzione” della forma urbana. Una scuola internazionale, per giovani talenti letterari, molto selettiva, in grado di avere una forte proiezione internazionale, che coniughi : letteratura, cibo, paesaggio, ecc…….e lavoro.

http://www.lastampa.it/2013/05/13/societa/baricco-feltrinelli-e-eataly-il-cibo-si-contamina-con-la-parola-O5pCImhf4e1MpN8VHho63K/pagina.html

Ecco, forse oggi bisogna ritornare allo spirito degli anni che hanno visto, costruire edifici come la Chiesa della Bovisa di Figini e Pollini, ritornare ad una società dalle idee chiare, ottimista perchè conscia, in grado di osare, per creare il futuro. Ha detto Farinetti Oscar, proprietario di Eataly, alla trasmissione “Otto e mezzo” (La7) del 24 maggio 2013 : – Bisogna riconoscere che l’Italia è una nazione, soprattutto di trasformazione, in grado di dare un alto valore aggiunto alle materie prime. Un valore aggiunto che è anche culturale, artistico, creativo……Tra 10 anni l’Italia sarà la nazione più ricca e florida d’Europa, se si saprà creare quel mix “globale” che è la “fusione” tra : agroalimentare, beni culturali, paesaggio, manufatti di precisione, artigianato, turismo, ricerca, design. All’estero esiste un 99,17% della popolazione mondiale, che aspira ai prodotti italiani, al paesaggio italiano, si tratta di mettere in connessione in maniera saggia, la domanda con l’offerta”.

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Serginho


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Il municipio di Seriate (Bergamo), per chi, come me si è laureato avendo come relatore il progettista, è stato sicuramente un riferimento architettonico molto importante. Costui infatti, allora quarantacinque/cinquanta anni, nei lontani anni Ottanta (del Novecento), era considerato uno degli architetti emergenti della nuova generazione. Allievo di Vittorio Gregotti e di Piero Bottoni, è stato forse, uno dei più giovani ordinari di “composizione architettonica”. Sviluppa, in ambito universitario, originali studi sulla progettazione architettonica e urbana in rapporto alla morfogenesi insediativa, che hanno di fatto quale epicentro il paesaggio, basati su configurazioni (categorie crottiane) : 1) Morfologia, 2) Tipologia, 3) Tecnologia.

Studi, spesso così “criptici”, da risultare “indigeribili” ai più. A volte così elevati ed articolati da necessitare di approfonditi studi disciplinari specifici in: Filosofia, Geografia, Matematica, ecc.. Ricordo ancora come un “piacevole incubo-sadico” le affollatissime lezioni di Filosofia ed Epistemologia, erogate il lunedì mattina alle 8,30 in una delle aule di Architettura al Campus “Leonardo”. Soprattutto ricordo le interminabili liste di libri da leggere per la settimana successiva.

Spesso progettare con lui significava rintracciare dei riferimenti, degli assi, anche a molte decine (se no centinaia) di chilometri dall’area d’intervento, da restituire in tavole (allora tutte in carta da lucido e china nera) che sembravano più dei lenzuoli, che degli elaborati di urbanistica.

Costui, passava le vacanze estive (in un immobile vicino alla strada che porta alla Città Alta di Bergamo dal centro cittadino) a partecipare a concorsi ed a leggere libri, imparandoli ovviamente a memoria, ed a giocare a tennis (sosteneva essere disciplina sportiva “geometrica” indispensabile per formare gli architetti). Spesso, durante le revisioni, non si sottraeva al “giochetto” di proporci di dire una pagina di un testo da lui letto, per citarne esattamente il contenuto, punti e virgole comprese. Quando giocava a tennis era agilissimo e spietato, e sistematicamente “stracciava” i suoi assistenti, o chiunque incrociava con lui la racchetta.

