OLYMPUS DIGITAL CAMERA – Dalle torri di AssagoOLYMPUS DIGITAL CAMERA – Dalle Torri di Assago
Se l’umanità vuole sopravvivere deve trovare una via di riconciliazione tra la natura originaria e l’artificio che ha costruito.
La crescita patologica dei “contenitori umani” rende fin troppo facile documentare come la quantità (e non la qualità) degli interventi sia la causa dell’inquinamento progressivo dell’intero pianeta. Più impegnativo è identificare la soglia che distingue il miglioramento e il peggioramento della qualità ambientale, di certo la ridondanza delle forme architettoniche, sempre più azzardate e diverse, restituisce un profilo urbano quanto mai povero dal punto di vista linguistico.
Sono immagini di forti CONTRASTI : il verticale geologico e quello artificiale umano; le linee flessuose dei monti, e le geometrie rigorose dei grattacieli; l’aria terribilmente inquinata della Padania, e l’aria fina e pulita della montagna; il “muro di pietra” delle Alpi, che divide la cultura così detta mittel-europea da quella mediterranea; il Nero fuligginoso della Città, il biancore della neve; Natura ed artificio;……..Natura ed artificio…..
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IMMAGINE tratta da “La cultura comunista e la formazione del nuovo architetto”, di Antonio Labalestra
PCI 100 – Su invito, nel 1954, dell’Associazione Italia/URSS, Aldo Rossi (Milano, 3 maggio 1931 – Milano, 4 settembre 1997), giovane attivista milanese del PCI, si unisce a far parte di una ristretta delegazione di cui fanno parte il coetaneo compagno di studi al Politecnico di Milano, Massimo Vignelli (Milano, 10 gennaio 1931 – New York, 27 maggio 2014), futuro celebre grafico, designer e collaboratore della rivista newyorchese «Oppositions» e Renato Zangheri (Rimini, 8 aprile 1925 – Imola, 6 agosto 2015), politico e storico bolognese, che negli anni sarà anche sindaco di Bologna. Non si tratta però del “soggiorno di studio” presso le scuole di partito sovietiche, che caratterizzava la formazione politica dei giovani comunisti italiani ed europei, ma di uno di quei viaggi più brevi e convenzionali organizzati per gli appartenenti al partito. Del viaggio si conserva una esigua documentazione, tra cui una cartolina che Rossi scrive alla madre da Praga, di norma la seconda tappa dopo Zurigo per raggiungere Mosca. Pur tuttavia un primo resoconto del viaggio è pubblicato dallo stesso Vignelli al loro ritorno, con una foto in cui si vede Aldo Rossi che contempla, con intensità, un ritratto di Stalin a Mosca nel 1955. Dopo il rimpatrio e sulla scia dell’entusiasmo di questa esperienza Aldo Rossi propone in conferenze, seminari, incontri e scritti una lettura critica estremamente positiva dell’architettura sovietica promossa da Stalin. Tra cui il numero 262 di Casabella Continuità (di cui Rossi fu redattore tra il 1955 ed il 1964, quando era diretta da Ernesto Nathan Rogers), dell’aprile 1962, numero monografico dedicato all’architettura dell’URSS. (tratto e rielaborato da, La cultura comunista e la formazione del nuovo architetto, di Antonio Labalestra)
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Dall’alto di un Monte, le cose umane, che stanno in basso, sembrano più chiare e definite. Da sempre, isolato nell’ovattata sicurezza della Montagna, un’entità di nome Etere osservava l’evolvere di una “costruzione collettiva” in cui sapienza ed ignoranza, s’intrecciavano nella realtà di una pandemia virale globale, sempre più feroce ed invasiva, che sta letteralmente devastando i corpi e le menti degli uomini.
L’uomo, e la natura, sembrano qui, sul Monte, ritrovare una loro dimensione equilibrata; dove anche i contenitori per lo svolgimento delle attività legate alla vita degli uomini, riescono ad inserirsi magistralmente nel paesaggio locale, nella Natura. Certamente in maniera diversa, e con meno densità abitativa, da quanto succede nelle città, caotiche, molto costruite ed inquinate.
L’aria è un bene indispensabile ed irrinunciabile per la vita, oggi lo si può comprendere meglio, proprio a seguito di questa crudele pandemia virale di Covid-19, che uccide gli esseri umani, proprio sottraendogli la capacità polmonare di assumere il fluido “aria”, per poter vivere.
La Montagna è un’arca del respiro, un luogo, vicino al cielo. Probabilmente la casa del mitico Etere, avrebbero sancito i greci antichi. Il luogo dove il fluido purissimo che dà la vita alle divinità, nasce dai boschi e si rende palpabile ed evidente, al di là dell’automatica consuetudine, che ci fa dimenticare questo semplice ed indispensabile gesto automatico: respirare. Alberi, piante, cielo, ed il mito di un’aria pulita e sopraffina, qui trovano la loro fusione in una biosfera unica legata alla respirazione del corpo umano e dell’ambiente.
Sono stati microscopici organismi, usciti dagli oceani, che, milioni di anni fa hanno incominciato a produrre, quale “scarto” della loro esistenza, quell’ossigeno, che nel corso del tempo, grazie alla fotosintesi di miliardi di piante, di alberi, ha costruito la parte “nobile” di quel fluido gassoso che contraddistingue la vita così come la conosciamo oggi.
Il mito dell’aria degli Dei (Etere), ha origini antichissime, ma viene precisato e meglio definito nell’antica Grecia, prendendo i connotati e le forme di una divinità religiosa. Etere sarebbe la potenza del cielo, in particolare di quella zona inaccessibile del cielo dove i greci pensavano vivessero solamente gli Dei, e dove era racchiusa la luce. Secondo i greci antichi, infatti, gli Dei respiravano un’aria diversa da quella della comune gente mortale: l’aria dell’etere. Etere, secondo Esiodo, era figlio di Erebo e della Notte. Suo fratello era il giorno, Hemere. Personificazione del cielo, della luminosità, della parte della luce più pura che è distante dalla terra e vicino agli Dei, questo soggetto ritorna sia nella filosofia, che nella teologia. Secondo Aristotele, infatti, le divinità erano composte proprio di questa sostanza, di questo mitico “fluido”: l’etere. Dai greci era raffigurato come un uomo dal fisico forte, con spalle possenti, gambe nerborute e lunghi capelli con boccoli.
Mi piace pensare, stando qui tra i boschi di larici ed abeti della Montagna, laddove la selva diventa più fitta, vi sia la casa di Etere. La casa di quel “fluido mitico” fattosi divinità in forme umane. Una dimora, ampia con i soffitti molto alti, ed accogliente, ma spartana e semplice, molto luminosa, ovviamente realizzata con un legno antico di origini misteriose. La magione è un campionario di scricchiolii delle travi, dei rivestimenti, degli arredi lignei, tanto che tra la notte ed il giorno, sembrano stirarsi, contorcersi. Migliaia di fessure microscopiche generano sibili e fischi. Una casa in cui gli alberi che la circondano, possano entrare in essa, dalle porte, dalle finestre: con i rami, senza un vero vincolo preciso tra interno ed esterno. Più che altro un tetto primigenio, una protezione, un luogo dove incontrarsi: uomini, miti, divinità ed alberi. Quegli alberi, quelle piante, che sono generatrici di “Etere”. Una casa normale, una costruzione che protegga ed includa; le cui stanze diventino una foresta, e la foresta una casa, che non andrà mai in rovina. Mentre fuori sta la Natura, è un rassicurante giardino selvaggio, in cui: ghiri, scoiattoli, picchi, cuculi, e uomini, possano trovare una nuova maniera di convivere assieme.
Le persone, soprattutto quelle urbanizzate, sono troppo spesso disconnesse dalla natura, dovrebbero avere una tregua. Vivere la maggior parte dell’anno in luoghi con l’aria inquinata, caotici e con una “distanza” da quella natura di cui siamo parte, certamente non aiuta. La pandemia ha risvegliato un desiderio sottorappresentato negli abitanti delle città di connettersi con la natura. Quel desiderio è un diritto umano. L’aria pulita dovrebbe essere, di fatto, una conquista a cui tutta la nostra società umana dovrebbe tendere, invece troppo spesso ciò non è un fatto scontato.