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Citava spesso la Bibbia ed i Vangeli, ma anche “Precisazioni” e “L’opera completa” di Le Corbusier. Lo sguardo era magnetico, con grandi occhi azzurri e sopracciglia folte. La “erre moscia” (frutto di una formazione pre-scolastica impostata sull’idioma francese), gli conferiva anche un’insolita capacità di attrarre le giovani donne. I suoi corsi erano frequentatissimi, e pervasi da un’aurea mistica. Chi diventava suo/sua assistente faceva parte di un’elite unica ed esclusiva. Erano famose le sue incazzature, con i suoi collaboratori, alcune volte risolte in un dialetto bergamasco strettissimo, criptico ed ancestrale.

Di architetture, belle ed accattivanti, prodotte dal mio relatore di tesi, ne ho viste molto poche, e forse il municipio di Seriate è la sua opera migliore. Tremende molte delle “villule” bergamasche. Spesso l’apparato culturale, che si era “stratificato in testa” ne limitava molto l’azione, impedendogli di essere “lieve e sublime”. Però, il  tutto era giustificato e farcito di riferimenti culturali e del “genius loci”, mai banali. Mi ha inoculato la passione per il cemento armato a vista e per la geografia a grande scala, ed anche (all’opposto) il sistematico rigetto di queste cose.

Ho incominciato a perdere i capelli in maniera consistente, proprio ostinandomi ad averlo come relatore della mia tesi di laurea. Progetto interminabile e lunghissimo, che ho condiviso (per anni) con la mia collega Delia, la quale, invece, ebbe come regalo (non cercato) delle meches bianche sui capelli corvini e ricci.

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Parlo di  Sergio Crotti, (Serginho come lo appellavamo tra studenti, allora attingendo ad un noto giocatore della Roma), come se fosse morto, ma in realtà è vivo e vegeto, anche se so, che non sta molto bene. Spero che possa calpestare questo suolo terrestre per parecchi anni ancora e dedicarsi a quello che è il suo sport preferito, lo studio. Ecco il Politecnico di Milano, che in questi mesi compie 150 anni di vita, è anche questo, un luogo in cui, tra “deliri di pura megalomania” e “contraddizioni anti meritocratiche”, soprattutto legate alla produzione di laureati in architettura, come se fossero “polli di allevamento in batteria”, è in grado di regalare ancora oggi, qua e là, delle digressioni da vero e proprio “plagio psichico”, border line tra “Full metal jacket” ed “Ufficiale e gentiluomo”.

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N.B. Ovviamente il tutto è stato ad arte enfatizzato , per farne un racconto romanzato accattivante ed attrattivo, anche se in alcune parti descrive i fatti così come sono avvenuti.

My Stop


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Ancora un’architettura di “pelle”, e nemmeno di “pelle buona”(come invece è il magico MY STOP dello Studio Hotz & Partner ormai completato qualche annetto fa), il risultato del concorso internazionale per il “Padiglione Italia” di Expo 2015, rappresenta quanto di più retrivo e triste si potesse immaginare. Infatti il progetto del raggruppamento di imprese, come si dice oggi, costituito da : Nemesi & Partners Srl di Roma, Proger SpA di Pescara e BMS Progetti Srl di Milano, ha partorito un “topolino”, un progetto “fragile, fragile”, che assomiglia molto ad un “autogrill”, ad un “supermercato”, e si vede quindi costretto a trincerarsi dietro l’eco sostenibilità spinta (soprattutto impiantistica) data dall’equilibrio tra “produzione e consumo di energia”.

A pagare pegno è l’architettura, assente non giustificata, per lasciare spazio alla “grafica” al “design”. Ed il tutto capita a Milano, capitale dell’architettura italiana, con Giuseppe Terragni, Piero Bottoni, Giò Ponti, Franco Albini, Ignazio Gardella, Vico Magistretti, Aldo Rossi, Gae Aulenti, ecc., che si rivolteranno nelle loro tombe, e probabilmente il “grande vecchio inossidabile” Vittorio Gregotti che già mastica bile.

Un pò poco per un’Expo “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”, che ambiva (quando è stata vinta da Milano) ad essere un momento alternativo, un “pensatoio” di riflessione, su questo grande evento, commerciale/mediatico, che di solito si chiude in un “bagno di sangue” (economico) per il paese organizzatore.

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