Gli alberi, le piante, sono stati, e se ben ci pensiamo, ancora lo sono, i riferimenti che ci consentono di provare a spiegare la realtà della vita “respirante” di noi uomini: una vita interconnessa ad un ecosistema planetario di cui siamo solamente una parte insignificante.
Noi umani, siamo parte di quella natura, da cui proveniamo, e che riteniamo, come specie apicale: “una proprietà esclusiva”, asservendola alle nostre necessità. Nutrendoci di essa, modificandola e distruggendola come più ci aggrada, ma essa ci è soprattutto indispensabile per la nostra vita. Una vita vocata a “mangiarci” fisicamente il Pianeta, a “succhiarne” tutta l’energia possibile, replicandoci in numeri ormai insostenibili per la Terra.
Moriremo espirando, e questa è l’unica certezza che abbiamo dalla nascita. E le piante, ci saranno sul Pianeta Terra, anche parecchio tempo dopo la nostra ineluttabile scomparsa da esso.
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Sede Ercole Marelli, a Sesto San Giovanni, edificato nei primi anni del 900′
Nei primi del Novecento, era un edificio innovativo e moderno dal punto di vista architettonico. Un luogo del lavoro luminoso e funzionale, costruito con quel “beton” che stava diventando il futuro dell’architettura.
Rappresentava con le sue fatture, la porta di accesso a Sesto San Giovanni, che stava diventando “la città delle fabbriche e delle acciaierie”.
Passato di proprietà, l’edificio, nei primi anni Novanta, sempre del Novecento, un architetto locale ne fece una rivisitazione completa, con una “pelle” postmodernista, che ancora oggi ne connota “brutalmente” l’architettura e l’intorno. Bisognava dare un senso di contemporaneità alla nuova destinazione, che passava definitivamente “ad uffici”, diventando sede della IMPREGILO (fusione tra le imprese edili : Girola, Lodigiani, Impresit e Cogefar).
Rivisitazione dell’edificio negli anni Novanta del 900′
Oggi, dopo trent’anni, si pensa di riqualificare l’immobile, abbandonato da più anni, e l’intorno, facendolo diventare il “simbolo” del nuovo centro direzionale sestese. Una “folle ridda di materiali e luci”, degrada ulteriormente l’architettura di quello che fu un bell’edificio produttivo/terziario. Il tutto avviene nel nome di un atteggiamento modaiolo e vacuo, teso a creare “effetti speciali”, sempre più spettacolari, di “cose già viste”, più che vera architettura, destinata a resistere al tempo
Due immagini virtuali della proposta odierna 2020.
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Il Duomo di Lucca, dedicato a San Martino, è un’architettura che fa della “rottura della simmetria” della facciata, uno dei principali motivi della sua insolita bellezza. Alla facciata è appoggiato un portico-nartece con 3 arcate asimmetriche: molti studiosi sono concordi sul fatto che l’arco di destra sia molto più stretto degli altri due a causa della vicinanza del preesistente campanile ma il vero motivo di questa macroscopica “imperfezione” della facciata, in uno stile architettonico che perseguiva la simmetria e le proporzioni come strumento per avvicinarsi a Dio, è considerato da molti una delle particolarità architettoniche del Duomo di Lucca. La vera architettura rifugge, aggira, l’eccesso di simmetria che può anche rivelarsi stucchevole a lungo andare perché il ritmo ordinato della simmetria perfetta è rassicurante, ma rischia di essere “piatto e banale”; non emoziona perché non produce sorpresa; l’elemento di rottura inquieta ma insieme incuriosisce, ci spinge a uscire dalle certezze e a cercare di capire dove ci sta portando questa incrinatura dell’equilibrio. La vera bellezza architettonica è spesso il frutto di una a-simmetria preordinata ( https://costruttoridifuturo.com/2012/09/29/simmetry-and-words/ )
Mentre l’equilibrio del mondo viene distrutto dall’emergenza climatica e dalla pandemia del Covid-19 e le nostre simmetriche esistenze (frutto di quel “Mondo” a griglia geometrica iniziato con Vitruvio e Leonardo – https://bit.ly/3iTHnuR ) sono sconvolte, mi rassicura pensare che da questo elemento di rottura possa nascere una nuova creatività, magari recuperando una “misura”, magari meno consona a noi umani (non più al centro dell’Universo), ma più coerente con la Natura e l’ecosistema planetario di cui siamo solamente parte minoritaria, ma esageratamente arrogante ( https://bit.ly/3kDajYs ).
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E quando riapri gli occhi, la Milano che sta di fronte a te (in questo esercizio progettuale d’immaginazione), è diventata una città che ha applicato, rapidamente e con perseveranza per alcuni anni, dopo la pandemia e l’avvento alle Elezioni Amministrative comunali del 2021, di un Sindaco nuovo, colto ed illuminato che ha, con grande perseveranza e consenso, incentivato ed adottato le migliori pratiche in uso nelle città europee più salubri e vivibili : Oslo, Copenhagen, ecc.. Con particolare attenzione, a dove viene utilizzato maggiormente il trasporto pubblico locale, come a Parigi, Londra e Budapest; ed anche imitando le città con maggiore mobilità dolce come Madrid e Stoccolma, ha consentito di conseguire rapidamente, una maggiore percentuale di mobilità pedonale. Mentre “copiando” da Bruxelles ed Amsterdam, la città lombarda è diventata una delle metropoli europee in cui si pedala di più e si utilizzano meno le auto.
I risultati sono stati ottenuti predisponendo strumenti, coordinati con tutta l’Area Metropolitana e con la Regione Lombardia, per incentivare l’uso dei trasporti pubblici: 1) dei bonus sugli abbonamenti a chi lascia l’auto a casa; 2) una consistente erogazione di denaro al nucleo familiare che dimostra di non possedere nessuna auto; 3) funzionamento dei mezzi di trasporto pubblico per tutte le 24 ore; 4) potenziamento di tutti i mezzi di trasporto pubblico, soprattutto di quelli elettrificati, a GPL/Metano e ad idrogeno. Invece per quanto riguarda la mobilità pedonale “dolce”, sono state aumentate le aree pedonali ed anche le zone a 30 km orari in prossimità degli insediamenti residenziali. Soprattutto si è operato per garantire sicurezza ed una chiara separazione tra viabilità pedonale, ciclabile e su gomma.
Riguardo all’uso della bicicletta, il comune ha deciso di riconoscere un contributo tra i 21 e i 25 centesimi a chilometro a favore dei lavoratori ciclisti. Non solo. Le aziende sono state obbligate a creare aree di parcheggio per le bici, in loro prossimità, e così è stato anche per gli uffici, privati e pubblici. E ancora, i lavoratori che utilizzano il bike sharing ricevono uno sconto sul servizio, mentre un ulteriore incentivo, oltre a quelli statali, è riservato a chi acquista una bici elettrica. – (https://bit.ly/2XWpjs3)
Appena insediata la nuova Giunta ha immediatamente fatto elaborare ed ha approvato un nuovo PGT (piano di Governo del Territorio) a crescita zero, un piano, cioè, che non contiene previsioni di crescita dell’insediamento e che punta a mantenere il più possibile intatto il proprio territorio, soprattutto quello agricolo. Una moratoria sul costruito, della durata almeno di un decennio, che consenta alla città di tornare a respirare e di sanare la “frenesia edilizia inconsulta” contenuta nei PGT delle Giunte precedenti. Si sono altresì adottati criteri per un utilizzo socialmente equo del suolo, e produrre alloggi sociali a basso costo, su modello di quanto già fatto a Monaco di Baviera con il “SoBoN Munich Path” ( https://bit.ly/2C67QVE ). A tal fine, il Sindaco nuovo ha anche fatto predisporre degli strumenti, per vincolare a verde pubblico tutti gli scali ferroviari milanesi dismessi, che saranno acquisiti dalla pubblica amministrazione, per motivi urgenti di salute pubblica, restituendoli ai cittadini come, aree verdi, vuoti urbani, parchi orizzontali di grande dimensione. Sfruttando appieno così’ forse l’ultima occasione per cambiare i destini dell’assetto urbanistico milanese. Strumenti con finalità di ridurre il consumo di suolo e soprattutto la perniciosa densità urbana (https://bit.ly/2UJG8Ex). Infatti. Milano, dopo Parigi, Barcellona ed Atene, è stata nel 2020 la quarta, tra le grandi città europee per densità abitativa: 7653 abitanti per chilometro quadrato. Ben oltre Londra (5589 ab/Kmq), Amsterdam (3893 ab/Kmq), Madrid (5334 ab/Kmq), Monaco di Baviera (4712 ab/Kmq), quasi il doppio di Berlino (4165 ab/Kmq). Milano non è diventata una città dove il verde, verticale o sui tetti, “nasconde l’architettura come una pelle” e tutto il volume e l’edificazione possibile, come si faceva, più che altro per marketing politico, con il precedente Sindaco/Manager (https://bit.ly/3hu8RXy ), ma una metropoli dove si respira veramente, e la natura raggiunge ogni abitazione, perché tra il costruito si sono insinuati generosi spazi verdi, collegati tra loro da piste ciclabili sicure e protette (con a lato spazi verdi) e non “pitturazioni sull’asfalto”; dove le vie sono ampie ed alberate. Un verde a disposizione di tutti, e non per pochi, soprattutto un “dono di sana respirabilità” per le generazioni future. Tutto il nuovo costruito dovrà adottare materiali riciclabili come il legno FSC, o il bambù, che consentono anche di “fissare” la CO2.
Così facendo, in pochi anni è rapidamente migliorato soprattutto il microclima locale, e l’Area Metropolitana di Milano non è più la metropoli caotica, surriscaldata ed inquinata, degli anni passati, dove per più di 100 giorni l’anno ha le micropolveri sottili superavano la soglia massima di 50 microgrammi per metro cubo (https://bit.ly/3hoBLIO); ma è diventata un luogo dove si è tornati ad avere fiducia e speranza nel futuro all’insegna di una vera qualità complessiva dell’ambiente urbano. Tali provvedimenti “sanitari” hanno anche probabilmente garantito la possibilità che una strage, come quella verificatasi durante la pandemia del 2020, non potrà più avvenire con quella virulenza ed alto tasso di mortalità.
Immagina……puoi, dato che il progetto che si ipotizza, è sempre anche destino, in questo caso necessariamente politico!
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Jože Plečnik a Lubiana, dal suo “studiolo ligneo” nel sobborgo di Trnovo, addizione “erculea” alla Hisa, realizzato nel 1933, come in una “tolda arquata” (piano terreno e piano primo), di una nave, splendidamente arenata, in un magnifico giardino; da dove dominava ed osservava, il “mare urbanistico ed architettonico” della città slovena, e lo progettava e lo dominava. Qui riceveva i suoi studenti ed i clienti. Spesso anche ci dormiva. – https://bit.ly/2AO96Me –
«Studiolo», come ben ci descrive Giorgio Agamben, nell’omonimo libro, si chiamava nei palazzi rinascimentali la piccola stanza in cui il principe si ritirava per meditare o leggere, progettare il futuro, circondato dai quadri che amava in modo speciale.
Qui, in via Karunova 4–6, non ci sono grandi quadri, ma disegni, piccole sculture, tanti libri, e soprattutto oggetti, strumenti professionali e materiali edili; un po come in tutta la “casa laboratorio”.
Gli ambienti emanano ancora l’odore dei legni pregiati utilizzati dall’architetto sloveno, i luoghi sanno di polvere e di libri antichi, mentre dalle finestre socchiuse sul giardino, penetrano i profumi delle piante in fiore.
Eppure se ci si va, chiaramente si percepisce ancora, nella disposizione non casuale degli oggetti, nella “luce” voluta da Plečnik, tutta l’energia creativa insediata in quel magnifico luogo.
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